§ 5.4.73 – L.R. 19 maggio 1988, n. 33.
Piano socio-assistenziale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.


Settore:Codici regionali
Regione:Friuli Venezia Giulia
Materia:5. sviluppo sociale
Capitolo:5.4 assistenza sociale
Data:19/05/1988
Numero:33


Sommario
Art. 1.  Oggetto.
Art. 2.  Contenuto.
Art. 3.  Durata e validità.
Art. 4.  Principi e finalità.
Art. 5.  Obiettivi.
Art. 6.  Soggetti.
Art. 7.  Destinatari.
Art. 8.  Diritti degli utenti.
Art. 9.  Ruolo della Regione.
Art. 10.  Ruolo delle Province.
Art. 11.  Ruolo dei Comuni.
Art. 12.  Ruolo delle Unità sanitarie locali.
Art. 13.  Ruolo dell'assistenza privata.
Art. 14.  Registro dei soggetti privati.
Art. 15.  Registro regionale delle strutture di accoglimento residenziale.
Art. 16.      (Omissis)
Art. 17.      (Omissis)
Art. 18.  (Articolazione del sistema socio-assistenziale).
Art. 19.  Servizio sociale di base.
Art. 19 bis.      1. Per il periodo di validità del primo piano socio-assistenziale, e comunque non oltre il 31 dicembre 1991, la gestione del servizio sociale di base, nei casi in cui l'articolazione del [...]
Art. 20.  Comitato di coordinamento.
Art. 21.  Servizi e strutture di area vasta.
Art. 22.  Progetti obiettivo ed azioni programmatiche.
Art. 23.  Piani attuativi delle Province.
Art. 24.  Approvazione ed efficacia dei piani attuativi.
Art. 25.  Verifica della realizzazione del piano.
Art. 26.  Poteri sostitutivi.
Art. 27.  Comitato consultivo.
Art. 28.  Fonti di finanziamento.
Art. 29.  Criteri di finanziamento e di riparto.
Art. 30.  Norme di salvaguardia.
Art. 31.  Adeguamento ed abrogazione di norme.
Art. 32.  Approvazione degli allegati.
Art. 33.  Entrata in vigore.


§ 5.4.73 – L.R. 19 maggio 1988, n. 33. [1]

Piano socio-assistenziale della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia.

(B.U. 20 maggio 1988, n. 63).

 

CAPO I

Disposizioni generali

 

Art. 1. Oggetto. [2]

     [1. La formazione del piano regionale triennale socio-assistenziale, prevista dal primo comma dell'articolo 7 della legge regionale 3 giugno 1981, n. 35, come sostituito dal primo comma dell'articolo 56 della legge regionale 30 gennaio 1984, n. 4 è disciplinata dalla presente legge e dagli allegati di cui all'articolo 32.]

 

     Art. 2. Contenuto. [3]

     [1. Il piano definisce obiettivi, criteri e modalità per la programmazione, l'organizzazione e l'erogazione dei servizi socio- assistenziali nel territorio regionale. In tale ambito esso determina:

     a) l'assetto istituzionale ed organizzativo;

     b) i livelli e gli standards qualitativi e quantitativi di prestazione e funzionalità dei presidi e dei servizi;

     c) la politica per l'uso delle risorse;

     d) le procedure di attuazione e verifica.]

 

     Art. 3. Durata e validità. [4]

     [1. Il piano ha validità nel triennio 1988-1990, salvo il suo adeguamento a nuove disposizioni nazionali in materia.

     2. Entro tre mesi dalla scadenza del triennio la Giunta regionale presenterà il disegno di legge per il triennio successivo, fermo restando che fino all'entrata in vigore del successivo piano permane la validità del piano anteriore.]

 

     Art. 4. Principi e finalità.

     1. Il piano si ispira ai seguenti principi:

     a) rispetto della persona e della sua dignità civile ed umana, delle convinzioni personali, politiche e religiose, della riservatezza attinente sia alla sfera psicofisica, sia a quella sociale del cittadino;

     b) adeguatezza dell'intervento al bisogno e alle esigenze familiari, relazionali ed esistenziali del cittadino;

     c) autonomia dell'assistenza sociale, pur nella garanzia del necessario raccordo con gli altri servizi sociali;

     d) concorso della famiglia, compresa quella prevista e definita dagli articoli 25 e 51, quarto comma della legge regionale 1º settembre 1982, n. 75 e successive modificazioni e integrazioni, del volontariato, delle altre componenti private con fini di solidarietà sociale, alla realizzazione del sistema di cui al comma 2;

     e) pari dignità dell'intervento prestato da tutti i servizi che concorrono al conseguimento delle finalità di cui al comma 2.

     2. Il sistema dei servizi socio-assistenziali è rivolto al raggiungimento delle seguenti finalità:

     a) concorrere alla crescita civile e sociale della comunità, promuovendo una convivenza responsabile e solidale;

     b) prevenire e rimuovere, anche in collaborazione con i servizi preposti alla sanità, all'educazione e al lavoro, le cause di ordine economico, ambientale, sociale e culturale che provocano situazioni di bisogno e di emarginazione;

     c) assicurare la fruibilità delle prestazioni, dei servizi e delle strutture secondo modalità che garantiscano la libertà personale, l'uguaglianza di trattamento a parità di bisogno, trattamenti diversificati in rapporto ad esigenze specifiche, il diritto di scelta per l'utente fra le prestazioni erogate dai soggetti di cui all'articolo 6, senza che creino immotivato aggravio economico e discriminazione;

     d) sviluppare il massimo di autonomia e di autosufficienza delle persone, anche attraverso il coordinamento e l'integrazione dei servizi socio-assistenziali e sanitari e del sistema scolastico e formativo;

     e) agire a sostegno della famiglia, intesa anche come luogo privilegiato di accoglienza e di recupero, favorendo per quanto possibile la permanenza o il rientro dei suoi membri in difficoltà;

     f) agire a tutela dei soggetti non autosufficienti privi di famiglia o la cui famiglia sia impossibilitata o inidonea a provvedere nel loro confronti.

     3. [La politica sociale della Regione, in conformità ai principi e alle finalità enunciati ai commi 1 e 2, promuove la disponibilità dei seguenti servizi:

     a) uno standard essenziale di prestazioni garantite dal comparto pubblico a tutta la popolazione e fornite dal soggetti pubblici o da idonei soggetti privati, per la prevenzione e la promozione delle situazioni di maggiore bisogno e disagio;

     b) prestazioni integrative fornite dal settore pubblico o da idonei soggetti privati finanziate e coordinate dall'ente pubblico;

     c) altre prestazioni agevolate dagli enti pubblici, ma direttamente erogate e finanziate da forme di volontariato o di mercato] [5].

     4. La Regione assicura ai cittadini l'informazione sulla natura, sugli standards e sulla funzionalità dei servizi cui hanno diritto.

 

     Art. 5. Obiettivi. [6]

     [1. Il piano persegue obiettivi strategici ed obiettivi specifici.

     2. Gli obiettivi strategici sono enunciati nell'allegato n. 1 alla presente legge.

     3. Gli obiettivi specifici, relativi al triennio 1988-1990, sono definiti negli allegati nn. 2, 3, 4 e 5 ata presente legge e riguardano:

     a) l'organizzazione del servizio sociale di base a favore della generalità della popolazione;

     b) linee prioritarie di intervento a favore della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva, degli anziani, degli handicappati e nell'area della devianza e della criminalità;

     c) l'avvio delle azioni programmatiche di cui all'articolo 22;

     d) la riconversione della spesa regionale e gli indirizzi sull'impiego delle risorse finanziarie a disposizione degli enti locali.]

 

     Art. 6. Soggetti.

     1. Alla realizzazione del sistema socio-assistenziale concorrono:

     a) i Comuni, singoli o associati, le Comunità montane e la Comunità collinare del medio Friuli, le Unità sanitarie locali, le Province;

     b) i Consorzi di enti locali territoriali e le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza;

     c) le associazioni, le cooperative, le istituzioni e gli altri soggetti privati che erogano servizi e prestazioni socio-assistenziali;

     d) i cittadini che in forme individuali, familiari o associative si attivano in tale campo volontariamente e senza fine di lucro.

 

     Art. 7. Destinatari.

     1. I servizi, le prestazioni e gli interventi socio-assistenziali sono rivolti ai cittadini residenti nella regione e si estendono agli stranieri ed apolidi residenti con permesso di soggiorno nonché a tutte le persone dimoranti che siano bisognose di interventi non differibili.

     2. Agli assistiti e alle persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti può essere richiesto di concorrere al costo di determinate prestazioni, secondo criteri stabiliti dalle normative e dalle direttive regionali in relazione alle condizioni economiche dei soggetti e alla rilevanza sociale delle prestazioni. Deve comunque essere garantita agli assistiti la conservazione di una quota delle pensioni e dei redditi tale che permetta loro di far fronte in modo adeguato alle esigenze personali e familiari.

     3. Nelle fattispecie di prestazioni assistenziali obbligatorie - salva restando l'osservanza del termine di tempo di cui all'articolo 72, punto 1, della legge 17 luglio 1980 n. 6972, e successive modificazioni - il soggetto istituzionale su cui grava il relativo onere finanziario è individuato nel Comune di residenza dell'utente; a tal fine è irrilevante il cambio di residenza connesso esclusivamente all'accoglimento in struttura di ospitalità sita in un Comune diverso [7].

 

     Art. 8. Diritti degli utenti.

     1. Le modalità organizzative dei servizi e delle strutture devono uniformarsi ai seguenti principi e criteri:

     a) salvaguardare la dignità, l'autonomia e la personalità degli utenti, promuovendo la partecipazione degli stessi e dei loro familiari nonché assicurare loro idonee forme di informazione;

     b) consentire, compatibilmente con le esigenze della vita comunitaria, il libero accesso alle strutture di accoglimento dei familiari e delle altre persone richieste dagli ospiti;

     c) assicurare il diritto degli utenti alla riservatezza.

 

CAPO II

Assetto istituzionale: funzioni programmatorie e gestionali

 

     Art. 9. Ruolo della Regione.

     1. La Regione, al fine di programmare ed organizzare il sistema socio- assistenziale, in coordinamento con gli indirizzi del piano sanitario regionale ed in armonia con le linee del piano regionale di sviluppo, svolge i seguenti compiti:

     a) segue l'elaborazione degli strumenti di programmazione nazionale, curando gli opportuni rapporti con i competenti organi centrali;

     b) elabora il piano socio-assistenziale regionale e cura l'attuazione degli adempimenti ad esso connessi;

     c) determina gli ambiti territoriali per la gestione dei servizi, salvaguardando il raccordo con il momento sanitario e promuovendo forme di collaborazione fra gli enti locali, nonché forme di associazione obbligatoria per i Comuni il cui dato demografico non consenta l'attuazione dei corrispondenti servizi;

     d) stabilisce indirizzi, criteri e modalità per l'organizzazione dei servizi e delle attività;

     e) stabilisce i requisiti e gli standards delle strutture, anche ai fini delle autorizzazioni al funzionamento e dell'accertamento dei requisiti per il convenzionamento;

     f) promuove la formazione, l'aggiornamento e la qualificazione del personale e assume iniziative per favorirne la mobilità;

     g) ripartisce su base provinciale i fondi previsti dal piano socio- assistenziale e promuove l'uso coordinato di tutte le risorse finanziarie impiegate nel settore, raccordando la spesa e gli interventi;

     h) promuove ed attua forme di vigilanza, di verifica e di controllo dell'efficienza e dell'efficacia del servizi;

     i) cura la tenuta dei registri dei soggetti privati, delle strutture di accoglimento residenziale per finalità assistenziale delle associazioni di volontariato;

     l) organizza il sistema informativo dell'assistenza sociale, coordinato con quello sanitario e con il più generale sistema informativo regionale;

     m) promuove la ricerca finalizzata;

     n) redige la relazione socio-assistenziale annuale e quella triennale di verifica del piano.

     2. Per lo svolgimento dei compiti di cui al comma I, l'Amministrazione regionale è autorizzata ad avvalersi di collaborazioni di esperti, enti ed istituzioni esterni [8].

 

     Art. 10. Ruolo delle Province.

     1. Le Province, come momento decentrato e attuativo della programmazione regionale, svolgono i seguenti compiti:

     a) partecipano all'elaborazione del piano regionale socio- assistenziale promuovendo la partecipazione degli Enti locali territoriali e delle altre componenti istituzionali e sociali, pubbliche e private, nell'ambito di rispettiva competenza;

     b) elaborano i piani attuativi locali riferiti al proprio territorio, in armonia con il piano e con le corrispondenti direttive regionali, attivando la partecipazione delle istanze locali;

     c) provvedono ad assegnare agli enti, istituzioni ed organismi di livello sub provinciale i fondi messi loro a disposizione dalla Regione per l'attuazione del piano e delle previsioni della legge regionale 9 marzo 1988, n. 10;

     d) costituiscono momento decentrato del sistema informativo regionale socio-assistenziale e momento di coordinamento dei flussi informativi locali

e) assumono ogni altra iniziativa ad esse delegata dalla Regione, ivi comprese funzioni di vigilanza e di verifica.

 

     Art. 11. Ruolo dei Comuni.

     1. Sono esercitate dai Comuni, singoli o associati, le funzioni concernenti l'organizzazione e l'erogazione dei servizi e delle prestazioni socio-assistenziali di base, comprensive delle attività del servizio sociale dl cui al successivo articolo 19 e delle relative funzioni di assistenza domiciliare, economica ed abitativa, nonché della gestione delle strutture di primo livello.

 

     Art. 12. Ruolo delle Unità sanitarie locali.

     1. Ferme restando le specifiche competenze riconosciute alle Unità sanitarie locali da leggi statali o regionali, spetta alle medesime l'esercizio di quelle attività socio-assistenziali eventualmente loro delegate dai Comuni o dalla Regione ai sensi e con le modalità dell'articolo 30 della legge 27 dicembre 1983, n. 730. Devono inoltre garantire ai soggetti assistiti nelle strutture o dai servizi dei territorio le prestazioni sanitarie occorrenti, secondo le indicazioni e le modalità che verranno definite dalla programmazione regionale di settore.

     2. Le attività di rilievo sanitario, connesse a quelle socio- assistenziali, gravano sui costi del Fondo sanitario nazionale e non possono incidere sui fondi destinati all'assistenza.

 

     Art. 13. Ruolo dell'assistenza privata.

     1. In conformità all'articolo 38 ultimo comma, della Costituzione è garantita liberà per i singoli, le associazioni, le cooperative, le fondazioni e le altre Istituzioni, dotate o no di personalità giuridica, che intendano svolgere attività assistenziale.

     2. Le istituzioni e gli altri organismi privati indicati al comma 1 partecipano alla programmazione regionale e concorrono alla realizzazione del sistema socio-assistenziale, alle condizioni e con le modalità indicate dalla normativa regionale in materia.

 

     Art. 14. Registro dei soggetti privati.

     1. E' istituito, presso la Direzione regionale dell'assistenza sociale, il registro delle istituzioni, fondazioni ed associazioni private dotate o no di personalità giuridica.

     2. Il registro comprende le associazioni che perseguono la tutela e la promozione sociale dei cittadini disabili e gli altri organismi privati operanti nel settore socio-assistenziale, con esclusione dei soggetti che hanno titolo all'iscrizione in altri registri regionali; sino alla sua attivazione continuano comunque ad applicarsi le disposizioni dei commi 2 e 3 dell'articolo 14 della legge regionale 27 dicembre 1986, n. 59 e successive integrazioni e modifiche.

     3. L'iscrizione nel registro è disposta a domanda, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto dell'Assessore regionale all'assistenza sociale e previo accertamento, anche mediante avvalimento dei Comuni di pertinenza, dei seguenti requisiti:

     a) assenza di fini di lucro;

     b) livelli organizzativi e di personale idonei al tipo di attività svolta;

     c) rispetto nei confronti dei dipendenti delle norme imperative e contrattuali in materia di lavoro, eccezione fatta per i casi di prestazioni volontarie.

     4. Gli Enti locali, i loro Consorzi, le Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza e le Unità sanitarie locali possono stipulare convenzioni con i soggetti privati iscritti nel registro regionale. Tali convenzioni devono prevedere libertà di prestazioni e servizi conformi alle norme vigenti in materia e alle indicazioni del Piano regionale socio- assistenziale e degli strumenti dello stesso attuativi, forme di verifica e controllo delle prestazioni, copertura assicurativa contro il rischio di infortunio subito dagli operatori e per la responsabilità civile verso terzi, durata della convenzione, cause e modalità di risoluzione [9].

 

     Art. 15. Registro regionale delle strutture di accoglimento residenziale.

     1. E' istituito, a decorrere dall'entrata in vigore della legge regionale 26 aprile 1995, n. 20, presso la Direzione regionale dell'assistenza sociale, il registro regionale delle strutture di accoglimento residenziale per finalità assistenziali, facenti capo ad enti, istituzioni ed organismi sia pubblici sia privati; detto registro viene periodicamente aggiornato e pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione entro il primo quadrimestre di ogni anno [10].

     2. L'iscrizione nel registro è disposta, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto dell'Assessore regionale alla sanità e all'assistenza sociale, salvo restando l'obbligo dell'adeguamento qualora richiesto ed entro termini di tempo prefissati, ai requisiti stabiliti dal regolamento di cui al comma 3 [11].

     3. Le nuove strutture di ospitalità che intendono operare nel territorio regionale devono essere preventivamente riconosciute idonee a funzionare dal Sindaco del Comune dove hanno sede, che accerterà la sussistenza dei requisiti previsti da apposito Regolamento di esecuzione, che verrà adottato dalla Giunta regionale entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge.

     4. Il Regolamento disciplinerà altresì l'attività regionale di vigilanza e controllo sulle strutture, che sarà esercitata anche avvalendosi dell'apporto di responsabili di servizi delle Unità sanitarie locali, del personale ispettivo delle medesime e di operatori di enti locali.

     5. In attesa dell'emanazione del Regolamento di cui ai commi 3 e 4 rimane ferma la competenza delle Unità sanitarie locali prevista dall'articolo 1, penultimo comma, della legge regionale 23 luglio 1984, n. 31.

     6. La cancellazione dal registro ha luogo per il venir meno dell'attività di accoglimento o dei prescritti requisiti ed è disposta, previa deliberazione della Giunta regionale, con decreto dell'Assessore regionale al lavoro e all'assistenza sociale

 

     Art. 16.

     (Omissis) [12].

 

     Art. 17.

     (Omissis) [13].

 

CAPO III

Assetto organizzativo

 

     Art. 18. (Articolazione del sistema socio-assistenziale). [14]

     1. Il sistema regionale degli interventi socio-assistenziali è articolato nei seguenti livelli:

     a) un primo livello, costituito dai servizi e dalle prestazioni di base, riferiti alle funzioni di analisi della domanda sociale, segretariato sociale, pronto intervento assistenziale, presa in carico del caso, verifica dell'efficacia degli interventi;

     b) un secondo livello, costituito dai servizi e dalle strutture di area vasta, non inferiore all'ambito distrettuale, attivati ed operanti secondo modelli organizzativi definiti dalle leggi di settore.

 

     Art. 19. Servizio sociale di base.

     l. Il servizio sociale di base, inteso quale servizio di primo livello, diffuso sull'intero territorio regionale, ha compiti di informazione e di prevenzione, di rilevazione dei bisogni dell'utenza e di prima risposta, ove possibile, agli stessi. Le relative funzioni si articolano in: osservazione dei bisogni, raccolta di dati, segretariato sociale, analisi della domanda, presa in carico del caso, sostegno alla famiglia, verifica dell'efficacia degli interventi.

     2. Il servizio di cui al comma 1 è impostato sulla

multiprofessionalità degli operatori riuniti in équipe [15].

     3. La gestione del servizio compete ai Comuni ovvero alle Comunità montane o alle Unita sanitarie locali, se a ciò delegate dai Comuni che ne fanno pane, e può avvalersi dell'apporto, tramite convenzione, di idonei soggetti privati.

     4. Nei casi in cui l'articolazione territoriale del servizio includa più Comuni la sua organizzazione è attuata sulla base di una convenzione tra i medesimi, secondo un disciplinare-tipo predisposto

dall'Amministrazione regionale; la stipula della convenzione predetta è condizione per l'ottenimento dei contributi regionali finalizzati al sostegno e allo sviluppo del servizio sociale di base [16].

     5. La convenzione di cui al comma 4 determinerà il coordinamento fra i vari elementi ed apponi necessari all'organizzazione e al funzionamento del servizio, il referente organizzativo dello stesso e individuato nel Comune sede di distretto sanitario ovvero, nell'ipotesi di un bacino di utenza riferito a più distretti sanitari, nel Comune sede del distretto più popoloso.

     6. Al fine dell'integrazione delle attività assistenziali di base le province stipulano con gli enti indicati al comma 3 del presente articolo apposite convenzioni nelle quali dovrà prevedersi l'affidamento agli stessi delle funzioni gestionali, di competenza provinciale, relative ai minori, alle gestanti, alle madri e all'assistenza ai ciechi e sordomuti con contestuale messa a disposizione del personale, dei beni e delle risorse finanziarie occorrenti; allo stesso fine dell'integrazione uno specifico protocollo d'intesa degli enti locali competenti con l'Unità sanitaria locale definirà il raccordo del servizio sociale di base con l'équipe di distretto sanitario e l'utilizzo, da parte del servizio sociale, degli operatori assistenziali di distretto del ruolo sanitario.

 

     Art. 19 bis.

     1. Per il periodo di validità del primo piano socio-assistenziale, e comunque non oltre il 31 dicembre 1991, la gestione del servizio sociale di base, nei casi in cui l'articolazione del servizio includa più Comuni, si intende attuabile anche dai Consorzi intercomunali purché ricorrano le seguenti condizioni:

     a) l'ambito territoriale del Consorzio coincida con quello del servizio;

     b) si tratti di Consorzio già costituito ed operante nel settore socio-assistenziale alla data di entrata in vigore della presente legge;

     c) l'attività del Consorzio, sulla base di un'apposita convenzione stipulata con tutti i Comuni dell'ambito e con le occorrenti modifiche statutarie, si estenda all'insieme delle funzioni previste dal Piano socio- assistenziale della Regione Friuli-Venezia Giulia per il servizio sociale di base.

     2. Laddove il servizio sociale di base venga gestito nelle forme di cui al comma I ovvero con delega dei Comuni alla Comunità montata di pertinenza, le funzioni del Comune referente organizzativo, così come individuato dall'articolo 19, comma 5, saranno svolte rispettivamente dal Consorzio o dalla Comunità montana, cui spetta altresì di convocare il Comitato di coordinamento previsto all'articolo 20.

     3. Nel caso in cui più ambiti del servizio sociale di base, così come determinati nell'apposito progetto obiettivo, risultino integralmente ricompresi nel territorio di un solo Comune, è istituito un unico Comitato di coordinamento [17].

 

     Art. 20. Comitato di coordinamento. [18]

 

     Art. 21. Servizi e strutture di area vasta.

     1. I servizi e le strutture pubbliche deputate specificamente all'assistenza sul territorio degli handicappati, degli anziani non autosufficienti e di altri soggetti a rischio sono gestite dai Comuni singoli od associati, da Consorzi di enti locali, da Comunità montane o collinare del Medio Friuli, da istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza ovvero da Unità sanitarie locali, su delega dei Comuni interessati.

     2. Eccezion fatta per l'ultima ipotesi di cui al comma 1, gli enti responsabili dei servizi e delle strutture predette stipulano apposite convenzioni con le Unità sanitarie locali di pertinenza per l'acquisizione delle occorrenti prestazioni di rilievo sanitario tramite erogazione diretta o rimborso delle spese a tal fine sostenute dagli Enti predetti.

 

CAPO IV

Interventi

 

     Art. 22. Progetti obiettivo ed azioni programmatiche.

     1. La previsione degli interventi specifici, in coerenza con gli indirizzi del piano, è contenuta nei progetti obiettivo e nelle azioni programmatiche, raccordati con gli analoghi strumenti della programmazione regionale sanitaria [19].

     2. I progetti obiettivo hanno lo scopo, mobilitando risorse secondo un disegno finalizzato di coordinamento, di affrontare problemi prioritari od urgenti; le azioni programmatiche sono rivolte all'attivazione di funzioni specifiche di carattere promozionale, culturale ed organizzativo.

     3. I progetti obiettivo, che verranno approvati con deliberazioni quadro della Giunta regionale entro 180 giorni dall'entrata in vigore della presente legge, riguarderanno:

     a) l'organizzazione del servizio sociale di base e la definizione, sentiti i Comuni interessati, degli ambiti territoriali di articolazione del servizio;

     b) interventi a tutela della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva;

     c) interventi a tutela degli anziani;

     d) interventi a tutela degli handicappati.

     4. [La Giunta regionale curerà inoltre la definizione, su proposta della Commissione regionale tecnico-consultiva in tema di disadattamento, devianza e criminalità, di un progetto pilota per l'avvio in tale campo di iniziative di recupero e reinserimento] [20].

     5. Le azioni programmatiche, previste nell'allegato n. 4, attengono ai seguenti settori: educazione sociale, formazione professionale, ricerca finalizzata e sistema informativo; la loro attuazione si conformerà ad apposite direttive emanate dalla Giunta regionale.

 

CAPO V

Attuazione e verifica del piano

 

     Art. 23. Piani attuativi delle Province.

     1. Ad intervenuta approvazione da parte della Giunta regionale dei progetti obiettivo di cui all'articolo 22 spetta alle Province l'elaborazione dei piani locali attuativi del piano regionale socio- assistenziale. Detti piani, da adottarsi da ciascuna Provincia per l'ambito di rispettiva pertinenza non oltre il primo semestre del 1989, dovranno attenersi a direttive tempestivamente emanate dalla Giunta regionale, riguardanti in particolare metodologie e modalità per:

     a) la specificazione locale degli obiettivi ed indirizzi regionali;

     b) la localizzazione e il dimensionamento dei servizi e dei presidi dei territorio;

     c) la definizione della struttura organizzativa dei servizi;

     d) la quantificazione del personale necessario e delle risorse finanziarie occorrenti.

     2. Per l'elaborazione dei piani attuativi le Province attivano la partecipazione ed il confronto con le realtà istituzionali e sociali di livello subprovinciale. I piani devono comunque essere predisposti in collaborazione con i Comuni interessati, tenendo conto della rilevanza delle funzioni svolte dai Comuni capoluoghi di provincia, che si esprimono attraverso l'intesa in materia di localizzazione dei presidi socio- assistenziali.

 

     Art. 24. Approvazione ed efficacia dei piani attuativi.

     1. Adottato il piano attuativo, ciascuna Amministrazione provinciale provvede a trasmetterlo per il tramite della Direzione regionale del lavoro e dell'assistenza sociale alla Giunta regionale, la quale si esprime su di esso entro 60 giorni dal ricevimento mediante deliberazione di approvazione o di rinvio con osservazioni e richieste di modificazione per inosservanza delle direttive di cui all'articolo 23, comma 1.

     2. Qualora il piano sia rinviato dalla Giunta regionale, esso deve essere riapprovato entro 30 giorni, con le modificazioni indicate dalla Regione. Nel caso ciò non avvenga, la Giunta regionale può procedere d'ufficio alla modificazione del piano.

 

     Art. 25. Verifica della realizzazione del piano.

     1. La verifica del grado di realizzazione e dell'efficacia del piano ha luogo annualmente attraverso la relazione socio-assistenziale prevista dall'articolo 56, comma 1, della legge regionale 30 gennaio 1984, n. 4 e, alla fine del triennio di validità, tramite apposita relazione finale; ove necessario, le modifiche e gli aggiornamenti al piano si approvano con legge regionale.

     2. Le relazioni di cui al comma I sono formulate sulla base di relazioni predisposte dalle Province per l'ambito di rispettiva competenza secondo i criteri e le modalità definite con direttive della Giunta regionale.

 

     Art. 26. Poteri sostitutivi.

     1. In caso di mancato rispetto delle prescrizioni del piano si applicano le vigenti disposizioni in materia di poteri sostitutivi.

 

     Art. 27. Comitato consultivo.

     1. E' istituito, presso la Direzione regionale del lavoro e dell'assistenza sociale, il Comitato regionale consultivo in materia di attuazione del piano socio-assistenziale.

     2. Il Comitato rimane in carica per il periodo di validità del piano ed è composto [21]:

     a) dall'Assessore regionale al lavoro e all'assistenza sociale, in veste di Presidente:

     b) dai Presidenti delle Province o loro delegati;

     c) dai Sindaci dei Comuni capoluoghi di provincia o loro delegati;

     d) da un rappresentante dell'ANCI;

     e) da un rappresentante dell'UNCEM;

     f) da quattro esperti designati dalle Associazioni degli enti pubblici e privati operanti nel settore socio-assistenziale, due dei quali designati dalla componente pubblica;

     g) da due esperti in materia di servizi sociali scelti dal Presidente;

     h) da due rappresentanti dei gruppi di volontariato;

     i) da un rappresentante della consulta regionale delle Associazioni degli handicappati;

     l) da tre rappresentanti delle organizzazioni sindacali regionali dei lavoratori maggiormente rappresentative;

     m) da due rappresentanti della cooperazione operante nel settore;

     n) dal direttore «pro tempore» della Direzione regionale del lavoro e dell'assistenza sociale;

     o) dal direttore «pro tempore» della Direzione regionale dell'igiene e della sanità.

     3. Il Comitato ha compiti consultivi e si esprime, oltre che su ogni argomento sul quale il Presidente intenda acquisirne il parere, sui progetti obiettivo di cui all'articolo 22, sugli schemi di regolamenti, di direttive e di convenzioni predisposti dall'Amministrazione regionale per l'attuazione del piano e sui piani di aggiornamento e di formazione del personale di cui all'apposita azione programmatica.

     4. All'interno del Comitato potranno essere costituiti gruppi di lavoro per l'approfondimento di questioni specifiche.

     5. Ogni qual volta sia ritenuto utile, in relazione agli argomenti posti all'ordine del giorno, il Presidente può far intervenire alle riunioni rappresentanti di altri enti o organismi e funzionari regionali.

     6. Il Comitato elegge nel suo seno il Vicepresidente; funge da segretario un dipendente della Direzione regionale del lavoro e dell'assistenza sociale.

 

CAPO VI

Finanziamento del piano e politica della spesa

 

     Art. 28. Fonti di finanziamento.

     1. Al finanziamento del piano socio-assistenziale per gli anni 1988- 1990 si provvede mediante l'utilizzo degli stanziamenti a tal fine iscritti nel fondo globale del bilancio regionale per gli anni medesimi [22].

     2. Costituiscono inoltre fonti di finanziamento:

     a) le dotazioni finanziarie delle normative regionali del settore socio-assistenziale e le assegnazioni statali in materia;

     b) gli altri stanziamenti specificatamente iscritti nel bilancio regionale e finanziati con risorse proprie della Regione;

     c) le autonome risorse degli enti locali e il contributo dell'utenza per i servizi a domanda individuale.

     3. L'onere finanziario delle attività di rilievo sanitario ricomprese nella gestione di servizi e presidi a valenza socio-sanitaria fa carico al Fondo sanitario nazionale.

 

     Art. 29. Criteri di finanziamento e di riparto.

     1. Per l'anno in corso rimangono ferme le modalità di assegnazione, previste dalle vigenti leggi regionali del settore socio-assistenziale, dei finanziamenti iscritti negli appropriati capitoli di spesa del bilancio regionale. Per gli anni successivi si fa rinvio, oltre che all'adeguamento normativo di cui all'articolo 31 della presente legge, agli articoli 33, 34, 59 e 66 della legge regionale 9 marzo 1988, n. 10, e alle indicazioni contenute nell'allegato n. 5 «Politica della spesa».

 

CAPO VII

Disposizioni transitorie e finali

 

     Art. 30. Norme di salvaguardia.

     1. Fino all'approvazione dei piani attuativi, di cui all'articolo 23, gli enti locali territoriali si attengono, nello svolgimento delle proprie funzioni, agli indirizzi e alle disposizioni della presente legge.

     2. Nelle more dell'adempimento di cui al comma 1 è impedita l'apertura di nuovi presidi o servizi da parte degli enti predetti, salvo che la stessa sia previamente autorizzata, su motivata richiesta, dalla Giunta regionale.

 

     Art. 31. Adeguamento ed abrogazione di norme.

     1. Entro un anno dall'entrata in vigore della presente legge la Giunta regionale predisporrà gli strumenti occorrenti ad adeguare ai contenuti del piano la vigente normativa di settore.

     2. I commi dal secondo al tredicesimo, dell'articolo 4 della legge regionale 3 giugno 1981, n. 35, sono abrogati.

     3. L'articolo 5 della legge 3 giugno 1981, n. 35 è abrogato.

     4. I commi 3 e 4 dell'articolo 7 della legge regionale 3 giugno 1981, n. 35, sono abrogati.

     5. A decorrere dall'entrata in vigore della presente legge non potranno più trovare attuazione gli adempimenti di cui all'articolo 3 della legge regionale 16 giugno 1983, n. 56, cessando altresì l'obbligo della messa a disposizione delle Unità sanitarie locali del personale considerato agli articoli 1 e 2 della medesima legge.

 

     Art. 32. Approvazione degli allegati.

     1. Sono approvati i seguenti allegati, che costituiscono parte integrante della presente legge:

     n. 1: «Obiettivi strategici del piano»;

     n. 2: «Indicazione degli obiettivi specifici per il triennio 1988- 1990»;

     n. 3: «Linee programmatiche per gli interventi a favore della generalità della popolazione, della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva, degli anziani, degli handicappati e nell'area della devianza e della criminalità»;

     n. 4: «Azioni programmatiche»;

     n. 5: «Politica della spesa».

 

     Art. 33. Entrata in vigore.

     1. La presente legge, entra in vigore il giorno della sua pubblicazione sul Bollettino Ufficiale della Regione.

 

 

PIANO SOCIO-ASSISTENZIALE

DELLA REGIONE AUTONOMA FRIULI-VENEZIA GIULIA

(Parte II - Allegati)

 

LEGENDA

 

D.P.R. = Decreto Presidente della Repubblica

D.P.C.M. = Decreto Presidente Consiglio dei Ministri

I.P.A.B. = Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza

L. = Legge statale

L.R. = Legge Regionale

l.r. = legge regionale

P.S.R. = Piano Sanitario Regionale

S.I.E.R. = Sistema Informativo Elettronico Regionale

U.S.L. = Unità Sanitaria Locale

UU.SS.LL. = Unità Sanitarie Locali

 

 

INDICE DEGLI ALLEGATI

 

ALLEGATO 1

Obiettivi strategici del piano.

 

ALLEGATO 2

Obiettivi specifici per il triennio 1988/90.

 

ALLEGATO 3

A - [23]

B - Linee programmatiche per gli interventi a favore della maternità,

dell'infanzia e dell'età evolutiva.

 

C - Linee programmatiche per gli interventi a favore degli anziani.

 

D - Linee programmatiche per gli interventi a favore della prevenzione

dell'handicap e del reinserimento sociale degli handicappati.

 

E - Linee programmatiche di interventi nell'area della devianza e della

criminalità.

 

ALLEGATO 4

Azioni programmatiche.

 

ALLEGATO 5

La politica della spesa.

 

 

ALLEGATO 1

 

OBIETTIVI STRATEGICI DEL PIANO

 

0. Introduzione

1. Prevenzione del malessere sociale

2. Promozione della consapevolezza e autosufficienza delle persone

3. Promozione e tutela della famiglia

4. Perseguimento della globalità dell'intervento

5. Superamento degli squilibri territoriali e settoriali

6. Limitazione dei processi di medicalizzazione e sanitarizzazione e

corretta integrazione

7. Qualificazione e umanizzazione delle strutture protette

8. Sostegno ai processi di aggregazione, socializzazione, associazionismo

9. Riconoscimento e valorizzazione del volontariato

10. Riconversione e riqualificazione della spesa

 

 

INTRODUZIONE

 

     Le relazioni socio-assistenziali annuali hanno evidenziato l'immagine di una Regione in posizione di relativo vantaggio rispetto alla realtà nazionale per livelli di reddito, consumo, occupazione, istruzione, ma caratterizzata, nel contempo, da indicatori di povertà «vecchie e nuove», quali alcoolismo e droga, suicidi, degrado delle abitazioni, nonché da una bassa natalità che unita al prolungarsi della durata media della vita porta ad un rapido e crescente invecchiamento della popolazione.

     Da uno sviluppo socio-economico e territoriale sostanzialmente diversificato emergono mutamenti nella struttura economica e sociale assai complessi, articolati e disomogenei, ma che indubbiamente tendono ad approfondire la frattura fra gruppi garantiti e gruppi non garantiti o emarginati, tanto che si segnala, accanto al persistere di aspetti di povertà derivanti da mancanza di garanzie primarie, l'insorgenza di nuove povertà non necessariamente connesse a fattori di tipo strutturale.

     Le stesse relazioni hanno sottolineato, quali limiti dell'attuale assetto dei servizi, la notevole settorializzazione e dispersione degli interventi, la persistente tendenza alla istituzionalizzazione per minori, handicappati e anziani, la separatezza rispetto al momento sanitario e agli altri interventi di formazione e sviluppo della persona l'elevata incidenza di interventi temporanei rispetto a quelli continuativi e, infine l'insufficienza di aree di intervento significative tese alla prevenzione. La stessa assistenza domiciliare, resta ancora in buona parte circoscritta ad interventi riparatori di emergenze economiche e di bisogni.

     A fronte di questi dati, confortati peraltro da un'entità di risorse strutturali umane e finanziarie disponibili niente affatto trascurabili, il processo di piano si propone il miglioramento delle prestazioni e, quindi, dell'efficienza e dell'efficacia della spesa pubblica agendo sulla qualità delle strutture ed elevando la qualità degli operatori, valorizzando e coordinando le attività di volontariato.

     Il piano, nel lungo periodo, persegue la finalità di costruire un sistema inteso come insieme organico di prestazioni e servizi rispondenti alla specificità delle diverse realtà territoriali ed agli effettivi bisogni dei cittadini. Un sistema, quindi, capace di fornire risposte non settoriali e categoriali e di promuovere l'autonomia delle persone e la solidarietà dei gruppi.

     Si pone pertanto la necessità di allargare l'area di considerazione dei bisogni sociali, nel tentativo di raccogliere la domanda che viene anche da quei nuovi bisogni che caratterizzano l'era post-industriale - l'esigenza di comunicare, di uscire dalla solitudine, di partecipare, di realizzare scelte consapevoli e autonome - espressi da fasce sempre più allargate di cittadini, utenti solo potenziali di servizi.

     Gli obiettivi strategici che si perseguono nella costruzione di questo sistema possono essere così sintetizzati:

 

1) Prevenzione del malessere sociale

     La prevenzione del malessere sociale e delle conseguenti forme di disadattamento è l'obiettivo fondamentale orientativo dell'intero circuito.

     E' nota la classificazione della prevenzione quale primaria, secondaria, terziaria e l'accezione comune per la quale rientra nella prevenzione primaria tutto quanto attiene alla promozione del benessere sociale, fisico, psichico ed economico dei cittadini attraverso la creazione di condizioni che permettano la piena realizzazione della persona e il miglioramento della qualità della vita.

     Questo livello di prevenzione, che è rivolto a rimuovere i fattori che creano il malessere proprio al nostro tipo di società, deve destare l'attenzione del circuito socio-assistenziale. Tuttavia è in relazione alla prevenzione secondaria e terziaria che il campo va focalizzato attraverso:

     - l'individuazione precoce degli stati di malessere iniziale, dei rischi eventuali, dei casi di bisogno sia dei gruppi sia dei singoli cittadini, e di ogni situazione che possa provocare stati di emarginazione;

     - l'attenzione rispetto a momenti di crisi che possono insorgere nel gruppo sociale primario - la famiglia - o in singoli membri di questa per conflitti familiari, crisi della coppia genitoriale, crisi degli adolescenti, crisi genitori-figli, assenze temporanee e prolungate dl un membro significativo e conseguenti crisi di ruolo, problemi connessi con le tossicodipendenze e l'alcolismo.

     In questa accezione la prevenzione non va intesa come un momento staccato dal momento curativo.

     Per operare in questa direzione, i servizi sociali vanno liberati del tutto dai condizionamenti dovuti al prevalente schematismo delle prestazioni.

     Interventi rigidi, non personalizzati e pertanto inadeguati non possono concorrere alla soluzione dei problemi, ma prolungano lo stato di assistito dell'utente. Da qui il persistere del bisogno, con conseguente accumulo di richieste individuali in un passivo rapporto di causa-effetto. Al contrario, l'attenta lettura della domanda, che non va considerata come immutabile, e una sua interpretazione che tenga conto delle specificità, delle differenziazioni delle varie realtà anche territoriali, all'interno di una relazione interpersonale condotta da un operatore sociale professionalmente esperto nella comunicazione, permetteranno l'avvio di un processo nel quale l'utente si porrà in modo più attivo.

 

2) Promozione della consapevolezza e autosufficienza delle persone

     I servizi sociali nel fornire adeguate risposte alla domanda dell'utente devono con i loro interventi permettere e stimolare i livelli di consapevolezza delle persone, le quali solo attraverso la progressiva presa di coscienza della propria realtà possono, partecipando alla soluzione dei propri problemi, evolvere verso stati di autosufficienza. Pertanto l'offerta di prestazioni deve realizzarsi in un contesto che fornisca non solo risposte oggettive, ma occasioni attraverso le quali i singoli e i gruppi siano spinti a sviluppare la propria capacità e le proprie risorse, per pervenire a soluzioni autonome e personalizzate.

     L'obiettivo è infatti l'evoluzione dei servizi da una concezione assistenzialistica e passiva dei cittadini ad una concezione che promuova all'interno della società livelli di partecipazione e di creatività delle persone nel gestire le risposte ai loro bisogni. Si tratta cioè di favorire la soddisfazione del bisogno senza innescare stati di massificazione o processi di dipendenza, dal momento che questi ultimi creano malessere e incapacità non minori dello stato di bisogno.

 

3) Promozione e tutela della famiglia

     I membri della famiglia sono legati, oltre che da vincoli di sangue e da stati d'animo e sentimenti, anche da un sistema coerente di norme giuridiche, che costituisce il diritto familiare e conferisce carattere istituzionale a quella che indubbiamente è la cellula di base e la prima radice della società. Questa istituzione, evolvendo con la società, ne assorbe i problemi e le contraddizioni e, accanto agli aspetti positivi e solidaristici, presenta anche conflitti ed egoismi.

     Particolare attenzione merita anche la famiglia realizzata dopo la separazione, il divorzio e comunque formata da adulto con figli minori.

     Una saggia politica sociale dovrebbe aiutarla ad esprimere il meglio di sé e per la verità lo Stato italiano, specialmente dopo la riforma del diritto di famiglia, si è proposto di farne il soggetto e il destinatario di servizi sociali, previdenziali e sanitari adeguati alle sue esigenze, che sono anche di partecipazione.

     Ma se vi è stato consenso sull'idea «guida» della famiglia come comunità primaria, non è mancata contrapposizione fra chi faceva leva su di una concezione meramente privatistica e chi si faceva propugnatore della sua rilevanza pubblica e sociale.

     Talune strategie, poi, con l'appello alla famiglia hanno in realtà puntato allo scarico di spese e di responsabilità pubbliche: di fatto, da un lato, le istituzioni l'hanno largamente rimossa e ignorata, dall'altro essa è stata sempre più chiamata in causa come alternativa e valvola di sfogo per le disfunzioni dei servizi pubblici.

     Pertanto sarebbe difficile dire in quale misura abbia trovato attuazione il dettato costituzionale secondo il quale la Repubblica riconosce i diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio.

     In questa sede, si ritiene che meriti adesione la linea neo- solidaristica, che intende promuovere, contro le spinte collettivizzanti e le tendenze individualistiche, una tutela specifica della famiglia. Occorre considerare al riguardo che essa necessita al tempo stesso di più libertà nella scelta dei servizi e di maggiori controlli in ordine agli abusi e alle violenze che possono verificarsi al suo interno. E inoltre, al di là delle situazioni deficitarie e devianti, quelle positive devono essere aiutate ad esprimere e ad accrescere le loro potenzialità.

     In altre parole, senza voler enfatizzare la riscoperta dell'istituto familiare, né precostituire alibi ai servizi, si tratta di riconoscere la tenuta che la famiglia anche oggi realizza e di sostenerla con prestazioni e servizi adeguati.

     Riconoscere la continuità e la centralità della famiglia vuol dire tener conto delle risorse e delle capacità che essa, nel suo insieme, rappresenta. E' ciò consente pure, all'occorrenza un'azione a suo favore di sostegno e di integrazione che si rivela più efficace delle risposte ai singoli suoi componenti in difficoltà. In tal modo, con un sistema di servizi integrati alla famiglia, si può ottenere il risparmio di quote parti di lavoro familiare e si potrà anche evitare una parte dei ricoveri dei soggetti più deboli, allorquando il loro permanere nel tessuto familiare venga favorito con interventi coordinati di diversa natura: assistenza economica, aiuto domestico, sostegno psicologico, prestazioni sanitarie.

     L'interesse del servizio sociale dovrà dunque, di norma, essere spostato dal singolo membro che pone la richiesta al sistema familiare di riferimento.

 

4) Perseguimento della globalità dell'intervento

     La presa in carico della situazione-problema da parte del circuito socio-assistenziale deve evitare la dicotomia individuo-ambiente, così persistente nella quotidianità operativa.

     Il lavoro con la persona, perché questa superi consapevolmente le difficoltà vissute, dovrà svilupparsi contestualmente al lavoro sull'ambiente, rivolto alla rimozione delle cause di disagio e alla modifica di modelli culturali negativi. L'intervento, oltre che diretto all'utente in quanto tale, deve prolungarsi sulla realtà sociale entro cui egli si colloca, contrariamente all'organizzazione prevalente che affida il lavoro sull'ambiente all'operatore sociale variamente configurato assistente sociale, sociologo, amministratore e la persona con la sua soggettività all'operatore del momento individuale, psicologo, psico- terapeuta, in un regime di separatezza che mal si concilia con la concezione unitaria della persona e dei suoi bisogni soggettivi ed oggettivi.

     Ciò anche al fine di favorire il superamento della dicotomia spesso riaffiorante fra momento preventivo e momento curativo fra fase di analisi e fase di intervento.

 

5) Superamento degli squilibri territoriali e settoriali

     Si tratta di perseguire il superamento degli squilibri tra aree ed aree in ordine alle garanzie di tutela, in modo da permettere un'omogenea fruizione dell'opportunità di servizio per tutte le aree della regione. Infatti, laddove è carente l'offerta dei servizi pubblici, si allarga la forbice della disparità fra gli assistiti di diversa condizione sociale in quanto i gruppi più sfavoriti risentono della mancanza di informazioni adeguate e di disponibilità economica.

     Analogo ordine di problemi riguarda il riequilibrio degli interventi fra le diverse fasce di utenza. Se quantitativamente è ampio l'intervento rivolto agli anziani, assai carente è, viceversa, l'intervento verso i giovani.

     Più in generale, l'insorgere di nuove povertà e l'emergere di aree di bisogno legate a nuovi soggetti sociali posti in particolare condizione esistenziale aprono nuovi campi di intervento rispetto a quelli convenzionalmente assunti dalle politiche sociali.

 

6) Limitazione dei processi di medicalizzazione e sanitarizzazione e corretta integrazione tra i servizi sanitari e socio-assistenziali

     Anche in anni recenti la risposta fornita dai servizi alla domanda sociale è stata permeata non di rado da una caratterizzazione sanitaria tutt'altro che pertinente.

     Se questo è assai evidente per alcune fasce di popolazione come gli anziani, al cui bisogno di cure e di socializzazione si è risposto piuttosto con ricoveri di tipo sanitario, bisogna riconoscere che, in carenza di una consolidata cultura dei servizi lo stereotipo medicale ha ancora una sua diffusione. Perfino nel Consultorio familiare, vale a dire in un'unità di servizio di recente affermazione, la medicalizzazione ha svolto funzioni prevalenti rispetto all'attenzione dedicata alla contraccezione o al momento della gravidanza e parto, ed ai non meno rilevanti problemi affettivo-relazionali vissuti dalla donna e dall'unità familiare nel suo insieme.

     Si tratterà, pertanto, di attribuire ai fattori più propriamente sociali il peso congruente in un'equilibrata valutazione rispetto a quelli medico-sanitari, evitando una subalternità dei primi rispetto ai secondi e, più in generale, una residualità dell'intervento assistenziale all'interno delle politiche sociali complessive.

 

7) Qualificazione e umanizzazione delle strutture protette

     Fermi restando i precedenti obiettivi di promozione

dell'autosufficienza, dei servizi integrativi alla famiglia per favorire il processo di reinserimento familiare e sociale, vanno ridefinite le complessive politiche di accoglimento, nelle diverse tipologie di strutture protette, dei soggetti temporaneamente o permanentemente impossibilitati a permanere nel contesto originario abitativo, familiare e sociale.

     Da un lato, si tratta di favorire l'opportuna riconversione delle attuali strutture sul piano edilizio, organizzativo e di funzionamento, in modo da rendere efficiente l'impiego dei fattori e corrispondere servizi qualitativamente adeguati; dall'altro, si pone l'esigenza di predisporre servizi collaterali in grado di attenuare le conseguenze negative sul piano fisico e soprattutto psichico che l'impatto con la struttura di accoglimento genera nell'ospite, specie nel periodo iniziale.

 

8) Sostegno ai processi di aggregazione, socializzazione, associazionismo

     La Regione dovrà investire il suo potenziale anche per sostenere iniziative afferenti all'ambito del privato sociale affinché anche a livelli extra-istituzionali vengano formulati progetti, proposte, rilievi e si sperimentino iniziative gestite da gruppi di cittadini, comitati, organismi associativi.

     A tal fine, per incentivare la consapevolezza e la partecipazione dei cittadini e di gruppi con professionalità e ruoli specifici su problemi e fenomeni di particolare interesse sociale - la questione giovanile, la crisi adolescenziale, la droga, l'educazione dei bambini, la socializzazione etero-familiare, il rapporto scuola-famiglia - sarà opportuno attuare campagne educative, iniziative culturali, gruppi di lavoro, informazione organizzata, utilizzo dei mass media.

     Ciò anche al fine di produrre modificazioni culturali e favorire l'elevazione della soglia di tolleranza nei confronti di fenomeni generalmente stigmatizzanti quali il disadattamento giovanile, l'handicap, la malattia mentale, stimolando la formazione, al di fuori delle istituzioni, di gruppi attivi.

 

9) Riconoscimento e valorizzazione del volontariato

     Com'è noto, la Costituzione della Repubblica afferma la libertà dell'assistenza privata. Ne consegue il diritto dei cittadini alla libera scelta tra servizi pubblici e servizi privati.

     Oltre a ciò, viene oggi generalmente riconosciuto che le iniziative private senza scopo di lucro hanno titolo a concorrere alla realizzazione del sistema dei servizi sociali, nell'ambito di logiche compatibili definite dagli strumenti della programmazione.

     La promozione del privato «sociale» e la sua valorizzazione costituiscono dunque un'esigenza importante della moderna politica sociale, e ciò almeno per tre ordini di considerazioni:

     - sul piano dei principi etico-sociali;

     - per l'impossibilità del sistema pubblico di coprire tutte le aree di bisogno nella loro continua evoluzione;

     - per l'opportunità di coinvolgere liberamente i cittadini in collaborazioni dirette, personali, familiari e di gruppo.

     Si tratta di valorizzare quella che i sociologi hanno definito come una «terza dimensione», mediatrice dei rapporti fra strutture pubbliche e utenza all'interno del corpo sociale.

     In questo ambito, si colloca il problema particolare del volontariato, che è un fenomeno complesso ed articolato.

     Fra coloro che ne hanno tentato un'analisi taluno si è soffermato sul carattere etico-solidaristico, che fa della solidarietà e dell'attenzione alla persona i propri valori e la propria pratica; altri hanno posto invece l'accento sulla capacità di produrre servizi qualificati.

     Sembra però utile una lettura che mantenga, nella complessità, l'unitarietà del movimento.

     Senza dubbio ci troviamo di fronte ad una grande varietà di iniziative, differenti per forma, tipologia, valori e modello d'intervento.

     Tuttavia si può ritenere che in ogni caso il volontariato sia un impegno con cui si cerca di rispondere a bisogni individuali e sociali, in uno spirito di servizio. Ne rimangono, a rigore, fuori le cooperative e le forme di auto-aiuto.

     Più precisamente viene definito come forma di azione individuale o collettiva che, in maniera gratuita e continuativa, pone al centro del proprio impegno la soddisfazione di un bisogno sociale diffuso; definizione che così si presta a ricomprendere tanto il volontariato di assistenza diretta quanto quello promozionale e di stimolo. La sua azione può esplicarsi nelle istituzioni o al fianco di esse oppure esser ne indipendente in funzione di sperimentazione, di confronto ed anche di critica.

     Essenziale è comunque la capacità di individuare i bisogni e di produrre e diffondere una cultura attenta e sensibile ai valori della persona umana e della solidarietà.

     Il volontariato è nato da solo e per accrescersi non può che seguire la via dell'autopromozione. Sotto tale aspetto, i pubblici poteri non possono proporsi la sua promozione, ma, rispettandone le autonome scelte, possono sollecitarne e premiarne la progettualità ed assicurare momento formativi e di aggiornamento.

     Le associazioni di volontariato devono essere tenute presenti dall'ente pubblico fin dal momento della programmazione, nel quadro degli apporti partecipativi. Ed è senz'altro opportuno, per salvaguardare la spontaneità del movimento, evitare di definirlo in termini di rigidità.

     Essendo il volontariato una forza che dal suo impegno solidaristico trae alimento per promuovere un cambiamento culturale e di costume, può efficacemente contribuire a tutelare i diritti degli utenti, offrendo soluzioni atte ad invertire la tendenza al degrado delle istituzioni. Con ciò esso non può essere concepito come stampella di servizi poco efficienti, né tanto meno, si può pensare al volontariato come ad una stazione di attesa per giovani disoccupati o ad un'occasione di reddito aggiuntivo per occupati.

     Comparto pubblico e volontariato, insomma, devono imparare a collaborare nel comune interesse, senza confusione di ruoli e senza reciproche diffidenze.

     Sul tema dell'organizzazione, va incoraggiata la propensione dei gruppi più consistenti ad un processo di collegamento e, al caso, di aggregazione, purché tale processo ne favorisca la progettualità e la capacità di dialogo e di confronto e non intacchi la libertà occorrente ad esprimere la flessibilità e la creatività che sono proprie del volontariato.

     Per quanto riguarda la formazione dei volontari, la componente di base si riferisce più all'essere che al fare e consiste in una motivazione seria e coerente, che è impegno di vita.

     Poiché però la buona volontà non è sufficiente, si richiede anche preparazione che è cosa diversa dalla professionalità, ma comporta in ogni caso che il volontario abbia cognizioni corrispondenti al ruolo che intende svolgere e le coltivi con la formazione permanente.

 

10) Riconversione e riqualificazione della spesa

     Quale corollario degli obiettivi suddetti si pone, infine, l'esigenza di operare una graduale riconversione e riqualificazione della spesa regionale e, attraverso la stessa, della spesa degli enti locali territoriali.

     Il superamento degli attuali squilibri distributivi, dell'eccessiva frammentazione e dispersione della spesa, richiede una chiara selezione dei bisogni e di priorità degli interventi e indubbiamente abbisogna di una contemporanea ricomposizione funzionale della legislazione socio- assistenziale.

     Un più efficiente impiego delle risorse disponibili implica altresì una precisa definizione del rapporto pubblico/privato e della politica contributiva.

     Per il primo aspetto, in linea generale, va richiamata la possibilità da parte dell'ente pubblico di acquisire servizi gestiti da privati, basandola su di una precisa definizione dei rapporti convenzionali.

     Per il secondo aspetto, va sottolineato come la costruzione di un nuovo sistema socio-assistenziale che consideri come potenziali utenti tutti i cittadini deve comunque fondarsi su di una selezione della domanda per livelli di bisogno. Laddove l'intervento pubblico sia in grado di rispondere a richieste tendenzialmente totalizzanti ed a situazioni di bisogno meno impellenti va parallelamente introdotto un progressivo sistema contributivo in corrispondenza delle prestazioni erogate.

     Risulta evidente come un processo con questi obiettivi richieda mutamenti politico-culturali, istituzionali, legislativi, organizzativi ed operativi assai profondi, da attuare in tempi medio-lunghi.

     Esso costituisce, pertanto, uno scenario complessivo entro cui muoversi nel breve periodo per conseguire risultati parziali, necessariamente «strumentali» rispetto a quelli che vengono definiti «obiettivi strategici» e «finalità» del piano socio-assistenziale.

 

 

ALLEGATO 2

 

OBIETTIVI SPECIFICI PER IL TRIENNIO 1988/1990

 

1. Indicazione

     1.1 Le linee programmatiche per gli interventi a favore della maternità, dell'infanzia e dell'età evolutiva

     1.2 Le linee programmatiche per la tutela degli anziani

     1.3 Le linee programmatiche per la prevenzione dell'handicap ed il reinserimento sociale degli handicappati

     1.4 Le linee programmatiche nell'area della devianza e della criminalità

 

 

INDICAZIONE

 

     Gli obiettivi del primo piano socio-assistenziale, riferiti e coordinati alle realtà esistenti e operanti nella regione, debbono necessariamente esprimere una concreta spinta prioritaria verso processi di riordino e di riconversione delle risorse esistenti, in termini di servizi, strutture e personale, e del loro adeguamento a livelli di omogeneità in ordine alle garanzie di tutela e all'intero territorio regionale.

     Pertanto, pur essendo attivamente orientato al miglioramento complessivo delle condizioni generali di qualità della vita dei cittadini, il primo piano assume una forte impronta a carattere organizzativo con obiettivi concreti e delimitati nei termini seguenti:

     - definire la strutturazione organica dei servizi riferita a specifici ambiti territoriali, organizzativi ed istituzionali, individuando un quadro di azioni organiche e concertate, rivolte potenzialmente a tutta la popolazione, quale livello preventivo e di base;

     - sviluppare i progetti-obiettivo riferiti alla tutela materno- infantile e dell'età evolutiva, alla tutela degli anziani e alla tutela dell'handicap;

     - attivare programmi di azioni a carattere strumentale consistenti nella formazione professionale, nel sistema informativo, nella ricerca finalizzata e nell'educazione sociale;

     - avviare una riconversione della spesa regionale fornendo, contestualmente, nuovi indirizzi all'impiego delle risorse finanziarie a disposizione degli Enti locali.

     L'esigenza di definire la strutturazione organica dei servizi si traduce nell'individuazione di un modello organizzativo di riferimento per tutto il territorio regionale, in base al quale articolare i vari interventi.

     Per omogeneizzare e garantire adeguate prestazioni sul territorio, viene dunque privilegiata la logica della centralità dei servizi e ancor più dei destinatari rispetto a quella dell'ente, anteponendola ad un pur necessario riordino istituzionale. Riordino che può subentrare per logica conseguenza di una graduale omogeneizzazione organizzativa che conduca ad istituzionalizzare successivamente soggetti ed ambiti territoriali che nel concreto si sono dimostrati adeguati per la gestione dei diversi servizi.

     L'organizzazione dei servizi riguarda fondamentalmente: la coniugazione degli aspetti istituzionali ed operativi che la connotano, con particolare riferimento ai soggetti titolari delle funzioni ed ai diversi ambiti demografici e territoriali; le sue modalità di integrazione, trattandosi di assicurare un ben definito riferimento all'operazione di confluenza di enti ed operatori diversi su omogenee logiche operative quali i progetti-obiettivo; i suoi flussi di collegamento ai vari livelli, sia sul piano programmatico sia su quello informatico.

     In quest'ottica assume particolare rilievo l'individuazione delle linee per l'organizzazione del servizio sociale di base, diffuso sull'intero territorio regionale, inteso quale elemento primario della nuova organizzazione dei servizi, riferito potenzialmente a tutti i cittadini. Si è cioè partiti dall'assunto che se si accetta la qualificazione dell'intervento assistenziale nelle finalità preventive e nella centralità della famiglia la politica socio-assistenziale deve assumere come interlocutore utente, in prima istanza e ove possibile, la famiglia e attraverso questa l'intera popolazione.

     Ciò non va ovviamente inteso come un'operazione di ampliamento indefinito della sfera assistenziale, ma come una precisa esigenza di impostazione dei servizi per cui, è fuorviante o quantomeno limitante parlare di assistenza domiciliare agli anziani o agli handicappati quando questo intervento si può tradurre in una molteplicità di azioni che abbiano come interlocutori primari gli altri membri della famiglia, quali soggetti in grado, se adeguatamente sostenuti, di mantenere nel loro ambiente l'anziano o l'handicappato.

     Anche se il ragionamento vale per quasi tutti i servizi sociali di base, un'assistenza domiciliare rigidamente settorializzata esclude la situazione familiare apparentemente normale e che si può repentinamente aggravare per l'iniziazione alla tossicodipendenza di un figlio o per la temporanea malattia di un membro importante della stessa per ruolo e per posizione economica.

     Infine, in una logica di intervento categoriale, si riduce necessariamente l'orizzonte delle attività preventive e si rischia conseguentemente di effettuare per lo più interventi puramente riparatori.

     L'impostazione delle linee programmatiche per l'organizzazione del servizio sociale di base a favore della generalità della popolazione muove quindi dall'esigenza di spostare l'attenzione dell'intervento assistenziale dall'individuo che ne fa richiesta all'ambiente familiare e sociale in cui la richiesta è venuta a configurarsi, anche se, ovviamente, tra le indifferenziate «domande» va poi effettuata una precisa selezione e eventualmente introdotta una contribuzione progressiva. Se la presenza di un servizio infermieristico domiciliare efficiente può generare una domanda potenzialmente universale, occorrerà prioritariamente soddisfare le richieste dell'anziano solo, dell'handicappato inserito nel contesto familiare, dopodiché, se esistono le possibilità organizzative, nulla vieta che il servizio si rivolga anche a utenti con problemi specifici di elementare soddisfazione: in questo caso, però, si può prevedere una normale contribuzione con tariffe analoghe a quelle presenti sul libero mercato.

     Su queste basi si sono quindi definite nelle linee programmatiche per l'organizzazione del servizio sociale di base a favore della generalità della popolazione le funzioni del servizio sociale di base, quali compiti minimi che debbono essere garantiti in modo capillare e omogeneo su tutto il territorio regionale da parte dell'Ente pubblico, in prima istanza o attraverso il coinvolgimento dei soggetti di volontariato. Essi sono:

     - Informazione e documentazione;

     - Analisi della domanda e prevenzione;

     - Pronto intervento;

     - Presa in carico e azione di filtro;

     - Assistenza economica;

     - Assistenza abitativa;

     - Assistenza psicologica e sociale;

     - Assistenza domiciliare;

     - Iniziative di aggregazione sociale;

     - Iniziative di educazione sociale e promozionali;

     - Iniziative di turismo sociale;

     - Raccordo con strutture integrative assistenziali e non;

     - Raccordo con istituzioni e iniziative del privato sociale.

     Da questo impianto strutturale di base si dipartono le linee programmatiche per definire i progetti-obiettivo quali gli interventi mirati nei confronti delle madri e dei minori, dei giovani, degli anziani e degli handicappati, mettendo in moto i necessari processi di interrelazione tra i diversi servizi e presidi socio-assistenziali e sanitari.

     Essi riprendono in termini di specificazione le modalità di intervento e di organizzazione dei servizi sociali di base, in riferimento alla fascia di utenza considerata ed entrano nel merito dei servizi e delle strutture integrative necessari.

     In questo caso non si tratta di attività indifferentemente definibili, ma di servizi e strutture attentamente calibrate sulla specifica utenza e che mirano a mantenere il soggetto madre, minore, anziano e handicappato nel proprio contesto familiare, sociale e culturale e ad ospitarlo in strutture diversamente concepite in ragione delle differenti tipologie di bisogno.

     Le linee programmatiche non sono tutte quelle proponibili, ma solo quelle che per la rilevanza sociale dell'intervento, per intersettorialità, per conoscenza della realtà che si intende modificare e per la possibilità di definire preventivamente e temporalmente le modalità quantitative del cambiamento, appare realisticamente utile introdurre nel primo piano.

 

1.1 Le linee programmatiche per gli interventi a favore della maternità,

dell'infanzia e dell'età evolutiva afferiscono specificatamente alle

problematiche legate alla famiglia e all'area della devianza e del

disadattamento giovanile. Per quanto concerne il primo aspetto, gli

obiettivi riguardano la tutela della maternità ed il corretto sviluppo dei

rapporti di coppia e tra genitori e figli, l'accoglienza dei minori in

difficoltà mediante la strutturazione di varie forme alternative alla

carenza della famiglia.

     Per quanto riguarda i giovani, si mira a fornire occasioni di socializzazione positiva, ad intervenire negli atteggiamenti e nel rapporto giovani/lavoro e ad ostacolare processi di emarginazione sociale e di socializzazione distruttiva.

 

1.2 Le linee programmatiche per la tutela degli anziani si propongono una risposta globale e valida alla situazione di solitudine degli anziani, ai processi di espulsione sistematica degli stessi dalle attività produttive e sociali ed al loro ricorso al ricovero in ospedali e case di riposo.

     L'obiettivo principale che il programma si pone è quello di costruire una serie di servizi e di presidi che eviti all'anziano ed alla sua famiglia di considerare il «ricovero qualsiasi» come unica soluzione percorribile.

     A questo scopo si propone, in particolare, lo sviluppo di attività di aggregazione attraverso una rete di centri diurni, la riqualificazione e la riconversione degli attuali istituti per soggetti autosufficienti in comunità-alloggio e case protette.

 

1.3 Le linee programmatiche per la prevenzione dell'handicap ed il reinserimento sociale degli handicappati perseguono il raggiungimento dell'autonomia e dell'integrazione del soggetto handicappato nel contesto sociale, scolastico e lavorativo ed il suo mantenimento nel proprio ambiente familiare e sociale mediante apposite misure, servizi e prestazioni di sostegno. Qualora si verifichi l'impossibilità del perseguimento dei suddetti obiettivi, il progetto prevede l'ospitalità del soggetto handicappato in comunità-alloggio ed in case protette.

 

1.4 Le linee programmatiche nell'area della devianza e della criminalità

attengono alla problematica introdotta dalla riforma penitenziaria che,

affermando il principio della territorialità della pena, prevede interventi

della Regione e degli Enti locali in tema di esecuzione penitenziaria, di

trattamento del detenuto, di prevenzione e di trattamento della delinquenza

minorile e di recupero del tossicodipendente.

     Infine, attraverso i programmi di azione a carattere strumentale, si intende garantire l'introduzione di processi di ampio respiro che costituiscono «un investimento» necessario sia per raggiungere gli obiettivi del primo piano, sia per supportare il processo di programmazione. Da un lato, lo sviluppo, più volte richiamato, di una logica preventiva nella progettazione e gestione dei servizi socio- assistenziali richiede un vero e proprio processo culturale sia verso gli operatori sia verso gli utenti. Dall'altro, il processo di programmazione del sistema socio-assistenziale necessita sia di puntuali approfondimenti sulle dinamiche sociali e sull'efficacia dei servizi sia di strumenti informativi adeguati in relazione tanto all'offerta di risorse quanto alla domanda.

     Tutto ciò implica un impiego coerente delle risorse disponibili attraverso l'assunzione del metodo della programmazione a livello finanziario, da questo punto di vista il piano è anche occasione per una rivisitazione delle procedure di erogazione della spesa contestualmente ad una revisione della normativa, essendo i progetti-obiettivo strumenti per definire criteri, norme e standards dei vari settori di intervento.

 

 

ALLEGATO 3

 

A

LINEE PROGRAMMATICHE PER L'ORGANIZZAZIONE DEL SERVIZIO SOCIALE DI BASE A

FAVORE DELLA GENERALITA' DELLA POPOLAZIONE

 

1. Ambito di intervento degli obiettivi

     1.1 Analisi della domanda sociale

     1.2 Segretariato sociale

     1.3 Pronto intervento assistenziale

     1.4 Presa in carico del caso, diagnosi e intervento psico-sociale

     1.5 Mobilitazione di tutte le risorse del territorio

     1.6 Coordinamento, indirizzo e consulenza di forme di volontariato

     1.7 Partecipazione ad organi collegiali

     1.8 Raccordo con i progetti-obiettivo di settore

     1.9 Sostegno alla famiglia quale «risorsa sociale e unità di riferimento dei servizi»

     1.10 Verifica dell'efficacia degli interventi

 

2. Servizi in cui si articola il servizio sociale di base

     2.1 Assistenza domiciliare

2.1.1 Aiuto domestico e cura della persona

2.1.2 L'assistenza economica

2.1.3 Gli interventi abitativi

2.1.4 Organizzazione di soggiorni-vacanza per unità familiari e di forme di turismo sociale

 

3. Il personale per gli interventi a favore della generalità della popolazione

     3.1 Assistenti sociali

     3.2 Psicologi

     3.3 Assistenti domiciliari e dei servizi tutelari

     3.4 Impiegati

3.1.1 Il coordinatore

3.1.2 L'assistente sociale

3.2.1 Gli psicologi e psicopedagogisti

3.3.1 Gli assistenti domiciliari e dei servizi tutelari

3.4.1 Gli impiegati con funzioni amministrative

 

4. Criteri organizzativi, standards del personale, bacino d'utenza

 

5. Struttura edilizia, ubicazione

 

6. Raccordo con i servizi sanitari

     6.1 Aree d'intervento ed obiettivi

 

7. Priorità nel triennio

     7.1 Assistenza domiciliare

     7.2 Assistenza economica

 

 

1. AMBITO DI INTERVENTO ED OBIETTIVI

 

     L'articolazione delle linee programmatiche per l'organizzazione del servizio sociale di base a favore della generalità della popolazione ha la sua ragion d'essere nella volontà di prefigurare un sistema socio- assistenziale non categoriale, ma aperto alla generalità dei cittadini, e come tale esso deve poter integrare all'interno delle medesime strutture sia le funzioni di analisi sia quelle operative.

     Per rendere possibile ciò il servizio sociale di base dev'essere costituito quale servizio di primo livello, in una dimensione territoriale decentrata, che si articoli in una rete di attività correlate ai bisogni rilevanti, entro il quale la figura professionale centrale sia quella dell'assistente sociale.

     Le funzioni del servizio sociale di base si articolano in:

 

1.1 Analisi della domanda sociale, consistente nella:

     - individuazione dei bisogni;

     - rilevazione dei problemi prevalenti per l'organizzazione di risposte prioritarie;

     - raccolta sistematica dei dati e documentazione;

     - analisi dell'utenza e successiva stesura delle mappe della popolazione a rischio;

     - identificazione delle risorse e dei servizi esistenti;

     - esame delle soluzioni e degli interventi per la verifica dei risultati ottenuti.

 

1.2 Segretariato sociale: si pone quale referente immediato della domanda sociale e deve mirare ad attuare una azione di prevenzione attraverso i seguenti compiti:

     - fornire al cittadino tutte le informazioni sull'esistenza di risorse adeguate al suo bisogno;

     - interpretare la domanda sociale di ogni utente, onde esplicitare i problemi autentici;

     - porsi quale filtro ed organizzatore rispetto alla domanda avanzata dall'utente;

     - attuare, se necessario, interventi tempestivi in prima istanza di natura psicologica, economica, sociale o programmare insieme all'utente la presa in carico da parte di altre unità operative;

     - tenere aggiornata con lo staff operativo la mappa dei servizi pubblici e privati, delle risorse, delle iniziative nel loro evolversi;

     - formulare proposte per la modifica, conversione, flessibilità, coordinamento delle prestazioni, in ordine alle necessità riscontrate durante la fase di approccio;

     - concorrere alla raccolta sistematica dei dati e delle informazioni;

     - collaborare con tutta la rete socio-assistenziale e con i servizi per il cittadino, coinvolgendone gli operatori.

 

1.3 Pronto intervento assistenziale

     Il pronto intervento assistenziale è finalizzato a promuovere forme temporanee e flessibili di intervento tempestivo, attuate dal segretariato sociale, per far fronte a situazioni eccezionali.

     La risposta ai bisogni di emergenza assistenziale si trova all'esterno del servizio sociale di base, attraverso gruppi famiglia di volontari, in istituzioni di ricovero convenzionate a carattere residenziale o semi- residenziale non strettamente specialistiche, in strutture alberghiere di tipo familiare, precedentemente reperite e convenzionate.

 

1.4 Presa in carico del caso, diagnosi e intervento psico-sociale

     Funzione centrale del servizio sociale di base sono la presa in carico, la diagnosi e l'intervento psico-sociale, intesi come valutazione della situazione-problema dell'utente, individuazione delle risorse personali ed ambientali, attuazione del piano di intervento con la partecipazione attiva del soggetto a ciò stimolato.

     In tale contesto è essenziale che l'assunzione del caso e l'intero processo - studio, intervento, verifica - siano condotti da un medesimo operatore. evitando, se non eccezionalmente, i passaggi dall'uno all'altro operatore.

 

1.5 Mobilitazione di tutte le risorse del territorio

     Il servizio sociale di base per rispondere alle multiformi richieste degli utenti dovrà mobilitare tutte le risorse ed opportunità che il territorio presenta in termini economici, culturali, ricreativi, solidaristici, sia all'interno del circuito pubblico sia nell'ambito dell'area privata, tenendo conto delle concrete esigenze delle convivenze e delle comunità.

     E' necessario in tale contesto che l'assistente sociale che ha in carico il caso si costituisca, in quanto organizzatore delle risorse, quale coordinatore di tutti gli interventi in atto, al fine di evitare contraddizioni, duplicazioni, dispersioni.

 

1.6 Coordinamento, indirizzo e consulenza di forme di volontariato

     Si sottolinea l'utilità che il servizio sociale di base possa essere chiamato ad esercitare azioni di coordinamento, indirizzo e consulenza a gruppi di volontari, per specifiche attività.

 

1.7 Partecipazione ad organi collegiali

     Il servizio sociale di base, per la sua collocazione territoriale, può fornire apporti ad organi collegiali locali su problemi rientranti nella sua competenza.

 

1.8 Raccordo con i progetti-obiettivo di settore

     Al servizio sociale di base spetterà anche il compito di collaborare all'attuazione dei progetti-obiettivo di settore previsti dal piano socio- assistenziale.

 

1.9 Sostegno alla famiglia quale «risorsa sociale e unità di riferimento dei servizi»

     Il servizio sociale di base, attraverso l'intervento del servizio sociale professionale, è chiamato a sostenere la famiglia ed a risolvere i problemi che la mettono in maggiore difficoltà, come precarie situazioni economiche o sanitarie, stati di disadattamento e devianza, disagi socio- assistenziali legati a tossicodipendenza e alcolismo, ostacoli al reinserimento nella vita sociale.

 

1.10 Verifica dell'efficacia degli interventi

     Il servizio sociale di base deve realizzare al proprio interno, complessivamente e in tempi medio-brevi, azioni di verifica sull'efficienza, efficacia, funzionalità delle attività e delle prestazioni rispetto ai bisogni rilevati ed ai problemi prevalentemente affrontati.

 

2. SERVIZI IN CUI SI ARTICOLA IL SERVIZIO SOCIALE DI BASE

 

2.1 Assistenza domiciliare

     L'assistenza domiciliare ha l'obiettivo specifico di evitare per quanto possibile il ricovero adattando gli interventi in relazione all'evoluzione e complessità del bisogno, valorizzando appieno la capacità di autonomia dell'utente, interagendo e coinvolgendo le possibili risorse del territorio, stimolando al massimo la socializzazione.

     Si estrinseca attraverso l'organizzazione di un servizio ausiliario di collaborazione domestica per l'offerta delle seguenti prestazioni:

 

2.1.1 Aiuto domestico e cura della persona

     - governo della casa;

     - lavaggio e stiratura della biancheria;

     - spesa e rifornimenti;

     - preparazione di pasti;

     - accompagnamento per esigenze diverse;

     - alzare e coricare dal letto l'utente non autosufficiente;

     - cura dell'igiene delle persona;

     - disbrigo pratiche;

     - somministrazione di farmaci prescritti dal medico;

     - interventi di emergenza.

     Tale servizio ausiliario è integrato da prestazioni sanitarie, rese a cura dei competenti presidi territoriali e di settore, quali:

     - terapie iniettive;

     - fisioterapia, ginnastica;

     - medicazioni;

     - prelievi;

     - misurazione della pressione;

     - controllo dell'assunzione di farmaci;

     - controllo dietologico.

     Nell'assistenza domiciliare gli orari, l'entità e la natura delle prestazioni devono essere adeguati alle esigenze rilevate.

     Le prestazioni dell'assistenza domiciliare possono essere offerte dietro contribuzione per le fasce di reddito al di sopra degli standards che verranno definiti con successivo provvedimento.

     I servizi domiciliari dovrebbero trovare, nel centro diurno, il naturale ruolo di appoggio per prestazioni quali preparazione pasti, lavanderie, mense, spazi ricreativi e di incontro, riabilitazione.

     Con successivi atti amministrativi verranno fornite indicazioni ad un corretto dimensionamento ed utilizzo del personale ed al coordinamento dei diversi servizi resi dagli Enti gestori.

     Per quanto riguarda in particolare gli anziani si sottolineano i criteri organizzativi che più interessano:

     - i Comuni della regione devono essere attrezzati in modo da poter fornire l'assistenza domiciliare nelle situazioni di bisogno. E' auspicabile, inoltre, ogni iniziativa dei Comuni atta ad incentivare la permanenza del soggetto a rischio nel proprio ambiente familiare, quali l'offerta di servizi specifici, necessari e convenienti alla famiglia che si assume il ruolo assistenziale, la concessione di prestiti a basso interesse per opere di adattamento di abitazioni;

     - le situazioni di bisogno cui rispondere con l'assistenza domiciliare rientrano nella gamma di esigenze che va dalla momentanea situazione di disagio quale malattia, perdita di persone care, dimissione dall'ospedale ad una situazione di ridotta autosufficienza della persona che non può contare su un aiuto costante dei familiari. In particolare, possono così essere schematizzate le diverse situazioni di richiesta del servizio:

     - anziani che hanno capacità ridotte di autosufficienza per alzarsi dal letto, vestirsi, lavarsi e prepararsi i pasti e che, non potendo contare su di un aiuto valido da parte dei familiari o vicini, vivono nelle comunità alloggio, nelle case albergo, nei gruppi appartamento;

     - anziani che hanno capacità notevolmente ridotte di autosufficienza, ma che possono contare sulla presenza, anche se non continua, di un familiare;

     - anziani che pur potendosi definire fisicamente autosufficienti, per la loro fragilità, solitudine, ansia, senso di inadeguatezza, necessitano di una presenza e di un incoraggiamento continuo alla valorizzazione delle proprie capacità fisiche di auto-sufficienza;

     - anziani che, a causa del vivere soli o dell'impossibilità di contare sull'aiuto dei familiari, hanno ricorrenti problemi nell'accudire ai più pesanti lavori di casa o necessitano di una periodica sorveglianza igienico-sanitaria, oppure, dal momento che presentano limitazioni nella mobilità al di fuori della propria abitazione, è loro necessario un aiuto per la spesa, per altre commissioni, per andare in chiesta o altrove;

     - anziani che solo occasionalmente hanno bisogno del servizio in concomitanza per lo più di una malattia o di una circostanza particolare.

     Attualmente, i servizi della regione assistono persone di tutti i gruppi, con un impegno notevole per il IV ed il V gruppo che potrebbe essere opportunamente ripartito sotto il diretto coordinamento del servizio per forme alternative di assistenza che comprendono sussidi economici per il soddisfacimento privato delle esigenze e servizi convenzionati per l'esecuzione di lavori domestici, la fornitura pasti ed il lavaggio della biancheria, le prestazioni strettamente sanitarie.

     Gli altri gruppi dovrebbero, invece, costituire l'utenza principale del servizio in quanto si pone come necessaria quella continuità nell'assistenza domiciliare con le attività degli altri servizi che solo un servizio pubblico può garantire.

 

2.1.2 L'assistenza economica

     Consiste sia nella concessione di assegni straordinari integrativi di un reddito familiare momentaneamente insufficiente a far fronte a bisogni eccezionali, urgenti, sia nell'erogazione di assegni continuativi collegati con il permanere di una situazione di bisogno per un reddito globale oggettivamente insufficiente.

     Con successivo provvedimento verrà definito un quadro generale elastico di riferimento nel quale saranno precisati parametri di reddito cui rapportare l'entità dell'intervento.

     In questo quadro diventa essenziale la relazione socio-economico- familiare dell'assistente sociale che ha in carico il caso e che valuterà la richiesta dell'utente, inserendola in un piano organico di intervento individuale.

     Negli interventi di natura economica rientrano anche possibili forme di fruizione collaterali quali l'accesso a mense, a servizi collettivi, offerte di trasporti.

 

2.1.3 Gli interventi abitativi

     E' questa l'unità operativa meno connaturata al servizio sociale di base, il quale attua nei suoi confronti prevalenti azioni di impulso. La si colloca, comunque, nel contesto per le sue funzioni di supporto alla politica di sostegno alla famiglia, prevedendo una sua maggiore autonomia funzionale.

     Essa opera attraverso i seguenti interventi:

     - l'assegnazione di alloggi del patrimonio pubblico;

     - la concessione di contributi economici per il risanamento e l'adeguamento delle abitazioni, nonché per opere di manutenzione;

     - la ripartizione, per i conduttori meno abbienti, del fondo sociale di cui alla legge n. 392/1978;

     - le provvidenze in materia di edilizia residenziale pubblica per particolari categorie di beneficiari di cui alla legge regionale n. 75/1982;

     - la sistemazione eccezionale e transitoria in strutture ricettive per situazioni non altrimenti risolvibili.

 

2.1.4 Organizzazione di soggiorni-vacanza per unità familiari e di forme di turismo sociale

     Si tratta di offrire moduli di vacanza a tutta l'unità familiare all'interno di un'organizzazione socializzante che permetta incontri, scambi, confronti. Per l'utilizzo di tali offerte l'utenza sarà chiamata a contribuire.

 

3. IL PERSONALE PER GLI INTERVENTI A FAVORE DELLA GENERALITA' DELLA POPOLAZIONE

 

     Il servizio sociale di base si fonda sullo staff multiprofessionale e sul lavoro di équipe.

     Esso, pertanto, integrerà:

 

3.1 Assistenti sociali a tempo pieno, sia di base sia del livello direttivo per le mansioni di coordinamento;

 

3.2 Psicologi, in qualità di consulenti degli operatori sociali, con un monte ore predeterminato;

 

3.3 Assistenti domiciliari e dei servizi tutelari a tempo pieno o a part- time;

 

3.4 Impiegati con mansioni amministrative.

 

3.1.1 Il coordinatore

     Le funzioni del coordinatore possono essere così sintetizzate:

     - assicurare la conduzione del servizio in coerenza con gli obiettivi del piano, all'interno di modalità e prassi previste, fra cui assume rilievo essenziale il lavoro di équipe;

     - curare gli aspetti organizzativi ed i rapporti con gli enti e le strutture con i quali il servizio deve interagire, al fine di realizzare l'integrazione del servizio nell'area territoriale;

     - promuovere le attività di monitoraggio per la verifica dei risultati, l'autocorrezione degli interventi ed una corretta finalizzazione delle prestazioni;

     - esercitare il controllo e la supervisione attraverso i vari momenti tecnici - riunioni periodiche, analisi di casi, incontri individuali e di staff - e sollecitare l'integrazione interprofessionale fra i vari operatori;

     - individuare e favorire spazi di formazione professionale permanente per gli operatori;

     - esercitare la gestione interna del personale.

     Si ritiene che tali funzioni possano essere espletate in modo ottimale dagli assistenti sociali perché tutte le mansioni richieste rientrano in quelle tipiche del servizio sociale professionale.

 

3.1.2 L'assistente sociale

     Figura centrale del servizio sociale di base, eventualmente responsabile e coordinatore delegato delle unità operative di sostegno alla famiglia, svolge tutte le funzioni proprie del servizio sociale di base attraverso:

     - colloqui in ufficio;

     - visite domiciliari;

     - registrazioni di casi e relazioni;

     - elaborazioni di diagnosi psico-sociali;

     - riunioni di équipes interne al servizio;

     - rapporti con altri enti;

     - partecipazioni a comitati, commissioni di studio, gruppi di lavoro;

     - raccolta di dati e di informazioni;

     - organizzazione di momenti di incontro fra utenti;

     - elaborazione di proposte per il miglioramento di programmi di intervento.

 

3.2.1 Gli psicologi e psicopedagogisti

     Gli psicologi e gli psicopedagogisti esercitano la loro attività direttamente con l'utenza o mediante consulenze agli operatori sociali.

     Tale attività si estrinseca:

     - colloqui con utenti;

     - registrazioni di protocolli e relazioni;

     - somministrazione di tests proiettivi e di intelligenza;

     - psicoterapie brevi o continuate, individuali o di gruppo;

     - consulenze ad altri operatori;

     - riunioni di équipe;

     - rapporti con altri enti.

 

3.3.1 Gli assistenti domiciliari e dei servizi tutelari

     Rientra in questa fascia la gamma di personale dell'unità di servizio che assicura l'assistenza domiciliare nelle forme più semplici attinenti il governo della casa e nelle funzioni più qualificate afferenti la sfera educativa e interrelazionale. In ogni caso, tutto il personale deve essere in grado di dare prestazioni che si qualifichino anche per il sostegno psicologico rivolto all'utenza. Parimenti deve sviluppare, al massimo, capacità ed atteggiamenti che consentano di lavorare in modo integrato con gli altri operatori sociali.

     Dovendosi sempre effettuare interventi e prestazioni al domicilio degli utenti, le modalità di lavoro dovranno rispondere in dettaglio alle richieste espresse nelle singole situazioni. L'orario di lavoro sarà estremamente elastico.

 

3.4.1 Gli impiegati con funzioni amministrative

     Il servizio sociale di base sia per le funzioni proprie del suo nucleo centrale sia per quelle che sviluppa collateralmente dovrà essere dotato di un ufficio di segreteria che esplichi operazioni di dattilografia, di recezione telefonica ed in particolare tutte quelle operazioni relative all'erogazione dell'assistenza economica; quest'ultima prevede la compilazione di moduli, l'esame dei documenti per l'accertamento del reddito, le operazioni contabili, la tenuta dei registri e quanto altro ad essa attinente.

 

4. CRITERI ORGANIZZATIVI, STANDARDS DEL PERSONALE, BACINO D'UTENZA

 

     Perché il Servizio sociale di base possa effettivamente svolgere la funzione di servizio di livello preventivo potenzialmente rivolto a tutta la popolazione si prevede che lo stesso venga assicurato attraverso una forma di associazione fondata su di una convenzione obbligatoria fra i Comuni secondo uno schema tipo predisposto dalla Regione.

     Si tratta poi di individuare il Comune cui far capo per la gestione del servizio sociale di base. La convenzione tipo disciplinerà i rapporti fra gli enti, attinenti al personale e ai finanziamenti, a salvaguardia delle esigenze di partecipazione e di verifica di altri Comuni rispetto al Comune capofila. Verrà, altresì, definito il raccordo con la componente sanitaria, relativamente al personale del ruolo sanitario, al collegamento con il consultorio familiare e alle aree di comunicazione da attivare.

     Per quanto riguarda la definizione dell'ambito territoriale del servizio sociale di base si rinvia all'apposito progetto obiettivo.

     La graduale estensione del servizio a tutto il territorio regionale e il miglioramento qualitativo delle prestazioni presuppongono un coordinamento dei flussi di finanziamento disponibili, che essenzialmente faranno capo:

     - alle risorse degli enti gestori del servizio;

     - al contributo dell'utenza;

     - al contributo regionale.

     Delineando un servizio sociale di base - retto da un coordinatore - all'interno del quale operino più assistenti sociali, insieme a psicologi, assistenti domiciliari e personale amministrativo, è evidente che tale servizio non può che riferirsi ad una popolazione sufficientemente ampia almeno 15.000/30.000 abitanti.

     Al suo interno, le mansioni di ciascuno sono ben differenziate, ma poiché nella metodologia di lavoro si dà rilievo al lavoro di équipe, tutti devono avere capacità di interazione all'interno del gruppo operativo.

     Gli assistenti sociali debbono svolgere un ruolo polifunzionale, collocato orizzontalmente nei servizi territoriali polivalenti, in nome dell'unitarietà sia della metodologia professionale sia degli strumenti tecnici impiegati, nonché della preparazione culturale e professionale ad ampio spettro che consente di trattare con differenti tipi di utenti.

     Peraltro, i vari membri debbono orientarsi su mansioni specifiche, in quanto, pur non cambiando il metodo di lavoro, necessitano - a seconda dei settori - conoscenze ed abilità da approfondire e sperimentare.

     La funzione di segretariato sociale è utile venga assunta dagli assistenti sociali con modalità turnanti: giornaliero, settimanale, a seconda delle opportunità poiché è opportuno che un assistente sociale sperimenti un ciclo completo di attività.

     Per quanto riguarda la collocazione dell'assistente sociale nell'ambito dei servizi territoriali la scelta prevalente privilegia la collocazione degli assistenti sociali nei servizi territoriali aperti a tutta la popolazione.

     Gli indici numerici del personale potranno essere definiti nell'apposito progetto obiettivo sulla base di alcuni parametri di riferimento.

     Fra i parametri sono da considerare:

     - gli obiettivi prioritari da raggiungere, quali la prevenzione attraverso il reperimento precoce dei casi di bisogno, piuttosto che la risposta semplice alla domanda, la deistituzionalizzazione attraverso l'assistenza domiciliare, il decentramento per favorire l'accesso ai servizi;

     - il personale già in funzione e le riconversioni eventualmente necessarie in termini di riqualificazione e mobilità;

     - i finanziamenti previsti per la conseguente espansione o contenimento dell'offerta.

     In sede di prima applicazione, per quanto riguarda gli standards relativi al personale del servizio sociale, l'assistente sociale può essere calcolato in media in un'unità ogni 5.000 abitanti, considerando globalmente il personale dei Comuni singoli o associati, delle U.S.L. e delle Province, comprendente le funzioni di rilevanza sociale nei servizi sanitari e le funzioni di coordinamento ai vari livelli.

     Tale standard dovrà essere applicato in modo elastico, tenendo conto di una distribuzione territoriale inversamente proporzionale alla densità demografica, della tipologia di organizzazione del servizio e della presenza o meno di servizi integrativi.

     Per le funzioni attinenti l'assistenza domiciliare, fermo restando che gli assistenti sociali coincidano con quelli del servizio sociale di base, l'attenzione ai rapporti attualmente presenti fa ipotizzare ragionevolmente il rapporto di 1 assistente domiciliare per non più di 8/10 utenze.

     Per quanto attiene alla consulenza psicologica, essa deve essere garantita nel servizio sociale di base; peraltro la figura dello psicologo, piuttosto che essere organicamente inserita nel servizio è opportuno coincida con quella interna al consultorio familiare con il quale il servizio sociale di base dovrà formalmente collegarsi.

     Non si ritiene di fissare degli standards per gli impiegati amministrativi, in quanto il loro impiego numerico è determinato dall'organizzazione complessiva del servizio.

 

5. STRUTTURA EDILIZIA, UBICAZIONE

 

     Il servizio sociale di base e le unità operative da questo coordinate dovranno essere collocate auspicabilmente in una struttura edilizia accessibile a qualsivoglia cittadino, ivi compresi soggetti anziani e portatori di handicap.

     L'ubicazione sarà sufficientemente libera, anche se sono da privilegiare le sedi già adibite a servizi pubblici: centro sociale, centro polifunzionale, che connotano più chiaramente e direttamente la natura della struttura.

 

6. RACCORDO CON I SERVIZI SANITARI

 

6.1 Aree d'intervento ed obiettivi

     Se teoricamente i rapporti possono essere molteplici ed a vario titolo, si indicano, in concreto, le aree con le quali la comunicazione deve essere realisticamente attivata, e cioè:

     - il consultorio familiare;

     - la psichiatria infantile;

     - la neuropsichiatria infantile;

     - i servizi sanitari scolastici;

     - i servizi per i tossicodipendenti e gli alcoolisti;

     - la psichiatria adulta;

     - la geriatria.

     Per quanto riguarda il consultorio familiare esso si conferma come:

     - unità operativa di primo livello e non specialistica, pur attuando interventi qualitativamente rilevanti;

     - diretto all'intero nucleo familiare e non solo alla donna;

     - fondato sul lavoro interprofessionale di una équipe

multidisciplinare, poiché integra compiti di natura sanitaria con compiti

di natura psico-sociale, consulenza alla coppia per la procreazione

responsabile, ai genitori e figli per quanto attiene ai rapporti

interpersonali, all'esercizio dei ruoli, ai conflitti familiari, ai livelli

di autonomia.

     Rispetto alla psichiatria adulta, il servizio sociale di base curerà ogni collegamento necessario con i presidi competenti affinché la patologia psichica di un familiare malato non costituisca per il suo nucleo familiare o per un membro di esso un vissuto di sofferenze, emarginazione e situazione di disagio materiale; altrettanto dicasi per le situazioni di tossicodipendenza e alcolismo.

 

7. PRIORITA' NEL TRIENNIO

 

     Occorrerà curare:

     - che tutte le competenze gestionali in materia di assistenza vengano attribuite ai Comuni con contestuale trasferimento agli stessi di personale e beni;

     - che tutti i 219 Comuni, nel rispetto dei criteri stabiliti dal progetto obiettivo, rendano attuabile il servizio sociale di base sottoscrivendo le apposite convenzioni;

     - che il personale sociale operante nel comparto sanitario venga recuperato dal comparto socio-assistenziale;

     - che venga definito con protocollo d'intesa il rapporto tra servizio sociale di base e consultori familiari;

     - che venga individuata in ogni ambito territoriale la figura del coordinatore del servizio sociale di base.

 

7.1 Assistenza domiciliare

     Occorrerà:

     - che venga estesa a tutti i Comuni, sulla base di apposito regolamento «tipo»;

     - che venga definita con la sanità la parte attinente alla prevenzione e riabilitazione;

     - che vengano garantite le prestazioni rivolte alla I e alla II fascia come sopra Individuate.

 

7.2 Assistenza economica

     Occorrerà:

     - che si giunga alla definizione di un minimo vitale da garantire o di un parametro minimale cui rapportarsi per l'intervento assistenziale;

     - che si giunga alla definizione di un parametro di ammissibilità ai diversi servizi.

 

 

ALLEGATO 3

 

B

    LINEE PROGRAMMATICHE PER GLI INTERVENTI A FAVORE DELLA MATERNITA',

DELL'INFANZIA E DELL'ETA' EVOLUTIVA

 

1. Ambito di intervento ed obiettivi

     1.1 Sviluppare i servizi a carattere preventivo

     1.2 Mantenere il soggetto nel suo contesto familiare e sociale

     1.3 Proteggere i minori dall'abuso e dalla violenza con azioni di vigilanza ed interventi tempestivi

     1.4 Fornire supporto ed integrazione ai compiti di educazione e socializzazione delle agenzie educativo-formative

     1.5 Favorire l'unitarietà e l'intersettorialità dell'offerta di servizi e di prestazioni

     1.6 Consentire a tutti i minori l'accesso ai servizi sociali dell'area

 

2. Interventi socio-assistenziali

     2.1 Gli interventi preventivi

     2.2 Gli interventi assistenziali

     2.3 Affidamento etero-familiare

     2.4 Servizi residenziali

 

3. Interventi per la modifica e lo sviluppo dei servizi e delle strutture

     3.1 L'asilo-nido

     3.2 La scuola materna

     3.3 Il consultorio familiare

     3.4 Le comunità a regime convittuale per minori

     3.5 Il semiconvitto

     3.6 Centri di aggregazione giovanile

     3.7 Soggiorni di vacanza per minori

 

4. Interventi a favore degli inserimenti e delle scelte occupazionali

 

5 I minori ed i giovani a rischio - La devianza e l'antisocialità minorile

     5.1 Ambito di interventi ed obiettivi

     5.2 L'area penale minorile ed il governo locale

     5.3 Collaborazione con l'Autorità giudiziaria (Tribunale minorenni - Giudice tutelare - Tribunale ordinario)

     5.4 I giovani e la tossicodipendenza

 

6. Priorità da perseguire nel triennio

 

 

1. AMBITO DI INTERVENTO ED OBIETTIVI

 

     Le presenti linee, nella loro specificità, si articolano come un insieme di indirizzi, interventi, attività promozionali, sperimentazioni, a favore della maternità, dei cicli dell'infanzia, della preadolescenza e dell'adolescenza intendendo questa ultima nella accezione più ampia, ormai comunemente accolta, che ne colloca l'inizio intorno ai 13/14 anni e ne prolunga l'itinerario al di là della maggiore età.

     La «questione giovanile» richiede all'intervento socio-assistenziale non solo il soddisfacimento dei bisogni tradizionali delle fasce più svantaggiate, ma la presa in` carico della problematica più complessa relativa all'educazione, socializzazione, formazione professionale per una crescita armonica e per un rapporto con il mondo degli adulti non in condizione di inferiorità, ma in quanto espressione di diritti, nella realizzazione personale in rapporto agli altri e con gli altri, nella comunità.

     Pertanto in quest'area si pone l'esigenza di un rinnovamento con la riconversione di strutture preesistenti e la «invenzione» di un'offerta flessibile.

     Se nell'ambito relativo alla prima infanzia alcune esperienze sono ormai stabilizzate, nell'area più propriamente destinata alla seconda infanzia, e soprattutto agli adolescenti e giovani, la messa in opera di servizi e strutture che offrano risposte significative è meno scontata e quindi va inventata ed adottata.

     Appare pertanto essenziale perseguire i seguenti obiettivi:

 

1.1 Sviluppare i servizi a carattere preventivo

     Sebbene tale obiettivo sia stato già ampiamente trattato, si ritiene di doverlo qui richiamare poiché le presenti linee programmatiche porranno a fondamento di ogni intervento la ricerca delle cause che più facilmente determinano condizioni di bisogno, patologia, emarginazione, onde eliminarle o ridurle attraverso servizi adeguati.

     Pertanto sarà data attenzione alla individuazione precoce dei vari fattori di rischio, dei momenti di crisi, di tutti quei sintomi che possono prefigurare fin dalla prima infanzia difficoltà di crescita personale, disagio, percorsi disadattivi.

     In tale contesto, la più ampia informazione alla collettività costituirà per la prevenzione uno strumento essenziale.

 

1.2 Mantenere il soggetto nel suo contesto familiare e sociale

     E' questo l'obiettivo primario delle presenti linee programmatiche, poiché ad ogni minore deve essere garantito il diritto a vivere nella propria famiglia, governo di quella sicurezza ed affettività proprie del tessuto familiare.

     Ciò sarà possibile con l'offerta di aiuto differenziato e congruente all'intero sistema familiare, da parte dei servizi capaci di integrare e supportare eventuali carenze del nucleo di appartenenza, attraverso la consulenza psico-sociale e tutte le prestazioni previste nelle linee programmatiche.

 

1.3 Proteggere i minori dall'abuso e dalla violenza con azioni di vigilanza ed interventi tempestivi

     La violenza nei confronti dei minori è problema da non sottovalutare anche nel nostro paese, poiché è comportamento assai più grave e ricorrente di quanto non appaia.

     Che esso si presenti in termini di violenza fisica o in termini di scarsa attenzione affettiva, di incuria materiale, di carenza pedagogica, rischia comunque di perpetuarsi tra il silenzio e la noncuranza generale.

     E' l'abuso che si sviluppa in famiglia quello che più preoccupa e che è più difficile da individuare, intendendo per abuso, ovviamente, un atteggiamento persistente e cronico da parte dei genitori o di coloro che si occupano dei bambini, e non tanto l'atto sporadico.

 

1.4 Fornire supporto ed integrazione ai compiti di educazione e socializzazione delle agenzie educativo-formative

     Presentando l'intera area infantile-giovanile esigenze di educazione, scolarizzazione, socializzazione formazione professionale, è in questi ambiti che anche il circuito socio-assistenziale deve svilupparsi, fornendo supporti e contributi qualitativamente significativi alla famiglia, alla scuola, al mondo del lavoro, evitando ogni intervento che segmenti la vita dei minori e dei giovani ed acuisca la separatezza della realtà familiare da quella scolastica e lavorativa.

 

1.5 Favorire l'unitarietà e l'intersettorialità dell'offerta di servizi e di prestazioni

     Tutti i servizi e le prestazioni a favore dei minori e giovani implicano la collaborazione e l'integrazione con i servizi sociali di competenza appartenenti a vari settori, quali l'educazione, la cultura, il lavoro e la formazione professionale, lo sport ed il tempo libero, l'ecologia e l'ambiente, la sanità.

     Sarà necessario a tal fine individuare e definire canali di comunicazione attraverso i quali i diversi settori chiamati in causa possano interagire per la realizzazione di proposte organiche e coordinate.

 

1.6 Consentire a tutti i minori l'accesso ai servizi sociali dell'area

     Gli interventi dovranno caratterizzarsi come una serie di proposte «aperte» all'utenza potenziale oltre che reale, e non circoscriversi solamente ai bisogni della popolazione meno abbiente o delle fasce a rischio, alle quali vanno comunque garantiti in modo prioritario.

     Questo per evitare che i servizi si costituiscano come offerte stigmatizzanti, ma soprattutto per cogliere la domanda sociale che proprio la popolazione minorile e giovanile pone per bisogni di tipo esistenziale, per momenti di aggregazione e socializzazione etero-familiare e per una messa a confronto di modelli culturali e comportamentali.

 

2. INTERVENTI SOCIO-ASSISTENZIALI

 

     Gli interventi socio-assistenziali vengono così distinti:

     - interventi preventivi;

     - interventi assistenziali volti a contrastare i rischi già in atto o a riparare i danni già avvenuti;

     - interventi per la modifica o lo sviluppo dei servizi e delle strutture;

     - interventi a favore degli inserimenti e delle scelte occupazionali.

 

2.1 Gli interventi preventivi

     Gli interventi più specificamente destinati a perseguire gli obiettivi della prevenzione nel settore relativo alla maternità, all'infanzia e all'età evolutiva riguarderanno:

     - lo studio e la ricerca volti ad identificare le cause degli stati di bisogno ed emarginazione; la successiva più ampia informazione della collettività per un coinvolgimento della stessa nella gestione dei propri problemi;

     - la promozione di attività ed iniziative di aggregazione culturale, ricreative sportive, finalizzate a favorire i processi di socializzazione; la consulenza su problemi specifici; la promozione, l'informazione e l'assistenza rivolte a favorire la procreazione responsabile e a tutelare l'infanzia e l'età evolutiva perché ne siano attuati i fondamentali diritti;

     - l'individuazione di famiglie d'appoggio, disposte ad occuparsi per limitati periodi di una famiglia in difficoltà, accogliendone il figlio o facendosi carico di un problema;

     - l'individuazione di idonee strutture di appoggio a carattere residenziale per madri con figli minori in condizioni di temporanea difficolta.

 

2.2 Gli interventi assistenziali

     Gli interventi assistenziali sono volti a contrastare o a riparare i danni già avvenuti.

     In questa categoria di interventi trovano collocazione:

     a) gli interventi integrativi della famiglia: sono rivolti alla famiglia impossibilitata ad esercitare i propri compiti per carenze e difficoltà oggettive e problemi soggettivi dei componenti, sono finalizzati alla risoluzione dei problemi contingenti, al rafforzamento dei ruoli familiari e delle potenzialità presenti nell'individuo e del nucleo familiare stesso:

     - assistenza economica;

     - interventi abitativi;

     - assistenza domiciliare polivalente;

     - assistenza psicologica per i problemi della famiglia e dei minori comprendente gli interventi, prettamente tecnici, forniti da assistenti sociali, psicologi, pedagogisti in collaborazione - se necessario - con altre figure professionali;

     - facilitazione per la fruizione da parte dei minori, le cui famiglie si trovino in difficoltà economiche, dei servizi sociali quali asili-nido, scuole materne, semiconvitti, centri di riabilitazione.

     b) gli interventi sostitutivi della famiglia di nascita o di adozione: nei casi in cui gli interventi integrativi siano impraticabili o inefficaci per l'inesistenza della famiglia o per l'inadeguatezza, giuridicamente sancita, della stessa, sono previsti interventi di supplenza del nucleo familiare finalizzati a garantire ai minori carenti di assistenza e di tutela condizioni di vita essenziali per un equilibrato sviluppo psico- affettivo.

 

2.3 Affidamento etero-familiare

     L'affido familiare ha lo scopo di offrire ad un minore, temporaneamente privo dell'assistenza familiare, una famiglia che ricopra in positivo il ruolo di quella di origine.

     L'affido costituisce una soluzione a termine, nel senso che venute meno le cause che hanno determinato l'allontanamento dal proprio nucleo familiare, il minore vi farà ritorno, ove ciò non dovesse accadere e l'affido non potesse prolungarsi, darà luogo a forme assistenziali più autonome soprattutto con il compimento della maggiore età, avvalendosi di comunità alloggio o pensionati giovanili.

     Caratteristica peculiare dell'affido è il mantenimento guidato dei rapporti con la famiglia di origine, ove ciò sia possibile.

     Questo presuppone, nel nucleo affidatario, la capacità di aprirsi ad una pluralità di rapporti e a considerare il minore affidato con affetto non esclusivo e possessivo. Da qui la capacità di staccarsene al momento necessario.

     I genitori affidatari, per queste implicazioni, devono possedere la capacità di agire, almeno in parte, come operatori sociali.

     Anche per questo le famiglie affidatarie devono essere selezionate accuratamente e sostenute con adeguati appoggi, giacché il carico dei problemi psico-sociali derivanti da un affidamento familiare e dalla contemporanea presenza della famiglia naturale comporta difficoltà non indifferenti.

     A tal fine occorrerà attrezzarsi per effettuare un'informazione corretta per il reperimento di famiglie affidatarie, attraverso gruppi di sensibilizzazione, utilizzo di mass media, conferenze.

 

2.4 Servizi residenziali

     Nei casi in cui, per particolari motivi o situazioni, gli interventi già descritti non sono realizzabili o non sono rispondenti alle reali esigenze socio-assistenziali dei minori e si rende necessario il loro temporaneo allontanamento dal proprio ambiente per evitare l'esposizione a particolari fattori di rischio, possono essere attuati affidamenti a servizi residenziali tutelari quali:

     - servizio di pronto intervento per l'immediata accoglienza e valutazione delle esigenze del minore in vista di una sua sistemazione stabile, offerta dalla disponibilità di famiglie o di istituzioni organizzate;

     - gruppi-famiglia rivolti a bambini piccoli, con la presenza di operatori che garantiscano l'assunzione di un ruolo stabile, ispirati a modelli di vita familiare;

     - gruppi appartamento rivolti ad adolescenti in difficoltà che necessitano di un'azione di sostegno e recupero attraverso la gestione del gruppo, nel quale c'è la presenza stabile di operatori qualificati, sempreché agli adolescenti sia offerto uno spazio di studio e di lavoro;

     - comunità educativo-assistenziali rivolte a minori per i quali sia necessario un particolare sostegno educativo diretto ad evitare o a riparare un eventuale disadattamento ed a favorire lo sviluppo di positivi rapporti interpersonali;

     - comunità o strutture di appoggio a carattere residenziale per madri con figli minori, in condizioni di temporanea difficoltà;

     - comunità terapeutiche finalizzate in particolare a trattamenti di riabilitazione di soggetti con disturbi di natura psichica o fisica e caratterizzate dalla massima integrazione tra operatori e soggetti assistiti.

     In particolare, per quanto riguarda la creazione di servizi residenziali di tipo innovativo, ora limitatamente presenti sul territorio regionale, si dovrà procedere attraverso l'elaborazione di specifici progetti che dovranno chiaramente individuare:

     - la localizzazione di tali strutture;

     - la tipologia dell'utenza;

     - gli standards strutturali, organizzativi, gestionali e finanziari.

 

3. INTERVENTI PER LA MODIFICA E LO SVILUPPO DEI SERVIZI E DELLE STRUTTURE

 

     Gli interventi indicati potranno coerentemente realizzarsi se saranno preceduti dalle seguenti azioni:

     a) la ridefinizione e la riqualificazione dei servizi oggi presenti nel territorio regionale quali:

     - l'asilo nido

     - la scuola materna ;

     - il consultorio;

     - le comunità educative assistenziali a regime convittuale pubblico e privato;

     - le strutture semiresidenziali;

     - i centri di aggregazione;

     - i soggiorni di vacanza.

     b) la riqualificazione e l'aggiornamento degli operatori;

     c) l'impostazione di servizi nuovi conseguenti a nuove tipologie di bisogni e di utenza;

     d) il coordinamento, a livello territoriale, delle funzioni gestionali svolte nel settore minorile attraverso lo strumento della convenzione.

     Si ritiene prioritario procedere all'esame della lettera a) che comporta l'analisi delle unità di servizi operanti nel settore e gli indirizzi per le eventuali modifiche.

 

3.1 L'asilo-nido

     La progressiva riduzione della fisionomia sanitaria dell'asilo-nido per una più accentuata caratterizzazione del servizio sul versante psico- pedagogico darà a questa struttura una collocazione più corretta nell'ambito dei servizi sociali alla prima infanzia.

     In quest'ottica è tuttavia necessario:

     - favorire il processo di integrazione fra asilo-nido e gli altri servizi per la maternità ed infanzia;

     - prevedere un collegamento con i servizi deputati alla neuropsichiatria infantile nell'U.S.L.;

     - rendere più elastico il bacino di utenza, non legandolo strettamente alla zona di residenza.

 

     3.2 La scuola materna

     La scuola materna valorizzando le potenzialità proprie del bambino di questa età dovrà equilibrare le finalità primarie essenzialmente educative con la funzione assistenziale rispettosa delle esigenze delle madri - soprattutto se lavoratrici - e dell'intero nucleo familiare.

     Pertanto, l'offerta sarà di un orario prolungato e flessibile.

     Soprattutto l'inserimento del bambino al primo ingresso sarà quanto mai graduale e tale da consentire la presenza della madre, se necessario.

 

3.3 Il consultorio familiare

     L'analisi della qualità del servizio, cioè della tipologia degli interventi effettuati in ambito consultoriale, fa emergere la tendenza degli utenti ad usufruire prevalentemente di prestazioni strettamente sanitarie, sminuendone quindi il ruolo complessivo che è quello di dare idonee risposte agli utenti non solo nel settore sanitario, ma anche in quello psicologico, sociale, educativo e legale, come più dettagliatamente indicato negli interventi rivolti alla generalità della popolazione.

 

3.4 Le comunità a regime convittuale per minori

     L'obiettivo di ridurre l'area dell'istituzionalizzazione alle situazioni non altrimenti risolvibili implica non solo la ricerca di soluzioni alternative e la produzione di nuovi servizi, ma anche il cambiamento di cultura e mentalità. Interessa e coinvolge quindi non solo l'Ente pubblico, ma tutte la comunità chiamata a dare ai minori in difficoltà risposte diverse che nascono dal rispetto del diritto di ogni minore a vivere nella propria famiglia.

     Per quanto riguarda le strutture esistenti si dovranno prevedere, con appositi progetti, processi di riconversione e di ristrutturazione delle stesse che le collochino nella rete dei presidi territoriali e le caratterizzino anche come soluzioni temporanee di pronto intervento o come strutture protette per situazioni di grave disagio, con spazio da riservare comunque alla scelta dell'istituzione - così autoriformata - per necessità familiari e personali o quale momento educativo e formativo aperto e responsabilizzante, pur nell'osservanza di vincoli e di convenzioni.

 

3.5 Il semiconvitto

     Questa struttura viene proposta come risposta alle esigenze di limitato sostegno educativo non soddisfatte dalla famiglia ed è caratterizzata dal fatto che coloro che la frequentano possono esplicare in continuità attività scolastico-ricreative, senza una frattura con l'ambiente familiare e sociale, poiché l'attività cessa con le prime ore della sera e tutti possono contare sulla famiglia, almeno per farvi ritorno.

 

3.6 Centri di aggregazione giovanile

     Altra unità di offerta che deve essere oggetto di revisione e di globale riordino è quella dei centri di aggregazione giovanile.

     La previsione di tali servizi sul territorio regionale dovrà privilegiare l'aspetto della prevenzione primaria intesa come un insieme di azioni e di interventi diretti ad impedire l'insorgere di condizioni che potrebbero produrre disadattamento.

     I centri di aggregazione rispondono a tale scopo perché riescono a soddisfare le fondamentali esigenze, per i giovani, di una vita collettiva, di relazione e di comunicazione che consenta, attraverso un'ampia autonomia di programmazione, gestione e verifica, lo sviluppo del senso di responsabilità, di critica e di autonomia.

 

3.7 Soggiorni di vacanza per minori

     Anche le iniziative tradizionalmente offerte nel settore, quali le colonie estive, vanno rimodellate con formule alternative aperte anche a minori, disabili:

     - centri di vacanza aperti a tutti i membri della famiglia con prezzi inferiori a quelli di mercato;

     - campeggi estivi per preadolescenti ed adolescenti;

     - soggiorni vacanza finalizzati a specifiche attività.

     Appaiono inoltre importanti la promozione e lo sviluppo dei centri diurni di vacanza che, garantendo ai minori occasioni di svago, di socializzazione e di aggregazione comunitaria, offrono a famiglie e minori con difficoltà la possibilità di usufruire di soggiorni climatici e di vacanza.

 

4. INTERVENTI A FAVORE DEGLI INSERIMENTI E DELLE SCELTE OCCUPAZIONALI

 

     Gli interventi a favore degli inserimenti e delle scelte occupazionali dei giovani es rivestono nelle presenti linee programmatiche un cospicuo rilievo, dal momento che l'ingresso nel mondo del lavoro, con il quale si contrassegna di fatto la transizione giovanile alla età adulta, costituisce nell'attuale momento storico un grave problema ed una causa di disagio notevolissimo.

     Gli obiettivi di tale politica devono essere perseguiti attraverso l'osservazione e l'orientamento del mercato del lavoro, la formazione professionale dei lavoratori, il sostegno dei processi di mobilità ed azioni positive finalizzate alla rimozione degli ostacoli che impediscono l'accesso al lavoro di tutti i cittadini, con particolare riguardo ai giovani, alle donne, ai portatori di handicap ed alle persone soggette ad emarginazioni.

     In particolare la tipologia degli interventi individuati riguarda:

     - l'occupazione giovanile, mediante la promozione di forme di lavoro professionalizzanti e di forme di lavoro a tempo parziale;

     - la mobilità della manodopera;

     - il lavoro in cooperazione;

     - il lavoro autonomo, favorendo lo sviluppo di nuova imprenditorialità con particolare riguardo alle piccole imprese e ai giovani;

     - l'inserimento lavorativo delle persone in stato o a rischio di emarginazione, mediante incentivi a cooperative di solidarietà sociale.

 

5. I MINORI ED I GIOVANI A RISCHIO

LA DEVIANZA E L'ANTISOCIALITA' MINORILE

 

5.1 Ambito di interventi ed obiettivi

     Con il termine «disadattamento minorile» si intende far riferimento, in un'ampia accezione, a tutte quelle situazioni in cui il minore non è riuscito ad avere un regolare processo di sviluppo della sua personalità con la conseguenza di non riuscire a realizzare se stesso secondo le proprie potenzialità, attitudini, vocazioni e nel contempo ad integrarsi nella comunità in cui vive con autonomia, senso della responsabilità ed effettiva libertà interiore.

     L'unificazione del concetto di disadattamento riferito sia alla criminalità sia alla devianza in genere porta necessariamente a sottolineare come debba essere unica anche se adattata alle specifiche situazioni del soggetto, la tipologia degli interventi.

     Di conseguenza la risposta che deve essere privilegiata di fronte alla irregolarità del giovane non è mai quella dell'intervento segregante, ma quella della risocializzazione attraverso la fiducia, il sostegno e la concreta attuazione del diritto del minore all'educazione.

     E' un dato culturalmente acquisito che il carcere minorile è una risposta inadeguata, inefficace proprio perché limitato al piano della pura repressione.

     In particolare gli interventi da predisporre devono essere finalizzati a:

     - elevare complessivamente la qualità della vita, estendendo a tutti i giovani opportunità ed occasioni di crescita oggi ancora distribuite in modo profondamente diseguale;

     - allargare il circuito dei servizi e promuoverne la qualità;

     - prevenire le situazioni a rischio;

     - concentrare attenzione e risorse attraverso progetti mirati in grado di eliminare le condizioni patologiche esistenti nelle aree geografiche, nelle sedi di aggregazione culturale e nelle condizioni di vita.

     Va detto che la crisi adolescenziale è anche crisi di inserimento sociale.

     Ai bisogni essenziali legati allo studio, all'inserimento lavorativo, all'aggregazione sociale, ai rapporti familiari si risponderà fornendo, attraverso il servizio sociale di base, informazioni, consulenze ed appoggio; facilitando l'avvicinamento allo studio; incidendo sulle dinamiche familiari; favorendo formule occupazionali innovative e sperimentali; potenziando una rete di centri di aggregazione sociale; ricercando, ove necessano, soluzioni etero-familiari alternative.

     C'è ormai la consapevolezza che i problemi dei minori che si presentano di fronte alla Magistratura sono quelli della gioventù in genere, della società nella quale vivono. Appaiono evidenti i nessi esistenti tra condizione attuale dei bisogni dei minori e carenze della famiglia da un lato e molteplici situazioni sociali deficitarie.

     Dall'altro mancanza o inadeguatezza di una politica dell'occupazione, della casa, della scuola, dell'educazione e della cultura a tutti i livelli, della previdenza, della sanità, dei servizi in genere fenomeni interdipendenti che vanno affrontati in una visione unitaria.

 

5.2 L'area penale minorile ed il governo locale

     La normativa che assegna all'Ente locale funzioni e compiti nel settore dell'esecuzione penitenziaria ha valore anche nel minorile, sebbene si auspichino maggiori diversificazioni legislative per la specificità che è propria dell'imputato e del condannato minorenne. La legge 398/1984 conferma la validità di questa impostazione, prevedendo espressamente norme per i minori nel campo della riduzione della custodia cautelare, nella più ampia concessione della libertà provvisoria, nella concessione degli arresti domiciliari e progettando un coinvolgimento diretto della comunità territoriale. Maggiori e anche nuove misure alternative sono state introdotte dalla legge 663/1986.

     Rispetto al ruolo dell'Ente locale, è essenziale che esso intensifichi, in collaborazione con il competente Ufficio distrettuale di servizio sociale per i minorenni del Ministero di grazia e giustizia, il proprio impegno per la concreta realizzazione delle misure alternative ed antisegreganti quali l'affidamento in prova ai servizi sociali territoriali, la semilibertà, la libertà vigilata, la libertà controllata, l'istituto degli arresti domiciliari, la detenzione domiciliare, nonché il collocamento in comunità terapeutica, in alternativa alla pena detentiva per i soggetti tossicodipendenti.

     Non è superfluo rilevare che l'andamento positivo e l'efficacia di queste misure è direttamente proporzionale alla qualità dei servizi forniti dall'Ente locale, anche nell'esercizio di un ruolo di coordinamento e di promozione delle politiche sociali.

 

5.3 Collaborazione con l'Autorità giudiziaria: Tribunale minorenni - Giudice tutelare - Tribunale ordinario

     Gli Enti locali si trovano a collaborare con l'Autorità giudiziaria minorile ed ordinaria per l'espletamento di alcune funzioni protettive o rieducative nei confronti dei minori.

     Tali funzioni si esplicano sul terreno della competenza civile ed amministrativa del Tribunale dei minorenni.

     La competenza civile, ovvero la funzione giurisdizionale nei confronti della potestà dei genitori viene esercitata attraverso le seguenti azioni:

     - limitazioni e decadenze della patria potestà;

     - prescrizioni in tema di affidamento dei figli a seguito di separazione e divorzio, soprattutto in presenza di contenzioso;

     - affidamento preadottivo ed adozione;

     - autorizzazione al matrimonio di minori.

     Nell'ambito di tali azioni spetta al servizio sociale di base opportunamente collegato con il consultorio familiare svolgere inchieste ed indagini nelle situazioni di conflitto tra genitori e figli o dei genitori tra loro in merito all'affidamento dei figli o all'esercizio della potestà, nonché la ricerca e la predisposizione di soluzioni alternative nei confronti dei minori temporaneamente impossibilitati a permanere in famiglia o per i quali vi è stato un provvedimento di allontanamento da parte del Tribunale per i minorenni.

     E' inoltre compito del servizio sociale di base svolgere inchieste sociali, indagini psicologiche, attività di chiarificazione nelle richieste di autorizzazione al matrimonio di minorenni, nella valutazione dell'interesse del minore al riconoscimento e nelle altre nuove situazioni previste dal codice civile.

     Allo stesso servizio compete inoltre segnalare al Tribunale per i minorenni tutte quelle situazioni di violazione dei doveri inerenti all'esercizio della potestà dei genitori, che possono dar luogo a provvedimenti limitativi della potestà medesima.

     Per quanto attiene alle adozioni ed agli affidamenti, primo compito dell'Ente locale è quello di vigilare affinché vengano segnalati tempestivamente i minori che possono trovarsi in situazioni di abbandono. Il servizio sociale di base è quindi chiamato a svolgere indagini sulle coppie che presentano domanda di adozione onde accertarne la validità affettiva ed educativa; a prevedere iniziative rivolte alla preparazione e maturazione di gruppi di coppie disponibili per l'adozione e l'affidamento familiare; a svolgere compiti di vigilanza e di sostegno alla coppia affidataria e d'ausilio psicologico nell'affidamento preadottivo.

     Rispetto alle competenze del Giudice tutelare - che sovraintende alle tutele e alle curatele - poiché l'Ente locale può essere chiamato ad esercitare la tutela sui minori, appare opportuno individuare, con formale provvedimento deliberativo, la persona che avvalendosi della opera del servizio sociale di base svolgerà le funzioni tutorie.

     Rispetto alla competenza amministrativa del Tribunale per i minorenni

- che si identifica genericamente con gli interventi in tema di devianza e

di disadattamento giovanile - fondamentale è il corretto intervento del

servizio sociale dell'Ente locale al quale in primo luogo spetta formulare

un'obiettiva diagnosi dei problemi del minore e proporre utili piani di

trattamento realizzabili con gli opportuni interventi a sostegno del minore

stesso e della famiglia e, se necessario, estesi al mondo della scuola e

del lavoro. E' pur sempre frequente l'ipotesi in cui la famiglia non è più

in grado di esplicare alcun ruolo educativo: ecco allora la necessità di

strutture alternative alla famiglia propria, che vanno da una famiglia

affidataria capace di affrontare le problematiche del minore ad una

comunità o istituto.

     Da quanto detto appare chiaro come il ruolo dell'Ente locale debba riguardare il complesso degli interventi a favore dei minori in condizione di disagio per l'oggettiva impossibilità di separare gli interventi per i minori perseguiti penalmente perché autori di un reato da quelli rivolti ai minori in trattamento rieducativo e da quelli effettuati nei confronti della competenza civile e perfino da quelli di più ampia portata relativi alla politica sociale generale nei confronti dell'età evolutiva.

 

5.4 I giovani e la tossicodipendenza

     Sebbene alla tossicodipendenza ed alla relativa prevenzione si sia dedicata una parte specifica all'interno del piano sanitario regionale, si ritiene essenziale riprenderne la tematica con riferimento ai giovani, per i quali il fenomeno droga riveste particolare drammaticità ed anche in considerazione del fatto che una politica di prevenzione e di recupero da parte dell'Ente locale può avere più efficacia e significativi risultati proprio nei confronti delle fasce giovanili.

     Ritenere, come viene proposto da una visione del tossicodipendente da curare in quanto ammalato o da emarginare in quanto pericoloso per la società, che il fenomeno della tossicodipendenza sia risolvibile con interventi «tecnici», siano essi di carattere sanitario o giuridico repressivi, risente di un'interpretazione inadeguata del problema e non lo risolve.

     Se invece si considera il tossicodipendente un individuo i cui conflitti possono essere risolti con il recupero consapevole della sua identità di persona, nei suoi limiti e possibilità, il fenomeno va affrontato incidendo sulle dinamiche educative economiche, sociali e sulle insufficienze individuali con queste ultime strettamente seppur diversamente combinate, che il sintomo droga ripropone.

     Anche per la tossicodipendenza, infatti, valgono tutte le considerazioni che sono state formulate in ordine alla devianza in genere. Comune a tutti i fenomeni è un insufficiente sviluppo di personalità, un carente processo di socializzazione, anche se la droga evidenzia in modo più emblematico la presenza di queste difficoltà.

     Come già evidenziato, l'attenzione dei servizi territoriali deve essere rivolta alla prevenzione, al primo manifestarsi del disagio e del malessere giovanile.

     Per l'analisi dei contenuti più generali della prevenzione si rimanda quindi alla trattazione riservata agli «interventi a favore della generalità della popolazione».

     Per quanto riguarda gli interventi rivolti alla cura e alla riabilitazione degli stati di tossicodipendenza, si vogliono elencare alcune iniziative sperimentali, con l'indicazione che la funzione istituzionale è altamente complessa ed articolata, certamente non assorbibile all'interno di un'unica tipologia di servizi. Questi ultimi, pertanto devono presentare una gamma di soluzioni operative in grado di rispondere alle diverse personalità ed ai diversi bisogni, rendendo possibile la realizzazione di molteplici itinerari di recupero e di reinserimento.

     Tra le indicazioni sperimentali si citano:

     - il pronto intervento;

     - la comunità alloggio;

     - il centro di aggregazione sociale:

     - l'atelier bottega;

     - la cooperativa di lavoro.

     Strutture queste che in generale devono essere aperte anche a soggetti diversi, in particolare a giovani con problemi di disadattamento:

     - la comunità agricola;

     - la comunità terapeutica;

     destinate ai casi più gravi di tossicodipendenza.

     La costituenda Commissione regionale in tema di disadattamento, devianza e criminalità potrà esaminare ed elaborare contenuti operativi conformi alle linee sin qui enunciate.

 

6. PRIORITA' DA PERSEGUIRE NEL TRIENNIO

 

     Per quanto riguarda le strutture residenziali esistenti per minori e giovani si dovrà prevedere con apposito progetto la riqualificazione strutturale ed organizzativa delle stesse, anche secondo quanto indicato nelle norme di vigilanza contenute nelle direttive regionali emesse con atto deliberativo della Giunta regionale n. 3105 del 14 giugno 1983.

     Va infatti salvaguardato il principio secondo cui, più che alla creazione di strutture nuove, si dovrà pensare alla ristrutturazione e riconversione di quelle esistenti che potranno aprirsi a nuove tipologie di utenza, con particolare attenzione al rapporto con la comunità, per garantire aggregazione e integrazione di servizi e strutture e promuovere la partecipata convivenza.

     Altra unità di offerta che deve essere oggetto di revisione e di globale riordino è quella dei centri di aggregazione giovanile.

     In particolare si tratterà di individuare forme di:

     - gestione diretta di iniziative;

     - valorizzazione di iniziative private;

     - coordinamento pubblico-privato;

     - finanziamento per gestioni convenzionate con la messa a disposizione, oltre che di spazi, di strutture logistiche, attrezzature, personale.

     Le attività attraverso le quali potranno realizzarsi gli obiettivi sopraindicati potranno essere svariate, di tipo sociale, culturale, ricreativo, sportivo e di tempo libero.

     Per l'attivazione di detti centri di aggregazione l'Ente locale potrà avvalersi delle esperienze già presenti ed attive sul territorio, quali ricreatori, oratori, gruppi giovanili.

     Dovranno altresì essere realizzati interventi coordinati, anche a sostegno dei nuclei familiari, attraverso il servizio sociale di base.

 

 

ALLEGATO 3

 

C

LINEE PROGRAMMATICHE PER GLI INTERVENTI A FAVORE DEGLI ANZIANI

 

1. Ambiti di intervento

 

2. Obiettivi del piano socio-assistenziale nel settore anziani

 

3. I servizi e gli interventi

     3.1 Servizio sociale di base

     3.2 Assistenza domiciliare

     3.3 Il centro diurno

     3.4 Le strutture residenziali per anziani

     3.5 Le residenze di assistenza sociale

     3.6 Le residenze protette [24]

 

4. Aspetti di integrazione tra sanità ed assistenza

 

5. Priorità da perseguire nel triennio

 

1. AMBITI DI INTERVENTO

 

     L'aumento della popolazione anziana nell'attuale società costituisce una delle caratteristiche più rilevanti della nostra epoca ed uno dei problemi più importanti della collettività. In generale, al considerevole aumento della vita media non ha corrisposto un proporzionale aumento della qualità della vita ed anzi larghe fasce di popolazione anziana si trovano in condizioni di povertà, di emarginazione, d'isolamento.

     Nei confronti degli anziani, un progetto di intervento globale certamente non può essere affrontato solo in termini assistenziali o di servizi sociali, ma deve investire l'intera organizzazione sociale e civile e l'insieme dei valori e delle scelte che la informano, incidendo sia nel suo aspetto strutturale sia nei comportamenti collettivi.

     Specifico ambito di intervento del piano socio-assistenziale è quello rivolto ad indicare soluzioni programmatiche ed organizzative per la predisposizione di interventi e servizi dl assistenza sociale necessari agli anziani che si trovino in stato di bisogno, ma è anche quello inteso a favorire e promuovere le iniziative necessarie per la riduzione dei rischi legati al processo d'invecchiamento.

     Per perseguire in tal modo l'obiettivo fondamentale di tutelare la salute dell'anziano, dove per salute viene inteso non solo lo stare bene fisicamente, ma anche il poter contare su di una famiglia, avere una casa, degli amici, poter in definitiva vivere bene questa particolare epoca della propria vita, occorre, in primo luogo, chiarire a quale fascia di popolazione si rivolgono gli interventi specifici che verranno analizzati di seguito, definendo il concetto di persona anziana o quantomeno stabilendo quando ha inizio la senilità.

     Per convenzione si ritiene anziana la persona che ha superato i sessant'anni perché in questa età generalmente si interrompe l'attività lavorativa. Questo è un concetto errato in quanto l'interruzione del lavoro non si determina perché una persona è vecchia, ma in relazione a problemi e considerazioni di carattere sociale economico e politico e in quanto oggi si assiste ad un rallentamento nel processo di invecchiamento individuale. La senilità nella vita tende a spostarsi in avanti, - senza che peraltro si riesca a fissarne rigidamente l'inizio -. Tuttavia il limite cronologico dei 60 anni può essere giustificato in considerazione dell'importanza che nella nostra realtà sociale ha il ruolo di lavoratore: l'abbandonare tale ruolo, l'inadeguatezza delle previdenze pensionistiche, i cambiamenti di abitudini e di comportamenti che tale evento viene a segnare giustificano sufficientemente il considerare gli ultrasessantenni come l'utenza potenziale degli interventi socio-assistenziali a favore degli anziani.

     E' inoltre evidente che i bisogni di tale popolazione non sono omogenei nella diverse classi di età: ben diversa è la condizione dell'individuo sessantenne da quella di ultrasettantacinquenne più esposta ai processi involutivi, alla perdita dell'autonomia, all'isolamento e quindi più spesso bisognosa d'interventi di assistenza.

 

2. OBIETTIVI DEL PIANO SOCIO-ASSISTENZIALE NEL SETTORE ANZIANI

 

     Dal quadro dei problemi relativi tanto alla situazione generale dell'anziano nell'attuale società quanto alla situazione peculiare della regione, si possono prospettare i seguenti obiettivi come i più significativi di una politica di tutela sociale degli anziani:

     - migliorare la qualità della vita nell'invecchiamento, dando risposte adeguate ai bisogni economici, abitativi, relazionali, assistenziali dell'anziano laddove nascono, mantenendo quindi l'anziano nel suo naturale contesto familiare e sociale, promuovendo ed ottimizzando gli interventi socio-assistenziali ed integrandoli con quelli sanitari;

     - rendere il ricovero, qualora sia necessario, quanto più a misura delle aspettative dell'anziano e quanto meglio calibrato sui suoi peculiari bisogni fisici, psicologici e sociali e quindi adeguare le strutture di ricovero ad appositi parametri di funzionalità e nel contempo offrire efficienti strutture intermedie, quali comunità alloggio, case albergo;

     - operare sugli squilibri territoriali promuovendo una rete di servizi sociali-domiciliari-integrativi-residenziali adeguata ai bisogni specifici degli anziani residenti nella regione.

     Per l'attuazione degli obiettivi previsti è necessario valorizzare appieno tutte le risorse del territorio e riuscire ad operare con gradualità i diversi interventi e a condurli in modo complementare verso comuni direzioni.

     Si tratta di puntare per raggiungere il primo obiettivo sulla seguenti funzioni:

     - assistenza socio-economica: segretariato sociale, pronto intervento assistenziale, interventi di integrazione economica, assistenza abitativa, iniziative di tempo libero, vacanze e turismo sociale, lavoro volontario;

     - assistenza domiciliare: aiuto domestico, assistenza infermieristica;

     - assistenza integrativa e di sostegno atta a sopperire alle carenze che l'anziano spesso si trova a subire nell'ambito della vita domestica, mense, pasti a domicilio, lavanderia, riabilitazione.

     Per raggiungere il secondo obiettivo, nell'esercizio della funzione di assistenza residenziale, occorre per un verso evitare il rischio di ridistribuire la popolazione anziana dall'istituto o dall'ospedale alle famiglie, senza aver adeguatamente potenziato i servizi socio-assistenziali alternativi alle case di riposo; per l'altro verso, occorre incentivare mediante contributi finanziari e proposte organizzative l'adeguamento delle case di riposo, sulla base di appositi parametri di funzionalità.

     Per il conseguimento del terzo obiettivo, è necessario utilizzare l'erogazione delle prestazioni e dei servizi sul territorio, valorizzando le risorse disponibili, promuovendo iniziative atte ad individuare stati di bisogno, a prevenirli ed a risolverli.

 

3. I SERVIZI E GLI INTERVENTI

 

     I servizi e gli interventi rivolti agli anziani sono di massima gli stessi destinati a tutta la popolazione. Vi sono però strutture che favoriscono prestazioni prevalentemente o esclusivamente agli anziani, per cui i criteri organizzativi e gli standards funzionali devono tener conto delle peculiarità di questa fascia di popolazione.

     Importante è sollevare gli anziani dall'emarginazione e dal bisogno, affinché possano conservare a lungo l'autosufficienza ed il desiderio di contribuire allo sviluppo della comunità.

     A tale riguardo particolare attenzione andrà posta alle iniziative associative e di volontariato.

 

3.1 Servizio sociale di base

     Si fa riferimento all'organizzazione dei servizi e degli interventi già indicata nella parte dedicata a tutta la popolazione che va adeguata alla particolare condizione dell'anziano.

     Infatti l'assistente sociale, dopo aver esaminato la domanda sociale dell'utente anziano per esplicitare i problemi autentici, anche se non espressi, promuove, mediante il coinvolgimento di tutte le risorse disponibili, interventi tempestivi di assistenza economica continuativa o straordinaria, di segretariato, espletamento delle pratiche, smistamento ai servizi competenti; di assistenza abitativa: manutenzione dell'abitazione, abbattimento delle barriere architettoniche; di promozione della socializzazione dell'anziano: lavoro volontario, soggiorni diurni, vacanze, università degli anziani, corsi di ginnastica ed attività motorie; di sostegno psico-sociale: assistenza domiciliare, integrativa; di ricovero e vigilanza su di esso, qualora l'anziano non possa o non intenda gestire in modo autonomo la propria esistenza.

     Sempre per restituire un ruolo sociale all'anziano e nell'intento di rallentare ed attenuare i processi di emarginazione, si sono messe in atto esperienze significative di inserimento degli anziani in attività di utilità sociale mediante cooperative di anziani di sorveglianza presso le scuole e di lotta contro la droga, di assistenza nei servizi per gli anziani. Per tali iniziative ed esperienze, che nascono e si sviluppano non solo per volontà delle amministrazioni comunali, ma anche su proposta autonoma d'intervento dei quartieri e delle circoscrizioni, l'assistente sociale ha il fondamentale ruolo di coordinamento e di stimolo.

 

3.2 Assistenza domiciliare

     Per tale servizio si fa rinvio a quanto più dettagliatamente espresso nelle linee programmatiche a favore di tutta la popolazione.

 

3.3 Il centro diurno

     Il centro diurno è un centro sociale che esplica funzioni di assistenza a carattere integrativo e di sostegno atte a sopperire alle carenze che l'anziano può subire nell'ambito della vita domestica e delle sue relazioni.

     Gli interventi e le prestazioni offerti dal servizio sono di:

     - servizio sociale: espletamento pratiche, consulenza dell'assistente sociale, consulenza dello psicologo, consulenza per i problemi giuridici;

     - assistenza integrativa: educazione musicale, teatro, cineforum, organizzazione viaggi, gite, giochi, feste;

     - assistenza sul lavoro: organizzazione lavoro volontario.

     Gli utenti del centro diurno sono prevalentemente anziani, tuttavia esso si caratterizza come un servizio aperto a tutta la popolazione, con particolare riferimento alle persone sole, che necessitano di interventi precisi atti ad evitare il rischio di emarginazione.

     Gli spazi del centro, qualora esso non sia ubicato in strutture di altro tipo possono essere costituiti da: segreteria, biblioteca, ambulatorio, mensa, lavanderia, bagno, parrucchiere-barbiere-pedicure, bar, sale per lo svago ed il tempo libero, palestra con attrezzature per fisioterapia, spazio verde all'aperto.

     Sono da aggiungere i mezzi di trasporto, sia per fornire i pasti a domicilio, che per prelevare e riportare a domicilio gli anziani che non sono in grado di arrivare al centro in modo autonomo.

     Il centro diurno deve poter essere utilizzato dagli utenti con facilità, e quindi deve essere accessibile come ubicazione sul territorio, deve rimanere aperto durante la giornata intera, non vi debbono essere barriere architettoniche, e comunque deve essere conforme alla situazione culturale del territorio ove è ubicato, rispettandone le tradizioni.

     Per l'avvio di nuovi centri diurni, è necessario individuare i possibili spazi - già esistenti presso altri servizi - utilizzabili adeguatamente ai fini delle attività dei centri.

 

3.4 Le strutture residenziali per anziani

     Ferma restando la priorità degli interventi di assistenza domiciliare, per mantenere fino a quando possibile l'anziano nel proprio ambiente familiare e sociale, occorre ridefinire le tipologie di residenze per anziani e prevedere una progressiva riconversione delle strutture esistenti, comunque denominate, all'interno degli standards tipologici individuati.

     Indubbiamente nel definire le tipologie strutturali sul piano edilizio, funzionale, organizzativo, il grado di autosufficienza dei soggetti può essere assunto come elemento discriminante. Tuttavia, da questo punto di vista, vi sono due variabili di non semplice governo che vanno valutate e che riguardano la non facile definizione dello stesso indicatore e la sua variabilità temporale che impone la necessità di passaggio da una struttura all'altra, con tutte le implicazioni psicologiche, familiari e pratiche che ciò comporta per l'anziano.

     Tenendo conto di tutto ciò si è prefigurata una differenziazione tipologica di strutture che consenta una risposta adeguata ai variegati stati di bisogno limitando la mobilità infrastrutturale solo all'atto del passaggio dell'anziano ad una condizione di non autosufficienza irreversibile. In questo caso, infatti, l'elemento discriminante è rappresentato dal fatto che la cura dell'anziano richiede un intervento sanitario continuativo accanto alle prestazioni assistenziali ed è quindi su questa base che è possibile prefigurare una suddivisione fra strutture per anziani non autosufficienti e strutture per anziani con differenti livelli di autosufficienza.

     Queste ultime possono essere correttamente definite come «Residenze di assistenza sociale» a gestione pubblica comunale o intercomunale, privata o convenzionata, mentre le prime si presentano a strutturazione mista come «Residenze di assistenza sanitaria e sociale» con finanziamenti proporzionali tra assistenza e sanità, sulla base di quanto stabilito dal progetto-obiettivo anziani del piano sanitario regionale che ha anticipato di fatto il D.P.C.M. dell'8 agosto 1985 e la legge 595/85.

 

3.5 Le residenze di assistenza sociale

     Si intendono qui individuare alcune tipologie di strutture residenziali che, pur offrendo accoglienza notturna, consentono una piena autonomia di gestione della propria vita, garantendo nel contempo, da un lato adeguati servizi integrativi anche a domicilio, e dall'altro il sostegno e l'appoggio conseguente al fatto di vivere con altre persone in condizioni analoghe.

     Il nucleo abitativo elementare per anziani autosufficienti può essere tendenzialmente indicato nella Comunità alloggio. Con tale denominazione si intende comunemente un'unità abitativa singola in cui convivono non più di 10 persone anziane che presentano semplici problemi abitativi o di solitudine o di limitata autosufficienza tale da non consentire di vivere da soli.

     In questi casi non è necessaria una assistenza tutelare continuativa, ma un sostegno che vicendevolmente possono fornirsi i membri della comunità con il supporto dei servizi domiciliari e dei centri diurni.

     Va sottolineato, tuttavia, che laddove l'unità abitativa assume la semplice configurazione di appartamento si possono presentare problemi di coesistenza non indifferenti, derivanti dall'insufficiente privacy e dalla mancanza di abitudine a vivere in comune. Per evitare ciò è possibile individuare unità abitative leggermente più articolate che consentano una migliore gestione della quotidianità del singolo insieme alla possibilità di condividere momenti comunitari «volontari».

     Per questo può essere quindi sufficiente concepire l'unità abitativa come sommatoria di monolocali per una/due persone unite da alcuni spazi in comune.

     Questa formula si presta altresì ad essere estesa a più unità immobiliari contigue con il vantaggio di rendere più agevole l'attività di supporto del servizio domiciliare e di permettere il sorgere di servizi di tipo comunitario, su richiesta degli ospiti, quali preparazione pasti, lavaggio biancheria, iniziative di socializzazione, che rendono complessivamente la struttura un complesso di mini-alloggi muniti di servizi centralizzati denominabile Casa albergo.

     La soluzione proposta si regge quindi su un modulo elementare dotato di requisiti rispondenti ai fabbisogni dell'anziano autosufficiente che può essere applicato con una certa elasticità e con limitate riconversioni anche nelle strutture, diversamente denominate, già esistenti. Infatti non è tanto necessario fissare rigidi standards dimensionali complessivi della struttura, quanto individuare criteri organizzativi e funzionali che consentano una maggiore umanizzazione dell'ospitalità ed una migliore gestione dei servizi alberghieri, mensa e lavanderia, che non necessariamente devono essere a gestione diretta e che vanno organizzati su requisiti di efficienza strettamente dipendenti dalle soglie quantitative di utenza.

     La possibilità di ospitare nelle suddette strutture anziani solo parzialmente autosufficienti o di mantenere nel tempo l'ospite che presenta progressive menomazioni nella sua autosufficienza è evidentemente correlata alla quantità e qualità dell'intervento di assistenza domiciliare e soprattutto alle interrelazioni con il momento sanitario.

     Da questo punto di vista occorre una assidua frequentazione delle residenze da parte di medici di base, che può essere stimolata predisponendo nelle residenze di una certa dimensione una struttura ambulatoriale orientando gli ospiti ad una scelta possibilmente univoca del medico di riferimento, accanto ad un servizio domiciliare di tipo infermieristico, riabilitativo, specialistico e quest'ultimo, quando non possibile, può essere garantito con servizi di trasporto presso strutture poliambulatoriali o ospedaliere per trattamenti specifici.

     Laddove il numero di anziani interessati da progressiva perdita di autosufficienza assume già dimensioni tali da non essere convenientemente gestito dai servizi domiciliari si può prevedere l'individuazione di alcune figure di addetti-ospiti per aiutare l'anziano a deambulare, a mangiare e la figura dell'infermiere professionale e al limite del fisioterapista all'interno delle case albergo.

     Queste attività dovranno essere organizzate dall'U.S.L. mediante i servizi distrettuali e potranno assumere, a seconda delle tipologie delle residenze degli ospiti, maggiore o minore continuità, fermo restando che laddove l'anziano regredisca in una situazione di non autosufficienza irreversibile o comunque grave, risulta indispensabile l'accoglienza dello stesso in appositi reparti protetti ovvero nelle strutture di cui al successivo paragrafo.

 

3.6 Le residenze protette [25]

     E' questo il settore dell'ospitalità per anziani che va potenziato e in gran parte ridefinito sul piano organizzativo e funzionale per rispondere anche all'esigenza di eliminare il ricovero improprio nelle strutture ospedaliere. La politica avviata dal progetto-obiettivo del P.S.R. può oggi fondarsi su provvedimenti legislativi di carattere nazionale che meglio delimitano e integrano le rispettive competenze dei settori sanitario o assistenziale e che contribuiscono a prefigurare in sede locale soluzioni più idonee al fabbisogni esistenti.

     La Residenza protetta che occorre individuare per anziani non autosufficienti, ivi comprendendo i casi definibili psico-geriatrici, deve quindi configurarsi come una struttura in grado di offrire la gamma completa dei servizi di tipo comunitario e assistenziale contestualmente all'assistenza sanitaria continuativa infermieristica e specifica riabilitativa.

     Va sottolineato che anche in questo caso il fine primario è quello del mantenimento alberghiero e assistenziale dei cittadini in condizioni di autosufficienza menomata. L'assistenza infermieristica ed i trattamenti riabilitativi di mantenimento per prevenire ulteriori aggravamenti intervengono come fattori complementari per quanto indispensabili. Per quanto concerne inoltre l'assistenza medico-generica e specialistica valgono le considerazioni e le indicazioni relative alle Case albergo.

     In questo caso il dimensionamento minimo può essere individuato sui 40/50 ospiti, considerando che le esigenze di assistenza sulle 24 ore porterebbero, nel caso di utenza inferiore, ad abbassare il rapporto di operatori/ospiti a livelli antieconomici.

     Certamente se strutture con elevato numero di ospiti vanno evitate in quanto possono presentare aspetti negativi sul lato della umanizzazione delle degenze, della vita di relazione e delle occasioni di socializzazione, non si ritiene realistico fissare rigidamente standards verso l'alto in quanto ciò non consentirebbe di fatto la riconversione di strutture esistenti e indispensabili.

     E d'altra parte la predisposizione dei servizi alberghieri specie se a gestione diretta può risultare insufficiente ed antieconomica se non distribuita su quote di utenza sufficientemente elevate.

     Il problema consiste quindi nell'individuare soluzioni abitative adeguate che consentano sia la preservazione attiva della residua autosufficienza sia una conveniente gestione dei servizi sanitari e assistenziali.

     Piuttosto, sotto questo aspetto, può essere valutata, in casi puntualmente definiti, la possibilità di articolare la strutturazione edilizia di grandi edifici o di più edifici contigui esistenti in strutture per autosufficienti e per non autosufficienti con idonee soluzioni architettoniche e utilizzando per entrambe i servizi generali in comune.

     Può essere questa, in particolare, una soluzione obbligata in quei casi ove una unica struttura risponde alle molteplici esigenze di ospitalità di un determinato bacino di utenza.

     Dal punto di vista di un razionale utilizzo delle strutture e in relazione alla situazione esistente, si tratta di promuovere, laddove possibile, il passaggio dal ricovero in casa di riposo corrispondente al 3% della popolazione anziana, all'assistenza da parte dei servizi territoriali quali servizi domiciliari, centri diurni; di contrastare il ricovero in ospedale ove non necessario, trovando la soluzione migliore per gli anziani che non potranno più accedere ai reparti geriatrici ospedalieri; di programmare la riconversione delle strutture residenziali non adeguate.

     Ciò è possibile:

     - regolamentando i criteri di accoglimento presso le case di riposo affinché il nuovo ricovero avvenga effettivamente in ultima istanza e quindi tale da ridimensionare progressivamente l'elevata quota di ricoveri che oggi si riscontra nella regione;

     - evitando la ridistribuzione forzosa sul territorio di quanti oggi sono già stati ricoverati in casa di riposo o in ospedale e quindi ormai abituati ad una protezione totale;

     - incentivando la riconversione delle case di riposo meno adeguate verso soluzioni alternative precedentemente definite.

     Appositi sopralluoghi permetteranno di definire una graduatoria delle case di riposo da ristrutturare, sulla scorta dei parametri fissati nello specifico progetto obiettivo.

 

4 ASPETTI DI INTEGRAZIONE TRA SANITA' ED ASSISTENZA

 

     Le presenti linee programmatiche insieme agli indirizzi di programmazione sanitaria del settore anziani diventano riferimento unitario della politica regionale di tutela degli anziani.

     Le azioni ed i contenuti dei singoli obiettivi, più specificatamente sanitari nel piano sanitario regionale, più specificatamente socio- assistenziali nel piano socio assistenziale, debbono interagire positivamente fra loro e costruire una unica azione di promozione delle condizioni di vita dell'anziano.

     Le specifiche competenze ed i reciproci carichi di spesa dei settori socio-assistenziali e sanitario, con particolare riferimento agli interventi in favore degli anziani, verranno determinati in un'apposita deliberazione della Giunta regionale.

 

5. PRIORITA' DA PERSEGUIRE NEL TRIENNIO

 

     Obiettivo primario nel settore è giungere attraverso un apposito progetto obiettivo a definire, per le strutture residenziali, un piano dettagliato di interventi mirato alla riconversione graduale delle strutture esistenti ed al loro adeguamento qualitativo.

     In particolare la Regione opererà sulla base delle seguenti priorità:

     - l'adeguamento delle strutture esistenti alle normative di sicurezza e per il superamento delle barriere architettoniche;

     - la realizzazione dei progetti che maggiormente concorrono al riequilibrio territoriale di dotazioni;

     - la realizzazione dei progetti di riconversione di strutture destinate ad anziani non autosufficienti;

     - la riconversione delle strutture per autosufficienti esistenti in case albergo e comunità alloggio.

     Per quanto riguarda le priorità da seguire nella programmazione dell'assistenza domiciliare si rinvia all'apposito capitolo inserito nell'allegato 3 A: «Interventi a favore della generalità della popolazione».

 

 

ALLEGATO 3

 

D

    LINEE PROGRAMMATICHE PER GLI INTERVENTI A FAVORE DELLA PREVENZIONE

DELL'HANDICAP E DEL REINSERIMENTO SOCIALE DEGLI HANDICAPPATI

 

1. Ambito di intervento ed obiettivi

 

2. I servizi e gli interventi

 

3. Interventi a favore degli handicappati dei servizi rivolti a tutta la

popolazione e ai minori

     3.1 Attività di prevenzione

     3.2 Interventi a sostegno della famiglia

 

4. Servizi rivolti prevalentemente agli handicappati

     4.1 Inserimento dell'handicappato nelle strutture educative e scolastiche

     4.2 Inserimento lavorativo dell'handicappato nell'ambiente lavorativo e terapia occupazionale

     4.3 Inserimento dell'handicappato nell'ambiente lavorativo

     4.4 Centri diurni per handicappati gravi oltre i 14 anni

     4.5 Le strutture residenziali

4.5.1 Comunità alloggio

4.5.2 Centri residenziali

 

5. Considerazioni finali

 

6. Priorità da perseguire nel triennio

     6.1 Assistenza domiciliare a misura di handicap

     6.2 Centri e residenze sociali per gravi e gravissimi

 

1. AMBITO DI INTERVENTO ED OBIETTIVI

 

     In questo capitolo si fa riferimento alle persone che presentano una condizione di svantaggio conseguente ad una menomazione: perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica; disabilità: limitazione o perdita della capacità di compiere un'attività nel modo o ampiezza considerati normali, che limita o impedisce l'adempimento del loro ruolo normale in relazione all'età, al sesso ed ai fattori socio-culturali. Sono esclusi i soggetti svantaggiati soltanto dal punto di vista socio-ambientale. Pur considerando l'incidenza, a volte determinante, dell'ambiente sullo stato psichico della persona, le relative problematiche vanno infatti affrontate all'interno di una più ampia attività di prevenzione e superamento degli stati di emarginazione, nel contesto delle politiche socio-assistenziali dell'Ente locale.

     Pertanto, va presa in considerazione la situazione intrinseca di malattia o disturbo che si esteriorizza nella menomazione, si oggettivizza nella disabilità e assume rilevanza sociale come handicap. Sul piano giuridico l'art. 1 della legge regionale 27 dicembre 1986, n. 59 «Provvedimenti per la tutela e l'integrazione sociale delle persone handicappate» fa riferimento a «coloro che per nascita o in seguito ad un evento morboso o traumatico presentino menomazioni non transitorie delle proprie condizioni fisiche, psichiche e sensoriali che li mettano in difficoltà di autonomia, di apprendimento, di relazione, di inserimento lavorativo».

     Nell'handicap come altrove, posto l'astratto principio di eguaglianza di tutti i cittadini sul piano dei diritti e della loro dignità sociale, è essenziale l'acquisizione della diversità, intesa non come connotato negativo, bensì quale dato esistenziale da cui partire per ottenere, attraverso la valorizzazione delle potenzialità specifiche, la rimozione o quanto meno l'attenuazione degli ostacoli che di fatto impediscono lo sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione alla vita comunitaria.

     Gli obiettivi da perseguire sotto il profilo prevalentemente socio- assistenziale, sono da intendersi strettamente integrati con le azioni rivolte agli handicappati, illustrate nel piano sanitario regionale nello specifico progetto obiettivo, in quanto insieme concorrono a definire la politica regionale verso l'handicap:

     A - Prevenzione, diagnosi e riabilitazione precoce mirate al massimo recupero dell'autonomia delle persone e ad evitare con la maggior tempestività possibile l'avvio di processi di emarginazione.

     Tali obiettivi vanno perseguiti favorendo un'integrazione fattiva e definita, a livelli decisionali ed operativi, con i servizi sanitari, sia di base sia specialistici.

     Deve essere potenziato, in tale ambito, il momento informativo e di consulenza rivolto a tutta l'utenza; particolare attenzione va posta in attività di sostegno alle persone direttamente coinvolte nel problema, date le implicazioni sociali, comportamentali e familiari connesse alla presenza di una situazione di handicap.

     B - Inserimento ed integrazione nel contesto sociale, scolastico e lavorativo puntando sulla valorizzazione delle capacità residue e dei risultati della riabilitazione.

     Tali obiettivi possono essere perseguiti con il potenziamento, in termini di servizi, delle attuali prestazioni di base e specifiche, sia all'interno sia in collaborazione con le strutture interessate.

     Devono mirare per quanto possibile alla deistituzionalizzazione e al mantenimento nell'ambiente di appartenenza.

     Attenzione va posta, anche valorizzando le sperimentazioni in atto o già programmate, alla creazione ed al potenziamento di servizi aperti sul territorio, che dovrebbero contribuire a dare un fattivo e tempestivo sostegno al singolo e alla famiglia, consentendo a questa ultima di mantenere un più sereno rapporto con la persona handicappata ed un minor senso di totale ed unica responsabilizzazione.

     Vanno privilegiati i servizi di base dislocati su tutto il territorio anche se, ovviamente, con i necessari aggiustamenti legati alle diverse realtà, a tal fine vanno delineate, con l'apporto ed il coinvolgimento degli enti pubblici e privati operanti nel settore, quelle attività che devono trovare collocazione in un modello organizzativo di servizi sociali di base, al cui interno si trovino tutte le attività necessarie a dare una risposta integrata ai bisogni espressi dall'utenza dalle prestazioni di assistenza domiciliare agli interventi che si possono attuare in centri diurni, al collegamento con tutte le risorse culturali e di tempo libero eventualmente esistenti nella zona, ed alla partecipazione a soggiorni di vacanza.

     Accanto a tali servizi vanno previsti e all'occorrenza ridefiniti servizi residenziali qualificati per le persone che non possono rimanere nel tessuto delle relazioni familiari e sociali di appartenenza.

     In questi casi si dovrà comunque:

     - avere in precedenza verificato la reale impossibilità di mantenimento nell'ambiente originario, per mancanza o insufficienza di servizi alternativi fruibili nel caso specifico;

     - verificare, anche dopo il ricovero, se sussistano concrete possibilità di deistituzionalizzazione in presenza di mutate condizioni;

     - facilitare rientri periodici in famiglia;

     - curare il mantenimento di costanti rapporti con il nucleo familiare e, in caso di difficoltà, il riallacciamento di tali rapporti.

     Nel contempo si dovrà inoltre:

     - riesaminare complessivamente la politica regionale in tale campo, anche dopo il primo riordino della normativa attuata con la legge regionale 59/1986, con precedenza ai grossi comparti del superamento delle barriere architettoniche e dell'inserimento nelle realtà scolastiche, di formazione professionale e lavorative. In questo ambito vanno riviste le competenze ed istituito un puntuale coordinamento tra i diversi uffici regionali interessati;

     - evidenziare, infine, le figure professionali operanti nel settore, provvedendo alla definizione di standards numerici e di criteri formativi, ponendo in atto i necessari momenti di aggiornamento o riqualificazione professionale anche alla luce dei nuovi indirizzi nazionali.

 

2. I SERVIZI E GLI INTERVENTI

 

     Per raggiungere gli obiettivi assunti si può fare riferimento, da un lato a quanto previsto nelle linee programmatiche riferite a tutta la popolazione e ai minori e ai giovani, evidenziando fa specificità dell'intervento a favore dell'handicap e dall'altro ad interventi e strutture riferibili prevalentamente agli handicappati, seppure proposti in una logica di integrazione e di inserimento sociale.

 

3. INTERVENTI A FAVORE DEGLI HANDICAPPATI DEI SERVIZI RIVOLTI A TUTTA LA POPOLAZIONE E AI MINORI

 

3.1 Attività di prevenzione

     E' opportuno ricordare che gli interventi rivolti alla prevenzione sanitaria delle cause di handicap: individuazione delle gravidanze a rischio, riduzione delle malattie congenite ed ereditarie sono previsti nel piano sanitario regionale in riferimento sia all'handicap sia alla tutela materno-infantile.

     I bisogni di prevenzione e di educazione sociale cui ci si riferisce invece nelle presenti linee programmatiche riguardano essenzialmente la necessità di modificare profondamente modelli culturali e sociali di riferimento.

     A livello di prevenzione, infatti, uno degli obiettivi fondamentali del settore socio-assistenziale è quello dell'educazione sociale che, intervenendo a livello di approccio formativo-culturale, dovrebbe riuscire nell'intento di sensibilizzare e convincere che anche i soggetti handicappati con difficoltà di sviluppo, di apprendimento, di adattamento devono essere considerati protagonisti della propria crescita. In essi esistono potenzialità conoscitive, operative, relazionali spesso bloccate dagli schemi della cultura corrente e dal costume sociale.

     Sviluppare lo spirito di solidarietà è una premessa indispensabile per qualsiasi risoluzione del problema che deve essere considerata e voluta da tutti come espressione di maturità civile e progresso sociale dell'intera collettività che può anche avvalersi delle positive esperienze di volontariato.

     Si ritiene che per garantire ad ogni handicappato la frequenza scolastica è necessario identificare quali siano i supporti di tipo socio- assistenziale ed educativo, necessari in relazione a bisogni che dipendono dalla situazione bio-psichica del soggetto, dal tipo di funzioni lese e dalla gravità di tale lesione: intervento prevalentemente sanitario, dalla disabilità che ne conseguono e dalle abilità residue: intervento socio- sanitario ed educativo; e dal danno o limitazione o anormalità riscontrabile nel ruolo e nel modo sociale di essere e di esprimersi della persona colpita, cioè dallo svantaggio sociale che ne consegue: intervento socio-assistenziale.

     Tutte queste componenti incidono diversamente e danno quadri diversi che richiedono quindi interventi diversi con prevalenza dell'uno o dell'altro di quelli citati.

     Possono, pertanto, essere identificate quattro fasce di intervento:

     - Per i soggetti il cui bisogno è di tipo prevalentemente educativo- assistenziale con impossibilità a pervenire agli apprendimenti formalizzati:

     a) qualora essi siano inseriti nella scuola dell'obbligo, richiedono il supporto di un educatore a fianco dell'insegnante, la garanzia di adeguata assistenza per l'igiene personale, l'alimentazione, se in scuola a tempo pieno, l'accompagnamento e il trasporto con mezzo adeguatamente attrezzato, l'assistenza medico-riabilitativa e psico-pedagogica fornita dai servizi riabilitativi del territorio;

     b) qualora sia presente anche una minorazione motoria o sensoriale richiedono la disponibilità di materiale didattico, sussidi speciali, protesi, assenza di barriere architettoniche, supporti speciali per i servizi igienici.

     - Per i soggetti il cui bisogno è di tipo prevalentemente terapeutico, con possibilità di accesso agli apprendimenti formalizzati, lo strumento più adeguato è costituito dalle «intese» per un raccordo tra l'équipe che opera gli interventi riabilitativi e la scuola.

     L'équipe riabilitativa opererà con interventi terapeutici specifici fuori o dentro l'orario scolastico per periodi brevi oppure prolungati, a seconda dell'entità e tipo di intervento riabilitativo richiesto.

     Qualora si sia in presenza di minorazione fisica più o meno grave, sarà necessario assicurare l'assistenza personale commisurata, per tipo e durata, al bisogno individuale e fornire sussidi adeguati.

     - Per i soggetti cui c'è identificazione tra intervento educativo e intervento terapeutico.

     Si tratta di soggetti che a causa della natura del loro deficit o disabilità o minorazioni richiedono di essere trattati, anche sul piano educativo e degli apprendimenti, con mezzi di alta specializzazione tecnica e professionale, per periodi più o meno prolungati. Per tali soggetti è necessario che l'intervento scolastico si avvalga di personale con esperienza e specializzazione particolari con interventi strettamente coordinati con l'équipe riabilitativa.

     L'intervento del settore socio-assistenziale è di minore rilevanza in quanto la competenza e la relativa presa in carico, anche degli aspetti socio-assistenziali, è del settore sanitario.

     - Per soggetti con deficit o ritardi soprattutto a carico delle capacità di apprendimento. Per tali soggetti la competenza è esclusiva della scuola alla quale dovrà essere assicurato dall'ente locale eventuale supporto psico-pedagogico.

     Si tratta quindi di attivare nuovi flussi culturali:

     1. nella famiglia;

     2. nei servizi socio-sanitari;

     3. nella scuola;

     4. nell'ambiente di lavoro;

     alternativi alle attuali tendenze culturali che tendono a stigmatizzare, marginalizzare, a ritenere fuori della norma e a considerare l'handicappato come un soggetto da affidare solamente a strutture speciali.

 

3.2 Interventi a sostegno della famiglia

     Le attività di servizio sociale e in particolare l'assistenza domiciliare rappresentano lo strumento portante per il mantenimento dell'handicappato nel proprio ambiente familiare. Si tratta in particolare di fornire:

     - collaborazione educativo-riabilitativa;

     - collaborazione domestica;

     - collaborazione di tipo psicologico-sociale.

     Ovviamente l'attenzione verso le famiglie con disabili, pur differenziata in relazione alla diversità delle esigenze, deve considerare sia i minori sia gli adulti.

 

4. SERVIZI RIVOLTI PREVALENTEMENTE AGLI HANDICAPPATI

 

4.1 Inserimento dell'handicappato nelle strutture educative e scolastiche

     Pur di fronte a problemi istituzionali, organizzativi e strutturali di non facile soluzione l'inserimento di soggetti handicappati nella scuola di ogni ordine e grado deve essere perseguito prioritariamente attraverso una programmazione delle attività che veda contestualmente impegnati Enti locali, organizzazioni scolastiche, organizzazione dei servizi sanitari e socio-assistenziali.

     Gli obiettivi di un intervento necessariamente differenziato sono tesi al conseguimento del massimo grado di autonomia personale possibile attraverso lo sviluppo della motricità, della competenza linguistica e dell'espressione. L'acquisizione, infatti, degli elementari automatismi quali il controllo sfinteri, l'alimentazione, la pulizia personale; l'acquisizione di capacità operative tali da garantire l'inserimento in strutture lavorative pur nell'espletamento di attività elementari: l'acquisizione di un codice di elementari regole di convivenza sono gli elementi fondamentali per la collocazione in un contesto sociale sempre più ampio e differenziato.

     Il metodo consiste nell'individuare le precise tappe evolutive in tutti i settori della personalità e gli strumenti necessari a favorire il loro raggiungimento, elaborando per ogni soggetto un piano individuale di trattamento finalizzato allo sviluppo delle capacità personali residue.

     In generale l'inserimento pone le seguenti esigenze:

     - accertamento delle possibilità di inserimento in rapporto alle condizioni del minore ed al tipo di assistenza dato da appropriate strutture. Sotto questa luce va rivista l'attuale certificazione mirando ad una relazione, fornita dai servizi di base che riporti il quadro globale: situazione sanitaria, psicologica e sociale, per una seria valutazione;

     - ridefinizione dell'organico docente sulla base della normativa vigente e delle integrazioni necessarie da parte dell'Ente locale;

     - riqualificazione di tutto il personale che non si deve esaurire in corsi di qualificazione di base, ma richiede un impegno di formazione permanente comune con gli operatori esterni;

     - integrazione dell'intervento educativo con quello specialistico degli operatori del territorio;

     - definizione degli spazi strutturali idonei ed eliminazione delle barriere architettoniche;

     - organizzazione di strumenti e materiale didattico adeguati;

     - organizzazione dei trasporti e dei servizi scolastici;

     - apporto assistenziale specifico per le esigenze materiali.

     Un apporto assistenziale specifico per le esigenze materiali e sociali degli handicappati inseriti nelle scuole di ogni ordine e grado può essere fornito attraverso l'assegnazione di personale integrativo, al cui onere concorrerà la Regione.

 

4.2 Inserimento lavorativo dell'handicappato nell'ambiente lavorativo e terapia occupazionale

     Per quanto attiene alla formazione professionale è necessario definire in linea preliminare, con chiarezza, gli ambiti di intervento prescelti e le persone che accederanno ai modelli formativi che si andranno a proporre.

     Si premette che la classificazione che segue deve servire solo in fase operativa e quindi in funzione dei percorsi formativi e occupazionali.

     - Persone incapaci di vita di relazione, non autosufficienti: si propongono per essi strutture che forniscano dei servizi di tipo strettamente assistenziale;

     - Persone che si presume non possano mai svolgere alcuna attività lavorativa e che pur essendo capaci di un elementare rapporto relazionale spesso non si presentano autosufficienti;

     - Persone che si presume possano essere avviate nel mondo del lavoro e, in una certa misura, ottenere una pur minima qualifica;

     - Persone handicappate capaci a pieno titolo di ottenere una qualifica.

     In quest'ultimo caso si fa riferimento a soggetti con handicap che, terminando il ciclo dell'obbligo, possono accedere alla scuola secondaria o ai corsi di formazione professionale regionali. E' evidente, infatti, che le suddette persone debbono avere tutte le opportunità che le strutture di ogni ordine e grado della scuola possono offrire.

     Per i soggetti di cui al secondo alinea si propongono centri diurni con attività di terapia occupazionale.

     Per i soggetti di cui al terzo alinea si propone, viceversa, un corso di formazione professionale speciale che può variare come durata e al cui termine si può ipotizzare:

     - il proseguimento del corso per il conseguimento di un livello di qualificazione in rapporto alle potenzialità del soggetto;

     - l'inserimento in corsi normali;

     - l'avviamento ai tirocini di lavoro;

     - il diretto inserimento nel mondo del lavoro.

     Tali corsi speciali si ritiene debbano avvenire all'interno di sedi che utilizzino attrezzature, spazi, personale specificamente adeguati e che siano quindi organizzati anche sul piano dei servizi.

     Mentre nei corsi integrati si conseguiranno normali attestati di qualificazione, nei corsi speciali si rilasceranno attestati indicanti le capacità acquisite dai soggetti ai fini del loro inserimento nel lavoro.

 

4.3 Inserimento dell'handicappato nell'ambiente lavorativo

     Per quanto concerne l'importante problema dell'inserimento lavorativo, è di non lieve intralcio la vigente legge sul collocamento obbligatorio che non è in grado di proteggere in modo adeguato proprio le persone il cui handicap maggiormente incide sulle possibilità di accedere al posto di lavoro o sulle modalità di organizzazione del lavoro.

     Gli interventi proposti vogliono estendere esperienze in parte presenti nella realtà regionale pur collocandosi in un'area assistenziale ampiamente intesa:

     - contributi per l'adeguamento o per l'acquisto di attrezzature occorrenti ad un lavoro autonomo continuativo ovvero all'attività lavorativa presso terzi o cooperative di solidarietà sociale;

     - contributi per servizi di sostegno presso le strutture di lavoro in ordine all'assistenza psicotecnica;

     - borse per tirocini di formazione professionale, comprensive della relativa copertura assicurativa e trasformabili alla scadenza in borse di addestramento, quando non risulti possibile l'inserimento a pieno titolo nella realtà produttiva;

     - borse di inserimento guidato in normali sedi di lavoro, finalizzate all'assunzione, con relativa copertura assicurativa e secondo programmi concordati con i datori di lavoro;

     - contributi per altre iniziative, anche sperimentali, di formazione e di avviamento al lavoro volte a conseguire le finalità di cui alla legge regionale n. 59/1986.

     Le varie forme di contributi ed incentivazioni non vanno intese come surrogato delle disposizioni nazionali sul collocamento, ma come interventi promozionali volti a favorire l'inserimento di soggetti per i quali comunque l'attuale realtà è di esclusione a priori dal mondo del lavoro.

 

4.4 Centri diurni per handicappati gravi oltre i 14 anni

     Per i soggetti oltre i 14 anni di età, caratterizzati da compromissioni tali per cui non è obiettivamente ipotizzabile una loro collocazione nel percorso scolastico, formativo-lavorativo oppure che non sono inseribili nel mondo del lavoro e che costringono a pensare solo in termini di assistenza, vanno organizzate all'interno dei centri diurni quelle opportunità di socializzazione che la famiglia o le strutture residenziali tutelari non permettono.

     In detti centri diurni si potranno impostare attività-stimolo di gruppo o individualizzate per rispondere a esigenze specifiche derivanti da sindromi di particolare natura, in grado di mantenere quanto meno le capacità residue dei soggetti, quali modeste attività artigianali, di manipolazione, espressive, ludiche.

     Per quanto strutturato in termini edilizi rispondenti alle esigenze della sua specifica utenza il centro diurno dovrà essere concepito in termini aperti rispetto al territorio, sia nel senso di accogliere i contributi che il contesto sociale circostante saprà e potrà dare sia nel senso di usufruire di tutte le risorse presenti sul territorio servizi collettivi, sportivi, ricreativi e culturali.

 

4.5 Le strutture residenziali

     Obiettivo di tali strutture è quello di rispondere al bisogno di tutela e di appoggio di coloro che non possono gestire la propria vita in modo indipendente, che risultino impossibilitati a rimanere temporaneamente o permanentemente nel proprio nucleo familiare o per i quali sia stato espletato negativamente - risulti impraticabile - ogni tentativo di applicazione di interventi quali: l'assistenza economica, l'assistenza domiciliare e educativa, gli affidamenti educativi, l'adozione.

     Esse, tuttavia, si devono identificare come servizi aperti che operano in stretto collegamento ed appoggio ad altri servizi del territorio: strutture scolastiche, formative, centri riabilitativi, centri diurni, e che pertanto, in generale non prevedono la presenza festiva degli ospiti in quanto perseguono il mantenimento di un costante rapporto con le famiglie e la parentela nei periodi di vacanza e festività.

     Dette strutture, ovviamente prive di barriere architettoniche, si possono identificare in comunità-alloggio e in centri residenziali.

 

4.5.1 Comunità alloggio

     Si riferisce all'accoglienza, in normali case di abitazione, di piccoli gruppi di soggetti caratterizzati in genere da handicaps.

     Sono riconosciuti come comunità-alloggio anche i gruppi stabili autogestiti formati da persone handicappate e non.

     Devono essere assicurate appropriate forme di assistenza, con la presenza di educatori-assistenti. Le comunità saranno abilitate anche ad ospitare handicappati in temporaneo stato di mancata assistenza.

 

4.5.2 Centri residenziali

     Si tratta di unità abitative indipendenti, indicativamente con una capienza di 20/30 posti, parte dei quali riservati per gli interventi di emergenza, per ospitare esclusivamente soggetti handicappati di diversa gravità, che risultino impossibilitati a rimanere, temporaneamente o permanentemente, nel proprio nucleo familiare.

     Questa soluzione organizzativa può essere adattata a istituti già operanti sul territorio con un numero maggiore di utenti anche se non si ritiene opportuno superare la soglia dei 60 ospiti.

     Inoltre, se nell'istituzione ove si realizzano i suddetti servizi esistono strutture educative e riabilitative, è necessario che le stesse si aprano nei confronti del territorio con modalità e tempi da definirsi tra istituto e amministrazioni competenti del territorio stesso.

 

5. CONSIDERAZIONI FINALI

 

     Quanto fin qui esposto è rivolto a delineare una programmazione di contenuti e di assetti organizzativi. E' ovvio che ciò attenga ad una considerazione attenta delle interrelazioni fra il comparto sociale e quello sanitario, facendo emergere la necessità di un cambiamento.

     Rimane acquisito che:

     - la programmazione degli interventi deve articolarsi contestualmente sul piano tecnico-sanitario e su quello di intervento sociale;

     - occorre prevedere la salvaguardia dei servizi e dei presidi esistenti, sia pubblici sia privati, rafforzandone anzi la funzione in un quadro peraltro preciso di coordinamento e verifica del risultati;

     - per i soggetti portatori di handicaps psico e fisici e, in particolare, per i soggetti portatori di handicap grave o gravissimo, per i quali risulti difficile l'inserimento lavorativo, occorrerà promuovere, oltre ad un adeguato sostegno alle famiglie, l'istituzione sul territorio di centri e strutture di dimensioni ridotte;

     - dovrà essere valorizzata l'azione delle associazioni rappresentative dei cittadini invalidi ed handicappati, con riguardo soprattutto alle loro attività promozionali e alla funzione di stimolo e confronto nei riguardi delle Pubbliche amministrazioni.

     Per quanto in particolare concerne la salvaguardia dei servizi e dei presidi esistenti, un cenno a sé va fatto per l'attività dei Consorzi specializzati per l'assistenza agli handicappati nelle province di Udine, Pordenone e Gorizia. Questi Consorzi fra Comuni e Province operano da tempo in un'ottica di servizi integrati: educazione, formazione professionale, inserimento sociale e lavorativo, assistenza.

     Si tratta di assicurare, con la conferma del sostegno regionale, una migliore programmazione degli interventi, la verifica dei risultati e il necessario coordinamento con gli altri enti ed organismi operanti nel settore, per evitare confusione di ruoli istituzionali e stabilire chiarezza nei flussi finanziari.

     L'idea-guida è di pervenire, anche gradualmente, ad una caratterizzazione dell'attività dei Consorzi essenzialmente incentrata sulle direttrici seguenti di intervento:

     - promozione e sperimentazione di nuove modalità operative;

     - formazione e aggiornamento degli operatori nel più generale quadro regionale;

     - gestione, per conto dei Comuni o delle UU.SS.LL., di specifici servizi o presidi.

     Di rilievo è pure l'attività dei Centri e degli Istituti specializzati privati operanti sul territorio regionale.

     Le attività svolte ricoprono ambiti di intervento sanitario, psico- pedagogico e socio-assistenziale e si rivolgono a soggetti diversificati per tipologia di fruizione nelle varie forme residenziali, diurne, ambulatoriali e domiciliari.

     Un discorso a sé riguarda infine il superamento delle barriere architettoniche e la promozione di una reale mobilità per i disabili fisici. La legge regionale n. 59/1986 ha introdotto una linea di intervento organico per l'eliminazione delle barriere.

     A tale scopo è prevista l'emanazione di apposite norme tecniche da parte dell'Amministrazione regionale, nonché l'adeguamento delle normative urbanistiche e dei regolamenti edilizi comunali.

 

6. PRIORITA' DA PERSEGUIRE NEL TRIENNIO

 

6.1 Assistenza domiciliare a misura di handicap

     Questo servizio è costituito dal complesso di prestazioni di natura socio-assistenziale e sanitaria, prestate al domicilio di singoli utenti e in genere di nuclei familiari comprendenti soggetti a rischio di emarginazione, al fine di consentire la permanenza nel normale ambiente di vita e di evitare il ricorso a strutture residenziali.

     Nell'ambito di questo servizio assumono particolare rilevanza, per l'handicappato in età evolutiva, le prestazioni rese a domicilio dall'educatore. Esse si connotano da un lato come intervento finalizzato a creare le condizioni di igiene mentale necessarie perché la famiglia possa non solo «contenere» il ragazzo, ma costituisca il primo fondamentale nucleo educativo e sia partecipe degli interventi attivati, dall'altro come modalità attuativa di un programma educativo teso ad ottenere l'integrazione dell'handicappato all'interno delle occasioni organizzate di incontro e di aggregazione per la generalità delle persone oppure finalizzato ad un eventuale inserimento dello stesso in struttura diurna.

     Tali interventi, ora realizzati unicamente dai Consorzi per l'assistenza specializzata, dovranno collegarsi con l'unità operativa del servizio sociale di base preposto all'assistenza domiciliare in generale.

     Dovrà inoltre essere formalizzato un apposito accordo con la Direzione regionale della sanità per l'utilizzo delle figure professionali appartenenti a tale comparto.

 

6.2 Centri e residenze sociali per gravi e gravissimi

     Un apposito progetto obiettivo riguarderà inoltre l'istituzione dei centri e residenze sociali per gravi e gravissimi quale risposta alternativa all'istituzionalizzazione.

     Il servizio di accoglimento così indicato presenta le seguenti caratteristiche:

     - si inserisce in una rete complessiva di servizi con i quali è in stretto raccordo: all'interno di questa rete, esso costituisce modalità d'intervento da attivare una volta verificata l'inidoneità di altre a risolvere quel peculiare bisogno;

     - mantiene il soggetto handicappato nel suo contesto socio-ambientale: il centro tiene conto, nelle ammissioni degli utenti, della loro provenienza;

     - ha dimensioni e capacità ricettive limitate;

     - dispone di diverse figure professionali stabili: gli educatori, gli assistenti domiciliari e dei servizi tutelari, gli infermieri, il medico a part-time che concorrono, nell'ambito delle proprie competenze, a soddisfare il bisogno nella sua globalità, avendo come momento unificante delle loro specifiche prestazioni il progetto mirato e personalizzato;

     - prevede rapporti operatore/utente differenziati rispetto alle diverse professionalità coinvolte: in considerazione delle caratteristiche dell'utenza accolta, che richiede prestazioni di alta qualità e particolarmente intense.

 

 

ALLEGATO 3

 

E

    LINEE PROGRAMMATICHE DI INTERVENTO NELL'AREA DELLA DEVIANZA E DELLA

CRIMINALITA'

 

1. Ambito di intervento ed obiettivi

 

2. Diversificazione della pena

 

 

1. AMBITO DI INTERVENTO ED OBIETTIVI

 

     Nella realtà odierna, i problemi connessi all'emarginazione, alla devianza, alla delinquenza hanno acquisito dimensioni, connotazioni e complessità tali da imporre una responsabilità diretta ed un coinvolgimento del governo locale nella predisposizione di linee di intervento e nella gestione di misure atte a fronteggiare situazioni così gravi e multiformi.

     La comprensione che solamente lo sforzo congiunto dello Stato, della Regione, degli Enti locali e della Magistratura poteva servire da argine alla diffusione e all'aggravamento dei fenomeni in questione, ha dato luogo a partire degli anni '70 ad una profonda modifica del quadro legislativo di riferimento.

     Se emarginazione e delinquenza possono trovare possibili soluzioni solo in un generale miglioramento della qualità della vita sociale ed economica, la legislazione attuale fornisce però all'azione delle istituzioni preposte ampi spazi, sia nel campo preventivo sia in quello del recupero e del reinserimento sociale, per un intervento non solamente di contenimento ma in grado di contribuire alla messa in moto di più idonei meccanismi di aggregazione sociale e di miglioramento dei servizi sociali e delle condizioni di vita generali.

     La riforma penitenziaria; legge 26 luglio 1975, n. 354, e relativo Regolamento di esecuzione con D.P.R. 29 aprile 1976, n. 431 prevede interventi della Regione e degli Enti locali in tema di esecuzione penitenziaria ed apre di fatto numerosi spazi di partecipazione nella vita carceraria e nel trattamento del detenuto; la legge 22 dicembre 1975, n. 685, oltre a disciplinare in generale il tema delle tossicodipendenze, prevede l'intervento obbligatorio del servizio sanitario del territorio nell'assistenza ai tossicodipendenti detenuti; il DPR 24 luglio 1977, n. 616 di attuazione del decentramento di competenze dello Stato alle Regioni ed agli Enti locali, stabilisce tra l'altro le funzioni del governo locale nel campo della prevenzione e del trattamento della delinquenza ed in quello del disagio minorile, la legge 24 novembre 1981, n. 689, disciplina, prevedendo il coinvolgimento dell'Ente locale, la materia delle sanzioni sostitutive della pena detentiva ed afferma il principio della territorialità della pena; la legge 12 agosto 1982, n. 532 e la legge 28 luglio 1984, n. 398, disciplinano rispettivamente il ruolo del servizio territoriale nel campo delle misure alternative alla carcerazione preventiva ed in quello della custodia cautelare; la legge 21 giugno 1985, n. 297, prevede, tra l'altro, l'affidamento al servizio sociale, in alternativa al carcere, del tossicodipendente condannato nei confronti del quale sia in corso un programma di recupero. Il quadro legislativo è completato da altre leggi di carattere generale, quali la legge di riforma sanitaria e di carattere specifico, nel campo dell'edilizia penitenziaria, dell'istruzione, della formazione professionale, del collocamento, della formazione del personale, delle case mandamentali, nonché dalla legge 10 ottobre 1986, n. 663 di modifica all'ordinamento penitenziario e alle misure privative e limitative della libertà, la quale prevede maggiori spazi per la fruizione delle misure alternative alla detenzione quali il lavoro all'esterno, la semilibertà, l'affidamento in prova, la detenzione domiciliare, la libertà anticipata ed i permessi-premio.

     Spetta all'Ente locale far fronte all'insieme di queste nuove competenze riferite sia agli adulti sia ai minori. Non si tratta solo di interventi singoli, ma di un modo diverso di condurre la politica dei servizi sociali, integrando tra loro le prestazioni relative alle tematiche in questione con tutte le altre per cui è competente l'Ente locale. Si tratta di riuscire a saldare con continuità prevenzione e terapia interventi singoli e interventi generali, di realizzare processi di partecipazione e di socializzazione su questa tema.

     Per realizzare questi interventi condizioni indispensabili sembrano essere il coordinamento tra il sociale ed il sanitario; lo sviluppo e la specificità del «sociale»; l'articolazione delle Unità sanitarie locali in distretti; il potenziamento, soprattutto per i Comuni sedi di istituti penitenziari, dei servizi di formazione e collocamento al lavoro e delle attività socio-culturali.

 

2. DIVERSIFICAZIONE DELLA PENA

 

     Coinvolgere la società sui problemi connessi alla vita carceraria, ai contenuti della pena significa, per le istituzioni locali, individuare e attivare strumenti e servizi. non specialistici, ma che al contrario favoriscano il massimo di integrazione possibile dei soggetti considerati. Ciò è possibile utilizzando, adeguandoli ai bisogni di cui i soggetti sono portatori, i normali servizi dislocati sul territorio e destinati a tutta la popolazione.

     Più in particolare, il superamento della tradizionale separatezza tra istituzioni carcerarie e società va realizzato attraverso la territorializzazione e la diversificazione della pena.

     All'interno di un progetto mirante all'attivazione delle misure alternative grande importanza assume la possibilità di utilizzare strutture diverse dagli istituti ordinari - quali le case mandamentali, per le quali è già previsto un diretto coinvolgimento degli Enti locali con la legge 5 agosto 1978, n. 469 con sezioni di semidetenzione e di semilibertà, in modo da poter costituire il perno dell'impegno degli Enti locali nel settore.

     Anche l'assistenza sanitaria ai detenuti tossicodipendenti rientra tra le competenze dell'Ente locale: l'art. 84 della legge 685/75, che la disciplina, prevede infatti l'obbligo da parte dell'Amministrazione penitenziaria di procedere alla costituzione su base territoriale di reparti carcerari per tossicodipendenti, d'intesa sia con le Regioni sia con i presidi territoriali di cui all'art. 92 della legge suddetta, cioè i Centri medici di assistenza sociale. Vale la pena di sottolineare come alla base delle innovazioni previste dalla legge 685/75 vi sia l'affermazione del principio della priorità della tutela globale del tossicodipendente e dei bisogni di cura e di reinserimento, evidenziando così, anche rispetto al momento della reclusione, la centralità del ruolo del governo locale, in quanto responsabile del complesso delle misure e degli interventi adottati nei confronti dei tossicodipendenti.

     In questo senso va rilevata la funzione che proprio l'Ente locale potrebbe svolgere utilizzando strutture residenziali pubbliche per la realizzazione, ad esempio, di comunità-alloggio, di appartamenti protetti, di comunità terapeutiche destinati anche all'accoglimento di soggetti tossicodipendenti in alternativa alla detenzione. Inoltre la stipulazione di specifiche convenzioni tra Unità sanitarie locali e Direzioni degli istituti di pena - peraltro già operante per alcuni istituti carcerari della regione - lo strumento con cui i servizi territoriali possono esplicare la propria funzione nella terapia e nel recupero sociale dei detenuti tossicodipendenti. Sarebbe infine auspicabile l'allargamento dello strumento della convenzione ai vari campi di intervento, con particolare riguardo ai servizi, come quelli psichiatrici e dell'igiene mentale, che devono garantire prestazioni non frammentarie o episodiche.

     Si dovrà tendere ad una più stretta intesa fra Amministrazione penitenziaria e Comune di residenza del detenuto dimesso e dovranno essere ricercate concrete forme e modalità di reinserimento, anche lavorativo.

     In tal senso, su proposta della Commissione istituita in tema di disadattamento, devianza e criminalità, verrà definito dalla Giunta regionale un progetto pilota per l'avvio, in questo campo, di iniziative di recupero e di reinserimento.

 

 

ALLEGATO 4

 

AZIONI PROGRAMMATICHE

 

1. L'educazione sociale

 

2. La formazione del personale

     2.1 Obiettivi generali e specifici

     2.2 Percorsi formativi

     2.3 Figure professionali

2.3.1 Assistente sociale

2.3.2 Educatore professionale

2.3.3 Assistente domiciliare e dei servizi tutelari

 

3. La ricerca finalizzata

 

4. Il sistema informativo per il settore dell'assistenza sociale della

Regione Friuli-Venezia Giulia

     4.1 Caratteristiche generali

     4.2 Articolazione del sistema informativo

     4.3 Avvio del sistema informativo socio-assistenziale regionale

 

 

     In questo allegato vengono esposte sinteticamente le linee-guida relative alla specificazione di quelle azioni strumentali necessarie alla realizzazione degli obiettivi di piano, la cui validità, in generale, va ben oltre i confini del primo triennio di attuazione.

     Essi si sostanziano in:

     - educazione sociale;

     - formazione del personale:

     - ricerca finalizzata;

     - sistema informativo.

 

1. L'EDUCAZIONE SOCIALE

 

     La tradizionale disattenzione delle politiche sociali all'analisi della domanda sociale ha portato la pubblica amministrazione a non considerare l'esigenza di intervenire sui modelli culturali e comportamentali in base ai quali l'utenza stabilisce in concreto i suoi rapporti con i servizi.

     Ciò ha comportato l'impossibilità di svolgere ruoli autonomi di prevenzione a tutto vantaggio degli interventi di riparazione, l'incapacità di favorire momenti di autogestione individuali e collettivi di almeno parte dei bisogni con conseguente aggravio sul sistema pubblico e, infine, l'impossibilità di indurre atteggiamenti di autoresponsabilizzazione con le naturali insorgenze di passività nei confronti del sistema dei servizi.

     Per ovviare a questo stato di cose il piano socio- assistenziale assume tra le azioni programmatiche che lo realizzano un programma di educazione sociale che si pone come scopo, appunto, di trasformare gli attuati utenti in soggetti consapevoli e responsabili della gestione delle comuni risorse.

     Gli obiettivi di questa azione si possono così sintetizzare:

     - mutare modelli culturali e comportamentali sociali passivi;

     - innalzare la soglia della tolleranza sociale e la comprensione collettiva dinanzi a fenomeni anche inquietanti come la devianza minorile;

     - accrescere il solidarismo che l'individualismo esasperato delle società avanzate rischia di soppiantare;

     - combattere i processi di emarginazione del «diverso» il malato di mente, l'alcoolista, il drogato;

     - assumere la questione giovanile quale uno dei momenti culturali centrali, per lo sviluppo di nuove intese e nuovi rapporti;

     - combattere i processi di socializzazione distruttiva e autodistruttiva che si diffondono fra elementi e fasce sempre più ampie di popolazione giovanile.

     Perché ciò sia possibile, si tratta di calare questi obiettivi generali in iniziative concrete, rivolte a gruppi di cittadini, a fasce professionali che influenzano l'opinione pubblica, a persone alla cui responsabilità è affidata la formazione di strati di popolazione come gli insegnanti rispetto a studenti e loro genitori, ai medici rispetto agli assistiti; e soprattutto ai giovani, attraverso la scuola di ogni ordine e grado.

     Problemi quali la droga, il suicidio, la devianza minorile, la sessualità, i comportamenti giovanili, l'aborto, i diritti del bambino, la violenza sui minori, la parità uomo-donna, le sottoculture, i miti e i bisogni indotti possono essere oggetto di interesse e quindi di attenzione.

     A tal fine campagne di informazione, a livello di comunicazioni di massa all'altezza di una moderna società, e di divulgazione scientifica, programmi culturali su tematiche e problemi specifici, seminari per insegnanti-genitori-studenti, mostre, documentazione, filmati, ricerche tempestivamente pubblicizzate, conferenze, dibattiti, pubblicazione di materiale informativo e animazione possono essere gli strumenti da utilizzare di volta in volta a seconda degli interlocutori prescelti.

     Ma iniziative puramente informative e divulgative non appaiono sufficienti per abbattere tabù, incidere su modi di pensare e di essere stereotipati, negativistici, consunti, se nel contempo non si favoriscono forme attive attraverso le quali «vivere» i problemi, sperimentarsi, praticare nuove strade, in una parola partecipare.

 

2. LA FORMAZIONE DEL PERSONALE

 

2.1 Obiettivi generali e specifici

     L'organizzazione sul territorio dei nuovi servizi e delle nuove strutture cui competerà la realizzazione degli obiettivi di politica sociale comporta anche una risposta politica e tecnica sui criteri da utilizzare nella identificazione e nella definizione delle funzioni e dei relativi profili professionali degli operatori.

     Ciò presuppone naturalmente uno stretto collegamento fra politica dei servizi e politica della formazione che consenta, oltre che di invertire l'attuale tendenza in cui prevale ancora una formazione professionale che, nella qualità e quantità, risponde solo alla logica istituzionale delle sedi di formazione pubbliche e private; l'acquisizione di una nuova professionalità degli operatori discendente direttamente dalla nuova interpretazione che viene data dei bisogni e dal tipo di servizi che si metteranno in atto per soddisfarli.

     Da questa nuova professionalità dovrà derivare quindi un nuovo tipo di operatività con tratti essenziali completamente diversi da quelli del passato, quali:

     - ambito dell'analisi e dell'intervento esteso in misura tale da consentire una comprensione corretta dei fenomeni e la possibilità di intervenire sia sulle cause sia sugli effetti, quindi, abbandono della settorialità dell'intervento rivolto ad operare sugli effetti già manifestatisi;

     - capacità di invenzione dei modi di intervento originali in relazione alle problematiche che porrà la situazione, quindi, non più interventi generalmente standardizzati e precodificati da leggi e regolamenti;

     - responsabilizzazione dell'operatore di fronte ai problemi ed alle decisioni da prendere nell'ottica prevista dal piano socio-assistenziale;

     - operatività prevalentemente di gruppo, tenuto conto dei compiti di analisi, progettazione ed attuazione degli interventi di cui gli operatori saranno investiti, quindi, abbandono di un contesto che ha privilegiato finora una organizzazione formale e burocratica dei servizi caratterizzata da una parcellizzazione del lavoro e da uno stato di atomizzazione degli operatori.

     La configurazione di questo modello di operatività e di organizzazione dei servizi richiederà per ogni operatore:

     - un idoneo livello di competenza professionale, supportata da una preparazione tecnico-scientifica adeguata per la comprensione dei fenomeni e dei processi che rientreranno nel proprio ambito operativo;

     - la capacità di comprendere le valenze culturali, politiche ed etiche del proprio agire professionale nel contesto operativo, al fine di valutare l'adeguatezza del comportamento professionale in relazione agli scopi da perseguire;

     - capacità creative tali da consentire ad ogni operatore di essere in grado di prevedere nuove risposte ai problemi sempre nuovi emergenti da una situazione sociale oggi fortemente dinamica.

     Da ciò derivano, nell'ambito delle azioni da avviare nel triennio di Piano in termini formativi, due tipi di indicazioni:

     - adeguamento della formazione professionale di base degli operatori dei servizi sociali;

     - graduale aggiornamento di tutto il personale operante nei servizi.

     Un impegno rilevante è rappresentato dal secondo obiettivo, relativo all'aggiornamento e alla riqualificazione del personale attualmente in servizio, poiché si tratterà di far fronte alle esigenze che deriveranno dalla messa in atto di nuovi servizi, per i quali non esiste generalmente una qualificazione adeguata e, nello stesso tempo, di recuperare le carenze formative generali degli operatori rispetto alle modalità di organizzazione e gestione dei servizi che richiederà il territorio.

     Per il triennio di Piano va data comunque priorità alle esigenze di formazione dei coordinatori dei servizi sociali di base e dei dirigenti delle strutture di ricovero.

     Ciò per non pregiudicare o ritardare l'attuazione del Piano, in relazione anche alla scelta di un servizio sociale autonomo e integrato con il versante sanitario solo sul piano funzionale.

     La strutturazione di équipes multiprofessionali su aree territoriali ampie, così come il funzionamento di strutture di ricovero relativamente complesse, richiedono capacità di:

     - coordinamento e direzione del personale;

     - lavorare per programmi e per progetti;

     - rapportarsi funzionalmente ad altri settori di intervento;

     - dialogare con i diversi soggetti istituzionali e sociali;

     - condurre sperimentazioni ed introdurre innovazioni nei metodi e nei contenuti del lavoro.

 

2.2 Percorsi formativi

     Il D.P.R. 10 marzo 1982, n. 162, concernente il «Riordino delle scuole dirette a fini speciali, delle scuole di specializzazione e dei corsi di perfezionamento», prevede che quelle a fini speciali facciano parte dell'ordinamento universitario.

     Si sancisce in tal modo che l'esercizio degli uffici o professioni per i quali non sia necessario il diploma di laurea, ma per i quali è ugualmente richiesta una formazione culturale di tipo universitario, non può essere lasciato alla libera iniziativa di scuole private.

     Da ciò discende che talune figure professionali che andranno ad operare nel settore socio-assistenziale - assistente sociale, educatore professionale - verranno formate in avvenire nell'ambito universitario, ovvero in scuole private convenzionate con le università.

     E' di tutta evidenza però che non tutte le figure professionali usciranno dal sistema scolastico ordinario, per cui, laddove non è richiesta una elevata preparazione professionale, si conviene che sarà sufficiente per alcune figure professionali la frequenza dei corsi istituiti dalla Regione e dagli Istituti professionali di Stato.

     Da questa sintetica distinzione emerge la necessità di precisare il diverso ruolo della Regione nella formazione delle figure in argomento, secondo se queste usciranno dal sistema scolastico statale o da quello regionale.

     Nel primo caso i compiti della Regione saranno esclusivamente quelli di aggiornamento e perfezionamento del personale suddetto, nel secondo caso la Regione dovrà invece intervenire con l'istituzione e la gestione di corsi di formazione professionale di prima qualifica, nonché di quelli di aggiornamento, riqualificazione e perfezionamento.

     La Regione, comunque, in ambedue i casi dovrà impegnarsi per la definizione dei profili professionali e delle scelte relative alla formazione degli operatori sociali; per la programmazione e localizzazione delle sedi formative; per l'avvio di una collaborazione sistematica con le Università ed altre strutture formative, ai fini della formazione tecnico- pratica degli operatori sociali; per la realizzazione di iniziative organiche di aggiornamento e riqualificazione degli operatori in relazione alle future emergenti richieste; per la definizione dei requisiti dei formatori.

 

2.3 Figure professionali

     Per quanto concerne gli operatori dei servizi sociali, si possono identificare, anche sulla base delle conclusioni dei lavori della «Commissione nazionale di studio sui profili professionali ed i requisiti di formazione degli operatori sociali», tre figure professionali: l'assistente sociale, l'educatore professionale e l'assistente domiciliare dei servizi tutelari.

     Queste tre figure, la prima delle quali ha già trovato riconoscimento e disciplina giuridica in sede statale, sono definite, fermo restando tuttavia il loro adeguamento alla realtà regionale, con i seguenti profili professionali:

 

2.3.1 Assistente sociale

     a) Profilo.

     L'assistente sociale è un operatore, che con i principi, le conoscenze, i metodi specifici del servizio sociale, svolge attività professionale, nell'ambito del sistema organizzato delle risorse sociali, in favore di persone singole, di gruppi e di comunità per prevenire e risolvere situazioni di bisogno.

     L'assistente sociale agisce con interventi diretti a:

     - favorire l'autonomia delle persone, l'uso costruttivo da parte delle stesse delle risorse disponibili e la loro capacità di sostenere responsabilmente le proprie funzioni sociali;

     - progettare, organizzare ed amministrare i servizi sociali;

     - realizzare attività di studio e di ricerca sui problemi connessi agli stati di bisogno e per la promozione di prestazioni e servizi sociali più efficienti;

     - diffondere l'informazione di carattere sociale a tutti i livelli.

     b) Percorso formativo.

     I curriculum formativi dovranno consistere in corsi triennali differenziati, istituiti presso Scuole dirette a fini speciali, operanti nell'ambito universitario od in convenzione con quest'ultimo.

 

2.3.2 Educatore professionale

     a) Profilo

     L'educatore professionale è un operatore che, in base ad una`specifica formazione professionale di carattere teorico e tecnico-pratico e nell'ambito di servizi socio-educativi ed educativo-culturali extrascolastici, residenziali o aperti, svolge la propria attività nei riguardi di persone di diverse età, mediante la formulazione e l'attuazione di progetti educativi volti a promuovere e contribuire al pieno sviluppo delle potenzialità di crescita personale e di inserimento e partecipazione sociale, agendo per il perseguimento di tali obiettivi, sulla relazione interpersonale, sulle dinamiche di gruppo, sul sistema familiare, sul contesto ambientale e sull'organizzazione dei servizi in campo educativo.

     Più in particolare, l'educatore professionale svolge:

     - attività di rapporto continuativo con l'utente o gruppi di utenti;

     - attività di progettazione, organizzazione, gestione e verifica dei servizi e delle strutture socio-educative;

     - attività di ricerca, studio e documentazione relativi a bisogni e problemi, nonché ai servizi dell'area socio educativa;

     - attività di informazione di carattere educativo a tutti i livelli.

     b) Percorso formativo.

     I curriculum formativi dovranno consistere in corsi triennali differenziati, istituiti da Scuole dirette a fini speciali, operanti nell'ambito universitario, o in sedi formative istituite o autorizzate dalla Regione.

 

2.3.3 Assistente domiciliare e dei servizi tutelari

     a) Profilo.

     L'assistente domiciliare e dei servizi tutelari è un operatore che svolge attività di aiuto domestico e di assistenza diretta alla persona nei servizi di assistenza domiciliare, nelle strutture residenziali e nei centri diurni.

     Le prestazioni previste per l'assistente domiciliare riguardano lo svolgimento di mansioni integrate relative:

     - all'assistenza diretta alla persona;

     - all'aiuto domestico ed alla vita di relazione;

     - a prestazioni igienico-sanitarie di semplice attuazione, complementari all'attività assistenziale.

     b) Percorso formativo.

     Il curriculum dovrà consistere in un corso formativo, a cui si accede dopo la scuola dell'obbligo, presso sedi formative istituite o autorizzate dalla Regione e dagli Istituti professionali di Stato.

 

3. LA RICERCA FINALIZZATA

 

     La ricerca finalizzata in campo socio-assistenziale assume un preciso valore strategico alla stessa stregua di quella da promuovere nei settori sanitario e dei servizi in genere; settori questi in profonda trasformazione per la stretta correlazione esistente tra sviluppo e modificazione socio-economica da un lato e sviluppo e modificazione dell'organizzazione dei servizi dall'altro.

     Anche in questo caso, infatti, la trasformazione deve essere guidata verso obiettivi conosciuti e chiari per quanto concerne le nuove politiche sociali, sia la organizzazione dei servizi in quantità e qualità sia ancora, il funzionamento, l'innovazione tecnologica, efficienza dei servizi e degli interventi.

     Affinché ciò avvenga, è necessario perciò individuare nel triennio una quota di risorse da destinare alla ricerca, a fronte di un bando regionale che dovrà indicare puntualmente i contenuti e le procedure.

     Gli obiettivi più generali cui dovrà rispondere tale bando possono essere individuati nei seguenti filoni di ricerca:

     a) definizione di nuove politiche sociali e miglioramento delle informazioni sulle condizioni di bisogno e di domanda della popolazione;

     b) approfondimento di nuovi processi, metodi e strumenti idonei per l'informazione e la formazione della popolazione, degli utenti e degli operatori dei servizi;

     c) studio di migliori modalità organizzative, gestionali e manageriali, mirate all'aumento dell'efficienza e dell'efficacia degli interventi ed alla introduzione ed utilizzo di nuove modalità operative e strumenti, comprese le nuove tecnologie.

     Gli ambiti preferenziali verso cui orientare la ricerca nel triennio sono:

     - aspetti di «nuove povertà» che si manifestano - apparentemente nelle aree di maggiori opportunità e ricchezze materiali - con segnali di sofferenza e di malessere come suicidi, tossicodipendenze, devianze, a significare la difficoltà degli individui a trovare una propria identità, l'impotenza delle famiglie a dare assistenza ai bisogni che si creano in esse, la richiesta generalizzata anche se latente delle persone alla società di prendersi maggior cura dei propri desideri di benessere;

     - approfondimenti sulla «famiglia» come operatore sociale informale, identificazione del concreto ruolo che questa può svolgere e di quali supporti abbia bisogno in tal senso da parte dell'Ente pubblico;

     - aspetti di funzionalità ed efficacia dei servizi. L'analisi dei criteri in base ai quali valutare i servizi e gli interventi, la costruzione di un sistema di indicatori di funzionalità e di efficacia, la sperimentazione dei metodi valutativi sono alcuni possibili approcci e sviluppi del tema della valutazione dei servizi;

     - nuovi aspetti di servizi, nuove immagini di interventi «beni- proposta» che abbiano le finalità di aiutare singoli individui e gruppi sociali a sviluppare le proprie capacità e le proprie risorse per pervenire ad una soluzione autonoma e personalizzata di bisogni sociali.

     Occorre quindi stimolare riflessioni e ricerche sulla politica sociale da perseguire in termini di nuove proposte e di sperimentazioni controllate, individuando i modelli operativi, i profili professionali, i fabbisogni formativi, gli strumenti ed i i risultati verso cui orientare le risorse del futuro.

     In particolare, all'interno di questo ambito, la Regione ritiene utile stimolare le sperimentazioni di applicazione e di utilizzo di nuove tecnologie computerizzate ai fini formativi e didattici, di ausilio protesico ed anche a fini gestionali, capaci di orientare la prioritaria riorganizzazione del settore verso la tendenza alla sua innovazione e modernizzazione.

 

4. IL SISTEMA INFORMATIVO PER IL SETTORE DELL'ASSISTENZA SOCIALE DELLA REGIONE FRIULI-VENEZIA GIULIA

 

     La Regione allo scopo di ottenere una rappresentazione della realtà socio-assistenziale e di raccogliere elementi per valutare la congruenza, l'efficienza e l'efficacia degli interventi, attua un sistema informativo socio-assistenziale, nell'ambito delle proprie funzioni di programmazione, indirizzo e coordinamento.

 

4.1 Caratteristiche generali

     Il sistema informativo socio-assistenziale regionale:

     - tratta le informazioni proprie del comparto socio-assistenziale;

     - è collegato ad altri sistemi informativi per l'attivazione di flussi informativi necessari per una corretta lettura dei dati socio- assistenziali;

     - è parte integrante dei sistemi informativi attivati dalla Regione nell'ambito delle proprie funzioni di programmazione;

     - è in collegamento con i sistemi informativi socio- assistenziali delle altre Regioni e parte integrante del sistema informativo socio- assistenziale nazionale.

     A supporto del sistema informativo socio-assistenziale vengono utilizzate tecnologie e procedure informatiche adeguate al volume ed alla qualità dei flussi informativi attivati.

 

4.2 Articolazione del sistema informativo

     Il sistema informativo socio-assistenziale regionale si articola per sottosistemi, specifici dei livelli organizzativi e funzionali individuati dal presente piano.

     Il grado di integrazione dei flussi informativi tra i livelli è in corrispondenza diretta con i rapporti funzionali ed amministrativi individuati dalle leggi dello Stato e della Regione per i soggetti operanti ai diversi livelli.

     Ciascun sottosistema informativo socio-assistenziale deve essere in grado di:

     - rispondere ai bisogni informativi del proprio livello e ambiente di riferimento;

     - mettere a disposizione degli altri sottosistemi le informazioni tratte nell'ambito delle attività svolte al proprio livello o ambiente di riferimento. In particolare le informazioni prodotte sono quelle necessarie agli altri sottosistemi informativi ad esso funzionalmente collegati.

 

4.3 Avvio del sistema informativo socio-assistenziale regionale

     La Direzione regionale del lavoro e dell'assistenza sociale promuove, coordina e definisce gli elementi di rilevazione, elaborazione e diffusione delle informazioni nell'ambito del sistema informativo socio-assistenziale regionale.

     Alla definizione delle specifiche strutturali ed organizzative del sistema informativo socio-assistenziale provvede la Giunta regionale su proposta dell'Assessore al lavoro ed all'assistenza sociale, d'intesa con l'Assessore delegato alla Presidenza del Comitato S.I.E.R.

     Gli oneri connessi con l'automazione dei flussi informativi attivati con l'azione programmatica qui considerata fanno carico all'apposito capitolo previsto per l'impianto, lo sviluppo e la gestione del S.I.E.R.

 

 

ALLEGATO 5

 

LA POLITICA DELLA SPESA

 

     La politica della spesa

 

     La gestione delle risorse impiegate nel piano socio- assistenziale si pone l'obiettivo del miglioramento quantitativo e qualitativo degli attuali livelli dei servizi e l'aumento del rendimento della spesa. A questo scopo le risorse, reali e finanziarie, del piano regionale devono essere finalizzate al conseguimento degli obiettivi di piano, costantemente verificate sulla base degli standards contenuti nei progetti-obiettivo e controllate utilizzando la contabilità dei costi, l'analisi di bilancio ed il controllo budgetario.

     L'assunzione del metodo della programmazione rappresenta quindi, a livello di politica della spesa, un'occasione per superare gli attuali squilibri distributivi, l'eccessiva frammentazione e dispersione della spesa, l'insoddisfacente finalizzazione complessiva degli impieghi attivati con la legislazione settoriale vigente. Tali obiettivi possono essere perseguiti attraverso:

     a) una ricomposizione funzionale della legislazione accorpando in modo organico fonti legislative diverse, come già avvenuto con la legge regionale n. 59/86 sull'handicap, oppure aggiornando e integrando alcune leggi, come già si è fatto per la legislazione sugli asili-nido legge regionale 32/87, comparto in cui l'esigenza attuale è soprattutto quella di contribuire alla loro gestione dato che le opere di realizzazione e di adattamento di strutture riguardano ormai poche situazioni;

     b) l'unificazione e il vincolo delle procedure di spesa delle singole leggi, di cui alla lettera a), agli indirizzi ed obiettivi determinati dalla legge di Piano;

     c) un progressivo passaggio da un'erogazione puntuale e settoriale per la spesa di parte corrente ad un sistema unitario di assegnazione di fondi agli enti gestori del servizio sociale di base, attraverso criteri corrispondenti all'obiettivo di attuare interventi uguali a parità di bisogno e interventi differenziati in rapporto alla specificità delle esigenze socio-economico-ambientali. Quindi progressiva specificazione nei riparti annuali di criteri di spesa pro-capite integrati da correttivi che comportino sia aspetti socio-economici e territoriali, sia esigenze connesse alle caratteristiche dell'utenza come una maggiore presenza di anziani o handicappati;

     d) un ancoraggio, per la residua parte di spesa corrente e per la spesa in conto capitale, all'attuazione dei progetti-obiettivo indicati dalla legge di Piano regionale socio-assistenziale che esprime precise priorità verso i progetti di riconversione del patrimonio edilizio esistente in conformità agli standards di piano e agli obiettivi di reinserimento o di mantenimento nel contesto familiare e sociale;

     e) una complessiva indicazione di priorità anche nei confronti delle risorse autonomamente mobilitabili da parte degli enti locali e delle I.P.A.B. su tre settori d'intervento: potenziamento dell'assistenza domiciliare, riqualificazione e riconversione delle strutture residenziali per anziani non autosufficienti e per handicappati gravi, riduzione dell'area dell'istituzionalizzazione minorile;

     f) un più efficiente impiego delle risorse disponibili sia nella definizione dei rapporti pubblico/privato sulla base dei criteri e standards di Piano sia nell'adeguamento della politica contributiva, definendo in sede attuativa misure che portino a tendenziali uniformità nei criteri di determinazione ed integrazione delle rette per gli istituti accanto a modalità di contribuzioni proporzionali per le prestazioni erogate a fronte di situazioni di bisogno via via meno impellenti e gravi.

     Sulla scorta di questi presupposti le fonti di finanziamento del presente Piano sono individuate non solo negli stanziamenti iscritti al bilancio regionale come fondo globale per il piano socio-assistenziale, corrispondenti a 55 miliardi di lire per il triennio 1988-1990, ma altresì nell'impiego in termini coerenti e finalizzati delle disponibilità finanziarie delle singole leggi settoriali, a loro volta derivanti da risorse proprie della Regione e da assegnazioni dello Stato a destinazione vincolata.

     In particolare e più analiticamente per il finanziamento della gestione corrente dei servizi, afferenti agli interventi complessivamente illustrati all'allegato 3, si individuano per il triennio 1988-1990 le seguenti disponibilità finanziarie in milioni di lire:

 

 

Normativa di riferimento       Anno      Anno     Anno    Totale

                                1988      1989     1990

------------------------------------------------------------------

L.R. 35/81                   16.915    22.387   22.388    61.690

L.R. 70/80                   11.000    11.000   11.000    33.000

L. 698/75                     2.785     2.859    2.937     8.581

L.R. 8/87                       500       500      500     1.500

L.R. 23/65                    1.900     1.900    1.900     5.700

L.R. 40/87                    2.000     2.000    2.000     6.000

L.R. 56/83                      350       350      350     1.050

L.R. 59/86                   14.470    14.470   14.470    43.410

L.R. 32/87                    3.030     3.131    3.235     9.396

L.R. 15/84                    2.550     2.550    2.550     7.650

L.R. 47/86                       50        50       50       150

------------------------------------------------------------------

                              55.550    61.197   61.380   178.127

 

 

     Per quanto attiene alle spese per investimenti, afferenti agli interventi previsti dai progetti-obiettivo, si individuano per il triennio 88/90 le seguenti disponibilità finanziarie in milioni di lire:

 

 

Progetti obiettivo di          Anno      Anno     Anno    Totale

riferimento                    1988      1989     1990

------------------------------------------------------------------

Tutela degli anziani         10.000    10.000   10.000    30.000

Tutela della maternità,       2.000     5.000    5.000    12.000

infanzia ed età evolutiva

Tutela degli handicappati       200       500      500     1.200

- Disponibilità per

annualità costanti

riferite alle strutture

in modo indifferenziato

------------------------------------------------------------------

                              12.200    15.500   15.500    43.200

 

 

     Per quanto concerne poi il finanziamento delle azioni programmatiche occorre distinguere le risorse attivabili da normative esterne al settore socio-assistenziale da quelle reperibili all'interno del settore. Relativamente a queste ultime si prevede l'utilizzo del 5%o dello stanziamento del capitolo 5203 del bilancio regionale relativo alla legge regionale 35/81 nonché l'utilizzo dei fondi previsti al capitolo 5200 e ai capitoli 5410 e 5414 dalla legge regionale 59/86 capo VI. Nel complesso per il triennio 88/90 si avrebbero 1330 milioni di lire e rispettivamente 425 milioni per l'anno '88 e 452,5 milioni per gli anni '89 e '90.

     Infine per tutte le aree di spesa suddette occorre considerare le attività assistenziali di rilievo sanitario che faranno capo al comparto sanitario sulla scorta delle disponibilità di cui alla legge regionale 67/93, pari a 33 miliardi per il triennio 88/90, nonché le determinazioni che interverranno in sede di predisposizione dei bilanci di previsione annuali della Regione.

     Nell'individuare i criteri e le modalità di riparto ed assegnazione delle suddette risorse occorre distinguere fra l'anno 1988 ed il biennio successivo. Nel corso del 1988, infatti, interverranno le delibere della Giunta regionale relative ai progetti-obiettivo in attuazione del presente Piano, le direttive per la predisposizione dei Piani attuativi provinciali e per le forme associative dei Comuni finalizzate alla gestione dei servizi sociali di base, nonché una consequenziale revisione della legge regionale 35/81 che potrà, fra l'altro, portare ad un superamento di alcune normative settoriali.

     Per l'anno 1988, pertanto, rimarranno in vigore le procedure di assegnazione già adottate per l'esercizio finanziario 1987 per il riparto della spesa corrente mentre, per le spese di investimento, la legge regionale 14 dicembre 1987, n. 44 supplirà all'assenza di progetti- obiettivo e dei conseguenti Piani attuativi provinciali.

     In seguito si potrà invece passare a riparti dei fondi regionali su base provinciale e, da questo livello, procedere ad assegnazioni agli enti gestori dei servizi.

     Ciò avverrà certamente per la globalità delle spese di investimento riferite ai progetti-obiettivo, mentre per i finanziamenti delle gestioni correnti occorrerà valutare in sede di revisione della legge regionale 35/81 l'opportunità di istituire un Fondo unico regionale socio- assistenziale, in cui conglobare buona parte delle disponibilità sopra evidenziate, da ripartirsi su base provinciale con criteri più selettivi e mirati di quelli attualmente in vigore e conferendo, per questa via, alle Amministrazioni provinciali un sempre maggiore potere di indirizzo, di coordinamento e di programmazione dei servizi territoriali.

     Necessariamente, quindi, anche sul versante della spesa, il presente Piano avvia un processo di razionalizzazione e di maggior finalizzazione nell'utilizzo delle risorse che procederà per successivi affinamenti e specificazioni. E, d'altra parte, ciò non poteva essere evitato perseguendo la Regione, attraverso il Piano, innovazioni sia sul piano istituzionale sia nell'organizzazione dei servizi.

     Infine, in tale mutamento di indirizzi e modalità gestionali dovranno rientrare anche le risorse autonomamente attivate dagli Enti locali e dalle I.P.A.B. dal momento che la realizzazione degli obiettivi del Piano presuppone un coordinato ed unitario utilizzo delle complessive risorse destinate nella regione ai servizi socio-assistenziali.

 

 


[1] Legge abrogata – a eccezione del comma 4 dell’art. 22 – dall’art. 65 della L.R. 31 marzo 2006, n. 6, con effetto a decorrere dalla data ivi indicata.

[2] Articolo abrogato dall’art. 16 della L.R. 17 agosto 2004, n. 23.

[3] Articolo abrogato dall’art. 16 della L.R. 17 agosto 2004, n. 23.

[4] Articolo abrogato dall’art. 16 della L.R. 17 agosto 2004, n. 23.

[5] Comma abrogato dall’art. 16 della L.R. 17 agosto 2004, n. 23.

[6] Articolo abrogato dall’art. 16 della L.R. 17 agosto 2004, n. 23.

[7] Articolo così sostituito dall'art. 7 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51 e successivamente modificato dall'art. 206 della L.R. 28 aprile 1994, n. 5.

[8] Comma aggiunto dall'art. 88 della L.R. 1º febbraio 1991, n. 4.

[9] Articolo così sostituito dall'art. 8 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51.

[10] Comma integrato dall'art. 9 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51 e così sostituito dall'art. 5 della L.R. 26 aprile 1995, n. 20.

[11] Comma così sostituito dall'art. 14 della L.R. 25 marzo 1996, n. 16.

[12] Articolo abrogato dall'art. 18 della L.R. 20 febbraio 1995, n. 12.

[13] Articolo abrogato dall'art. 18 della L.R. 20 febbraio 1995, n. 12.

[14] Articolo così sostituito dall'art. 9 della L.R. 9 settembre 1997, n. 32.

[15] Comma così sostituito dall'art. 62 della L.R. 19 dicembre 1996, n. 49.

[16] Comma così sostituito dall'art. 10 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51.

[17] Articolo aggiunto dall'art. 1 della L.R. 7 marzo 1990, n. 10.

[18] Articolo modificato con LL.RR. 7 marzo 1990, n. 10 e 30 giugno 1993, n. 51 e abrogato dall'art. 64 della L.R. 19 dicembre 1996, n. 49.

[19] Vedi la sovvenzione straordinaria di cui all'art. 26, comma 4, della L.R. 7 settembre 1992, n. 30.

[20] Comma abrogato dall'art. 4 della L.R. 23 gennaio 2007, n. 1.

[21] Frase così modificata dall'art. 12 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51.

[22] Vedi l'autorizzazione di spesa di cui all'art. 53, comma 11, della L.R. 7 febbraio 1990, n. 3.

[23] Allegato abrogato dall'art. 64 della L.R. 19 dicembre 1996, n. 49.

[24] Denominazione così modificata dall'art. 13 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51.

[25] Denominazione così modificata dall'art. 13 della L.R. 30 giugno 1993, n. 51.