§ 2.1.11b - Del. C.R. 23 dicembre 1987, n. 871.
Deliberazione del Consiglio Regionale 23 dicembre 1987, n. IV/871. Piano regionale socio-assistenziale per il triennio 1988-1990.


Settore:Codici regionali
Regione:Lombardia
Materia:2. sviluppo sociale
Capitolo:2.1 assistenza sanitaria
Data:23/12/1987
Numero:871

§ 2.1.11b - Del. C.R. 23 dicembre 1987, n. 871. [1]

Deliberazione del Consiglio Regionale 23 dicembre 1987, n. IV/871. Piano regionale socio-assistenziale per il triennio 1988-1990.

(B.U. 16 marzo 1988, n. 11, 1° s.s.).

 

IL CONSIGLIO REGIONALE DELLA LOMBARDIA

 

Omissis

 

Delibera

 

     1. di approvare il Piano regionale socio-assistenziale per il triennio 1988/1990 e relativi allegati «progetto obiettivo "la prevenzione degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali" (all. 1) e "normativa tecnico-edilizia e gestionale per le strutture e servizi socio-assistenziali" (all. 2), che costituiscono parte integrante della presente deliberazione;

     2. di stabilire, per le motivazioni espresse in premessa, che, mentre i parametri di personale sociale per la costituzione delle équipes pluridisciplinare distrettuale sono immediatamente operativi e vincolanti, i parametri di personale sanitario sono da considerarsi veramente indicativi;

     3. di impegnare la Giunta Regionale a proporre al Consiglio entro 90 giorni dall'approvazione del Piano una proposta di direttiva per la realizzazione del distretto socio-sanitario;

     4. di impegnare la Giunta, per quanto riguarda gli adeguamenti agli standard gestionali ai fini del rilascio delle autorizzazioni al funzionamento a predisporre, con il parere della Commissione competente, una apposita direttiva alle Amministrazioni Provinciali con l'indicazione dei requisiti aggiuntivi rispetto a quelli già definiti dal Piano;

     5. di demandare la Giunta Regionale a provvedere alla costituzione di tre commissioni composte da esperti esterni e interni alla Amministrazione regionale, per le finalità e con i compiti specificati nella premessa del presente provvedimento;

     6. di dare atto che le indicazioni finanziarie del Piano non comportano assunzione di impegni di spesa, per i quali si dovrà provvedere mediante successivi provvedimenti legislativi e/o deliberativi in conformità alle vigenti procedure. Piano regionale socio-assistenziale per il triennio 1988-1990

 

Capitolo I

INDIRIZZI GENERALI E DI COORDINAMENTO

 

1.1. Le finalità

1.2. Gli obiettivi generali

1.3. Gli obiettivi specifici assunti nell'area di intervento 1.4. Il controllo del perseguimento degli obiettivi

1.5. Gli standard come elemento essenziale della pianificazione

     assistenziale

 

Capitolo II

GLI ELEMENTI STRUTTURALI DEL PIANO

 

2.1.     Il quadro istituzionale e l'indicazione dei livelli

obbligatori di gestione

2.1.1.   Il Comitato di Coordinamento

2.1.2.   Criteri per l'individuazione dei livelli di gestione

2.1.2.1. Funzioni da svolgere obbligatoriamente a livello

associato

2.1.2.2. Funzioni per le quali l'individuazione dei livelli di

gestione è lasciata alla decisione locale

2.1.3.   Ruolo delle Province

2.2.     Il modello organizzativo e funzionale di riferimento

2.2.1.   Il servizio di assistenza sociale dell'USSL

2.2.1.1. Quadro delle funzioni di pertinenza del servizio

2.2.1.2. Personale del servizio

2.2.1.3. Indicazioni per l'articolazione del servizio in Unità

Operative

2.2.1.4. Il responsabile del servizio

2.2.2.   Dipartimenti - Distretti socio-sanitari

2.2.2.1. Il dipartimento zonale Handicap

2.2.2.2. Il distretto socio-sanitario di base

2.2.3.   Standard organizzativo complessivo del servizio di

assistenza sociale dell'USSL

2.3.     I circuiti e le procedure programmatorie

2.4.     Indirizzi regolamentari e procedure in relazione alla

fruizione dei servizi

2.4.1.   Tutela dei diritti degli utenti e criteri per l'accesso

ai servizi

2.4.2.   Regolamentazione dei rapporti finanziari tra Enti ed

utenti

2.5.     Disciplina del rapporto pubblico/privato nell'esercizio

delle attività assistenziali

2.5.1    Riferimenti normativi a adempimenti programmatori

2.5.2    Disciplina dell'autorizzazione al funzionamento

2.5.3    Disciplina della idoneità al convenzionamento

2.5.4.   Tempi e modalità di adeguamento agli standard strutturali

e gestionali

2.6.     Il volontariato quale soggetto concorrente alla

realizzazione del sistema socio-assistenziale

2.7.     La cooperazione

 

Capitolo III

LE RISORSE FINANZIARIE

 

3.     Le risorse finanziarie

3.1.   Il fondo sociale

3.1.1. Le risorse storicamente assegnate al Settore Assistenza

3.1.2. Il fondo sociale per gli anni 1988/1990

3.2.   Il fondo sanitario: le quote interagenti con il sistema

socio-assistenziale

3.3.   Le risorse esterne al bilancio regionale

3.3.1. Le risorse dei Comuni e delle Province

3.3.2. Le risorse delle IPAB

3.3.3. Le risorse dello Stato

3.4.   Le modalità di utilizzo del fondo sociale

3.4.1. Il fondo per investimenti

3.4.2. I fondi per spesa corrente

3.4.3. Classificazione e quantificazione dei fondi di parte

corrente per il mantenimento e lo sviluppo dei servizi 3.4.4. Modalità di attribuzione di fondi per il mantenimento e lo

sviluppo

 

Capitolo IV

GLI INTERVENTI DEL PIANO

 

4.     L'integrazione socio-sanitaria: i progetti obiettivo e le

azioni programmate

4.1.   Il progetto obiettivo «Riconversione delle strutture

socio-assistenziali»

4.1.1. Finalità

4.1.2. I risultati del primo progetto di riconversione, attuato

con la L.R. 3 febbraio 1983, n. 11

4.1.3. Gli obiettivi di lungo periodo

4.1.4. Gli obiettivi per il triennio di validità del Piano

4.1.5. Procedure per la programmazione zonale

4.1.6. Criteri e vincoli per la Programmazione zonale

4.1.7. Le proposte di priorità zonale finalizzate alla concessione

di finanziamenti regionali

4.2.    Le azioni programmate

4.2.1.  L'area dei minori, dell'età evolutiva e del disadattamento

4.2.1.1. Finalità generali e obiettivi

4.2.1.2. Il modello organizzativo

4.2.1.3. Le strategie e le modalità di intervento

4.2.1.3.1. Area della prevenzione

4.2.1.3.2. Area della riparazione

4.2.2.  L'area della tossicodipendenza

4.2.3.  L'area della tutela e della salute mentale

4.2.4.  L'area delle vecchie e nuove povertà

4.2.5.  L'area dell'intervento socio-assistenziale nell'ambito

carcerario

4.3.    La formazione del personale socio-assistenziale

4.3.1.  Premessa teorica

4.3.2.  Finalità generali

4.3.3.  Ambiti di intervento e ruoli istituzionali

4.3.4.  Figure professionali

4.3.5.  Quantificazione del fabbisogno formativo

4.3.6.  Dalla rilevazione del fabbisogno formativo alle

caratteristiche qualitative dei progetti formativi

4.3.7.  Strategie per la costituzione di strumenti a sostegno

delle attività di formazione

4.4.    Il sistema informativo

4.4.1.  Descrizione

4.4.2.  I sottoinsiemi cardinali del sistema informativo

4.4.2.1. Il controllo di gestione sui servizi e i flussi

informativi amministrativi

4.4.2.2. Il Piano delle ricerche sociali

4.4.2.3. Il Piano delle attività sperimentali

 

ALLEGATI

 

Allegato n. 1: Il Progetto Obiettivo «La prevenzione degli handicap, la

riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e

sensoriali».

Allegato n. 2: Normativa tecnico-edilizia e gestionale per le strutture e i

servizi socio-assistenziali.

 

 

Capitolo I

INDIRIZZI GENERALI E DI COORDINAMENTO

 

     1.1 Le finalità del piano

     Le «Linee Programmatiche per il Piano socio-assistenziale» approvate dal Consiglio Regionale il 28 gennaio 1982 con delibera n. 111/550 avevano già correttamente individuato le due variabili strategiche con le quali la programmazione del settore avrebbe dovuto misurarsi assumendone il superamento come finalità fondamentale del Piano. Già allora si erano correttamente evidenziate le variabili-cornice che caratterizzano e modellano l'attuale sistema di erogazione dei servizi socio-assistenziali. Tali caratteristiche di fondo consistono, come noto:

     a) nella «residualità» dell'intervento assistenziale all'interno delle politiche sociali complessive;

     b) nello «squilibrio» esistente tra i vari modi di intervento operativo: infatti gli interventi riparatori e di emergenza assorbono una parte consistente delle risorse finanziarie disponibili a scapito ovviamente degli interventi di sostegno e, ancor più, di quelli preventivi; ancora, è elevata l'incidenza di interventi temporanei rispetto ad azioni organizzativamente più complesse ma continuative;

     c) nello «squilibrio» esistente a livello territoriale, e cioè nella disomogenea distribuzione dei punti di erogazione delle prestazioni sul territorio regionale, tale da non consentire una fruizione uguale dei servizi da parte di tutta la popolazione lombarda;

     d) nello «squilibrio» dato dal perdurare di una incidenza eccessiva del ricorso al ricovero residenziale quale modalità prevalente di risposta al bisogno.

     La diminuzione significativa e progressiva della residualità e la riduzione degli squilibri del settore socio-assistenziale sono stati da sempre e restano le finalità strategiche obbligate.

     Altrettanto obbligata era e resta la processualità attraverso la quale le due finalità vanno perseguite in quanto il superamento della residualità è la precondizione necessaria all'aggressione degli squilibri che ancora caratterizzano gli interventi socio-assistenziali.

     La residualità, difatti, è un condizionamento strutturale che condanna ineluttabilmente le politiche sociali alla dispersione in micro-interventi, che rende sempre negativamente obbligata la scelta tra investimento stabile e prestazione episodica, tra prevenzione e riparazione, che obbliga il sistema a ritardare continuamente il decollo dall'assistenzialismo alle politiche di sicurezza sociale.

     Solo a partire da un superamento significativo della residualità delle risorse impegnate dal sociale si può realizzare l'accumulazione primaria capace di alimentare gli investimenti necessari a correggere le diseconomie e gli squilibri, e ad espandere le capacità di intervento almeno nella stessa direzione della crescita della domanda di assistenza.

     Si può benissimo comprendere, quindi, come l'esigenza di individuare le risorse aggiuntive necessarie alla manovra programmatoria sia per il presente Piano triennale l'esigenza fondamentale.

     A maggior ragione tale esigenza si pone drammaticamente, laddove si consideri che la residualità del settore, all'interno delle risorse regionali correnti, lungi dal diminuire, è stata caratterizzata da un andamento costantemente decrescente delle risorse autonome destinate al Settore Assistenza sul totale dei corrispondenti stanziamenti regionali, la cui incidenza è passata dal 17,2% del 1979 al 10,7% del 1985.

     La capacità di investimenti del settore assistenziale è stata sino al 1982 marginale con punte di significatività tutte circoscritte e conseguenti al Piano di costruzione degli asili nido, mentre risultava assolutamente carente l'intervento nelle altre aree (anziani, handicappati) a fronte di bisogni e domanda crescente.

     Ciò ha comportato la necessità, per il Settore, di avviare un processo programmatorio orientato a finalizzare le risorse disponibili, spostando l'asse degli interventi nella direzione delle aree prima evidenziate, attraverso interventi anticipativi del Piano. All'interno di tale processo, ha assunto rilevante significatività l'insieme degli investimenti mobilitati dalla L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 di riconversione delle strutture socio-assistenziali, anche per la anticipazione di alcuni elementi portanti della strategia programmatoria che caratterizza il presente Piano.

     Pur in carenza di fondi regionali autonomi aggiuntivi, si è potuto avviare un parziale processo di superamento delle residualità, ottenendo alcuni utili risultati, sia attraverso l'apporto di risorse «esterne» che attraverso la parallela riqualificazione delle risorse «interne» mediante lo storno da settori caratterizzati da fenomeni involutivi della domanda verso settori con le caratteristiche opposte.

     1) L'aumento di risorse attraverso apporti esterni si è realizzato, e ancor più si deve realizzare, lungo la linea oggettivamente privilegiata consistente nell'utilizzo del fondo sanitario per la copertura degli oneri delle funzioni a rilievo sanitario assolte dal comparto socio- assistenziale, in coerenza alle disposizioni dettate dalla legge 27 dicembre 1983, n. 730 e dal D.P.C.M. di indirizzo e coordinamento dell'8 agosto 1985.

     Tale linea, la cui legittimità trova ampi consensi nella cultura e nella prassi degli interventi preposti alla tutela della salute nel nostro Paese, è tra l'altro giustificata dalla spiccata evoluzione delle spese sanitarie rispetto a quelle assistenziali, il cui rapporto di 20 a 1, al tempo delle linee programmatiche, è passato all'attuale rapporto di 50 a 1.

     Secondo tale linea, le risorse del fondo sanitario possono e debbono coprire gli oneri delle funzioni a rilievo sanitario assolte dal comparto sociale e dai suoi operatori.

     Lungo questa linea, già attuata nei confronti degli interventi rivolti agli anziani non autosufficienti, sono state individuate modalità nuove di composizione delle risorse del fondo sanitario e del fondo sociale, che assegnano all'integrazione tra i due sistemi un'efficacia e delle prospettive ben diverse da quelle rese obbligate dalla residualità assoluta di una componente rispetto all'altra.

     2) La riqualificazione delle risorse intere è stata attuata attraverso un costante spostamento dalle spese correnti agli investimenti e, all'interno delle spese correnti, da un analogo spostamento dell'asse degli interventi dal polo debole, erogazioni di prestazioni, al polo forte, impianto di reti di unità d'offerta.

     E' una linea che, come già accennato, ha avuto i suoi successi più evidenti, e l'anticipazione della logica di piano più vistosa, nel Progetto Obiettivo «Riconversione delle strutture socio-assistenziali» normato dalla legge regionale 3 febbraio 1983, n. 11.

     Con questa legge si è avviato un processo di investimenti nel settore che non ha precedenti nella sua storia e che ha pochi esempi di tale rilevanza nelle dinamiche recenti delle politiche sociali nel nostro Paese.

     Ciò apparirà meno enfatico laddove si consideri che, alla luce della storia degli investimenti socio-assistenziali, i piani di finanziamento della Legge Regionale 3 febbraio 1983, n. 11 assegnano, a copertura delle 79 proposte di piani zonali già predisposte ed approvate secondo le rigorose procedure previste dalla Legge sunnominata, L. 48 miliardi di investimenti regionali aggiuntivi alle quote di investimenti reperiti in sede locale per le opere progettate.

     Significativo delle capacità di riqualificazione degli impieghi sociali che tale Piano rappresenta è il fatto che, del volume di investimenti da esso resi possibili, i 2/3 [32 miliardi su 48] derivino da risorse interne di provenienza statale, in passato vincolate a settori caratterizzati da involuzioni della domanda e conseguenti scarse capacità di impiego.

     In relazione all'esigenza di creare le condizioni necessarie a rendere assumibili gli obiettivi individuati, va sottolineato che la riqualificazione della spesa sociale lungo le direttrici prima esposte (da spese correnti ad investimenti, da prestazioni a servizi); mentre ha un'immediata ed enorme efficacia nei confronti di alcuni tra gli squilibri del sistema individuati (squilibri tra le varie modalità d'intervento: temporanee/continuative, riparatorie/preventive, istituzionalizzanti e non), ha invece possibilità di agire sugli squilibri territoriali solo in maniera mediata e in tempi lunghi.

     L'intervento sullo squilibrio territoriale delle possibilità d'offerta ottiene la sua massima efficacia quando si attua preventivamente sulle localizzazioni attraverso una strategia di insediamenti razionalmente collegata ai fabbisogni ed ai reali bacini d'utenza.

     Nel caso di reti consolidate, a prescindere da tale razionalità insediativa, la correzione degli squilibri territoriali tra aree di eccedenze coesistenti con aree di scarsità, non può che passare attraverso i tempi necessariamente non brevi delle riconversioni dei preesistenti presidi, come la Legge Regionale 3 febbraio 1983, n. 11 ha dimostrato soprattutto nei casi delle residenze collettive per anziani e degli asili nido.

 

     1.2 Gli obiettivi generali del piano

     Come visto nel paragrafo precedente, le finalità del presente Piano socio-assistenziale restano quelle già individuate dalle «Linee Programmatiche», con la differenza che la realizzazione delle loro precondizioni le rende ora perseguibili con successo.

     Analogamente a quanto avvenuto per le finalità, il Piano può passare dalla individuazione degli obiettivi alla loro assunzione, con probabilità di successo perché, anche in questo caso, la fase di transizione, che si chiude con la definizione di questo primo Piano socio-assistenziale, ha costruito e in molti casi ha già provveduto all'approvazione anticipata dei seguenti decisivi presupposti alla definizione dei suoi fondamentali requisiti:

     - giuridico-normativi (L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 «Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia» entrata in vigore il 23 gennaio 1986);

     - istituzionali organizzativi (Delibera Consiglio Regionale n. III/1730 del 10 ottobre 1984 «Istituzione e prime indicazioni organizzative sul servizio di assistenza sociale delle USSL» - Circolare n. 8/1984: «Istituzione del servizio di assistenza sociale delle USSL; indicazioni e procedure attuative»);

     - programmatori procedurali ( L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 «Riconversione delle strutture socio-assistenziali» e delibere annuali di Consiglio; «Indicazioni e procedure per l'esercizio a livello di zona delle funzioni di programmazione e coordinamento nel settore socio- assistenziale»);

     - tecnico-funzionali; standard strutturali delle unità d'offerta costituenti il sistema socio-assistenziale.

     Coerentemente e conseguente a tutto ciò, il presente Piano assume per il triennio '88-90 i seguenti 13 obiettivi generali ed i relativi indici di realizzazione:

 

 

---------------------------------------------------------------

Finalità          Obiettivi        Indici di realizzazione nel

                                   triennio

---------------------------------------------------------------

                  1. Istituzione   100%  Nell'arco del triennio

                  del servizio di       l'istituzione deve essere

                  assistenza socia-     avvenuta in tutte le USSL

                  le della USSL e

                  sua articolazione

                  nelle previste

                  unità operative

 

A) Completamento  2. Istituzione    65%  Assumendo l'indicazione

dell'impianto     dei distretti         della proposta di Piano

organizzativo     socio-sanitari        Sanitario Nazionale, nel

istituzionale     di base e rela-       triennio 88/90 deve

                  tive équipes          essere attuato il 65&% di

                  uniche integrate      distretti socio sanitari

                                        di base.

 

                  3. Istituzione   100%  Istituzione di tale

                  del dipartimen-       struttura entro la fine

                  to handicap e         del 1990 in tutte le

                  del relativo          USSL lombarde.

                  nucleo multi-

                  disciplinare.

 

                  4. Istituzione        Nell'arco del triennio

                  dell'Ufficio          verrà sperimentata la

                  zonale di             istituzione di detto

                  pubblica tutela.      ufficio nel 20% delle

                                        USSL lombarde.

 

B)

Omogeneizzazione  5. Adeguamento dei    vedi paragrafo 1.3

delle             presidi               «Obiettivi specifici»

prestazioni       socio-assistenziali   e paragrafo 2.5.4.

                  agli standard         «Tempi e modalità di

                  gestionali.           adeguamento agli

                                        standard strutturali

                                        e gestionali».

                  6. Adeguamento dei

                  presidi socio-as-

                  sistenziali agli

                  standard gestionali.

                  7. Superamento delle

                  disomogeneità delle

                  incidenze dei contri-

                  buti regionali sui

                  costi di gestione

                  delle diverse tipo-

                  logie d'offerta, in

                  relazione alla quota

                  di mantenimento dei

                  servizi.

                  8. Superamento della

                  disomogeneità delle

                  incidenze dei contri-

                  buti regionali sui

                  costi di gestione della

                  stessa tipologia d'offerta.

 

C) Sviluppo       9. Tasso di        5% Da ottenere attraverso

programmato       sviluppo              finanziamenti aggiuntivi

                  programmato della     corrispondenti ad incre-

                  rete dei presidi      menti del 2.5% annuo e

                  socio-assistenziali.  con processi di raziona-

                                        lizzazione della spesa.

 

D) Adeguamento    10. Superamento delle

e sviluppo        disomogeneità in campo

politiche         di prima formazione e

formative         sviluppo programmato

regionali         della stessa.

                  11. Qualificazione del

                  personale in servizio

                  privo delle relative

                  qualifiche

                  professionali.

                  12. Aggiornamento e

                  riqualificazione per-

                  sonale in servizio sul-

                  la base di precise con-

                  figurazioni analizzate.

 

E) Attivazione    13. Messa a punto del    Da completare entro

di meccanismi     Sistema Informativo      il triennio.

di verifica       Regionale

del               Socio-Assistenziale.

raggiungimento

quali-quantitativo

degli obiettivi.

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     Obiettivo n. 1: Istituzione del Servizio di assistenza sociale dell'USSL e sua articolazione nelle previste Unità Operative.

     Di questo primo obiettivo generale del Piano socio-assistenziale la realizzazione è assolutamente necessaria ed urgente, da qui l'assunzione di un indice di realizzazione del 100%. Ciò non solo per la centralità che il servizio di assistenza sociale dell'USSL viene ad assumere all'interno delle possibilità di successo delle strategie di integrazione tra sociale e sanitario, ma anche alla luce delle funzioni di programmazione e coordinamento comunque attribuite all'USSL, nonché dell'individuazione operata col presente Piano (si veda in dettaglio il paragrafo sul modello organizzativo) dei servizi e delle prestazioni la cui titolarità va riferita obbligatoriamente al livello dell'Associazione dei Comuni costituenti l'USSL.

     Come si vedrà nella parte di Piano a cui si rimanda, ottemperando al disposto dell'articolo 7 della legge regionale 5 aprile 1980, n. 35 e dell'art. 14 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 «Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia», sono state considerate come funzioni e servizi da gestire obbligatoriamente a livello associato tutte quelle attività caratterizzate da un alto livello di integrazione socio-sanitaria, e tra le altre, la gestione degli interventi e dei presidi predisposti per gli anziani non autosufficienti (strutture protette e strutture miste con reparti protetti) e handicappati (centri residenziali, centri socio-educativi). Questo fatto rende necessario ed urgente il completamento dell'impianto organizzativo delle USSL lombarde, in quanto, come risulta evidente, all'esigenza di far fronte ai compiti e alle funzioni fin qui già assolte dalle componenti sociali dell'organizzazione zonale, si aggiunge ora l'esigenza di fornire immediatamente il referente organizzativo della titolarità delle funzioni e dei servizi il cui esercizio è stato reso obbligatoriamente zonale.

 

     Obiettivo n. 2: Istituzione dei distretti socio-sanitari di base e relative équipes uniche integrate.

     In relazione a questo secondo obiettivo, il Piano socio-assistenziale, recependo le indicazioni della proposta di Piano Sanitario Nazionale, assume un indice di realizzazione corrispondente all'impianto, nel triennio, di almeno il 65% dei distretti socio-sanitari di base.

     Per quanto attiene le concrete modalità insediative dei distretti socio-sanitari, gli Enti Responsabili dei servizi di zona dovranno tener conto di quanto disposto dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 «Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali della Regione Lombardia» e, precisamente, di quanto previsto all'art. 17 in merito all'équipe residenziale distrettuale e all'art. 18 per gli altri operatori del distretto.

     Il presente Piano socio-assistenziale al quale, a norma del punto 2 dell'art. 17, era demandato il compito di definire puntualmente le attività socio-assistenziali da organizzare in ciascun distretto, nonché lo standard minimo di personale riferito ad ogni singola figura professionale necessario per lo svolgimento delle predette attività, contiene nel paragrafo sul modello organizzativo, al quale si rimanda, l'individuazione delle funzioni e degli standard di cui sopra e pertanto consente l'attivazione dei processi tesi alla realizzazione di questo obiettivo.

     La recente costituzione di un'apposita Commissione di studio formata dai rappresentanti dei tre Settori interessati (Sanità, Assistenza, Coordinamento), consentirà in tempi brevi di definire, sia sotto il profilo organizzativo che dei contenuti, gli indirizzi regionali necessari per la completa attuazione del predetto obiettivo.

 

     Obiettivo n. 3: Istituzione del dipartimento handicap e del relativo nucleo dipartimentale zonale.

     Questo obiettivo generale del Piano rappresenta anche una delle esigenze fondamentali del relativo progetto-obiettivo più avanti contenuto.

     Nel rimandare alla trattazione organica della tematica dell'handicap e delle relazioni tra gli obiettivi specificatamente assunti nel triennio in questo settore, si riporta qui fedelmente la declinazione puntuale di questo obiettivo.

     Nell'ambito dei provvedimenti organizzativi ed operativi destinati a razionalizzare e ad integrare in un insieme significativo e coerente la qualità e la destinazione di tutti gli interventi sociali e sanitari in materia di handicap, la costituzione in ogni USSL del dipartimento e del relativo nucleo dipartimentale assume una rilevanza fondamentale. Come già visto, solo l'esistenza di tale struttura di riferimento rende possibile:

     - una lettura organica dei bisogni;

     - l'integrazione nella definizione e nell'attuazione delle strategie di intervento;

     - un accesso ed una fruizione corretta delle opportunità di trattamento.

     Coerentemente a questi assunti, il P.O.H. perseguirà l'istituzione, entro la fine del triennio di riferimento, del nucleo dipartimentale zonale in tutte le USSL lombarde.

     A questi nuclei zonali, vanno aggiunti 4 nuclei con i quali si raffrontano, sempre nel primo triennio, le esigenze di razionalizzazione e di coordinamento delle USSL dell'area del Comune di Milano.

     Come specificato nel modello organizzativo di riferimento degli interventi, il nucleo ha una composizione stabile data dal fisiatra, dal neuropsichiatra infantile, dallo psicologo e dall'assistente sociale, ai quali si aggregano, secondo necessità, gli specialisti provenienti da altri servizi.

     Di norma la costituzione del nucleo dipartimentale deve avvenire tramite l'impiego, e la destinazione conseguente, di personale già presente nell'USSL, vuoi appartenente al comparto sanitario, vuoi a quello socio- assistenziale; ovvero, in caso di carenze, attraverso la possibilità di assunzioni in deroga del personale necessario.

 

     Obiettivo n. 4: Istituzione dell'Ufficio zonale di pubblica tutela.

     L'Ufficio di pubblica tutela previsto dall'art. 65 della Legge Regionale di riordino ha il compito di tutelare il diritto alla fruizione da parte dei cittadini di tutte le prestazioni erogate dal sistema socio- assistenziale. Data la delicatezza dei compiti e l'attuale sviluppo della rete dei servizi, cose che potrebbero comportare situazioni conflittuali, si ritiene di avviare sperimentazioni nel 20% delle USSL lombarde, allo scopo di verificare modalità attuative, compiti e contenuti di tale Ufficio da poter successivamente estendere alla generalità delle USSL.

 

     Obiettivo n. 5: Adeguamento dei presidi socio-assistenziali agli standard strutturali.

 

     Obiettivo n. 6: Adeguamento dei presidi socio-assistenziali agli standard gestionali.

     Una delle componenti qualificanti del primo Piano socio-assistenziale è rappresentata dalla definizione degli standard strutturali e gestionali di tutti i presidi costituenti le reti di unità d'offerta del sistema socio-assistenziale.

     La definizione degli standard, alla quale si rimanda per l'analisi contenutistica e dettagliata (v. allegato tecnico), rappresenta la possibilità di far assumere ai suoi obiettivi un riferimento univoco, omogeneo, oggettivo, quantificabile.

     La definizione degli standard rappresenta inoltre il presupposto delle possibilità di controllo di gestione, di vigilanza, di verifica del grado di raggiungimento di obiettivi e consente quindi l'individuazione di indicatori che, pur non esaurendo completamente l'analisi dei servizi, permettono una prima verifica dei risultati raggiunti dai processi programmatori e della qualità delle prestazioni. Tale qualità attiene spesso, al di là degli standard, ad aspetti di qualificazione e motivazione professionale degli operatori e ad altri fattori legati alla qualità e allo spessore delle relazioni interpersonali tra operatori ed utenti.

     Resi possibili dall'avvenuta definizione degli standard strutturali e gestionali, gli obiettivi che il presente primo Piano Socio-Assistenziale assume nel triennio sono quelli di procedere all'adeguamento dei presidi socio-assistenziali esistenti agli standard così definiti, con gli opportuni gradualismi e nel rispetto delle singole e specifiche situazioni. In ordine alla molteplice valenza degli standard, si fa rinvio al capitolo II «Gli elementi strutturali del Piano»; tempi e modalità di adeguamento agli standard strutturali e gestionali.

 

     Obiettivo n. 7: Superamento della disomogeneità delle incidenze dei contributi regionali sui costi di gestione delle diverse tipologie d'offerta.

     I vincoli fin qui esercitati sulle possibilità di intervento delle politiche assistenziali, e tra essi, in via prioritaria, la settorializzazione delle normative e l'eterogeneità dei vincoli di destinazione e dei criteri di attuazione, hanno, come noto, consolidato una situazione per cui il principale strumento di intervento della programmazione regionale (la manovra affidata alla distribuzione di contributi regionali correnti) ha coinciso in certi casi con la permanenza, o addirittura, con l'aumento degli squilibri intersettoriali.

     Il presente primo Piano regionale triennale, essendosi assicurato con la legge di riordino l'omogeneizzazione delle normative e l'integrato utilizzo delle disponibilità finanziarie, e cioè le precondizioni necessarie e sufficienti, può assumere come realizzabile questo obiettivo.

     Il paragrafo del presente Piano «Procedure per l'utilizzo del fondo sociale», al quale si rimanda, declina puntualmente, attraverso il riferimento ai costi standardizzati, le modalità concrete attraverso le quali sarà possibile perseguire questo risultato.

 

     Obiettivo n. 8: Superamento della disomogeneità delle incidenze dei contributi regionali sui costi di gestione della stessa tipologia d'offerta.

     Alla settorialità delle normative e alla eterogeneità dei vincoli e dei criteri di destinazione, già esaminate, si è aggiunto in passato un ulteriore elemento di disomogeneità e di squilibrio.

     Come noto, la maggioranza delle unità d'offerta costituenti il sistema socio-assistenziale si è storicamente consolidata in assenza di un disegno programmatorio esplicito e di riferimenti ed indirizzi univoci, esaustivi.

     Ciò ha fatto sì che il sistema socio-assistenziale, crescendo lungo la direttrice della «sperimentalità» e della «innovazione», abbia necessariamente pagato un prezzo in termini di difformità di realizzazione della stessa tipologia (a parità di denominazione si sono avute realtà di intervento radicalmente diverse), nonché in termini di difformità di contribuzione regionale per la tessa tipologia.

     Il passaggio dal regime precedente ad un regime di contribuzioni legate ai costi standardizzati di ogni singola unità di offerta, garantirà il modello di omogeneizzazione richiesto, in termini di risultato, dall'assunzione di questo obiettivo.

 

     Obiettivo n. 9: Tasso di sviluppo programmato della rete dei presidi socio-assistenziali.

     La possibilità prima esposta, agli obiettivi 5 e 6, di razionalizzare, attraverso l'adeguamento a standard, la qualità delle prestazioni fornite dal sistema dei presidi socio-assistenziali, deve accompagnarsi ad una possibilità di espansione dell'esistente, in quanto i condizionamenti dei mancati investimenti passati, hanno reso possibili aree di arretratezza rispetto ai bisogni, non risolvibili con la sola e semplice razionalizzazione dell'esistente.

     Risulta pertanto decisivo, al fine di garantire il successo del primo Piano triennale, accompagnare alla manovra razionalizzatrice una possibilità di sviluppo programmato e programmabile nel triennio.

     Le risorse del primo Piano consentono di assumere per il triennio '88- 90 un tasso di crescita dei servizi pari al 5% annuo.

     Tale tasso di crescita è fondato sull'ipotesi di destinare al sostegno gestionale di nuovi servizi, fondi aggiuntivi nella misura del 2,5% annuo oltre ad una ulteriore quota del 2,5%, ottenibile attraverso la razionalizzazione dei servizi esistenti.

     All'interno di questa ipotesi di crescita delle disponibilità finanziarie, andranno collocate le singole scelte espansive e le relative priorità.

     Il processo di individuazione di tali scelte prioritarie dovrà tener conto, in linea generale, di una scala di priorità già adottata dalla programmazione socio-assistenziale, e sperimentata dalla programmazione zonale in sede di definizione dei piani zonali ex L.R. 3 febbraio 1983, n. 11.

     Tale scala di priorità, come noto, riflette la gerarchia dei bisogni e delle carenze oggettivamente riscontrabili nel sistema socio-assistenziale. Essa vede, difatti, al primo posto la carenza, e la conseguente esigenza d'intervento prioritario, nel settore delle strutture per anziani non autosufficienti, nei servizi e presidi per handicappati e nei servizi residenziali comunitari per minori a rischio, nonché nei servizi a carattere preventivo per minori.

 

     Obiettivo n. 10: Superamento delle disomogeneità esistenti in campo di prima formazione e sviluppo programmato della stessa.

     In tale contesto, la Regione, tenuto conto della realtà esistente e della finalità prioritaria di avere personale consapevole e competente, ai fini dell'efficacia degli interventi e delle prestazioni, intende nell'arco del triennio:

     - potenziare e prevedere corsi di prima formazione per gli ausiliari socio-assistenziali, della durata di almeno 600 h., ponendo come vincolo che nell'arco del triennio debba considerarsi conclusa la possibilità di utilizzo di personale di nuova assunzione privo della relativa qualifica professionale, attraverso le azioni più in dettaglio specificate all'apposito paragrafo del presente Piano;

     - potenziare le scuole regionali per operatori sociali al fine di aumentare il numero di educatori professionali da formare, ponendo anche per questa figura professionale il vincolo, alla fine del triennio, della obbligatorietà della formazione come requisito fondamentale per le nuove assunzioni;

     - garantire la regolare continuità della formazione degli assistenti sociali, nell'ambito della formazione professionale regionale, in attesa delle istituende scuole universitarie a fini speciali.

     L'indice di realizzazione previsto nel triennio è rispettivamente di n. 800/1.000 ausiliari socio-assistenziali, a fronte dei circa 3.400 operatori di cui è prevista la necessità per l'adeguamento a standard dei presidi esistenti, e di n. 550 educatori circa, alla fine del triennio, già formati e/o avviati alla formazione, a fronte degli oltre 1.100 educatori necessari per l'adeguamento a standard dei presidi esistenti e per l'impianto e lo sviluppo dei nuovi servizi.

 

     Obiettivo n. 11: Qualificazione del personale in servizio privo delle relative qualifiche professionali.

     La disomogeneità esistente nel campo della prima formazione, soprattutto per alcune figure professionali e l'attuale inesistenza dell'obbligatorietà della qualifica ai fini dell'assunzione in servizio, ha fatto sì che in molte unità di offerta sia presente personale «ausiliario socio-assistenziale» ed «educatore» privo della relativa qualifica professionale e della necessaria preparazione.

     Tale situazione va modificata, nell'arco del triennio, con soluzioni che consentano l'acquisizione della qualifica a quote consistenti di operatori in servizio.

     Per la figura dell'ausiliario socio-assistenziale si prevedono corsi di qualificazione in servizio, della durata di 250 h. complessive, in quanto esistono agenzie formative in grado di provvedere alle necessità. L'indice di realizzazione fissato per il triennio è pari al 30% circa degli operatori necessitanti di prima qualificazione [3.000 operatori circa a fronte dei 9.000 che si stima operino nei servizi senza la relativa qualifica professionale].

     Per quanto attiene agli educatori professionali, attualmente esistono solo due scuole per operatori sociali che prevedono corsi di qualificazione in servizio: anche estendendo tale possibilità alle altre due scuole regionali esistenti, si prevede che le possibilità di formare operatori per tale qualifica (l'attività di qualificazione deve svilupparsi almeno sull'arco di un biennio scolastico) non superi alla fine del triennio le 130 unità complessive di personale, pari al 20% circa del personale in servizio privo di qualifica, stimato in circa 700 unità.

 

     Obiettivo n. 12: Aggiornamento e riqualificazione del personale in servizio sulla base di precise configurazioni professionali analizzate.

     Tale obiettivo potrà essere perseguito solo nel momento in cui inizieranno ad essere disponibili le risultanze delle attività sperimentali, circa la realtà delle effettive configurazioni professionali che si ritrovano nei vari servizi socio-assistenziali.

     Tale intervento sperimentale, che viene attuato su un campione rappresentativo delle varie reti di unità di offerta e su alcune situazioni di équipes territoriali distrettuali, si incontrerà su tutte le figure socio-assistenziali più significative.

     Parallelamente alle sperimentazioni citate si elaborerà uno specifico Progetto-obiettivo «Formazione in campo socio-assistenziale» per la definizione dei profili e dei contenuti formativi delle figure che devono opportunamente completare l'insieme delle professionalità richieste, comprese quelle da definire ex novo, per il miglior funzionamento dei servizi socio-assistenziali.

 

     Obiettivo n. 13: Messa a punto del Sistema Informativo Regionale Socio-Assistenziale.

     Per tutto quel che concerne la specifica declinazione di questo obiettivo, già peraltro parzialmente perseguito, si veda l'apposito paragrafo contenuto in questo Piano.

 

     1.3 Obiettivi specifici assunti nelle aree di intervento

     In coerenza alle finalità, il primo Piano triennale socio- assistenziale assume, con l'individuazione dei suoi obiettivi generali, la volontà di garantire al sistema delle unità d'offerta:

     - la completa realizzazione dell'impianto organizzativo-istituzionale;

     - la possibilità di un tasso di crescita programmato e, quindi, la garanzia di poter positivamente adeguarsi all'evoluzione dei bisogni;

     - la possibilità di omogeneizzare la qualità e la quantità delle prestazioni erogate dai presidi, attraverso un graduale adeguamento agli standard strutturali e gestionali di ogni singola tipologia.

     Questi obiettivi sono generali nella misura in cui vengono assegnati all'insieme delle unità costituenti il sistema di intervento socio- assistenziale.

     Appare ovvio che la loro declinazione puntuale possa darsi soltanto a partire e nel rispetto delle specificità delle singole realtà locali e in sintonia con gli obiettivi generalmente assunti per la totalità delle realtà locali.

     Richiede, cioè, che ogni singola situazione zonale, storicamente data dal sistema d'intervento consolidatosi nel tempo in assenza di dispositivi programmatori regionali, possa assumere un dover essere degli insediamenti per tipologia e per quantità compatibile con un assetto generale risultante omogeneo ed equilibrato.

     In ultima analisi le ipotesi di sviluppo e di razionalizzazione del complesso dei presidi esistenti devono attuarsi in presenza degli indici di fabbisogno individuati nel PSA.

     Tuttavia, lo stato attuale della conoscenza quantificata dei bisogni ha consentito di individuare indici di fabbisogno, che pertanto travalicano le indicazioni fissate per il triennio di validità del PSA, solo per specifici servizi e presidi (strutture e reparti protetti per anziani non autosufficienti, case di riposo, asili nido); in tutti gli altri casi, sono stati quantificati gli obiettivi da realizzare nel triennio, partendo dal presupposto di una generalizzata carenza difficilmente colmabile attraverso la manovra triennale, e avendo cura di pianificare la crescita dei servizi attraverso l'attenta localizzazione degli stessi, onde pervenire a una distribuzione territoriale per quanto possibile omogenea. La specifica individuazione di indici di fabbisogno a valenza pluriennale, collegata anche a ricerche e indagini specifiche tuttora in corso, sarà uno dei contenuti pregnanti della pianificazione regionale nel prossimo triennio e, ove possibile, degli eventuali aggiornamenti e integrazioni al presente PSA che si renderanno necessari nell'arco del periodo di sua validità.

     In sintesi, i risultati generali del Piano, il tipo di crescita qualitativa e quantitativa del sistema regionale, saranno la risultante delle corrispondenti ed equilibrate crescite qualitative e quantitative nelle singole USSL lombarde.

     In coerenza a quanto sopra, il Piano socio-assistenziale assume per il triennio 88/90 gli obiettivi specifici indicati nelle seguenti tabelle:

 

 

                                                                    TABELLE

 

  OBIETTIVI SPECIFICI ASSUNTI NELL'AREA ANZIANI PER IL TRIENNIO 1988/1990

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Finalità specifiche            Obiettivi specifici

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1. Sviluppo della rete         1. Aumento delle unità di offerta

   delle strutture e dei          tramite riconversioni e costru-

   reparti protetti per non       zioni. Adeguamento agli

   autosufficienti.               strutturali programmatori fino

                                  al 45% dei posti in strutture e

                                  reparti protetti rispetto al

                                  fabbisogno.

 

2. Miglioramento della         2. Miglioramento del rapporto

   qualità delle                  numerico personale/utenti.

   prestazioni.                3. Piano della formazione del

                                  personale.

                               4. Incremento delle quote di

                                  finanziamento degli oneri

                                  sanitari e a rilievo

                                  sanitario nelle strutture e/o

                                  reparti protetti.

 

3. Miglioramento della         5. Graduale riconduzione al

   qualità delle fruizioni.       bacino di utenza zonale degli

                                  attuali ricoveri extrazonali

                                  in strutture protette.

 

4. Miglioramento della rete    6. Adeguamento a standard

   delle unità di offerta         strutturali delle case di

   per autosufficienti.           riposo.

 

5. Sviluppo dei servizi        7. Aumento della quota di

   alternativi al ricovero        popolazione anziana utente

   e degli interventi di          del servizio di assistenza

   prevenzione e                  domiciliare.

   socializzazione.            8. Sperimentazione di nuove

                                  modalità organizzative di A.D.

                               9. Riclassificazione della rete

                                  dei centri diurni su base

                                  standard e loro eventuale

                                  inserimento nel complesso

                                  delle gestioni.

                              10. Incremento e adeguamento

                                  della rete dei centri diurni

                                  e dei mini-alloggi.

 

6. Riqualificazione della     11. Passaggio a gestione

   rete di strutture              obbligatoriamente associata

   provenienti dagli Enti         e destinazione parziale a

   nazionali disciolti.           strutture protette delle case

                                  di riposo ex-ONPI.

 

7. Miglioramento della        12. Attivazione di flussi infor-

   qualità delle conoscenze.      mativi sulla rete delle case

                                  di riposo, strutture protet-

                                  te, centri diurni per anziani

                                  Miglioramento dei flussi attua-

                                  li sull'Assistenza domiciliare.

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   OBIETTIVI SPECIFICI ASSUNTI NELL'AREA HANDICAP DEL RELATIVO PROGETTO

                    OBIETTIVO PER IL TRIENNIO 1988/1990

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Finalità specifiche            Obiettivi specifici

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1. Costituzione del modello    1. Istituzione in ogni USSL del

   organizzativo integrato.       dipartimento handicap e del

                                  relativo nucleo

                                  dipartimentale zonale.

 

2. Razionalizzare e            2. Riclassificazione della rete

   sviluppare la rete dei         e adeguamento a standard del

   servizi socio-sanitari e       25% dei C.S.E. e del 25%

   formativi esistenti.           delle Comunità Alloggio.

                               3. Apertura di n. 4 C.S.E. nelle

                                  USSL sprovviste e realizza-

                                  zione di 300 nuovi posti da

                                  ottenere attraverso amplia-

                                  menti e nuove costruzioni in

                                  USSL carenti.

                               4. Apertura di n. 12 C.R.

                               5. Apertura in n. 20 Comunità

                                  alloggio.

                               6. Potenziamento nelle zone

                                  carenti di corsi di forma-

                                  zione professionale, sia

                                  normali che speciali, frui-

                                  bili da disabili e handicappati.

                               7. Inserimento lavorativo di

                                  n. 300 portatori di handicap.

 

                               Espansioni sperimentali:

 

                               8. Apertura di n. 6 C.S.E. in

                                  ambiente scolastico.

                               9. Apertura di n. 10 comunità

                                  terapeutiche psico-socio-

                                  educative per minori con

                                  disturbi neuropsichici.

                              10. Sperimentazione di n. 4

                                  progetti lavoro part-time

                                  utilizzo mirato di tempo

                                  libero.

 

3. Migliorare la qualità      11. Miglioramento del rapporto

   delle prestazioni.             personale/utenti attraverso

                                  l'adeguamento agli standard

                                  gestionali.

                              12. Aumento della quota regionale

                                  di finanziamento sanitario e

                                  socio-assistenziale per la

                                  rete dei C.S.E. e C.R.

                              13. Piano della formazione del

                                  personale.

 

4. Migliorare la qualità      14. Costituzione ed utilizzo

   delle fruizioni.               delle informazioni dello

                                  archivio automatizzato ausili

                                  (SIVA) nonché supporto tecnico.

                              15. Eliminazione delle barriere

                                  architettoniche.

 

5. Migliorare la qualità      16. Censimento handicap anche

   delle conoscenze.              attraverso istituzione della

                                  anagrafe dinamica in ogni

                                  USSL.

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N.B. Trattandosi di progetto-obiettivo integrato, i relativi obiettivi

specifici sono supportati da interventi finanziari anche appartenenti ad

altri comparti.

 

  OBIETTIVI SPECIFICI ASSUNTI NELL'AREA MINORI PER IL TRIENNIO 1988/1990

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Finalità specifiche            Obiettivi specifici

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1. Sviluppo della capacità     1. Apertura di almeno 30 nuovi

   di prevenzione della           centri di aggregazione

   devianza e del                 giovanile.

   disadattamento giovanile.

 

2. Deistituzionalizzazione     2. Apertura di 30 comunità

   del trattamento della          alloggio da ottenersi

   devianza e                     prioritariamente tramite

   dell'emarginazione             riconversione di istituti

   giovanile.                     esistenti.

 

3. Trattamento delle           3. Apertura di 10 centri di

   emergenze.                     pronto intervento.

 

4. Miglioramento della rete    4. Adeguamento delle Comunità

   delle unità di offerta.        alloggio esistenti agli

                                  standard strutturali

                                  programmatori.

 

                               5. Adeguamento agli standard

                                  strutturali programmatori di

                                  istituti per minori da

                                  riorganizzare in nuclei

                                  abitativi per piccoli gruppi.

 

5. Miglioramento della         6. Miglioramento del rapporto

   qualità delle prestazioni.     personale/utenti nella rete

                                  esistente e soddisfacimento

                                  di nuovi bisogni di personale

                                  per lo sviluppo programmato

                                  della rete.

                               7. Piano della formazione del

                                  personale.

 

6. Riequilibrio delle          8. Riconversione delle

   distorsioni gestionali         localizzazioni ipercritiche

   nella rete degli asili         degli asili nido.

   nido e miglioramento delle  9. Contenimento dell'evoluzione

   possibilità di fruizione.      dei costi di gestione.

                              10. Miglioramento della qualità

                                  delle prestazioni e delle

                                  possibilità di fruizione.

 

7. Miglioramento delle        11. Attivazione dei flussi infor-

   qualità delle conoscenze.      mativi sugli istituti educati-

                                  vo-assistenziali per minori;

                                  radicale miglioramento dei

                                  flussi esistenti.

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     1.3.1 Obiettivi specifici assunti nell'area anziani per il triennio 1988/90.

 

     Obiettivo n. 1: Aumento delle unità di offerta per non autosufficienti tramite riconversioni o costruzioni e adeguamento agli standard strutturali programmatori del 45% delle strutture o reparti protetti, rispetto al fabbisogno indicato.

     In relazione alle esigenze di sviluppo della rete delle strutture o reparti protetti per non autosufficienti, il presente P.S.A. assume, come obiettivo prioritario per il triennio, l'aumento delle unità di offerta, da ottenersi, prevalentemente, sia attraverso riconversione di presidi esistenti, che attraverso adeguamento agli standard fissati.

     Sulle base dei risultati conseguiti con il primo progetto di riconversione e tenuto conto delle risorse da destinare nel triennio al perseguimento del presente obiettivo [163 miliardi], si stima come indice di realizzazione complessiva, a fine triennio, 9.000 posti letto realizzabili e/o adeguabili a standard.

     Tale indice tiene conto dei posti letto già in corso di realizzazione e dei circa 7.500 posti letto di nuova realizzazione e/o adeguamento, coprendo così il 45% circa del fabbisogno globale, con strutture rispondenti ai requisiti tecnico-edilizi fissati dal presente Piano.

 

     Obiettivo n. 2: Miglioramento del rapporto personale/utenti.

     La rilevanza che assumono le strutture protette nella pianificazione socio-sanitaria pone come obiettivo prioritario del triennio l'adeguamento allo standard gestionale fissato dal presente P.S.A.

     Stime effettuate, sulla base di una recente indagine a campione, consentono di quantificare in circa 2.600 gli ausiliari socio-assistenziali necessari per il raggiungimento dello standard fissato. Come più estesamente indicato nel paragrafo «Formazione del personale socio- assistenziale», è obiettivo prioritario del triennio pervenire alla qualificazione di 800/1.000 ausiliari socio-assistenziali, da utilizzare prioritariamente per il raggiungimento del presente obiettivo, con un indice di realizzazione pari al 30% del fabbisogno complessivo.

 

     Obiettivo n. 3: Piano della formazione del personale.

     Come più in dettaglio specificato all'apposito paragrafo del presente P.S.A., la formazione del personale assume rilevanza, per l'area anziani, non solo in relazione ai fabbisogni quantitativi, ma anche qualitativi.

     La situazione attuale, che consente l'assunzione in servizio di personale «ausiliario socio-assistenziale» privo di qualificazione professionale, va assolutamente superata nell'arco del triennio, ponendo il vincolo dell'obbligatorietà della prima formazione di questo operatore, la cui delicatissima funzione di assistenza diretta agli ospiti va supportata, preliminarmente all'assunzione, con adeguata preparazione specifica, sia teorica che pratica, attraverso corsi di formazione di almeno 600 h. complessive. Accanto a tale esigenza, sussiste, con altrettanta urgenza, quella di fornire analoga formazione agli operatori già in servizio privi della relativa qualifica (dal 1981 ad oggi le agenzie di formazione hanno qualificato solo 2.600 operatori dei circa 11.600 globalmente in servizio). Si pone pertanto l'esigenza per il presente P.S.A. di provvedere a tale qualificazione, migliorandone contemporaneamente il livello, attraverso corsi la cui durata deve essere portata dalle attuali 170 h. complessive alle 250 h. complessive. Il P.S.A. si pone quindi l'obiettivo di qualificare, nell'arco del triennio, circa 3.000 dei 9.000 ausiliari in servizio, privi della relativa qualifica professionale.

     Nella rete delle residenze protette è prevista la presenza dell'operatore «animatore»: il presente obiettivo prevede, nell'arco del triennio, la formazione, attraverso corsi della durata di 60 h., di 500 animatori circa.

 

     Obiettivo n. 4: Incremento delle quote di finanziamento degli oneri per prestazioni sanitarie e a rilievo sanitario nelle strutture e/o reparti protetti.

     La puntuale definizione degli standard gestionali operata con il presente Piano socio-assistenziale, fa emergere la dimensione rilevante degli oneri gestionali che questo tipo di presidio comporta.

     Dalla ricognizione delle strutture residenziali collettive per anziani è stata ulteriormente e con precisione evidenziata l'assoluta inadeguatezza della compartecipazione agli oneri sostenuti dagli enti gestori da parte del fondo sanitario, per quanto attiene l'assolvimento delle funzioni sanitarie e delle funzioni sociali a rilievo sanitario.

     Appare evidente che l'aumento delle unità di offerta di questa rete, nonché l'adeguamento agli standard gestionali, non può avvenire se non attraverso il conseguente aumento della copertura degli oneri gestionali.

     Per quanto attiene gli oneri per prestazioni sanitarie e a rilievo sanitario, come più in dettaglio indicato nel predetto capitolo III, e tenuto conto delle indicazioni scaturite dalla deliberazione regionale di recepimento del D.P.C.M. 8 agosto 1985, sono da porre a carico del fondo sanitario regionale gli oneri per prestazioni sanitarie, nonché quota parte degli oneri per prestazioni socio-assistenziali a rilievo sanitario effettuate nelle strutture protette.

     Tali oneri sono evidentemente da rapportare alla presenza di personale nelle singole strutture e possono subire incrementi in relazione al miglioramento ottenuto adeguando, per quote, il personale necessario al raggiungimento dello standard gestionale previsto.

 

     Obiettivo n. 5: Graduale riconduzione a bacino di utenza zonale degli attuali ricoveri extrazonali in strutture protette.

     Il fenomeno del ricorso a ricoveri in strutture extrazonali è largamente diffuso, anche se interessa principalmente le USSL fortemente carenti di posti letto per non autosufficienti, in particolare Milano. La graduale riduzione del fenomeno non è prevedibile in tempi brevi, data la complessità e non contemporaneità di azioni finalizzate che comporta; tuttavia è urgente già nel primo triennio prevedere manovre pianificatorie che consentano, in tempi successivi, il raggiungimento di risultati significativi. Tali azioni, che rappresentano obiettivo di Piano, consistono in:

     - preliminare e puntuale censimento, a cura di ogni USSL, dell'utenza proveniente da altre zone, con segnalazione semestrale all'USSL di provenienza dell'ospite e alla Regione: ciò deve essere effettuato attraverso l'impianto e l'utilizzo del sistema informativo socio- assistenziale;

     - aumento significativo di posti letto per non autosufficienti nelle USSL maggiormente carenti, attraverso l'avvio di ristrutturazioni e/o nuove costruzioni: ciò deve interessare in modo prioritario Milano che è in assoluto la zona caratterizzata da maggior carenza di tale tipologia di posti letto;

     - trattamento delle zone caratterizzate da forti eccedenze, in particolare quando tali eccedenze siano dovute alla presenza di mega- strutture, con i vincoli e secondo i criteri specificati nell'allegato P.O. «Riconversione delle strutture socio-assistenziali», cui si rimanda.

 

     Obiettivo n. 6: Adeguamento agli standard strutturali delle case di riposo.

     L'obiettivo prioritariamente assunto nella direzione della riconversione in strutture protette per non autosufficienti, non esime il presente Piano dal perseguire l'adeguamento agli standard strutturali delle case di riposo, specie nel caso in cui già si debba intervenire per la ristrutturazione dei reparti protetti. Al perseguimento di tale obiettivo è destinata quota parte del finanziamento di L. 12 miliardi, riservato al complesso degli interventi rivolti a favore degli anziani autosufficienti.

 

     Obiettivo n. 7: Aumento delle quote di popolazione anziana utente del servizio di assistenza domiciliare.

 

     Obiettivo n. 8: Sperimentazione di nuove modalità organizzative.

     L'incremento del SAD nell'area anziani si rende necessario, sia perché il servizio è uno dei più significativi interventi di prevenzione e sostegno (e come tale quindi in grado di favorire il decongestionamento dei costi assistenziali dei trattamenti residenziali impropri, sia in residenze di assistenza che ospedaliere), sia perché la quota di utenza attualmente raggiunta [2,9% della popolazione anziana] è molto bassa e tale da non rendere significativo il servizio qualificandolo come alternativo al ricovero.

     In coerenza a ciò, il Piano socio-assistenziale ritiene di poter realizzare, nell'arco del triennio, un aumento dei volumi di attività che consenta di incrementare l'utenza del servizio sul totale della popolazione anziana. Contemporaneamente è obiettivo del primo P.S.A. avviare una significativa sperimentazione in alcune USSL in modo da pervenire successivamente a nuovi modelli organizzativi di intervento, così come puntualmente declinato al paragrafo sulla sperimentazione, cui si fa rimando.

 

     Obiettivo n. 9: Riclassificazione della rete dei centri diurni in base agli standard strutturali e gestionali e loro eventuale inserimento nel complesso delle gestioni.

     La definizione degli standard gestionali e strutturali operata con il presente P.S.A., nonché i risultati della ricerca IRER sui centri diurni e servizi aperti per anziani, consentiranno nell'arco del triennio di riclassificare tali unità di offerta, attualmente caratterizzate per la presenza di realtà molto diversificate tra di loro, anche se finalizzate ad affrontare un aspetto essenziale della condizione anziana, cioè quello dell'uso del tempo libero dal vincolo del lavoro, in termini di offerta di spazi di socializzazione e di supporto per iniziative culturali e ricreative.

 

     Obiettivo n. 10: Incremento della rete dei centri diurni e dei mini- alloggi.

     L'assunzione della finalità specifica relativa allo sviluppo dei servizi alternativi al ricovero e degli interventi di prevenzione e socializzazione rende obbligata, per il P.S.A., accanto alla necessaria riclassificazione della rete esistente, l'individuazione di una quota di risorse da destinare allo sviluppo programmato di detti interventi e presidi, considerata la loro importanza all'interno della politica complessiva a favore degli anziani.

     E' obiettivo del P.S.A. pervenire, attraverso la riclassificazione della rete, a una conoscenza più puntuale delle occasioni che i centri diurni offrono alla popolazione anziana, anche in termini di interventi preventivi e riabilitativi, finalizzata a un inserimento nel complesso dei contributi gestionali di quei servizi che garantiscano le due tipologie di intervento appena evidenziate. Per i centri diurni i finanziamenti potranno essere indirizzati agli interventi previsti dalla programmazione zonale, sulla base di valutazioni complessive da operare a livello regionale, tendenti a privilegiare le zone prive o carenti di tali servizi.

     Per quanto attiene ai mini-alloggi, potranno trovare accoglimento le iniziative di natura più propriamente assistenziale, cioè quelle volte a garantire i necessari livelli di protezione degli utenti e che prevedono l'assegnazione sulla base dei criteri e indicazioni di cui all'art. 74, 1° comma lettera b) della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1. Accanto a queste iniziative, dovranno essere incentivate quelle finanziabili con i normali canali derivanti dalle assegnazioni dello Stato relative all'edilizia residenziale pubblica, nonché quelle finanziabili a seguito di eventuali diversi utilizzi dei patrimoni delle IPAB.

 

     Obiettivo n. 11: Passaggio gestione obbligatoriamente associata delle residenze per anziani degli Enti disciolti e destinazione parziale a struttura protetta della rete di case di riposo ex ONPI.

     L'obbligo della gestione a livello zonale si legittima e si rende necessario per una pluralità di motivazioni, quali:

     - coerenza con i fabbisogni, in quanto nessuno dei Comuni sede delle case ONPI presenta bisogni di trattamento residenziale degli anziani residenti tali da saturare le capienze;

     - coerenza con la provenienza degli ospiti, in quanto ogni struttura si caratterizza per la presenza di ospiti [83% circa] provenienti da altri Comuni dell'USSL, dall'ambito provinciale, dall'intera Regione ed anche da località extra regionali;

     - coerenza con la provenienza delle risorse, in quanto gli oneri gestionali sia di parte corrente sia in conto capitale, gravano in misura largamente prevalente sul bilancio regionale, ovvero vengono coperti dalle rette che gli utenti e gli Enti locali riconoscono alla struttura.

     Pertanto, tenuto conto dell'attuale situazione di squilibrio e dell'esigenza di ottenere un aumento di posti letto per non autosufficienti significativo, è urgente riconvertire una quota parte dei 1.593 posti letto costituenti la capienza complessiva delle sette case ONPI; inoltre tali strutture sono capaci di supportare meglio e prima delle altre tale destinazione con oneri a prevalente carico del fondo sociale regionale, in quanto sono già a carico di detto fondo gli oneri del personale presente. Pertanto, nell'arco del triennio, il P.S.A. prevede il passaggio in gestione all'E.R.S.Z. delle sette strutture ex ONPI e, al loro interno, la riconversione di n. 500 posti letto in reparti protetti per non autosufficienti, nonché l'analogo passaggio in gestione all'E.R.S.Z. della Casa di Riposo «Villa Letizia» di Caravate (VA).

 

     Obiettivo n. 12: Flussi informativi.

     Oltre a quanto previsto nello specifico successivo paragrafo, si rammenta l'importanza di giungere ad una rilevazione integrata tra i settori Sanità ed Assistenza, delle informazioni fondamentali riguardanti le persone anziane in Casa di Riposo ed in Strutture Protette.

 

     1.3.2. Obiettivi specifici assunti nell'area handicap per il triennio 1988/90.

     Per la trattazione puntuale ed esaustiva delle modalità operative di declinazione degli obiettivi specifici assunti dal Progetto obiettivo «La prevenzione degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali» si rimanda all'allegato n. I del presente Piano.

 

     1.3.3. Obiettivi specifici assunti nell'area minori per il triennio 1988/90.

 

     Obiettivo n. 1: Apertura di almeno 30 nuovi Centri di Aggregazione Giovanile.

     All'interno delle unità di offerta degli interventi per l'età evolutiva si verifica, tra i tanti squilibri quello particolarmente grave delle carenze di intervento preventivo di confronti dei fenomeni di disadattamento e devianza.

     Da ciò l'urgenza di recuperare i ritardi del passato potenziando la rete delle unità di prevenzione attualmente ancora molto carente.

     L'obiettivo per il triennio è quello i procedere all'apertura di unità aggiuntive ai preesistenti C.A.G.; tali centri dovranno rispondere a tutti i requisiti in dettaglio specificati nell'apposito paragrafo del capitolo IV «Interventi di Piano» concernente l'area minori, cui si fa rimando.

 

     Obiettivo n. 2: Apertura di 30 nuove Comunità alloggio per riconversione di Istituti educativo-assistenziali esistenti.

     Come noto, la modalità di trattamento del disadattamento e della devianza, attraverso il ricorso agli Istituti educativo-assistenziali, risulta essere ancora diffusa nella nostra realtà regionale, anche in presenza degli interventi alternativi che la cultura dell'intervento sociale più aggiornata ha prodotto in questo campo.

     Come emerge dai risultati della ricerca sugli Istituti per minori, di recente rassegnata dall'IRER, gli Istituti esistenti sono circa un centinaio con un'utenza ancora considerevole.

     La strategia di trasformazione più corretta e concretamente proponibile degli Istituti esistenti, che presentino dimensioni ridotte (meno i 30 ospiti presenti), sembra essere quella di riconversione in comunità alloggio, come già dimostrato da esperienze positive realizzate.

     All'interno di tale strategia, il presente P.S.A. assume come obiettivo quello di pervenire, entro la fine del triennio, alla creazione di 30 nuove comunità alloggio.

     In tali C.A. dovranno essere inoltre previsti spazi adatti a garantire lo svolgimento delle funzioni di «Centro di pronto Intervento» per minori.

 

     Obiettivo n. 3: Apertura di 10 Centri di Pronto Intervento.

     Una delle maggiori carenze del sistema assistenziale, da tempo segnalata, consiste nella sostanziale non risposta caratterizzata dall'urgenza di un primo intervento e trattamento ogni qualvolta vi sia l'insorgenza di un bisogno non prevedibile e non compatibile con i tempi di reazione delle normali unità di offerta e la contemporanea impossibilità a rimanere nell'ambiente familiare.

     Da qui l'esigenza di pervenire nel triennio alla realizzazione di 10 Centri di Pronto Intervento. Tali centri devono venire realizzati preferibilmente mediante riconversione, anche parziale, di strutture già funzionanti e con l'appoggio gestionale presso le stesse, onde poter ottenere economie di scala e avvalersi di personale già in servizio.

     Per quanto attiene ai contenuti, ai livelli di gestione e agli ambiti territoriali si fa rimando al capitolo IV «Gli interventi del Piano», con riferimento all'azione programmata nell'area dei minori.

 

     Obiettivo n. 4: Adeguamento delle Comunità Alloggio esistenti agli standard strutturali.

     La limitatezza delle risorse finanziarie globalmente disponibili costringe il presente P.S.A. ad effettuare scelte di assoluta priorità che privilegiano l'apertura di nuove strutture (v. obiettivo n. 2) e rimandano al triennio successivo gli interventi di miglioramento e adeguamento.

     Le risorse impegnabili per il raggiungimento parziale del presente obiettivo ammontano a L. 3 miliardi e consentono un adeguamento del 25% circa delle unità di offerta attualmente esistenti.

 

     Obiettivo n. 5: Adeguamento agli standard strutturali di Istituti per minori, da riorganizzare in nuclei abitativi per piccoli gruppi.

     La recente ricerca sugli Istituti educativo-assistenziali per minori ha posto in luce, accanto alla necessaria riconversione di Istituti di piccole dimensioni in Comunità Alloggio e in Centri di Pronto Intervento, la opportunità del permanere di detta modalità di trattamento educativo- assistenziale per particolari problematiche di minori bisognosi di adeguata protezione e che, per propria storia personale e familiare, non sono immediatamente inseribili in Comunità Alloggio o in affido familiare.

     Si rende pertanto necessario per una quota di Istituti la previsione di interventi di adeguamento agli standard strutturali previsti.

     L'obiettivo, peraltro non prioritario nell'economia generale del Piano, nonché la limitatezza delle risorse a disposizione, consentono di intervenire adeguando a standard circa 100/150 posti letto, come avvio di un processo di riqualificazione di parte della rete esistente.

 

     Obiettivo n. 6: Miglioramento del rapporto personale/utenti nelle unità di offerta della rete esistente e soddisfacimento di nuovi fabbisogni di personale per lo sviluppo programmato della rete.

     I dati ricavati dal controllo di gestione e la necessità assunta dal Piano di una riclassificazione generale, a seguito della fissazione degli standard gestionali, pongono in luce l'esigenza di adeguare il personale educativo in servizio agli standard fissati.

     Parimenti, l'apertura dei nuovi Centri di Aggregazione Giovanile, delle Comunità Alloggio, dei Centri di Pronto Intervento, comportano fabbisogni aggiuntivi di personale educativo per il quale è necessario programmare la relativa formazione.

     Il fabbisogno complessivo stimato per tali finalità ammonta ad oltre 500 unità di personale con qualifica di educatore; a fronte di tale fabbisogno è prevedibile, a fine triennio, la qualificazione di circa il 30% del personale necessario, alla luce delle possibilità concrete dell'attuale sistema formativo regionale.

 

     Obiettivo n. 7: Piano della formazione del personale.

     Come più in dettaglio specificato nell'apposito paragrafo, il miglioramento della qualità delle prestazioni passa necessariamente attraverso una migliore qualificazione del personale. In questa area assume particolare rilevanza la figura dell'educatore professionale; la situazione attuale, che consente l'assunzione in servizio di personale privo della relativa qualifica va superata alla chiusura del triennio, ponendo il vincolo della obbligatorietà della prima formazione per il personale da assumere.

     Alla quantificazione del personale di nuova assunzione per gli adeguamenti agli standard gestionali, in precedenza indicata, va aggiunta quella del personale educativo attualmente in servizio e privo della relativa qualifica, che si stima essere globalmente attorno alle 140 unità. Le possibilità di qualificazione in servizio, stante le attuali capacità formative della formazione regionale, non supera il 20% del fabbisogno complessivo, a partire comunque dal secondo anno di validità del Piano poiché la qualificazione in servizio deve svilupparsi almeno sull'arco di un biennio.

 

     Obiettivo n. 8: Riconversione delle localizzazioni ipercritiche degli asili nido.

     La rete degli asili nido è ormai consolidata, con differenziata possibilità di ulteriore sviluppo e, negli ultimi anni, ha fatto rilevare andamenti preoccupanti derivanti da basse saturazioni e da alte dinamiche di costo. Le motivazioni possono essere fatte risalire a una molteplicità di fattori, uno dei quali è sicuramente l'eccessiva capillarizzazione e la conseguente localizzazione in Comuni piccoli e piccolissimi, non in grado quindi di saturare nemmeno potenzialmente le capienze realizzate. Infatti la soglia minima di popolazione di riferimento, ormai acquisita e dedotta dai dati di controllo di gestione, dai tassi di natalità in continua diminuzione, ecc., si attesta intorno a Comuni con popolazione residente intorno ai 10.000 abitanti, necessaria per l'apertura e gestione di un nido da 30 posti. Ne consegue che, allo stato attuale delle localizzazioni già avvenute, almeno 128 Comuni lombardi si trovano nella situazione prima descritta.

     Sulla base di tali considerazioni, il P.S.A. deve affrontare in modo incisivo dette problematiche, con l'obiettivo di incentivare soluzioni che consentano un maggior utilizzo delle strutture nella direzione di:

     - riconversione parziale del nido, mediante accorpamento con altri servizi destinati alla prima infanzia (sezione di scuola materna, consultori pediatrici, ecc.);

     - apertura del nido ad utenti provenienti da altri Comuni del distretto, tenuto conto, però, delle scarse possibilità di mobilità dell'utenza;

     - riconversione totale del nido nella direzione di altre unità di offerta dell'area socio-assistenziale.

     Si prevede un finanziamento regionale di L. 2 miliardi che consentirà limitati interventi sulle strutture, sugli arredi, nonché finalizzato a una migliore fruizione degli spazi non utilizzati.

 

     Obiettivo n. 9: Contenimento dell'evoluzione dei costi di gestione.

     Dalle informazioni provenienti dal controllo di gestione emerge una generale bassa produttività, dovuta al continuo aumento del personale in servizio, malgrado la diminuzione degli utenti, con effetti dirompenti sull'evoluzione dei costi globali e unitari.

     All'interno di tale trend complessivo interagiscono diverse variabili, che vanno dalla rigidità degli organici alla diminuzione degli orari di lavoro, dalla strutturazione interna dell'orario di lavoro del personale in turni, alle sostituzioni, ecc.

     L'adozione degli standard gestionali operata con il presente Piano già ora pone in luce la presenza di generalizzate eccedenze di personale, sia educativo che ausiliario; si ritiene pertanto non più differibile il blocco delle assunzioni per i nidi che presentano eccedenze di personale rispetto agli standard gestionali fissati.

 

     Obiettivo n. 10: Miglioramento della qualità delle prestazioni e delle possibilità di fruizione.

     Tale obiettivo deve essere realizzato assumendo modalità organizzative e gestionali che consentano:

     - il mantenimento del rapporto ottimale Personale/utenti nella fascia educativa di funzionamento, ottenibile introducendo orari di lavoro articolati e spezzati;

     - una maggiore flessibilità di orari di apertura, consentendo l'accesso al nido anche per periodi inferiori all'intero orario giornaliero, sulla base delle indicazioni più specificatamente indicate all'apposito paragrafo del Piano, cui si fa rimando;

     - l'iscrizione immediata al nido dei bambini, con il divieto della costituzione delle liste di attesa in tutti i nidi caratterizzati da non completa saturazione e contemporanea presenza di personale in servizio sufficiente a garantire lo standard gestionale fissato dal Piano.

 

     Obiettivo n. 11: Flussi informativi

     Si veda quanto scritto nell'apposito paragrafo contenuto in questo Piano, si rammenta comunque l'obiettivo di informatizzare, anche in quest'area, tutte le informazioni raccolte per le varie tipologie di unità d'offerta.

 

     1.4 Il controllo del perseguimento degli obiettivi

     La capacità programmatoria della Regione nelle politiche socio- assistenziali si esprime all'interno di una situazione caratterizzata da una pluralità di soggetti, pubblici e privati, che dell'intervento assistenziale sono i protagonisti più immediati e rilevanti.

     In questo contesto, il ruolo regionale si esplica essenzialmente a due livelli e secondo due modalità:

     1) l'assorbimento di una funzione normativa di indirizzo e di promozione: nell'esercizio della potestà legislativa la Regione contribuisce a normare l'esercizio delle attività assistenziali e a indirizzarne e promuoverne l'evoluzione verso assetti e secondo modalità coerenti con le proprie scelte programmatiche;

     2) l'attuazione di una manovra di intervento costituita essenzialmente dalla distribuzione di contributi finanziari capaci di sostenere e sviluppare le gestioni e gli investimenti effettuati dai soggetti pubblici e privati gestori delle politiche sociali.

     Uno degli elementi che in passato ha negativamente caratterizzato l'intervento socio-assistenziale era costituito dalla difficoltà di misurare gli effetti degli interventi supportati, traducendoli in una oggettiva verifica dei risultati ottenuti.

     Infatti, a livello della funzione regionale di indirizzo la frammentazione e la settorialità delle normative e dei programmi, i vincoli di destinazione dei finanziamenti, rendevano pressoché impossibile il riferimento a un minimo comune denominatore, a partire dal quale fosse possibile misurare un qualsiasi stato del sistema.

     A livello poi della manovra finanziaria di intervento, i rigidi vincoli di settore e la relativa non conoscenza del sistema risultante, il significato di promozionalità della manovra finanziaria regionale complessiva, rendeva pressoché impossibile praticare la verifica dei risultati: i contributi risultavano talvolta non correlabili alla materialità delle gestioni, ma erano agganciati prevalentemente alle variabili insediative, cioè alla esistenza di una unità di intervento piuttosto che alle sue caratteristiche intrinseche di gestione. Dalla schematica analisi condotta risulta evidente che il P.S.A., per affrontare il problema della verifica dei risultati, ha dovuto attendere che fossero normate le precondizioni che rendono possibile tale verifica, ci si riferisce in particolare a:

     - sul fronte della funzione di indirizzo, l'emanazione della legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1 che ha consentito il superamento della settorialità e raggiunto il livello di organicità nelle normative, nelle procedure, negli indirizzi, nelle relazioni tra soggetti chiamati ad operare;

     - sul fronte della manovra di sostegno, la sperimentazione degli anni precedenti, la dialettica tra programmazione regionale e locale, il coordinamento e l'intesa tra Comitati di Gestione e Comitati di coordinamento dei Sindaci ha saldamente radicato l'abitudine alla consuntivazione, ha cioè reso più stretto il legame tra distribuzione dei contributi e volume e qualità delle attività (attività di controllo di gestione nell'ambito del sistema informativo). La definizione degli standard gestionali e strutturali per ogni tipologia di offerta, introdotti con il presente P.S.A., consente di garantire alla manovra finanziaria regionale il secondo requisito qualificante anche ai fini della verifica dei risultati, e cioè la possibilità di costruire un rapporto tra contributi e attività non discrezionale e non arbitrario.

     Il riferimento di ogni unità di offerta a caratteristiche standard consente passaggio alla definizione di costi standardizzati per ogni tipologia di intervento e consente, infine, il passaggio ad una programmata definizione delle incidenze del contributo regionale sui costi globali sostenuti dai gestori dei servizi.

     Si correggeranno lungo questa direttrice gli squilibri che attualmente vedono la manovra regionale contribuire a volte in modo diseguale al sostegno dello stesso tipo di attività, o incentivare in maniera troppo difforme certi tipi di attività rispetto ad altri, senza che questo derivi da esplicite e giustificate scelte programmatorie.

     D'altro canto, è ormai attivato da tempo lo strumento operativo che rende possibili effettive valutazioni dei risultati raggiunti in base alle indicazioni generali e di merito del presente Piano; il sistema informativo regionale socio-assistenziale su supporto informatico.

     1.5 Gli standard come elemento essenziale della Pianificazione socio- assistenziale.

     Il sistema socio-assistenziale è stato storicamente caratterizzato da una evoluzione basata sull'apprezzamento discrezionale, da parte delle singole iniziative, sul quanto e sul come della propria attività, senza prefissati obiettivi esterni da raggiungere, né sotto il profilo qualitativo, né sotto il profilo quantitativo.

     Ciò ha portato alla formazione di un quadro reale di strutture e di servizi, fortemente variegato, con scostamenti, anche nell'ambito di identiche funzioni, a volte molto rilevanti in ogni aspetto strutturale ed organizzativo, e nei rapporti fra entità della popolazione e consistenza dei servizi.

     E' vero che, per alcuni settori specifici, l'autonomia organizzativa è stata temperata da vincoli legislativi (così per gli Istituti per l'infanzia, a mente del R.D. 15 aprile 1926, n. 728, e R.D. 8 maggio 1927, n. 798; così per gli Asili Nido e per i servizi sociali in favore dei soggetti handicappati in virtù di specifiche leggi regionali di settore) ma, tutto sommato, si trattava di vincoli relativi ad ambienti delimitati e non tali da modificare il giudizio sul sistema complessivo.

     La logica del sistema tradizionale, fondamentalmente, discende da una concezione attribuente un carattere facoltativo agli interventi assistenziali e si è progressivamente rilevata inadeguata ed anacronistica in rapporto, sia alle mutate concezioni sociali e giuridiche (a partire dalle affermazioni costituzionali sul diritto dei cittadini ai servizi sociali) sia ai correnti indirizzi generali sull'assetto dei servizi pubblici, sempre più predefiniti in termini rigorosi, a partire dai paralleli servizi sanitari.

     L'obiettivo di fondo del Piano socio-assistenziale è quello di superare la impostazione tradizionale del sistema e di pervenire, con le dovute compatibilità e gradualità, e nel rispetto delle peculiarità locali e degli ambiti di autonomia dei livelli locali, ad un assetto dei servizi sociali in grado di fornire, nell'ambito regionale, prestazioni di tipo uniforme e di livello adeguato.

     La puntuale definizione degli standard rappresenta pertanto il presupposto necessario alla corretta ed univoca individuazione e classificazione dei presidi, alla conseguente possibilità di omogeneizzarne le caratteristiche, alla possibilità di attuazione delle strategie di contenimento degli squilibri e di standardizzazione delle manovre finanziarie di intervento. Coerentemente a ciò, caratteristica qualificante del primo Piano Socio-assistenziale è l'allegata «Normativa Tecnica», alla quale si rimanda e che definisce ogni unità di offerta del sistema socio- assistenziale nelle sue caratteristiche strutturali e gestionali più rilevanti.

     La fissazione di standard risponde, poi, all'attuazione di una esigenza del procedimento pianificatorio, che tale non potrebbe essere laddove non si traducesse nell'impegno, almeno, di avviare con gli standard una distribuzione ed una qualificazione delle risorse offerte dall'organizzazione pubblica in vista di risposte omogenee ed adeguate ai bisogni.

     Gli standard rappresentano, infine, l'attuazione di obblighi già posti a carico del Piano dalla precedente legislazione regionale (legge regionale 5 aprile 1980, n. 35 e legge regionale 11 aprile 1980, n. 39) e dalla legge regionale di riordino dei servizi socio-assistenziali. Data la delicatezza della materia e l'innovazione rappresentata dall'introduzione degli standard, si ritiene necessario prevedere già a metà triennio una verifica, a livello regionale, sulla situazione che si determinerà all'interno del processo di adeguamento, in particolare una verifica sullo stato di realizzazione delle condizioni oggettive dalle quali dipende la possibilità di realizzazione del processo. In particolare, ci si riferisce agli aspetti inerenti la reale possibilità di formare personale adeguato in numero sufficiente, alla disponibilità di risorse mobilitabili per gli investimenti e per la copertura, attraverso il concorso delle risorse del fondo sanitario, degli oneri sanitari e a rilievo sanitario sostenuti dalle strutture.

     Sulla base di tali verifiche potranno essere apportati i necessari correttivi alle prescrizioni contenute nel Piano, anche prima della sua scadenza naturale, con particolare riguardo ai tempi e alle modalità di adeguamento.

     Valenza degli standard

     La funzione prima attribuita agli standard è quella di rappresentare modelli di riferimento obbligati per le conseguenti determinazioni dei promotori e gestori, pubblici e privati, di servizi sociali.

     I contrasti, presenti nel sistema sino ad oggi in vigore, le improprietà strutturali ed organizzative, trovano frequente giustificazione nell'obiettiva carenza di iniziative pubbliche di indirizzo e di sostegno.

     Simile affermazione non sminuisce la valenza degli standard ai fini dell'assunzione di comportamenti dovuti, nella misura in cui gli adempimenti obbligatori risultino necessari o per realizzare l'uniformità dei livelli dell'offerta pubblica o, quanto meno, per tutelare le esigenze fondamentali delle persone.

     Sotto il profilo degli standard con effetti vincolanti è possibile distinguere una triplice valenza. Standard programmatorio (allegato 2 al presente P.S.A.)

     E' l'insieme dei requisiti che ciascuna struttura, a gestione pubblica o privata, convenzionata o no, dovrà raggiungere in un adeguato arco di tempo, di norma maggiore del periodo di validità del presente P.S.A., con gradualismi diversificati in relazione:

     - alla diversa complessità strutturale e organizzativa che caratterizza ciascuna tipologia di unità di offerta;

     - al diverso scostamento rispetto allo standard programmatorio mediamente riscontrabile nell'attuale situazione per ciascuna tipologia di servizio;

     - alla esigenza di prefigurare un più rapido percorso di adeguamento per le strutture pubbliche e private convenzionate rispetto alle strutture private che non intendono entrare nel sistema del convenzionamento.

     Lo standard programmatorio costituisce altresì (per gli aspetti edilizi) il livello da rispettare nell'immediato per qualsiasi opera di costruzione i cui lavori non siano iniziati alla data di entrata in vigore del P.S.A. Per gli adeguamenti di tutte le strutture residenziali lo standard programmatorio scatta immediatamente solo in relazione ad un numero limitato di elementi, considerati peraltro i più significativi e cioè:

     - posti letto per camera;

     - servizi igienici;

     - impianti di sollevamento obbligatori;

     - spazi pranzo/soggiorno (da prevedersi in ogni nucleo abitativo);

     - eliminazione barriere architettoniche. Standard per il convenzionamento

     E' l'insieme dei requisiti richiesti per ottenere l'iscrizione nel registro delle istituzioni private idonee al convenzionamento, nonché per ottenere l'autorizzazione al funzionamento da parte delle strutture pubbliche. Tali requisiti, la cui analitica specificazione è riportata al paragrafo 2.5. del presente Piano, attengono agli elementi che le strutture interessate devono possedere nell'immediato, nonché ai più restrittivi elementi che le strutture si devono impegnare a raggiungere entro la fine del triennio di validità del P.S.A., onde poter ottenere la riconferma dell'idoneità stessa.

     Resta inteso, in ogni caso, che al fine di cogliere e valorizzare, nell'ambito della manovra programmatoria, le singole peculiarità delle realtà che compongono il sistema socio-assistenziale, anche gli standard gestionali terranno conto, soprattutto in relazione ai rapporti numerici personale/utenti, oltre che del personale dipendente, della presenza nei singoli servizi di personale convenzionato (anche volontario) o religioso e delle ore di servizio effettivamente svolte da tale personale per il raggiungimento degli standard e la loro puntuale articolazione.

     Ciò al fine di rendere praticabile e concreto il processo di avvicinamento allo standard programmatorio.

     In tale logica i successivi Piani socio-assistenziali prevederanno gli ulteriori passi da compiere, necessari per raggiungere in tempi adeguati la coincidenza dello standard di convenzionamento con lo standard programmatorio. Standard per l'autorizzazione al funzionamento.

     E' il livello strutturale ed organizzativo minimo richiesto perché possa essere autorizzato il funzionamento di determinati servizi, garantendo una qualità assistenziale sufficiente per assicurare le esigenze di tutela dell'utente.

     Tale livello minimo, inferiore a quello stabilito per il convenzionamento, viene specificamente definito per ogni unità di offerta, sia per gli aspetti strutturali che gestionali, ed è assoggettato a un processo tendente al miglioramento delle risposte assistenziali, in analogia a quanto previsto per lo standard di convenzionamento.

     Di conseguenza, il presente Piano, al paragrafo 2.5. definisce i requisiti per l'autorizzazione al funzionamento che devono essere posseduti nell'immediato e requisiti da raggiungere entro la fine del triennio di validità del Piano stesso.

 

CAPITOLO II

GLI ELEMENTI STRUTTURALI DEL PIANO

 

     2.1 Il quadro istituzionale e la indicazione dei livelli obbligatori di gestione.

     La recente legislazione nazionale ha fissato i principi dell'integrazione e del coordinamento fra Servizi Sanitari e Sociali e della relativa gestione in ambiti territoriali unificati, demandando alla legislazione regionale di stabilire le modalità effettive di attuazione dei principi stessi (art. 25 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e artt. 11 e 15 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833). La legislazione lombarda ha operato in termini conseguenti attraverso la legge sull'ordinamento dei servizi di zona (L.R. 5 aprile 1980, n. 35) e sull'organizzazione e funzionamento delle USSL (L.R. 11 aprile 1980, n. 39).

     In particolare:

     - è attribuita agli Enti Responsabili dei Servizi di zona la funzione di provvedere «all'organizzazione e alla gestione coordinata e integrata dei servizi sanitari e sociali»;

     - il principio del trasferimento all'USSL, per quanto concerne l'esercizio delle attività socio-assistenziali, è regolato dalla legge di riordino regionale, secondo i seguenti criteri:

     1) sono di competenza degli Enti Responsabili le funzioni di programmazione, integrazione e coordinamento tra servizi, la gestione delle strutture e degli interventi espressamente attribuiti agli stessi dal Piano regionale socio-assistenziale, con particolare riguardo a quelle con bacino di utenza sovracomunale;

     2) relativamente alla gestione dei servizi non espressamente attribuiti dal Piano regionale all'Ente Responsabile, è prevista un'alternatività fra l'Ente stesso e i Comuni singoli, da stabilirsi sulla base delle decisioni dei singoli Comuni e delle assemblee degli Enti Responsabili stessi.

     Questo disegno generale, nella prima fase attuativa, ha da subito evidenziato il pericolo di non positivi rapporti tra i diversi livelli istituzionali, tali da ingenerare incomprensioni e resistenze, da ritardare l'avvio di una Programmazione organica e integrata e da richiedere scelte ponderate sul livello di gestione dei servizi e su procedure di coordinamento supportate dal necessario consenso politico e dalla collaborazione operativa di tutti gli interessati.

 

     2.1.1 Comitato di Coordinamento

     Lo strumento individuato già nel 1982 in via sperimentale, e ora legislativamente confermato, è dato dal Comitato di Coordinamento formato dai Sindaci o dagli Assessori competenti, se delegati, dei Comuni ricompresi in ogni singola zona; la costituzione di tale Comitato ha consentito una prima positiva sperimentazione e nel contempo ha posto in luce due connotati fondamentali di cui il Piano deve tener conto:

     - la conferma del ruolo dei Comuni singoli quali titolari delle funzioni e tradizionali erogatori delle prestazioni socio-assistenziali;

     - la conferma della necessità di organizzare su scala zonale l'erogazione di alcune prestazioni e servizi, capaci di contrastare gli squilibri interni delle zone, di evitare diseconomie e, ancor peggio, la mancata erogazione di talune prestazioni a tutti gli utenti aventi titolo.

     La necessità di conciliare questi due aspetti trova il suo punto di forza nella soluzione prima indicata: il Comitato di coordinamento diventa quindi lo strumento principale attraverso il quale si esprime la reale autonomia del Comune impegnato, da singolo o associato, ad assicurare i giusti livelli qualitativi e quantitativi delle prestazioni e dei servizi finora erogati, e ad operare scelte di programmazione e gestionali che consentano anche uno sviluppo dei servizi compatibile col livello delle risorse a disposizione.

     Circa le modalità procedurali da adottare va segnalata la necessità che il Comitato di Coordinamento (composto dai Sindaci o dagli Assessori competenti, se delegati: in tal caso la delega deve essere conferita con atto formale e in modo continuativo) nomini in sede di prima convocazione al suo interno un Presidente Coordinatore.

     In ordine alla modalità di convocazione il Comitato di Coordinamento può essere convocato dallo stesso Presidente per iniziativa propria, ovvero su istanza di uno qualsiasi degli amministratori comunali facente parte del Comitato, ovvero su istanza del Presidente del Comitato di Gestione dell'USSL.

     Ovviamente la segnalazione preventiva degli argomenti all'ordine del giorno in discussione costituisce requisito essenziale per la validità della convocazione, così come la presenza della maggioranza degli Amministratori comunali, membri di diritto del Comitato di Coordinamento, costituisce elemento indispensabile per la validità della seduta.

     Qualora siano numerosi i Comuni facenti parte dell'USSL e sia pertanto difficile ottenere la contemporanea presenza della maggioranza degli Amministratori, il Comitato di Coordinamento può articolarsi in sottocomitati (uno per ogni distretto o per più distretti) con funzioni istruttorie. Le proposte di questi sotto-comitati dovranno essere ratificate dal Comitato di Coordinamento vero e proprio.

     L'andamento del dibattito e i risultati delle votazioni sui singoli argomenti, assunti a maggioranza dai votanti, devono venire verbalizzati e trasmessi al Comitato di Gestione (e, laddove necessario, ai singoli Comuni interessati) per gli adempimenti successivi.

     In particolare, ogni qualvolta è previsto che il Comitato di Gestione dell'USSL deliberi d'intesa con il predetto Comitato, è necessario che, nelle premesse dell'atto deliberativo, lo stesso Comitato di Gestione richiami il verbale concernente il conforme parere del Comitato sull'argomento in discussione.

 

     2.1.2 Criteri per l'individuazione dei livelli di gestione.

     I criteri generali cui l'associazione intercomunale, sentiti i Comuni singoli, deve attenersi per la più opportuna individuazione dei livelli di gestione, sono chiaramente individuati dall'art. 14 della Legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1, cui si fa rinvio. In particolare, il dettato della legge presuppone la valutazione congiunta di alcuni elementi caratterizzanti che possono essere utilizzati per la più opportuna individuazione dei livelli di gestione, singola o associata, da adottare in ciascuna zona. Tali elementi caratterizzanti concernono:

     - la complessità tecnica e gestionale dei singoli servizi e la consistenza del bacino di utenza;

     - l'esigenza di pervenire alla omogeneità delle prestazioni e, contemporaneamente, allo sviluppo e al riequilibrio della rete delle unità di offerta;

     - la compresenza, nell'ambito delle unità di offerta socio- assistenziali, di prestazioni sanitarie e a rilievo sanitario.

     Gli elementi prima indicati costituiscono una griglia di orientamento che di per sé non porta necessariamente a una gestione associata; tuttavia va ricordato che, laddove la gestione materiale di singoli servizi ed unità di offerta venga lasciata in capo al Comune singolo, rimane di competenza dell'Ente Responsabile la funzione generale di programmazione e di coordinamento, anche sotto il profilo della assegnazione di tutte le risorse regionali del settore socio-assistenziale.

     L'Ente Responsabile viene pertanto riconfermato come il livello zonale di programmazione e di governo delle risorse regionali, anche nei casi in cui la materialità della gestione rimanga in capo al singolo Comune.

 

     2.1.2.1 Funzioni da svolgere obbligatoriamente a livello associato.

     Per quanto attiene alle funzioni che il presente Piano Socio- assistenziale deve individuare come funzioni da esercitarsi obbligatoriamente a livello associato, cioè le funzioni la cui titolarità è affidata all'Ente Responsabile, si ritiene che le stesse ricomprendano:

     A) l'insieme delle funzioni socio-assistenziali e a rilievo sanitario connesse con quelle sanitarie già trasferite all'Ente Responsabile con i decreti di trasferimento delle funzioni sanitarie;

     B) le funzioni indicate dal presente Piano come funzioni vincolate alla gestione associata.

     A) Appartengono al primo gruppo di funzioni:

     A.1) Nell'area materno-infantile afferiscono al livello zonale gli interventi collegati all'attività consultoriale: i consultori familiari istituiti con Legge regionale 6 settembre 1976, n. 44 e già gestiti dai consorzi sanitari di zona, sono poi confluiti agli enti Responsabili col trasferimento delle funzioni sanitarie; a seguito della L. 23 dicembre 1975, n. 698 sono altresì confluiti nei consultori familiari le strutture e il personale consultoriale ex ONMI;

     A.2) Nell'area della tutela della salute mentale afferiscono al livello zonale le funzioni socio-assistenziali complementari o successive ai trattamenti sanitari-psichiatrici, cioè gli interventi posti in essere per la prevenzione e la risocializzazione dei malati di mente, ivi compresa la gestione diretta di presidi e servizi integrati;

     A.3) Nell'area della tossicodipendenza, afferiscono al livello zonale le funzioni socio-assistenziali complementari e successive ai trattamenti di prevenzione, cura e riabilitazione, ivi compresa la gestione diretta di presidi e servizi integrati, e cioè gli interventi posti in essere per la prevenzione, la risocializzazione e l'inserimento lavorativo dei tossicodipendenti;

     B) Appartengono al secondo gruppo di funzioni quelle in appresso indicate, per le quali si ritiene perseguibile nel primo triennio il livello di gestione obbligatoriamente associato, anche in ragione della forte connotazione di integrazione socio-sanitaria:

     B.1) Nell'area degli anziani, afferiscono al livello zonale le funzioni relative al trattamento degli anziani non autosufficienti, cioè gli interventi legati alla gestione diretta o convenzionata di strutture protette o strutture miste con reparti protetti e a tutti i conseguenti provvedimenti (provvedimenti di ricovero tenuta e aggiornamento degli elenchi di priorità per l'accesso alle strutture medesime etc.).

     B.2) Nell'area dell'handicap, afferiscono al livello zonale le funzioni relative ai trattamenti per gli handicappati gravi e gravissimi, e cioè la gestione diretta o convenzionata dei centri socio-educativi nonché i conseguenti provvedimenti (provvedimenti di ricovero e/o di accesso ai servizi; tenuta e aggiornamento degli elenchi di priorità dell'accesso; ecc.). Inoltre è conferita a livello associato la gestione dei centri residenziali, dei quali si prevede, nel primo triennio, la realizzazione con bacino di utenza sovrazonale, a causa del carattere innovativo dell'iniziativa.

     B.3) Nell'area dei minori, afferiscono al livello zonale le funzioni relative ai provvedimenti riguardanti l'affido familiare dei minori, i rapporti con la Magistratura minorile per quanto attiene ai minori sottoposti a provvedimenti civili e amministrativi nonché la collaborazione dovuta per i provvedimenti di adozione e di affido conseguenti all'applicazione delle legge 4 maggio 1983, n. 184; i trattamenti psico- sociali per i minori a rischio.

     Inoltre è conferita al livello associato la gestione dei centri di pronto intervento, dei quali si prevede, nel primo triennio, la realizzazione con bacino di utenza sovrazonale, a causa della rarefazione della utenza e del carattere sperimentale dell'iniziativa.

     Le funzioni prima evidenziate fanno capo come titolarietà piena all'Ente Responsabile dei servizi di zona; tuttavia il dettato della legge regionale di riordino del Settore consente che, in deroga a quanto indicato dal presente Piano, le attività attribuite all'Ente Responsabile possano essere svolte dai Comuni singoli che abbiano i requisiti di ampiezza demografica e capacità gestionale definiti dal Piano regionale socio- assistenziale, a condizione che i Comuni concordino con l'Ente Responsabile le modalità per garantire l'accesso ai servizi anche a cittadini residenti in altri Comuni della zona. Ciò si traduce nella necessità, per il presente Piano, di indicare i vincoli e limiti all'interno dei quali può essere espletata la focalità di deroga. Sembra corretto che la deroga non possa esercitarsi nei confronti del primo gruppo di funzioni (A.1, A.2, A.3), trattandosi di funzioni mai gestite in precedenza dai Comuni singoli, e la cui gestione rimane pertanto affidata al livello zonale.

     Per quanto attiene al secondo gruppo di funzioni, il presente Piano individua vincoli e limiti, anche diversificati, con la preliminare indicazione che la capacità gestionale che il Comune singolo deve dimostrare di possedere equivale alla comprovata esistenza di un servizio o attività direttamente gestiti, e non già alla possibilità o esistenza di un rapporto convenzionale per un servizio o attività gestito da Ente pubblico autonomo o Ente privato idoneo al convenzionamento, risultando in tal caso più opportuno mantenere il sistema del convenzionamento in capo all'Ente Responsabile.

     Evidentemente qualora, sulla base delle capacità gestionali prima indicate, il Comune intenda concordare con l'Ente Responsabile il ricorso alla facoltà di deroga, deve impegnarsi a gestire la funzione oggetto di deroga nella sua interezza e per tutti i cittadini interessati; ciò può concretizzarsi anche attraverso il ricorso al sistema di convenzionamento con Enti pubblici e privati idonei, qualora il servizio o struttura gestita direttamente non sia sufficiente a rispondere al fabbisogno dei propri cittadini, e a condizione comunque che il Comune concordi con l'Ente Responsabile le modalità per garantire l'accesso ai servizi anche agli utenti residenti negli altri Comuni della zona.

     Pertanto, la facoltà di lasciare al livello del singolo Comune attività attribuite dal presente Piano all'Ente Responsabile può essere esercitata con i seguenti criteri e vincoli:

     nell'area anziani, la gestione di strutture protette o strutture miste con reparto protetto può essere lasciata in capo al Comune singolo in cui la struttura ha sede, purché siano contestualmente soddisfatti i seguenti requisiti:

     a) il fabbisogno teorico di posti letto del Comune interessato (calcolato tenendo conto dell'indice di fabbisogno già evidenziato nel presente PSA rapportato alla popolazione ultrasessantacinquenne residente) sia tale da coprire almeno il 50% dei posti letto esistenti nella struttura;

     b) l'ampiezza demografica del Comune non sia inferiore ai 25.000 abitanti;

     c) il Comune si impegni a rispondere, anche attraverso il ricorso alle convenzioni, ai bisogni di tutti gli anziani non autosufficienti residenti nel proprio territorio.

     Nell'area dell'handicap, la gestione di C.S.E. può essere esercitata dal Comune singolo in cui le strutture hanno sede purché siano contemporaneamente soddisfatti i seguenti requisiti:

     a) la struttura corrisponda allo standard di capienza massima indicato dal presente Piano [30 posti];

     b) almeno il 50% dell'utenza presente nella struttura sia residente nel Comune;

     c) l'ampiezza demografica del Comune non sia inferiore ai 25.000 abitanti.

     La gestione dei Centri Residenziali per il triennio di validità del Piano è affidata, in ogni caso, all'Ente Responsabile in cui il centro stesso ha materialmente sede, con la avvertenza che per tali centri si prevede bacino d'utenza sovrazonale.

     In presenza di scarsa diffusione sul territorio di questa unità d'offerta, tenuto conto che è obiettivo specifico del Piano pervenire alla realizzazione di n. 12 nuove unità nell'arco del triennio, la loro localizzazione deve avvenire d'intesa tra gruppi di USSL; il raggruppamento tra USSL può avvenire tenuto conto di quanto già deciso a livello regionale per la definizione degli ambiti territoriali relativi alle unità operative di psichiatria (L.R. 6 dicembre 1985, n. 79).

     Nell'area dei minori, la gestione degli interventi collegati all'affido familiare, ai provvedimenti dell'Autorità giudiziaria minorile in materia civile e amministrativa, alle adozioni ecc. presuppone una «capacità gestionale» complessa e un intervento professionale necessariamente pluridisciplinare (almeno la presenza di psicologo e assistente sociale); presuppone inoltre un unico livello decisionale, quello associato, per la programmazione e l'organizzazione degli interventi, che si traduce in scelte di intervento a valere per l'intera zona, nella selezione e preparazione delle famiglie affidatarie, ivi compresa la tenuta e l'aggiornamento periodico degli appositi elenchi, nella individuazione, all'interno del regolamento di zona dei servizi socio-assistenziali, dei criteri generali per l'erogazione dei contributi economici. Se si collega tale assunto alla rarefazione dell'utenza e alla ampiezza demografica dei Comuni (il 77,4% dei Comuni lombardi ha popolazione inferiore a 5.000 abitanti), il dato che ne risulta fa individuare il livello obbligatoriamente associato come l'unico in grado di assicurare un intervento corretto nella generalità dei Comuni. Pertanto i singoli Comuni sono chiamati alla collaborazione per quanto attiene la fase preparatoria e istruttoria, ivi compresa la promozione e preparazione degli interventi, la pubblicizzazione dell'iniziativa, l'informazione agli utenti e agli interessati, la promozione delle forme partecipative ritenute più idonee (campagne di informazione per il reperimento delle famiglie, sensibilizzazione degli organismi e delle associazioni interessate, etc.), nonché alla partecipazione agli oneri sostenuti per i propri utenti.

     La facoltà di deroga, in questa materia particolarmente delicata e difficile, può essere esercitata solo quando siano contestualmente soddisfatti i seguenti requisiti e vincoli:

     - il Comune singolo sia in grado, per presenza di personale (équipe pluridisciplinare responsabile dell'intervento), di garantire la corretta attuazione della programmazione zonale;

     - l'ampiezza demografica del Comune non sia inferiore ai 25.000 abitanti.

     Deve essere in ogni caso garantito il coordinamento con l'E.R.S.Z., anche in ragione, come già detto in precedenza, delle funzioni che quest'ultimo deve comunque esercitare sull'intera zona.

     La gestione dei centri di pronto intervento, per il triennio di validità del Piano, è affidata, in ogni caso, all'Ente Responsabile in cui il centro stesso ha materialmente sede, con la avvertenza che per tali centri si prevede bacino di utenza sovrazonale.

     Considerata la pressoché totale inesistenza di tale unità di offerta sul territorio, e tenuto conto che è obiettivo specifico del Piano pervenire alla realizzazione di n. 10 nuove unità nell'arco del triennio, la loro localizzazione deve avvenire d'intesa tra gruppi di USSL, come più specificamente indicato nell'azione programmata contenuta in altra parte dal presente Piano.

     Il raggruppamento tra USSL può avvenire tenuto conto di quanto già deciso a livello regionale per la definizione degli ambiti territoriali relativi alle unità operative di psichiatria.

     In tutti i casi prima elencati, la facoltà di deroga in capo al singolo comune per quanto attiene al secondo gruppo di funzioni, anche in carenza di uno dei vincoli e criteri individuati per ciascuna area, può essere autorizzata dalla Giunta Regionale, sentita la competente Commissione Consiliare previa richiesta opportunamente motivata e formulata dall'Assemblea degli E.R.S.Z. , con le modalità previste dall'art. 14 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

     La facoltà di deroga in capo al Comune singolo deve essere regolamentata attraverso apposita convenzione che definisca, tra l'altro, le modalità di accesso ai servizi da parte anche dei cittadini residenti in altri Comuni della zona.

 

     2.1.2.2. Funzioni per le quali l'individuazione dei livelli di gestione è lasciata alla decisionalità locale.

     I criteri generali cui ispirarsi per la più opportuna decisione locale circa l'attribuzione di funzioni gestionali a livello singolo o associato sono i seguenti:

     - devono restare alla gestione del Comune singolo i servizi che non abbiano complessità tecnica e gestionale e il cui bacino di utenza sia compreso nell'ambito del Comune;

     - restano di conseguenza alla gestione del singolo Comune attività che si svolgano nei confronti di utenti residenti e dimoranti nel Comune; possono altresì restare attività dirette all'accertamento dei requisiti per l'accesso alla rete dei servizi e alla promozione e preparazione degli interventi di competenza dell'Ente Responsabile, alla informazione agli utenti e alla promozione delle forme partecipative ritenute più idonee, espletate sulla base delle indicazioni e dei criteri contenenti nel regolamento di zona dei servizi socio-assistenziali. L'Ente Responsabile deve in ogni caso assicurare le prestazioni sanitarie anche attraverso proprio personale complementari alla corretta gestione di ogni presidio o servizio.

     Anche in questo caso, la legge regionale di riordino consente che funzioni, la cui titolarità è in capo ai Comuni singoli possano essere volontariamente affidate all'Ente Responsabile, qualora i Comuni stessi ne facciano richiesta in quanto non in grado di organizzare efficacemente i relativi servizi e attività.

     In tal caso devono essere valutate la consistenza attuale della rete dei servizi e la reciproca convenienza a spostare la gestione dal livello singolo a quello associato in ragione del perseguimento dei seguenti obiettivi:

     1) la diffusione omogenea di tutte le prestazioni previste dal programma zonale su tutto il territorio utilizzando l'esistente rete dei servizi già ristrutturata o ristrutturabile con modesti interventi aggiuntivi;

     2) il superamento della polverizzazione delle risorse finanziarie, soprattutto qualora ci si ritrovi in presenza di strutture e servizi sotto utilizzati rispetto al personale in servizio.

     3) la erogazione più razionale e diffusa delle prestazioni sanitarie complementari.

     Fatta salva comunque la funzione di programmazione e di coordinamento in capo all'Ente Responsabile, il cui corretto esercizio deve garantire omogeneità e globalità di intervento sull'intero territorio zonale, si richiamano gli Enti Responsabili e i Comuni singoli, in sede di assunzione delle relative deliberazioni, alla necessità che eventuali servizi e attività rimandate dal livello singolo a quello associato riguardino almeno l'ambito territoriale distrettuale.

 

     2.1.3 Ruolo delle Province.

     Nell'ambito delle prescrizioni relative ai livelli istituzionali, il presente P.S.A. intende concorrere alla definizione del ruolo e delle funzioni assegnate alle Province in materia di servizi socio-assistenziali.

     Il processo di riorganizzazione dei servizi avviato con il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 e perfezionato poi con la legge 23 dicembre 1978, n. 833, nonché con la legislazione regionale attuativa, da un lato ha consentito un trasferimento di funzioni e competenze in materia sanitaria (in precedenza esercitate dalle Province) in capo agli Enti Responsabili e alle USSL, dall'altro non ha normato le funzioni socio-assistenziali in precedenza esercitate dalle Province stesse, le quali tuttora ne sono titolari. Parimenti, tale processo riorganizzativo, in assenza della legge di riforma dell'assistenza e del provvedimento nazionale di riforma delle autonomie locali, non ha individuato e declinato in maniera univoca e puntuale il ruolo della Provincia.

     La legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1 ha pertanto operato in carenza di tali indicazioni fondamentali, avendo come unico riferimento il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, prefigurando la Provincia come il livello istituzionale intermedio, connotato da una forte componente di programmazione generale e di coordinamento territoriale; contemporaneamente ha previsto che le competenze istituzionali proprie sia obbligatorie che facoltative possano essere affidate, tramite lo strumento facoltativo delle convenzioni, agli E.R.S.Z. così da realizzare quella unicità di programmazione e gestione a livello zonale che è l'obiettivo primario di tutta la legislazione regionale attuativa. La non obbligatorietà del procedimento di riorganizzazione gestionale prefigurato dalla Regione, e che vede coinvolte le Province, presuppone pertanto il consenso politico e può comportare alcune difficoltà e resistenze, ma offre anche il vantaggio di consentire maggiori margini di flessibilità nella definizione del nuovo ruolo e nella individuazione delle attribuzioni loro affidate.

     Al di là delle indicazioni già contenute nel D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, che la legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1 ha puntualmente ripreso e declinato, è necessario prevedere nuove attribuzioni coerenti con la natura istituzionale dell'Ente e con la sua collocazione intermedia tra Regione e Comuni singoli e associati. Si tratta pertanto di valorizzare tale collocazione strategica nelle direzioni:

     - di tramite nel processo programmatorio discendente e ascendente, attraverso la rivendicazione e l'esercizio di un ruolo non solo formale;

     - di supporto tecnico nei confronti dei Comuni singoli e associati, non solo nel campo della formazione, ma anche in tutte quelle aree dove il raccordo e il coordinamento provinciale assumono di fatto un ruolo importante, vuoi consentendo economie di scala ed evitando duplicazioni di intervento, vuoi attraverso l'utilizzo del patrimonio di conoscenze che tecnicamente le Amministrazioni provinciali hanno accumulato nel corso degli anni;

     - di partecipazione al complesso disegno legato alla riqualificazione e riclassificazione del sistema dei servizi socio-assistenziali attraverso il corretto utilizzo dello strumento della autorizzazione al funzionamento dei servizi stessi.

     Per il primo aspetto, l'espressione di parere sulla conformità della programmazione regionale e zonale alla propria pianificazione socio- economica, deve tradursi non tanto in una valutazione a posteriori di un processo già perfezionato, ma nel coinvolgimento della Provincia sin dalla fase istruttoria; a tal fine, il presente P.S.A. sottolinea l'esigenza che ogni Comitato di Gestione, sentito il competente Comitato di Coordinamento, acquisisca preventivamente il parere della Provincia sulla proposta di programma triennale di zona da rassegnare alla Regione, per i successivi adempimenti di approvazione. Ciò non esclude l'opportunità che la Provincia venga più direttamente coinvolta nella fase di elaborazione; ciò diventa obbligatorio quando si tratta di localizzare nuovi presidi o di individuare riconversioni di presidi già esistenti in nuovi servizi, per i quali il presente P.S.A. indica per il triennio un bacino di utenza sovrazonale.

     Per il secondo aspetto, l'attività di supporto tecnico deve necessariamente rivolgersi alla formazione professionale; in questo ambito, il supporto tecnico viene rivolto:

     - al livello regionale, per la individuazione delle scelte di programmazione relative alle politiche di formazione e di aggiornamento degli operatori, nonché per la costruzione di strumenti di analisi e valutazione dei fabbisogni formativi;

     - al livello zonale, per l'individuazione dei fabbisogni quali/quantitativi di formazione, in coerenza con i criteri e le priorità fissate in altra parte del presente Piano, nonché per il raccordo e il coordinamento delle agenzie di formazione utilizzabili sul territorio, ovvero per la concreta gestione dei corsi di formazione.

     Il supporto tecnico comporta uno stretto coordinamento operativo sia con gli organismi politici a livello zonale sia con i dirigenti coordinatori socio-assistenziali e può tradursi anche in una collaborazione per quanto attiene le iniziative di sperimentazione che le zone proporranno alla Regione, in particolare quando la sperimentazione si proponga finalità e obiettivi non strettamente riconducibili all'ambito territoriale zonale.

     Per il terzo aspetto, lo svolgimento delle attività connesse al rilascio dell'autorizzazione al funzionamento di tutte le strutture e i servizi previsti dall'art. 50 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, consente alle Province di esercitare un ruolo determinante nel processo di riclassificazione del sistema socio-assistenziale e di intervenire nel processo di adeguamento agli standard programmatori (strutturali e gestionali), e per converso di verificare in che misura gli obiettivi regionali sono realisticamente perseguibili nel triennio. Mentre per le procedure di attuazione si fa riferimento all'apposito paragrafo del presente P.S.A., si sottolinea l'esigenza che il processo sia tempestivo ed efficiente.

     L'esercizio delle attività di autorizzazione ha anche una valenza particolarmente significativa nella valutazione e quantificazione dei fabbisogni di formazione e/o riqualificazione degli operatori in servizio; i risultati delle procedure autorizzative devono pertanto costituire un input costante per l'attività di supporto tecnico alla formazione, in quanto ne costituiscono l'elemento essenziale, sotto il profilo quantitativo e qualitativo.

     Come già brevemente accennato, l'esigenza delle convenzioni nasce dalla opportunità di riportare a unicità di programmazione e gestione tutti gli interventi sociali, nonché da esigenze di coerenza con i nuovi ruoli istituzionali prima delineati: ne consegue che le convenzioni devono essere basate su alcuni criteri, rispetto ai quali non vi può essere deroga, e cioè:

     - ogni e qualsiasi intervento di assistenza diretta agli utenti deve formare oggetto della delega, senza riserve di alcun genere; la gestione di strutture e servizi finora organizzati a livello provinciale deve rientrare nelle convenzioni stesse, con la previsione che l'Ente Responsabile delegatario (di norma quello nel cui territorio ha sede la struttura) deve assicurare la fruizione delle prestazioni erogate a tutta l'utenza interzonale, mantenendo, in quanto delegatorio, i rapporti anche finanziari attualmente esistenti tra Provincia, USSL e Comuni;

     - la stipula delle convenzioni deve garantire da parte della Provincia l'integrale accollo degli oneri finanziari legati all'esercizio delle funzioni oggetto di delega e, di norma, la messa e disposizione del personale occorrente.

     Nell'assegnazione di personale provinciale è necessario, da un lato, valutare concretamente l'entità delle funzioni oggetto di delega e il carico aggiuntivo che esse comportano, dall'altro, l'entità del personale già disponibile in ciascuna USSL.

 

     2.2 Il modello organizzativo e funzionale di riferimento.

     Il modello organizzativo e funzionale al quale vanno riferite le attività e gli interventi socio-assistenziali contenuti nel presente Piano è stato nelle sue linee portanti definito dal titolo III della legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1.

     La legge di riordino ha peraltro recepito e completato per la componente socio-assistenziale il modello organizzativo complessivo già indicato dalla precedente legislazione regionale attuativa della legge di riforma sanitaria (L.R. 5 aprile 1980, n. 35: ordinamento dei servizi di zona; L.R. 11 aprile 1980, n. 39: organizzazione e funzionamento delle USSL).

     Il modello ha ottenuto ulteriori specificazioni dalla deliberazione consiliare n. 1730/84, che, in anticipazione del Piano, ha consentito l'istituzione del servizio di assistenza sociale nelle USSL lombarde.

     Il presente Piano nel recepire le linee portanti del modello organizzativo ivi delineato, ne completa il disegno, anche in relazione ai precisi rimandi che ad esso fa la Legge di riordino, imponendo di completare la definizione dell'assetto organizzativo con particolare riguardo:

     - alle attività da organizzare in ciascun distretto, nonché allo standard minimo di personale riferito alle singole figure professionali, necessario per lo svolgimento delle predette attività (art. 17, comma 2);

     - alle attività che devono o possono essere organizzate a livello zonale ovvero a livello di due o più distretti di base, nonché alla articolazione del servizio di assistenza sociale delle USSL in unità operative (art. 19, 1° comma);

     - alla partecipazione di dette unità operative ai dipartimenti (art. 19, L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, art. 4 L.R. 11 aprile 1980, n. 39);

     - alla determinazione dei livelli di gestione obbligatoriamente associata (art. 14, comma 1° L.R. 7 gennaio 1986, n. 1).

     La risultante finale di questi diversi processi di definizione è quella di seguito illustrata, che costituisce il modello cui riferire gli interventi e le attività previste dal primo P.S.A. per il triennio 88/90: è tuttavia da sottolineare che il P.S.A. completa e chiarisce l'organizzazione delle attività socio-assistenziali, mentre il modello organizzativo dell'USSL non può che essere quello complessivo risultante dalle scelte organizzative operate sia dal presente P.S.A. che dal P.S.R. Le indicazioni nel P.S.A. contenute sono perciò da considerarsi puntuali per la parte che attiene alle attività propriamente socio-assistenziali (organizzazione del servizio di assistenza sociale, sue articolazioni in unità operative, funzioni attribuite alle stesse) mentre quelle riferite alle attività distrettuali e alle attività dipartimentali, poiché non ancora chiaramente individuate dal P.S.R., saranno meglio definite in relazione a quanto il P.S.R. indicherà come modello organizzativo per gli interventi e le attività sanitarie.

 

     2.2.1 Il servizio di assistenza sociale dell'USSL.

     E' uno dei servizi in cui si articolano le USSL lombarde e allo stesso è affidato lo svolgimento delle funzioni in materia di assistenza sociale facenti capo all'Ente Responsabile dei Servizi di Zona (vedi Reg. 14 agosto 1981, n. 2, art. 9, col quale sono state individuate le materie e le funzioni di tutti i servizi dell'USSL). Il servizio può essere definito come un insieme organizzativo complesso di più attività unidisciplinari, unificato sul piano funzionale dalla unicità dello scopo prevalentemente perseguito e dotato di autonomia tecnico-funzionale. E' pertanto il servizio deputato a svolgere tutti gli interventi psico-sociali già propri dell'Ente Responsabile, in quanto da svolgersi nelle aree di massima integrazione, nonché quelli previsti al livello obbligatoriamente associato di gestione dal presente P.S.A. ovvero rimandati al livello associato a seguito delle scelte effettuate a livello locale (delibera attuativa dell'art. 14 L.R. 7 gennaio 1986, n. 1).

 

     2.2.1.1. Quadro delle funzioni di pertinenza del servizio.

     Con il presente P.S.A. si attua il completamento delle funzioni riferite al servizio, tenuto conto di quanto già espresso nel precedente capitolo con riferimento ai criteri per l'individuazione dei livelli di gestione.

     Pertanto sono attribuite al servizio di assistenza sociale dell'USSL:

     - la predisposizione degli atti di programmazione, integrazione e coordinamento di carattere generale, a valere per l'intera zona e indipendentemente dal fatto che alcuni servizi, presidi e interventi siano direttamente gestiti dai comuni singoli;

     - l'insieme delle funzioni psico-sociali e a rilievo sanitario connesse con le funzioni sanitarie già trasferite agli Enti Responsabili all'atto dell'adozione dei decreti di trasferimento delle funzioni sanitarie. Nello specifico tali funzioni attengono:

     - agli interventi che concorrono alla tutela della salute mentale (prevenzione, risocializzazione e reinserimento dei malati di mente);

     - agli interventi che concorrono alla prevenzione, risocializzazione e reinserimento dei soggetti tossicodipendenti e alcolisti;

     - agli interventi connessi alle attività dei consultori familiari;

     - l'insieme delle funzioni psico-sociali per le quali il presente P.S.A. indica il livello obbligatoriamente associato di gestione; nello specifico, tali funzioni attengono:

     - all'assistenza agli anziani non autosufficienti ricoverati in strutture protette o in strutture miste con reparto protetto;

     - all'assistenza agli handicappati gravi e gravissimi ricoverati in Centri Residenziali e nei C.S.E.;

     - agli interventi psico-sociali nell'area della devianza e del disadattamento minorile, soprattutto in direzione dell'affido familiare e dei connessi rapporti coll'autorità giudiziaria minorile;

     - le funzioni socio-assistenziali di competenza delle Province e dalle stesse affidate per convenzione agli Enti Responsabili (provvedimenti relativi ai minori illegittimi o riconosciuti dalla sola madre, ciechi- sordomuti ecc.);

     - le funzioni socio-assistenziali di natura professionale comunque svolte da operatori sociali all'interno di altri presidi o servizi dell'USSL (ospedali, poliambulatori, centri specialistici ecc.);

     - le funzioni di vigilanza e controllo su tutte le unità di offerta socio-assistenziali esercitate per delega regionale.

 

     2.2.1.2. Personale del servizio di assistenza sociale.

     Il personale da attribuire al servizio è tutto indistintamente il personale dipendente della USSL addetto a funzioni psico-sociali, anche se attualmente operante in servizi o presidi diversi. Per personale psico- sociale deve intendersi il personale avente una figura professionale qualificata come «sociale» (psicologo, sociologo, assistente sociale, pedagogista, educatore, animatore, ausiliario socio-assistenziale ecc.). Si tratta quindi, ove già non anticipato sulla base della deliberazione n. 1730/84, di operare l'individuazione di tutti gli operatori sociali attualmente inseriti in altri presidi e/o servizi e di prevederne l'assegnazione e quindi la dipendenza gerarchica, e di norma funzionale dal servizio e per esso dal suo responsabile. Deve inoltre dipendere dal servizio tutto il personale di strutture o presidi la cui gestione sia affidata direttamente allo stesso (C.S.E., strutture protette, comunità alloggio ecc.).

     Tale scelta, espressamente indicata dalla legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1, viene qui ribadita in quanto considerata premessa irrinunciabile per consentire ad ogni comitato di gestione di individuare il contingente di personale da attribuire al servizio, e ad ogni Ufficio di direzione e al dirigente coordinatore del servizio, per la parte di rispettiva competenza, di programmare e gestire in maniera integrata le funzioni e gli interventi prima evidenziati attraverso la distribuzione funzionale e articolata di tale personale.

     Inoltre, va precisata la dipendenza gerarchica e funzionale dal predetto servizio di tutto il personale socio-assistenziale proveniente da enti diversi (Comuni singoli, consorzi di Comuni, Province, IPAB) trasferito o comandato all'Ente Responsabile in ragione delle decisioni assunte circa i livelli di gestione delle relative funzioni, ovvero sulla base di apposite convenzioni, come nel caso delle funzioni socio- assistenziali tuttora spettanti alle Province.

     Il servizio amministrativo dell'USSL garantisce, ai sensi dell'art. 10 del Reg. 14 agosto 1981, n. 2, la collaborazione alla predisposizione degli atti amministrativi attinenti alle materie e funzioni di pertinenza degli altri servizi, e quindi anche del servizio di assistenza sociale.

 

     2.2.1.3. Indicazioni per l'articolazione del servizio in unità operative.

     Su questo fondamentale aspetto va premesso che la proposta di articolazione del servizio in unità operative, avviata a stralcio del P.S.A. con deliberazione consiliare n. 1730/84, stanti anche le difficoltà e i ritardi, quando non addirittura le inadempienze con cui le USSL hanno recepito le indicazioni ivi contenute, non consentono di proporre, per il triennio di validità del Piano, un modello ormai consolidato e largamente sperimentato; a questa considerazione deve aggiungersi il fatto che pesa sul modello organizzativo proposto la carenza di analoghe indicazioni a livello di pianificazione sanitaria, con la conseguente difficoltà di prevedere un unico modello di riferimento, che è pur tuttavia scelta obbligata per l'integrazione tra il sanitario e il sociale.

     Va inoltre tenuto conto della indubbia concorrente competenza del Comitato di Gestione, dell'Ufficio di direzione e del Responsabile del servizio in ordine alla attribuzione del personale e al suo più razionale utilizzo, nonché delle soluzioni organizzative anche difformi che possono essere state adottate in ragione della particolarità delle situazioni locali; per tali motivi il modello organizzativo proposto ha innanzitutto la caratteristica della flessibilità e dei conseguenti possibili adattamenti di soluzioni organizzative anche diversificate. Esso sottintende la necessità di una sperimentazione che consenta, al termine del triennio, di procedere alla adozione di un modello certo e consolidato, anche in relazione alle indicazioni che a tale riguardo dovessero essere contenute negli emandandi atti di programmazione sanitaria.

     Tutto ciò premesso, si ritiene tuttavia di confermare, per il triennio di riferimento di validità del Piano, le indicazioni a suo tempo già fornite con deliberazione consiliare n. 1730/84; si fa pertanto riferimento alle indicazioni già date circa l'articolazione del servizio almeno in due unità operative (unità operativa di base, unità operativa zonale), con la premessa che in questa fase di avvio è opportuno tener conto che dette indicazioni possono essere attuate in toto o solo parzialmente anche in ragione della consistenza numerica del personale complessivamente assegnato al servizio.

     Afferiscono alla unità operativa degli interventi sociali di base tutti gli operatori già ora impegnati a rendere le prestazioni di primo livello e di pronto intervento alla persona, a livello territoriale; pertanto entrano a far parte di questa unità operativa gli operatori che già ora dipendono dalla USSL e quelli eventualmente messi a disposizione dai Comuni, nell'ambito della sperimentazione delle attività distrettuali. Tali operatori costituiscono l'insieme degli operatori chiamati a far parte delle singole équipes socio-sanitarie di distretto. E' evidente che tale unità operativa deve essere costituita in quelle situazioni nelle quali è già stata avviata o si pensa di avviare a tempi brevi l'attività distrettuale integrata. E' opportuno che in questa prima fase il Responsabile di detta unità operativa coincida con il Responsabile di Servizio, ossia che tale Responsabile assuma anche la responsabilità dell'unità operativa di base.

     Afferiscono alla unità operativa degli interventi sociali zonali tutti gli operatori addetti ai presidi e servizi zonali deputati a svolgere attività non distrettuali, in particolare anche gli operatori socio- assistenziali addetti alle équipes specialistiche mono e sovrazonali della tossicodipendenza e della malattia mentale.

     L'articolazione in due sole unità operative è quella suggerita laddove nel complesso il personale assegnato al servizio non superi le quindici unità.

     Nelle USSL dove il servizio di assistenza sociale si vede assegnato un numero più consistente di personale, e dove già sia direttamente responsabile della gestione di presidi e servizi, l'unità operativa zonale può essere sostituita da unità operative articolate per aree di intervento in ragione della particolare rilevanza operativa che tali aree abbiano già acquisito o possono acquisire in una prospettiva di breve termine. Si può operare quindi una suddivisione di funzioni, attività e personale in direzione delle seguenti tre aree:

     a) area materno-infantile, dell'età evolutiva e del disadattamento

     A tale unità operativa sono affidate funzioni e prestazioni in materia di: attività consultoriale non distrettuale; trattamenti psicologici e sociali specifici, consulenze legali, collaborazione con l'autorità giudiziaria minorile in materia di affidi e adozioni, nonché il trattamento psico-sociale e le attività di reinserimento e recupero dei minori e adolescenti a rischio; trattamento delle emergenze in campo minorile, ecc.; interventi di prevenzione e di reinserimento sociale, culturale e lavorativo rivolti a soggetti tossicodipendenti;

     b) area dell'handicap e della malattia mentale

     A tale unità operativa sono affidate funzioni e prestazioni in materia di prevenzione e di trattamento degli handicappati gravi e gravissimi, nonché la gestione dei relativi presidi e servizi, diretta o in convenzione; interventi di prevenzione, di risocializzazione e reinserimento nell'area della malattia mentale;

     c) area anziani, cui sono affidate funzioni e interventi nei confronti degli anziani non autosufficienti, anche attraverso la gestione diretta o per convenzione delle relative strutture protette.

     La predetta articolazione organizzativa, che vede le unità operative zonali e distrettuali affidate al Responsabile/coordinatore del servizio, deve consentire l'individuazione delle unità operative che in tutto o in parte sono inserite in altre articolazioni del modello organizzativo complessivo dell'USSL (dipartimenti e nuclei operativi; nuclei di unità operative). Tale individuazione troverà completa e corretta attuazione nel momento in cui verrà compiutamente definita l'organizzazione dei servizi sanitari; tuttavia è già possibile definire che, una volta concordata da parte del Responsabile del servizio con i coordinatori e/o Responsabili di detti nuclei la programmazione generale delle funzioni socio-assistenziali da assicurare nell'area della tossicodipendenza e della salute mentale, il personale necessario per l'assolvimento delle funzioni gestionali concordate deve essere funzionalmente assegnato ai predetti nuclei e unità operative. La funzione di raccordo e di coordinamento operativo con gli altri servizi della USSL, che il presente PSA individua a livello di ufficio di direzione e per esso anche al responsabile/coordinatore socio- assistenziale è l'indispensabile per garantire unicità di intervento a livello zonale, evitando che si perpetuino vecchie logiche settoriali legate all'operatività di équipes specialistiche monofunzionali.

     L'appartenenza del predetto personale alle unità operative zonali socio-assistenziali prima individuate ha il significato anche di garantire, oltre l'ovvia unicità di programmazione e di coordinamento, la possibilità di aggiornamento del personale e di analisi e confronti sulla situazione sociale della zona, al fine di partecipare alla rilevazione delle mappe di rischio e al processo programmatorio generale.

     All'interno delle Unità Operative zonali può essere individuato un responsabile scelto tra il personale assegnato alle medesime, nell'ambito delle figure professionali indicate all'art. 19, 3° comma, L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, con l'esclusione dei requisiti di apicalità e anzianità ivi previsti.

     Il programmatore zonale, nell'ambito dei contenuti del programma di zona volti a indicare la dotazione e le modalità di utilizzo del personale secondo le specifiche qualifiche e figure professionali, può prevedere aggregazioni del personale esistente per aree professionali di riferimento, anche ai fini di favorire possibilità di confronto, aggiornamento e approfondimenti in relazione alle competenze specifiche della professione svolta e delle funzioni da assicurare.

     Infine l'articolazione organizzativa suggerita deve comunque garantire, nei fatti, l'unicità di indirizzo e il massimo coinvolgimento di tutti gli operatori del servizio, attraverso modalità che consentano la mobilità e la rotazione periodica interna del personale.

     Il criterio della rotazione periodica all'interno delle singole figure professionali di appartenenza si presenta quanto mai opportuno per contrastare innanzitutto la tendenza a considerare le prestazioni di livello zonale superiori e più qualificate rispetto a quelle di base, e per consentire il necessario «turn-over» degli operatori addetti, anche in ragione di valutazioni di ordine psicologico legate alla ripetitività di mansioni, alla particolare tipologia di utenza ecc.

     Per altro, le ipotesi di turn-over fra gli operatori appartenenti alle diverse unità operative indicate non possono che essere attentamente programmate e puntualmente regolamentate, non sembrando opportuno un turn- over rapido anche in ragione della necessaria approfondita conoscenza delle condizioni di bisogno espresse dalla popolazione.

     E', al contrario, opportuno che vengano previste per tempo le variazioni di compiti e di ruoli necessari in modo che per unità operative o per i singoli operatori soggetti a turn-over si organizzi un periodo formativo propedeutico all'interscambio.

 

     2.2.1.4 Responsabile di servizio

     Si sottolinea l'assoluta necessità che ogni Comitato di gestione, sentito il Comitato di coordinamento dei Sindaci, provveda, qualora non lo avesse ancora fatto, alla nomina del Responsabile del Servizio, figura cardine chiamata a svolgere compiti estremamente delicati e complessi. Si riconferma che detto Responsabile deve essere scelto tra tutti gli operatori sociali assegnati al servizio, e dipendenti dall'USSL, ovvero in posizione di comando da parte di enti locali e di altri enti pubblici, secondo il dettato dell'art. 19, 3° comma della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1; la complessità delle funzioni implica che l'incarico non possa essere affidato a personale che operi a tempo parziale.

     Tale responsabile viene nominato dal Comitato di Gestione, sentito il Comitato di Coordinamento; la nomina deve essere preceduta da avviso pubblico o da altro analogo strumento che garantisca comunque la necessaria pubblicizzazione a tutti gli interessati; il provvedimento di nomina deve essere motivato facendo specifico riferimento alle esperienze e alla professionalità dei candidati, e alla valutazione complessiva dell'attività svolta nonché dei titoli posseduti.

     I compiti che il Responsabile del servizio deve assicurare sono quelli previsti dall'art. 12 della legge regionale 11 aprile 1980, n. 39, comuni a tutti i Responsabili di servizio e precisamente:

     a) predispone i programmi di lavoro del servizio e ne verifica lo stato di attuazione;

     b) dispone l'utilizzo più razionale del personale e delle risorse strumentali assegnate al servizio;

     c) sovrintende agli adempimenti e alla erogazione delle prestazioni di competenza del servizio e vigila sull'osservanza dei doveri di ufficio da parte del personale assegnato allo stesso;

     d) assicura la collaborazione delle unità operative del proprio servizio con quelle degli altri servizi, in particolare qualora siano inserite in dipartimenti;

     e) concorre con gli altri responsabili di servizio alla elaborazione e verifica dei programmi di attività dell'USSL, formulando in particolare proposte per lo sviluppo dei servizi di competenza;

     f) garantisce il rispetto dei livelli assistenziali delle prestazioni delle unità operative del servizio, nonché di quelle erogate mediante strutture e operatori convenzionati;

     g) coordina e verifica l'attività di raccolta ed invio delle informazioni sui servizi a livello regionale e assicura la diffusione e l'utilizzo critico dei ritorni informativi, a partire da quelli provenienti dalla programmazione regionale;

tale compito «strategico» va finalizzato alla elaborazione dei principali adempimenti analitico-programmatori della zona (relazione annuale e programma di zona) nonché alla predisposizione di efficaci programmi di lavoro.

     A partire dalla data di entrata in vigore della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 il Responsabile di servizio, che ai sensi dell'art. 20 della predetta legge fa parte dell'Ufficio di direzione, assume la funzione di dirigente coordinatore; tale attribuzione comporta automaticamente un più vasto campo di funzioni allo stesso attribuite, come esplicitato nella circolare 1/86.

     Peraltro la normativa regionale che regola la materia è estremamente complessa e in parte contraddittoria; la L.R. 11 aprile 1980, n. 39, sotto il cui regime ricade sia la nomina dei responsabili dei servizi che dei dirigenti coordinatori, prevedeva originariamente un ufficio di direzione composto unicamente dai due coordinatori sanitario e amministrativo, integrati, a far tempo dall'entrata in vigore della legge statale di riforma dell'assistenza, dal dirigente coordinatore per la materia socio- assistenziale.

     Tale disposizione, in palese contrasto con quanto previsto dall'art. 8 del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (ufficio di direzione composto da tutti i responsabili di servizio, al cui interno vengono individuati i dirigenti coordinatori sanitario e amministrativo), è stata poi ricondotta con provvedimento temporaneo alle disposizioni della normativa statale, senza che peraltro si provvedesse a distinguere chiaramente i compiti dell'ufficio di direzione e i compiti dei dirigenti coordinatori.

     Ne consegue un impegno da parte del Consiglio Regionale all'adozione di uno specifico provvedimento legislativo che risolva la contraddittorietà prima evidenziata della normativa vigente, precisando che il dirigente coordinatore del servizio di assistenza sociale di dirigente coordinatore sociale dell'USSL, per cui partecipa, a titolo consultivo, alle riunioni del Comitato di Gestione, così come previsto per i dirigenti coordinatori amministrativo e sanitario.

     Allo stato attuale sembra pertanto di poter individuare come funzione fondamentale dei dirigenti coordinatori quella di «assicurare il conseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi dell'USSL e i relativi adempimenti da parte dei servizi, nel rispetto dell'autonomia degli stessi» (art. 8, 6° comma del D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761).

     Il riconoscimento della funzione di dirigente coordinatore al responsabile di servizio di assistenza sociale si traduce quindi nell'espletamento delle seguenti funzioni:

     - assicurare, unitamente agli altri due coordinatori, sanitario e amministrativo, il conseguimento degli obiettivi stabiliti dagli organi dell'USSL ed i relativi adempimenti da parte dei servizi. In tale ambito assume particolare rilevanza, accanto alla responsabilità inerente la programmazione, la verifica ed il controllo di gestione, la responsabilità inerente il coordinamento tra le attività socio-assistenziali gestite dall'E.R.S.Z. ed attività gestite dai Comuni singoli, garantendo l'indispensabile raccordo tra attività zonali e attività comunali.

     Tale delicata funzione si sostanzia nei rapporti col Comitato di Coordinamento dei Sindaci, nella partecipazione in qualità di segretario alle riunioni dello stesso, nonché nella predisposizione di tutti gli atti preparatori necessari;

     - garantire il raccordo ed il coordinamento operativo con gli altri servizi dell'USSL al fine di assicurare unicità di intervento a livello zonale tra servizi sanitari e servizi socio-assistenziali. Tale attività assume particolare rilevanza nelle aree di intervento caratterizzate da una forte integrazione tra attività sociali ed attività sanitarie.

     L'assunzione di tali responsabilità e funzioni nella pienezza del ruolo di dirigente coordinatore comporta evidentemente che il dirigente coordinatore del servizio di assistenza sociale dell'USSL partecipi, quanto meno per la responsabilità di competenza, alle sedute del Comitato di gestione.

 

     2.2.2 Dipartimenti-Distretti socio-sanitari.

     Come già evidenziato in premessa al capitolo, la organizzazione in dipartimenti e distretti di base presuppone una decisione complessiva dei due comparti (sanitario e socio-assistenziale) nel merito dell'unico modello organizzativo da suggerire alle USSL.

     Pertanto, nell'economia del presente primo P.S.A., e tenuto conto che la non contemporaneità dei due atti di programmazione regionale potrà portare a successivi aggiustamenti, l'unica modalità organizzativa dipartimentale che si ritiene di dover proporre, coerentemente a quanto previsto dal relativo P.O. «La prevenzione degli handicap, la riabilitazione e socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali» è il dipartimento zonale handicap.

     2.2.2.1 Dipartimento zonale handicap.

     Nello specifico tale dipartimento si realizza attraverso la convergenza e il coinvolgimento di cinque unità operative, di cui tre previste come articolazioni del servizio di medicina specialistica dell'USSL (unità operativa di neuropsichiatria infantile, per il tramite del suo nucleo zonale; unità operativa di psichiatria, per il tramite del suo nucleo zonale; unità operativa responsabile della riabilitazione e del recupero e rieducazione funzionale), nonché le due articolazioni del servizio di assistenza sociale dell'USSL (unità operativa degli interventi zonali, nella sua possibile articolazione in «area dell'handicap e della malattia mentale», e unità operativa degli interventi sociali di base).

     A tale dipartimento sono attribuite le seguenti funzioni:

     - programmazione generale degli interventi previsti nel P.O. handicap in relazione alla zona di competenza;

     - coordinamento con la programmazione generale delle agenzie esterne interagenti per gli interventi specifici previsti dal P.O.;

     - verifica generale dei livelli di attuazione del Progetto.

     Il dipartimento così definito assume una valenza prevalente di tipo organizzativo e programmatorio: la mancata definizione del modello organizzativo riferito al settore materno-infantile e alla medicina di base obbliga il dipartimento handicap a definirsi solo rispetto alle U.O. già normate a livello regionale, mentre è lasciata a tempi successivi l'individuazione delle modalità organizzative che consentiranno di correlarlo anche alle due articolazioni prima evidenziate.

     Il dipartimento handicap, sempre in conformità a regole di comportamento organizzativo, deve realizzarsi attraverso la diversa aggregazione di competenze e di unità di personale già presenti nell'organizzazione complessiva anche se diversamente utilizzata.

     Per la traduzione della programmazione generale in azione e interventi nei confronti della menomazione, disabilità, handicap, ai fini della loro prevenzione e della necessaria predisposizione di prestazioni riabilitative, di assistenza suppletiva e compensativa, il dipartimento handicap esprime al suo interno il:

     Nucleo dipartimentale zonale.

     Questo modulo organizzativo si rende indispensabile per garantire agli interventi prima indicati le seguenti caratteristiche fondamentali:

     - una lettura univoca dei bisogni di trattamento;

     - una definizione ed una progettazione integrata e sistemica delle strategie d'intervento;

     - una selezione «intelligente» delle quantità e delle modalità di accesso al sistema degli interventi ed alla rete delle unità d'offerta.

     La composizione del nucleo è definita dalla presenza in esso delle figure professionali del fisiatra, del neuro-psichiatra infantile, dello psicologo e dell'assistente sociale.

     A tali componenti professionali stabili si aggiungono, integrando secondo necessità, gli specialisti delle unità operative e/o servizi prima indicati , ivi compreso il pedagogista quando devono essere affrontati problemi di progettazione educativa specifica.

     Alla definizione per professionalità dei componenti dell'équipe deve seguire la definizione delle quantità delle stesse.

     Appare evidente che il numero dei componenti, complessivo e per singola disciplina, dipende dalla dimensione in termini di carico di lavoro assunta dall'assolvimento delle funzioni attribuite al nucleo dipartimentale e dall'ampiezza demografica della zona.

     Le funzioni principali assegnate al nucleo dalla presente ipotesi organizzativa, in quanto derivano dall'esigenza di costruire una centralità ed una «unitarietà» per le strategie di intervento, sono quelle di:

     - garantire che vengano programmate unitariamente e raccordate operativamente le attività afferenti alle U.O. coinvolte nel dipartimento e nell'attuazione concreta del Progetto Obiettivo;

     - raccogliere e memorizzare i dati e le informazioni sui soggetti handicappati presenti nella zona (anagrafe zonale), anche in collegamento colle Commissioni di accertamento degli stati di invalidità;

     - garantire le attività di progettazione e valutazione complessiva necessarie alla elaborazione dei piani di trattamento finalizzati: all'integrazione scolastica, alla formazione professionale, all'integrazione lavorativa, all'accoglimento nei singoli presidi, servizi e unità di offerta socio-sanitari, responsabili dell'attuazione dei progetti specifici;

     - coordinare operativamente gli interventi delle agenzie esterne interagenti per la realizzazione dei progetti integrati;

     - verificare sistematicamente la rispondenza degli interventi attuati agli obiettivi specifici prefigurati;

     - promuovere e supportare tecnicamente le sperimentazioni concordate.

 

     2.2.2.2 Distretto socio-sanitario di base.

     In ottemperanza a quanto previsto dalla normativa statale (L. 23 dicembre 1978, n. 833; L. 23 ottobre 1985, n. 595) nonché dalla normativa regionale (L.R. 11 aprile 1980, n. 39; L.R. 7 gennaio 1986, n. 1), il presente P.S.A. recepisce quanto in detta normativa previsto sia in ordine alle funzioni dallo stesso assolte che in ordine alla sua collocazione nell'organizzazione complessiva zonale.

     Finalità

     La costituzione della struttura di distretto ha innanzitutto l'obiettivo di garantire la massima integrazione tra il sanitario e il sociale; la costituzione di una équipe pluridisciplinare, le interrelazioni operative necessarie per ottenere la massima efficacia degli interventi, la necessità per gli operatori sanitari e sociali di agire congiuntamente per la soluzione di problemi in cui gli aspetti sanitari e sociali sono inscindibili, fanno propendere per la necessità di un assetto connotato da forte integrazione.

     La struttura di distretto garantisce anche un reale intervento di prevenzione: se per prevenzione si intende la capacità di rimuovere i fattori di rischio (individuale; sociale; ambientale), appare evidente che, per esercitare una funzione preventiva, è necessario conoscere prima, ed aggredire poi, con un'azione organica e interdisciplinare, tali fattori di rischio. La specificità del modello distrettuale, la residenzialità dell'équipe, la pluriprofessionalità sono tutti elementi che rispondono con particolare efficacia all'esigenza di conoscere i fattori di rischio e di intervenire per attenuarli od eliminarli.

     Inoltre, l'organizzazione distrettuale consente di sviluppare operativamente la funzione di informazione agli utenti e di educazione alla salute, nella duplice veste di raccolta sistematica delle informazioni e di diffusione di informazioni e messaggi rivolti a gruppi più o meno ampi di popolazione residente.

     Infine, consente il raggiungimento di un rapporto ottimale tra l'efficienza e l'efficacia dell'intervento; la struttura distrettuale è in grado di assistere gli utenti con la maggior intensità e capillarità possibili e, nel contempo, di evitare sovrapposizioni di operatori che, in possesso della stessa caratterizzazione professionale, confluiscono separatamente sui medesimi utenti, in quanto appartenenti a strutture centrali diverse e distinte tra loro.

     Funzioni e competenze tipiche del livello distrettuale

     Secondo la normativa vigente, il distretto è un'articolazione tecnico- organizzativa dell'USSL, costituita dagli operatori destinati a rendere le prestazioni di primo livello e di pronto intervento.

     Di norma, per individuare le prestazioni di primo livello vengono utilizzati più criteri, che vanno dalla frequenza con cui esse debbono essere assicurate, alla non particolare complessità delle stesse (sotto il profilo della specializzazione delle conoscenze e della strumentazione tecnico-scientifica di supporto necessaria).

     Il primo livello offre la risposta immediata ai bisogni più largamente diffusi, deve svolgere altresì una funzione selettiva, di filtro, rispetto agli interventi zonali caratterizzati questi da una conoscenza tecnica di tipo più settoriale, costruita sull'accumulazione di conoscenze per singole aree tematiche di bisogno.

     Detto questo a livello generale e ribadito che l'operatività concreta del distretto è legata alla conoscenza delle peculiarità dei bisogni espressi e non espressi dalla popolazione di riferimento, nonché alla valutazione dell'opportunità o meno di riportare in ambito distrettuale anche prestazioni e funzioni ora offerte a livello centralizzato (es. funzioni consultoriali, ecc.) per aumentarne la diffusione e migliorarne l'efficacia preventiva, si elencano a titolo esemplificativo e non esaustivo le principali funzioni da svolgere a livello distrettuale, assumendo i contenuti del documento interassessorile: «Il distretto socio- sanitario di base, considerazioni e proposte per la sua organizzazione» predisposto dai Settori Sanità, Assistenza, Coordinamento dei Servizi Sociali, con l'avvertenza che il P.S.A. contiene l'indicazione puntuale delle funzioni e compiti socio-assistenziali da svolgersi a livello di distretto, mentre le funzioni sanitarie vengono semplicemente indicate a titolo esemplificativo e non esaustivo, trattandosi di materia oggetto di definizione a livello degli emandandi atti di programmazione sanitaria.

     - Attività diagnostiche e terapeutiche

     - Attività medica e pediatrica di base

     - Assistenza infermieristica

     - Assistenza Sociale

     Il personale sociale operante nei distretti deve garantire la capillarizzazione e la possibilità di conoscere analiticamente il sistema di intervento complessivo. Deve far ciò filtrando gli invii ai livelli sovrastanti anche, e soprattutto, attraverso la risoluzione dei problemi che possono essere affrontati al livello di base e accompagnando ogni invio all'esterno del trattamento distrettuale con le opportune istruttorie e anamnesi.

     In ordine alla tipologia delle prestazioni da erogare a livello distrettuale devono essere minimamente garantite le seguenti prestazioni:

     - segretariato sociale;

     - informazione e aiuto amministrativo;

     - proposte di ricovero e di intervento dei servizi;

     - assistenza psicologica e sociale ai singoli, alla coppia e alla famiglia;

     - organizzazione di soggiorni climatici;

     - promozione e partecipazione alle campagne di educazione alla salute;

     - proposte di sostegno e integrazione economica;

     - organizzazione dell'attività di assistenza domiciliare;

     - effettuazione di tutte le prestazioni di prevenzione e di trattamento nelle aree dell'assistenza alla famiglia e ai suoi componenti, con particolare riguardo alle situazioni di rischio e di patologia sociale conclamata.

     Composizione dell'èquipe e standard

     Richiamando il già citato documento interassessorile «Il distretto socio-sanitario di base: considerazioni e proposte per la sua organizzazione», la composizione dell'équipe pluridisciplinare distrettuale prevede la presenza delle seguenti figure professionali:

     - medici di medicina generale;

     - pediatri di base;

     - personale infermieristico;

     - ostetriche;

     - psicologi;

     - assistenti sociali;

     - ausiliari socio-assistenziali;

     - personale amministrativo.

     Per quanto attiene l'indicazione di parametri e standard di personale, mentre si rimanda agli atti di programmazione sanitaria l'individuazione degli standard relativi alle figure professionali sanitarie, si indicano di seguito gli standard suggeriti per il personale sociale, con l'avvertenza che gli stessi, se pur riferiti alla quota di popolazione residente, vanno valutati localmente con un ragionevole grado di elasticità; eventuali decisioni difformi devono essere adeguatamente motivate.

     Rappresenta unica eccezione la definizione dello standard riferito al personale infermieristico; in questo caso specifico, il P.S.A. individua lo standard riferito alle sole prestazioni infermieristiche rese nel servizio di assistenza domiciliare, delle quali si dovrà tener conto in sede di definizione dello standard globale necessario a garantire l'insieme delle prestazioni e attività infermieristiche distrettuali.

     Ciò posto, si indicano i seguenti parametri:

     - psicologo: 1 ogni 10.000 residenti circa, ricomprendendo anche le funzioni zonali;

     - assistente sociale: 1 ogni 5.000 residenti circa, ricomprendendo anche le funzioni zonali;

     - ausiliario socio-assistenziale

     - per i servizi domiciliari: 1 ogni 2.000 residenti circa, ovvero 1 ogni 10 utenti;

     - personale infermieristico: 1 ogni 14.000 residenti, ovvero 1 ogni 70 utenti;

     - personale amministrativo: 2 fino a 15.000 residenti circa.

 

     2.2.3 Standard organizzativo complessivo del servizio di assistenza sociale dell'USSL.

     La organizzazione complessiva minima del servizio deve essere calcolata sulla base dei seguenti parametri:

     - 1 dirigente coordinatore/responsabile di servizio;

     - psicologo: 1 ogni 10.000 abitanti (come già esplicitato a proposito del distretto);

     - assistente sociale: 1 ogni 5.000 abitanti (come già esplicitato a proposito del distretto);

     - ausiliario socio-assistenziale: 1 ogni 2.000 residenti, ovvero 1 ogni 10 utenti circa, per le funzioni di assistenza domiciliare; per le presenze di queste figure professionali in altre strutture e presidi socio- assistenziali e socio-sanitari integrati, si veda quanto in proposito contenuto nei relativi standard gestionali;

     - educatore professionale: secondo comprovate necessità e sulla base del progetto individuale è fornito l'educatore nell'assistenza domiciliare per handicappati e minori e famiglie a rischio; per la consistenza degli educatori negli altri presidi e servizi socio-assistenziali e nei servizi integrati, si veda quanto in proposito contenuto nei relativi standard gestionali;

     - personale amministrativo: 2 fino a 15.000 residenti, con progressivo aumento per ulteriori quote di popolazione, come già precisato a proposito del distretto; almeno 1 amministrativo per l'ufficio del dirigente coordinatore/responsabile di servizio.

     Sulla base dei suddetti parametri, ogni Comitato di Gestione ha il compito di proporre alla Regione una ipotesi di pianta organica provvisoria del servizio; è impegno della Giunta Regionale di proporre al Consiglio le direttive necessarie per l'adozione da parte delle USSL delle relative piante organiche provvisorie.

     2.3 I circuiti e le procedure programmatorie.

     L'integrazione tra programmazione regionale e zonale è una delle significative «anticipazioni» della logica del Piano socio-assistenziale sperimentata nella fase di transizione, che ha preceduto la definizione di questo primo Piano socio-assistenziale.

     Negli anni di transizione governati dalla L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 per gli investimenti e dalla «Circolare n. 4» per le gestioni, il programmatore locale ha sperimentato le complessità e i vantaggi dell'esercizio del ruolo programmatorio e ha contribuito, in maniera determinante, alla definizione dei percorsi procedurali e contenutistici, lungo i quali si esprimerà a regime la pianificazione zonale e regionale.

     Rispetto alle esperienze sin qui condotte, con il presente Piano socio-assistenziale viene definitivamente sancito e portato alla sua definizione compiuta il circuito programmatorio, che è evidenziato e schematizzato dalla seguente tabella:

 

TABELLA

 

  I CIRCUITI PROGRAMMATORI DEL PIANO SOCIO-ASSISTENZIALE PER IL TRIENNIO

1988-1990

(Omissis)

 

     L'analisi della tabella consente di evidenziare alcune caratteristiche generali dell'impianto programmatorio adottato e la sua articolazione in fasi:

     - una fase iniziale di genesi del processo rappresentata dalla definizione dell'input alla programmazione, costituita essenzialmente dalla definizione del Piano socio-assistenziale (che resta il cardine generatore di tutto il processo);

     - una fase successiva costituita dal manifestarsi della capacità programmatoria zonale: la definizione rispettivamente dei Programmi di zona e delle delibere di proposte di priorità per quanto attiene alla pianificazione degli investimenti, e delle Relazioni di zona e di distretto per quanto attiene alla pianificazione della parte corrente, tenuti sempre presenti gli obiettivi generali di sviluppo delle gestioni indicate nello stesso Programma di zona.

     - un'ulteriore fase di espressione della pianificazione regionale, all'interno della quale, di norma vengono sancite attraverso il finanziamento le proposte della pianificazione locale relativa alle gestioni e agli investimenti.

     Risulta quindi evidente che il circuito programmatorio istituzionalizzato con il primo Piano socio-assistenziale relativo al triennio '88-90 risulta:

     - distinto nei suoi due filoni di intervento: pianificazione degli investimenti e pianificazione delle partite correnti;

     - articolato nelle sue fasi: avvio del processo di definizione delle sue variabili di riferimento da parte della Regione; specificazione e definizione delle ipotesi di sviluppo da parte del pianificatore zonale; sintesi, sanzione, ridefinizione del quadro generale da parte del pianificatore regionale;

     - definito dalle procedure e dai tempi previsti dalla legge di riordino, per quanto attiene i passaggi da un punto all'altro del circuito.

     Di questi «prodotti del processo programmatorio», quelli che per il presente Piano socio-assistenziale assumono la rilevanza maggiore sono evidentemente quelli legati alla programmazione zonale e cioè:

     - Il programma di zona

     I contenuti del programma di zona sono specificamente elencati all'art. 34 della legge di riordino.

     Tra questi assume particolare rilievo la definizione delle manovre di riconversione delle strutture necessarie per la zona e praticabili nel triennio, in coerenza agli obiettivi, i vincoli, gli standard e le disponibilità finanziarie determinate dal presente Piano.

     Devono altresì essere indicati gli obiettivi generali di sviluppo delle gestioni, tenuto conto dell'esigenza di attivare le strutture riconvertite.

     Un ulteriore aspetto che il programma di zona deve approfondire con particolare attenzione in base anche alle indicazioni di integrazione contenute nel Piano regionale, è quello relativo alle concrete possibilità di integrazione delle prestazioni sanitarie e socio-assistenziali in quei servizi che già presentano aspetti non secondari di complementarietà tali da aver comportato la stessa collocazione del servizio come obbligatoriamente gestibile a livello di zona, proprio in ragione di tali elementi di integrazione.

     Va sottolineato che il programma di zona, come quadro di riferimento comporta, come noto, una serie di implicazioni sostanziali che vanno ben oltre la possibilità di accedere a finanziamenti regionali.

     I vincoli e le prescrizioni dei programmi di zona, infatti, determinano lo sviluppo nonché i processi di riconversione funzionale dell'intera rete delle unità d'offerta della zona, consentendo o negando, ad esempio, attraverso la manovra dei convenzionamenti, l'ingresso di ogni presidio nel sistema assistenziale pubblico, nonché limitando le scelte di coloro che intendono operare investimenti con risorse esclusivamente proprie.

     Va inoltre sottolineato che le prescrizioni dei programmi di zona, i criteri e gli indirizzi ivi contenuti, devono essere attentamente valutati anche ai fini delle implicazioni che hanno sulle successive determinazioni relative ai livelli di gestione, da assumere con le procedure di cui all'art. 14 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

     La deliberazione dell'assemblea dell'E.R.S.Z. riguardante i livelli di gestione compresa la concessione di eventuali deroghe ai comuni singoli nei limiti e secondo i criteri e vincoli contenuti nel presente P.S.A., deve essere assunta secondo le modalità e procedure previste dall'art. 14 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

     Qualora l'Ente Responsabile intenda avvalersi della possibilità di ulteriore deroga, così come precisato al precedente paragrafo 2.1.2.1., ultimo capoverso, la proposta di delibera contenente la richiesta di autorizzazione, opportunamente motivata, e corredata dei necessari pareri (verbale comitato di coordinamento e delibere dei singoli Comuni) deve essere trasmessa alla Giunta Regionale, che sentita la Commissione consiliare competente, si pronuncia sulla richiesta e la comunica all'Ente Responsabile, per l'adozione del provvedimento definitivo.

     - La relazione annuale di zona

     La circolarità del processo programmatorio si attua, sul terreno delle gestioni, attraverso il flusso ascendente di quel sistema annuale di aggiustamento della programmazione regionale costituito dalla relazione di zona elaborata, come noto, sulla base delle più puntuali relazioni di distretto, tenuti presenti gli obiettivi generali di sviluppo contenuti nel programma di zona.

     La relazione di zona, i cui contenuti, le cui scadenze e procedure di definizione sono esaustivamente e con precisione individuate dalla legge di riordino (art. 38), svolge una funzione fondamentale non solo in relazione alla conoscenza dello stato delle gestioni e dei suoi concreti sviluppi annuali, ma anche in relazione ai processi di redistribuzione delle risorse regionali correnti destinate allo sviluppo e alla perequazione, la cui assegnazione presuppone specifiche verifiche sulla dotazione dei servizi, nonché sulla loro efficacia ed efficienza.

     In relazione a ciò il Piano di riparto regionale viene effettuato sulla base dei dati ottenuti con il controllo di gestione e delle proposte avanzate dalle zone con le relazioni annuali, con i criteri in dettaglio specificati nel terzo capitolo del presente Piano e con i seguenti passi procedurali:

     - 15 febbraio: trasmissione agli Enti Responsabili da parte degli Enti Gestori delle richieste di contributo e dei consuntivi di gestione riferiti all'anno precedente.

     - 31 marzo: trasmissione alla Regione da parte degli Enti Responsabili della relazione di zona;

     - 30 giugno: approvazione del piano regionale dei finanziamenti destinati allo sviluppo.

 

     2.4 Indirizzi regolamentari e procedure in relazione alla fruizione dei servizi.

 

     2.4.1 Tutela dei diritti degli utenti e criteri per l'accesso ai servizi

     Pur consapevoli di agire all'interno di un quadro economico che non lascia per l'immediato prevedere la possibilità di dilatazione del volume della spesa pubblica, il Piano regionale intende realizzare progressivamente un nuovo sistema centrato sulla persona e i suoi diritti inalienabili, che si traduce concretamente per i cittadini nel diritto a fruire delle prestazioni e dei servizi necessari a prevenire e rimuovere gli ostacoli che si frappongono al pieno e libero sviluppo della personalità.

     Espressione di tali principi fondamentali sono tra l'altro, il diritto al trattamento paritario, il diritto di libera scelta, il diritto di ricorrere contro l'inerzia o l'ingiustificato rifiuto degli organi tenuti a provvedere, il diritto a ottenere che le modalità di organizzazione e di svolgimento dei servizi garantiscano in concreto la libertà e la dignità personale, lo sviluppo della personalità, il rispetto delle proprie convinzioni religiose e opinioni politiche, il diritto di partecipazione.

     E' in questo vasto campo di intervento, finora caratterizzato da una ampia discrezionalità nell'azione pubblica che il Piano regionale deve esercitare una insostituibile azione di stimolo e di indirizzo, fornendo suggerimenti, criteri e vincoli di carattere generale tali da consentire agli enti responsabili dell'organizzazione e gestione dei servizi in sede locale, di normare correttamente e rendere concreto l'esercizio di tali diritti per i propri cittadini.

     Il passaggio da un sistema caratterizzato dalla più ampia discrezionalità a un sistema tendenzialmente garante dei diritti dei cittadini non può che avvenire con la necessaria gradualità e tenendo conto sia dei bisogni che delle risorse concretamente esistenti per il loro soddisfacimento, posto che discrezionalità e carenza di risorse sono spesso interdipendenti.

     La tutela di alcuni diritti fondamentali non richiede però l'impiego di grosse risorse aggiuntive, ma solo uno sforzo per la migliore organizzazione complessiva dei servizi: così, il rapporto cittadino- istituzioni passa attraverso una maggiore umanizzazione dei servizi, intesa come osservanza di regole finalizzate al rispetto della dignità della persona (si pensi, ad esempio, alla regolamentazione della presenza dei familiari nelle strutture residenziali, in particolare nel caso degli anziani e dei minori) e ancora, la fissazione di norme, attraverso i regolamenti delle singole unità di offerta, che concilino le esigenze organizzative con il rispetto dei ritmi normali di vita e di relazione delle persone, ecc.

     Tuttavia, la tutela di alcuni diritti degli utenti si scontra, in molti casi, con la realtà oggettiva dell'attuale sviluppo e livello dei servizi esistenti; risulta pertanto necessario, per l'arco del triennio di validità del Piano, fornire indicazioni di carattere generale adattabili alle singole situazioni, effettuando scelte prioritarie sulla base dei seguenti criteri:

     a) rispetto alla fruizione delle prestazioni di cui è prevista l'erogazione nei programmi locali di attività e in conformità agli standard stabiliti dal Piano regionale;

     1) Nei confronti della tipologia dei servizi che il P.S.A. definisce di carattere preventivo e di supporto alla famiglia (centri ricreativi diurni, centri di aggregazione giovanili, centri diurni per anziani, asili nido, ecc.), lo stato di bisogno non costituisce un filtro iniziale essendo gli stessi servizi finalizzati a interventi generalizzati di prevenzione e quindi rivolti potenzialmente a tutti i cittadini interessati, con l'unico vincolo di assicurare comunque un intervento ogni qualvolta questo sia richiesto dai servizi territoriali competenti per soggetti a rischio.

     I criteri generali da adottare per l'ammissione a questo tipo di servizio sono sostanzialmente quelli legati al bacino di utenza territoriale e ai vincoli derivanti dai limiti di capienza e di capacità operativa.

     L'accesso alle prestazioni e alle unità di offerta socio-assistenziali di tipo riparatorio e di sostegno, nei soli limiti derivanti dalle risorse disponibili nei bilanci degli enti competenti e dalla capienza delle strutture e/o capacità operativa dei servizi, seppure tendenzialmente usufruibili da tutti i cittadini, allo stato attuale dello sviluppo della rete dei servizi, deve prioritariamente garantire l'integrale soddisfacimento dei cittadini in stato di bisogno. Lo stato di bisogno si determina quando sia presente almeno uno dei seguenti elementi: insufficienza del reddito familiare; presenza nel nucleo familiare di persone in tutto o in parte incapaci di provvedere a se stesse in modo autonomo; esistenza di circostanze particolari anche temporanee, che comportino situazioni a rischio di emarginazione per i singoli e i nuclei familiari; sottoposizione dei soggetti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria che impongano o rendano necessari interventi socio- assistenziali.

     Lo stato di bisogno così definito e valutato è alla base di ogni decisione relativa all'ammissione dei cittadini ai servizi e alle prestazioni di carattere riparatorio, di tutela e cura delle persone e di pronto intervento, previste dai programmi zonali e che gli Enti locali sono tenuti ad assicurare ai propri cittadini (es.: assistenza economica, ricovero in strutture residenziali, assistenza domiciliare, assistenza ai minori a rischio, ecc.). In relazione ai criteri prima individuati, è da dire che i cittadini, per cui sia accertato lo stato di insufficienza del reddito familiare, hanno diritto alla prestazione di assistenza economica integrativa, straordinaria o ricorrente, nei limiti delle concrete possibilità di bilancio degli Enti erogatori e del tetto massimo raggiungibile; per la quantificazione del reddito familiare e del minimo vitale corrispondente a seconda della ampiezza del nucleo, valgono le indicazioni in seguito fornite relativamente alla determinazione della politica tariffaria ed alla partecipazione degli utenti al costo dei servizi.

     L'autonomia locale si esercita nell'ambito delle indicazioni minime e massime contenute nel regolamento di zona dei servizi socio-assistenziali.

     2) Le prestazioni e le unità di offerta socio-assistenziali sono evidentemente disponibili per la generalità dei cittadini alle seguenti condizioni:

     - che sia stata prioritariamente soddisfatta la domanda proveniente dai cittadini in stato di bisogno;

     - che l'estensione delle prestazioni dei servizi alla generalità dei potenziali utenti non comporti eccessivo aggravio sotto il profilo organizzativo e finanziario;

     - che gli eventuali oneri aggiuntivi derivanti dalla generalizzazione dei servizi sia posto interamente o in parte a carico degli utenti.

     b) Rispetto alla facoltà di scegliere liberamente, nell'ambito della zona di appartenenza ovvero della Regione, la struttura o il servizio deputati a erogare la medesima prestazione:

     l'esercizio concreto della libertà di scelta delle strutture deputate a erogare la medesima prestazione è, a seconda della tipologia del servizio o della prestazione stessa, strettamente collegato alla realtà dei servizi esistenti in ogni singola zona e alla possibilità che ogni zona ha di instaurare rapporti di collaborazione e reciproco scambio con le zone limitrofe. Si possono perciò indicare solo criteri generali quali:

     1) la preventiva verifica dell'esistenza in zona di più strutture, pubbliche e private convenzionate, tra le quali può esercitarsi il diritto di scelta;

     2) la limitazione dell'esercizio del diritto di scelta alle sole strutture o servizi organizzati per gli handicappati gravi e gli anziani non autosufficienti;

     3) l'accollo a carico del singolo utente degli eventuali maggiori oneri che tale scelta comporta.

     c) rispetto al diritto di accedere alle unità di offerta e alle prestazioni secondo criteri di priorità applicati in modo imparziale ed in conformità a decisioni pubblicamente adottate e motivate:

     è da dire che non consentendo la limitatezza delle risorse di soddisfare l'intera gamma dei bisogni emergenti, allo stato attuale occorre operare sulla base di scelte preliminari che tengano conto:

     1) di una graduatoria degli stati di bisogno da soddisfare prioritariamente;

     2) delle aree di intervento prioritarie per la propria zona;

     3) delle prestazioni che sono comunque da garantire a tutti i cittadini.

     Sotto il primo profilo si ritiene realistico per il triennio, intervenire prioritariamente nei confronti di bisogni «qualificati» determinati dalla presenza di persone in tutto o in parte incapaci di provvedere autonomamente a se stesse, sole, o il cui nucleo familiare non sia in grado di provvedervi, ivi compresi obbligatoriamente i minori in genere e in particolare quelli sottoposti a provvedimenti dell'autorità giudiziaria.

     L'elemento della insufficienza del reddito familiare e della correlata esigenza di integrazioni economiche, ordinarie e straordinarie, pur rivestendo significato di grande importanza non può essere assunto realisticamente come obiettivo fondamentale di Piano, sia per motivi esterni legati alla insufficienza complessiva delle risorse disponibili, sia per motivi di competenza vera e propria ad intervenire da parte dell'Ente locale, in modo continuativo e ricorrente, come sarebbe necessario in molti casi.

     Tale elemento però può acquisire rilevanza prioritaria laddove coesista con stati di bisogno «qualificati» (dovuti alla presenza dei soggetti da tutelare prima elencati) in situazioni paritarie, così da divenire elemento decisivo nella preferenza da accordare per l'accesso ai servizi, ovvero quando l'erogazione della prestazione economica risulti risolutiva del bisogno espresso e consenta all'utente di permanere nel proprio domicilio.

     Individuati gli stati di bisogno qualificati per l'accesso ai servizi, restano da definire i criteri e le indicazioni generali per l'accesso agli stessi. Tali indicazioni vanno sviluppate nei singoli regolamenti di zona correlandole eventualmente con punteggi e/o con una graduatoria di accesso.

     Gli elementi che vengono a tal fine suggeriti sono:

     - presenza in un nucleo di più stati di bisogno contestuali «qualificati»;

     - presenza di uno stato di bisogno qualificato e di una insufficienza del reddito familiare;

     - gravità della situazione di bisogno correlata alla composizione del nucleo, alla situazione familiare e alla capacità di autonomia complessiva del nucleo stesso;

     - a parità di stato di bisogno, valutazione del periodo di attesa per l'accesso al servizio;

     - residenza in uno dei Comuni della zona, in relazione al bacino di utenza programmata per ciascun servizio ed alle intese da promuovere a livello zonale o distrettuale al fine di ampliare le possibilità di accesso dell'utenza.

     d) in ordine all'esercizio concreto del diritto di tutela dei propri interessi e di informazione, si sottolinea come siano da rendere a tutti i cittadini prestazioni che assicurino:

     1) il diritto all'informazione sulla rete dei servizi e le relative modalità di accesso, attraverso il segretariato sociale assicurato nel distretto o nel singolo Comune;

     2) il diritto ad esprimere il preventivo consenso sulle proposte di intervento da attuarsi nei propri confronti;

     3) il diritto a godere di forme di tutela in via amministrativa, ricorrendo eventualmente nei confronti delle decisioni degli enti erogatori e degli operatori, in conformità alle indicazioni della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

     e) rispetto al diritto alla partecipazione, devono essere previsti spazi partecipativi che consentano agli utenti, tra l'altro, di esercitare il diritto a partecipare alla definizione delle modalità organizzative dei singoli servizi.

     Spetta ovviamente al regolamento di zona di articolare concretamente tali aspetti. Tale regolamento dovrà essere adottato da ogni Ente Responsabile sulla base dello schema tipo elaborato dalla Giunta Regionale.

 

     2.4.2 Regolamentazione dei rapporti finanziari fra enti ed utenti

     La regolamentazione dei rapporti finanziari tra gli enti erogatori e gli utenti dei singoli servizi costituisce elemento qualificante della legge regionale di riordino per quanto attiene alla definizione dei criteri da applicare per:

     - il concorso degli utenti al costo dei servizi

     - gli interventi di sostegno economico

     - l'individuazione dei soggetti cui compete l'onere dell'assistenza.

     Il P.S.A. costituisce pertanto lo strumento che nel triennio deve consentire, pur nel quadro della limitatezza di risorse disponibili, il passaggio dalla discrezionalità fino ad oggi praticata ad un più corretto rapporto fra il cittadino e le istituzioni.

     A) Concorso degli utenti al costo dei servizi

     Le indicazioni regionali in questo settore hanno l'obiettivo di definire criteri generali che consentano l'uso di metodologie omogenee sul territorio regionale.

     Tali indicazioni, tuttavia, non costituiscono un vincolo assoluto circa l'entità delle tariffe da applicare per ciascuna tipologia di servizio, data la necessità di consentire alle amministrazioni locali un corretto livello di decisionalità per quanto attiene alla scelta delle tipologie di servizio che maggiormente devono essere sostenute con oneri a carico della collettività.

     Si ritiene tuttavia utile che, nell'ambito dei regolamenti di zona, gli E.R. definiscano criteri omogenei validi per tutto il territorio zonale, non solo per assicurare un equo prelievo tariffario, ma anche per evitare una distorsione che talvolta si verifica, e cioè che gli utenti evitino di fruire dei servizi erogati nel comune di residenza, per ricercare in altri comuni servizi erogati a tariffe inferiori.

     In sostanza, quindi, le seguenti indicazioni si propongono di individuare una metodologia in base alla quale ciascun E.R. possa definire:

     - i livelli di reddito al di sotto dei quali i servizi possono essere erogati gratuitamente;

     - i livelli di reddito al di sopra dei quali applicare le tariffe massime.

     A questo scopo, non sembra opportuno riferirsi a parametri basati esclusivamente sul reddito familiare complessivo, che non tengono conto della composizione del nucleo familiare, né a parametri di reddito pro- capite, in quanto non tengono conto delle economie di scala realizzabili all'aumentare della composizione del nucleo. Sembra invece più corretto e rispondente alle recenti riflessioni in materia individuare i livelli di reddito che assicurino a famiglie di diversa composizione la stessa capacità di consumo, intesa come possibilità di procurare a ciascun componente la stessa quantità e qualità di beni e servizi.

     A tale riguardo può essere considerata idonea la scelta di redditi familiari stabilita dalla legge finanziaria per l'anno 1986 (L. 28 febbraio 1986, n. 41, art. 28, comma 4°) per l'esenzione dei ticket sanitari e cioè per finalità similari a quelle poste in questa sede. Tali valori possono essere opportunamente indicizzati in percentuale pari al tasso di inflazione annuo.

     I livelli di reddito individuati dalla legge finanziaria in relazione a nuclei familiari di diversa composizione e la corrispondente scala parametrale sono riportati nella seguente tabella:

 

 

                                                               TABELLA N. 1

 

  REDDITI EQUIVALENTI IN FUNZIONE DEL NUMERO DI COMPONENTI DELLA FAMIGLIA

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   Componenti               Reddito

   il nucleo               familiare             scala

   familiare               imponibile         parametrale

---------------------------------------------------------------

      1                    5.060.000              100

      2                    8.400.000              165

      3                   10.800.000              212

      4                   12.900.000              253

      5                   15.000.000              295

      6                   17.000.000              334

      7                   19.000.000              373

---------------------------------------------------------------

 

 

     I livelli sopra indicati costituiscono la soglia al di sotto della quale i servizi possono essere erogati gratuitamente.

     La scala parametrale riportata nella tabella precedente può essere utilizzata anche per determinare i livelli di reddito in corrispondenza dei quali applicare tariffe gradualmente crescenti, fino ad arrivare alle tariffe massime. In via orientativa, si suggerisce lo scaglionamento riportato nella successiva tabella 2, che determina, in relazione alla composizione dei nuclei familiari, diverse fasce di reddito, via via incrementate del 25% rispetto ai livelli base definiti per l'erogazione gratuita, fino ad arrivare ad una ultima fascia, relativa a redditi superiori al doppio dei livelli base, in corrispondenza dei quali le tariffe dovrebbero essere applicate nella misura massima prevista.

     Inoltre, mutuando un criterio stabilito dalla legge finanziaria, gli scaglioni di reddito sopra descritti potranno essere incrementati di L. 1.000.000 per ciascun anziano ultrasessantacinquenne o soggetto handicappato presente nel nucleo familiare.

 

TABELLA N. 2

(Omissis)

 

     L'applicazione della metodologia proposta implica che, ad esempio, in corrispondenza di un reddito imponibile di L. 13.500.000 per un nucleo familiare di 3 persone, dovrebbe essere applicata la stessa tariffa applicabile in corrispondenza di un reddito imponibile di L. 15.125.000 per una famiglia di 4 persone.

     Per quanto attiene alla definizione delle effettive tariffe da applicare in corrispondenza di ciascuna fascia, si ritiene opportuno che le stesse vengano determinate in percentuale rispetto al costo dei servizi, al fine di corresponsabilizzare gli utenti ad una economica gestione.

     Tali percentuali, gradualmente crescenti, in corrispondenza di ogni fascia possono, al limite, arrivare al 100% del costo dei servizi per i redditi familiari che si collocano nell'ultima fascia, in relazione alle determinazioni che in sede locale devono venire assunte in ordine:

     - al rispetto delle percentuali medie di copertura del costo dei servizi a domanda individuale fissate dalla legislazione sulla finanza locale;

     - alla necessità di prevedere livelli di contribuzione non eccessiva al fine di non disincentivare l'accesso ai servizi da parte dell'utenza, tenendo conto che il non completo utilizzo dei servizi offerti implica negative conseguenze non solo dal punto di vista sociale ma anche dal punto di vista economico, data la frequente incomprimibilità dei costi di gestione a fronte di utenze ridotte;

     - alla opportunità di prevedere percentuali di contributo differenziate in relazione alla diversa intensità dei bisogni cui i vari servizi rispondono.

     In via orientativa la tabella 3 propone esempi di scaglionamenti percentuali delle tariffe, che potranno subire adeguamenti e modificazioni in ragione delle scelte politiche che a livello locale verranno adottate con riferimento ai servizi che si intendono privilegiare.

 

 

                                                               TABELLA N. 3

 

IPOTESI DI PERCENTUALI DA APPLICARE IN CORRISPONDENZA AI DIVERSI SCAGLIONI

                                DI REDDITO

---------------------------------------------------------------

    scaglione

    di reddito            esempio A            esempio B

---------------------------------------------------------------

    1° fascia           livello minimo       livello minimo

    2° fascia                15%                   10%

    3° fascia                30%                   15%

    4° fascia                50%                   20%

    5° fascia                75%                   30%

    6° fascia               100%                   50%

---------------------------------------------------------------

 

 

     Un caso particolare si configura per i servizi, come il ricovero nelle strutture ad internato, che assicurano il completo mantenimento della persona.

     In tali casi la procedura più corretta sembra essere la copertura del costo del servizio con le seguenti modalità:

     a) recupero della retta attingendo al reddito individuale (pensione più altri redditi) ed assicurando comunque all'utente la disponibilità di una quota per spese personali determinata, ad esempio, in misura pari al 20% del reddito, con il limite minimo di L. 80.000 e un limite massimo di L. 180.000 mensili;

     b) applicazione dei criteri generali, precedentemente descritti, (per la quota di costo non coperta dal reddito individuale) su ciascun nucleo di familiari tenuti al mantenimento ai sensi dell'art. 433 del codice civile, lasciando la possibilità ai diversi nuclei di concordare tra loro la ripartizione degli oneri;

     c) intervento dell'ente locale per la quota di costo non coperta con i criteri di cui ai punti a) e b).

     Si segnala, infine, la nota difficoltà connessa al corretto accertamento dei redditi da lavoro autonomo.

     In tali casi può essere ipotizzata la possibilità di concordare, tra l'ente locale e gli interessati, redditi di riferimento pari a quelli medi dei lavoratori dipendenti od anche, nel momento in cui viene richiesto l'accollo di oneri a carico della collettività, il conferimento all'ente locale, da parte dell'utente e dei familiari tenuti al mantenimento, del potere di accertamento del reddito, al solo fine di determinare la tariffa applicabile escludendo pertanto il riaccertamento ai fini fiscali.

     B) Criteri per gli interventi di sostegno economico e definizione del minimo vitale.

     Per quanto attiene agli interventi di sostegno economico i livelli di reddito minimo che possono fungere da riferimento agli interventi ricorrenti, anche se sempre straordinari, nei confronti dei cittadini in stato di bisogno, possono venire determinati applicando la scala parametrale individuata dalla legge finanziaria 1986 e riproposta nel precedente paragrafo al fine della determinazione delle tariffe.

     In sostanza, quindi, i minimi vitali di riferimento da assumere per nuclei familiari di diversa composizione sono quelli riportati nella precedente tabella 1.

     Tali livelli vanno assunti con prudenza, non solo in relazione alle disponibilità di risorse proprie di ciascun comune, ma anche in riferimento alla incognita degli oneri che verranno prodotti da una metodologia nuova e mai sperimentata.

     Si ritiene pertanto corretto che, in fase di primo avvio, i livelli di reddito sopra descritti subiscano eventuali abbattimenti percentuali e che il perseguimento del minimo vitale di riferimento venga graduato nel tempo, in relazione alle verifiche di compatibilità che dovranno nel frattempo essere realizzate sia dai singoli Comuni che dagli E.R.

     Per l'immediato, quindi, i livelli di minimo vitale proposti, sono riportati nella tabella n. 4.

 

 

                                                               TABELLA N. 4

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N. dei componenti              Minimo

il nucleo familiare            vitale

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1                             L.  4.554.000

3                             L.  7.560 000

4                             L.  9.720.000

5                             L. 11.610.000

6                             L. 13.500.000

7                             L. 15.300.000

                              L. 17.100.000

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     L'ente responsabile, nella regolamentazione dei servizi di zona, deve praticare le indicazioni prima riportate tenuto conto della disponibilità finanziaria complessiva della zona, dell'entità dei parametri già eventualmente praticati dai singoli comuni, con l'obiettivo prioritario di fissare fasce minime e massime di intervento che consentano di omogeneizzare al più alto grado prestazioni rese dai singoli comuni all'interno della zona.

     Un aspetto delicato in tale ambito è rappresentato dagli interventi economici a favore degli orfani ENAOLI, per i quali, dalla data di approvazione della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, la preesistente normativa di settore ha cessato di valere.

     In tali casi devono essere ricercate a livello locale forme di raccordo tra i criteri precedentemente praticati ed i più generali criteri proposti dal presente P.S.A., avendo cura di contemperare l'opportunità di salvaguardare le assegnazioni storicamente assegnate con la necessità di estendere gli interventi a tutti i nuclei orfanili in stato di bisogno.

     C) Soggetti cui compete l'onere dell'assistenza

     Gli oneri che sulla base della legislazione vigente, nonché del presente Piano, gravano sui Comuni, sono a carico del Comune dove l'avente diritto all'assistenza ha la residenza.

     Al riguardo, si sottolinea che, dalla data di entrata in vigore della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 viene superato, nell'ambito regionale, il precedente criterio del domicilio di soccorso, per accogliere il più semplice criterio dell'ultima residenza anagrafica (o della dimora nei casi di cittadini stranieri, profughi o apolidi ovvero per gli interventi straordinari e urgenti artt. 9 e 61, 1° comma).

     Unica eccezione a tale principio generale dell'onere dell'assistenza gravante sul Comune di residenza dell'assistito riguarda l'onere per il ricovero in strutture residenziali: in tal caso la spesa è a carico del Comune ove l'assistito aveva la residenza precedentemente al ricovero, restando a tal fine irrilevante il cambiamento della residenza stessa connessa esclusivamente all'ospitalità dell'assistito presso la struttura ubicata in altro Comune. Si tratta di un criterio destinato a semplificare l'attuale procedura in vigore e ad ovviare i conflitti di attribuzione tra gli Enti locali interessati.

     Si precisa altresì che, per la prima volta, con l'entrata in vigore della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, vengono riconosciuti come destinatari degli interventi (sia come diritto generale, sia attraverso la individuazione di interventi specifici), accanto ai cittadini residenti, anche gli immigrati stranieri, i profughi, i rifugiati, gli apolidi, soggetti questi in genere a maggior rischio di emarginazione. Si richiama pertanto l'attenzione dei Comuni su questo aspetto non secondario, precisando che l'attuazione concreta dell'art. 9 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 pone sullo stesso piano di diritto sia i cittadini lombardi che le altre categorie sopra descritte, residenti o dimoranti nei Comuni lombardi, purché, sulla base di leggi dello Stato, abbiano titolo all'assistenza.

     Ai soggetti di cui sopra si applicano pertanto gli interventi ordinari e straordinari previsti dalla vigente normativa. In particolare gli interventi urgenti e non differibili sono assunti con ordinanza motivata dal Sindaco, per tutti i soggetti contemplati nello stesso art. 9, salvo la possibile successiva rivalsa nei confronti dei soggetti, pubblici e privati, tenuti all'intervento ordinario (art. 60, 5°, 6° e 7° comma).

 

     2.5 Disciplina del rapporto pubblico privato nell'esercizio delle attività assistenziali.

 

     2.5.1 Riferimenti normativi ed adempimenti programmatori.

     Nella legislazione regionale il quadro normativo di riferimento per la definizione del rapporto pubblico-privato è definito nella L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 «Riorganizzazione e programmazione dei servizi socio assistenziali della Regione Lombardia», ma prima ancora nella L.R. 11 aprile 1980, n. 39 sulla «Organizzazione e funzionamento delle Unità Socio Sanitarie Locali».

     In particolare:

     a) nella L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 rispettivamente agli artt. 3, 5 e 6:

     - si riconoscono gli operatori privati come soggetti che concorrono alla realizzazione del sistema socio assistenziale unitamente ai Comuni singoli, agli E.R. dei servizi di zona, agli Enti ed Istituzioni pubbliche che svolgono attività socio-assistenziali (art. 3);

     - si garantisce ai singoli, alle associazioni, cooperative, fondazioni ed altre Istituzioni, con o senza personalità giuridica, la libertà di svolgere attività assistenziali nel rispetto delle norme e dei requisiti minimi previsti dalla Legge (art. 5);

     - si prevede l'istituzione del registro degli organismi privati di assistenza idonei al convenzionamento (art. 6).

     b) nella L.R. 11 aprile 1980, n. 39 agli artt. 16, 17 e 18 si prevede l'istituto del convenzionamento con Istituzioni pubbliche e private che operano in campo socio-assistenziale e si sancisce il diritto o la possibilità di inserimento di tali Istituzioni nella programmazione ed organizzazione dei servizi delle USSL.

     E' proprio dalla L.R. 11 aprile 1980, n. 39 che occorre partire per comprendere il disegno programmatorio, gli spazi di movimento delle iniziative autonome ed i loro rapporti con i pubblici poteri e, quindi, le modalità di inserimento nella rete locale dei servizi.

     Ai citati artt. 17 e 18 sono previste tre possibili ipotesi di soluzione differenziate in rapporto alla natura giuridica dell'Ente titolare dei singoli servizi e precisamente in rapporto a servizi autonomi gestiti da:

     1 - I.P.A.B. o altri Enti pubblici;

     2 - organismi privati operanti senza fine di lucro ed aspiranti ad assumere un ruolo di componenti costitutive del sistema dei servizi;

     3 - organismi privati aspiranti ad operare in regime di autonomia, al più con rapporti accidentali con il sistema pubblico.

     1 - Per quanto riguarda le II.PP.A.B. la disposizione fondamentale è contenuta nell'art. 17 il quale al primo comma prevede che: «La Regione al fine di assicurare l'integrazione delle prestazioni socio assistenziali nell'ambito dei servizi di zona e la loro gestione unitaria su base territoriale, promuove la stipulazione di convenzioni fra gli E.R. dei servizi di zona, o comuni singoli, ed altri Enti pubblici, nel rispetto degli standard e dei criteri stabiliti dai piani regionali sanitari e socio assistenziali»; al secondo comma dispone che «In ogni caso le strutture socio assistenziali dipendenti da Enti pubblici sono inserite nei piani socio-assistenziali ai fini del loro utilizzo o della eventuale loro ristrutturazione o riconversione».

     Il primo dato che emerge dalla disposizione è che l'inserimento degli Enti in questione è in ogni caso dovuto, prescindendo cioè da un preventivo giudizio di collimanza fra scopi perseguiti o caratteri posseduti con gli obiettivi del Piano.

     Correlata a tale disposizione (e chiaramente finalizzata ad evitare che Enti con caratteri peculiari di autonomia possano gestire presidi prescindendo dagli obiettivi specifici del Piano) è la riconosciuta facoltà del Piano di prevedere la ristrutturazione e riconversione dei servizi in questione.

     Intendendo per:

     - ristrutturazione: gli adeguamenti quantitativi e qualitativi dei servizi nell'ambito degli scopi e delle attività già proprie dell'Ente (per es. aumento o diminuzione nel n. di posti letto di una struttura e revisione della pianta organica);

     - riconversione: anche l'assunzione di fini nuovi o diversi attraverso la riforma degli Statuti sia per iniziativa dell'Ente sia d'ufficio.

     2 - Per quanto riguarda la seconda categoria di soggetti, individuati negli organismi privati operanti senza fine di lucro ed aspiranti ad assumere un ruolo di componenti costitutive del sistema dei servizi le disposizioni fondamentali sono contenute nell'art. 18 della L.R. 11 aprile 1980, n. 39 che prevede per tali soggetti l'istituto del convenzionamento previo accertamento di idoneità al convenzionamento stesso. Al Piano regionale socio assistenziale è demandata l'esplicitazione dei requisiti per l'accertamento dell'idoneità, specie per quanto riguarda la definizione di «adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale e di funzionalità organizzativa ed operativa».

     3 - Con riferimento infine alla terza categoria di soggetti, individuati negli organismi privati che operano in regime di autonomia, si osserva che l'art. 18, 6° comma, della L.R. 11 aprile 1980, n. 39 prevede la possibilità di instaurare rapporti accidentali con il sistema pubblico attraverso convenzioni anche parziali.

     Le convenzioni stipulabili ai sensi della richiamata norma, rappresentano un risultato sostanzialmente facoltativo, in quanto si presuppone da un lato, la libera valutazione dell'E.R.S.Z. di avvalersi di determinate strutture e, dall'altro, la volontà del gestore del servizio di operare, in tutto od in parte, in regime di convenzione col sistema pubblico, piuttosto che indirizzare la propria attività esclusivamente al mercato privato.

     La stipula di queste convenzioni non è peraltro lasciata alla piena discrezionalità dei contraenti. Infatti l'ottavo comma dell'art. 18 fa obbligo, in primo luogo, agli E.R.S.Z. di indicare, nei programmi zonali, i motivi per i quali è previsto il convenzionamento con altre strutture e servizi privati diversi da quelle dichiarate idonee al convenzionamento e, ancora, di indicare i motivi di esclusione di strutture e servizi i cui gestori abbiano chiesto di convenzionarsi.

     La L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 all'art. 5 riprende integralmente il disegno delineato dalla L.R. 11 aprile 1980, n. 39 circa le modalità d'inserimento nella rete dei servizi e circa il rapporto pubblico/privato e ribadisce:

     - la libertà per i privati di svolgere attività assistenziali, purché nel rispetto delle norme e dei requisiti minimi previsti, e indipendentemente dal loro inserimento nel sistema dei servizi e dalla stipula di convenzioni;

     - che i soggetti privati dichiarati idonei al convenzionamento concorrono di diritto alla realizzazione del sistema socio-assistenziale, nell'ambito delle prescrizioni dei piani regionali socio-assistenziali;

     - che gli altri soggetti privati possono concorrere alla realizzazione del sistema dei servizi con le modalità previste nel sesto ed ottavo comma dell'art. 18 della L.R. 11 aprile 1980, n. 39, vale a dire con convenzioni accidentali e/o parziali.

     Il piano regionale di conseguenza, è chiamato ad operare in termini di continuo richiamo e di sviluppo della precedente normativa.

     Entro questi termini è, quindi, preliminarmente opportuna l'individuazione, sia della linea logica conduttrice dei pregressi provvedimenti legislativi, sia dei concreti adempimenti demandati e richiesti al Piano.

     Le linee di fondo del rapporto pubblico/privato sono date, da un lato, dalla prospettazione di vasti spazi di operatività, anche con ruoli costituiti e tutelati, per ogni risorsa presente e disponibile e, dall'altro, dalla volontà di pervenire al raggiungimento dell'obiettivo dell'adeguatezza e della uniformità delle prestazioni socio-assistenziali sul territorio regionale.

     L'obiettivo assunto s'innesta nella tradizione, legislativa ed amministrativa, dei servizi socio-assistenziali con carattere fortemente innovativo; rappresenta, infatti, una sostanziale inversione della linea storica di tendenza, basata sull'apprezzamento discrezionale, da parte delle singole iniziative, sul quanto e sul come della propria attività, senza prefissati obiettivi esterni da raggiungere; aderisce, nel contempo, ai più significativi indirizzi sull'assetto e sull'organizzazione dei servizi pubblici, il cui scopo primario non è tanto quello di stabilire condizioni preferenziali in rapporto al tipo ed alla natura dell'agente, quanto quello di realizzare il più ampio coinvolgimento per concretamente ed efficacemente rispondere alle esigenze delle persone e per assicurare alle stesse trattamenti adeguati e paritari.

     Il vecchio sistema, proprio per la accidentalità e piena discrezionalità delle iniziative, presenta, alla valutazione ed all'intervento pianificatorio della Regione, un quadro reale di strutture e di servizi fortemente variegato, con differenze anche nell'ambito di identiche funzioni, di rilievo a volte imponente, in ogni aspetto strutturale ed organizzativo.

     Da tale situazione deriva non certo un'impossibilità oggettiva di razionalizzazione e riconversione, bensì la necessità di un atteggiamento prudente e graduale da un lato, ma costantemente e chiaramente finalizzato dall'altro, affinché il passaggio alla nuova fase non risulti traumatico e, in definitiva, lesivo degli stessi livelli in essere.

     Tale stato di cose ha indotto:

     - a ritenere opportuno, in quanto preliminare, l'approfondimento conoscitivo dell'esistente (attraverso incisive indagini conoscitive condotte soprattutto nell'area degli anziani e degli istituti per minori);

     - a prevedere la necessità di tempi adeguati per il realizzo del processo di accostamento alle prescrizioni di piano (standard programmatori);

     - ad evidenziare l'esigenza, sia di straordinaria mobilitazione delle risorse proprie degli Enti gestori, sia di specifici supporti finanziari regionali specie per gli investimenti, obiettivo quest'ultimo che si è iniziato a perseguire, prima ancora del presente piano, con la attuazione della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 concernente interventi per la riconversione delle strutture socio-assistenziali;

     - ad individuare ed indicare gli strumenti amministrativi idonei per rendere, sia pure in termini di oggettive compatibilità, dovuto ed effettivo l'adeguamento dei servizi alle prescrizioni di piano (autorizzazione al funzionamento, idoneità al convenzionamento).

     In altre parti del presente piano si forniscono indicazioni circa gli elementi conoscitivi della realtà esistente che sono stati acquisiti, i tempi per il realizzo del processo di adeguamento agli standard programmatori nonché le risorse che vengono mobilitate; di seguito si fornisce invece l'esplicitazione degli strumenti amministrativi e le relative connesse prescrizioni, attraverso cui organizzare nel concreto il rapporto pubblico/privato. Si tratta degli istituti normativi dell'autorizzazione al funzionamento e dell'idoneità al convenzionamento introdotti dalla L.R. 11 aprile 1980, n. 39 e L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

 

     2.5.2. Disciplina dell'autorizzazione al funzionamento.

     a) Precedenti normativi

     In base alla normativa antecedente erano sottoposti ad un'autorizzazione al funzionamento solo alcuni servizi di tipo settoriale, normati dalla legislazione ex O.N.M.I. con precipue finalità di tutela dell'assistenza nell'area dei minori. Successive normative di settore avevano previsto l'obbligo dell'autorizzazione al funzionamento di specifiche limitate strutture (asili nido, centri di vacanza, ecc.).

     Per tutte le restanti strutture ed attività pubbliche e private si applicava la norma generale di tipo repressivo prevista dall'art. 2 della L. 17 luglio 1890, n. 6972, finalizzata alla cessazione dell'attività in caso di gravi carenze organizzative e di abuso della pubblica fiducia.

     Di fatto, l'avvio di un'attività era subordinata a norme regolamentari non speciali, ma di carattere generale, connesse alle caratteristiche edilizie e igienico sanitarie.

     b) Le previsioni della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1: ambito di applicazione e requisiti soggettivi ed oggettivi.

     L'istituto della autorizzazione al funzionamento introdotto dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 si caratterizza come istituto di tipo amministrativo indispensabile per poter avviare o continuare qualsiasi attività gestionale di strutture socio-assistenziali, in carenza del quale si produce ipso facto la cessazione dell'attività stessa e l'obbligo per l'ente vigilante di segnalazione all'autorità giudiziaria in caso di inosservanza della predetta cessazione.

     Le strutture soggette all'autorizzazione, così come individuate nell'art. 50 della legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1 sono:

     - asili nido e strutture similari;

     - soggiorni di vacanza per minori;

     - istituti educativo assitenziali per minori;

     - centri diurni e centri socio-educativi;

     - case albergo e case di soggiorno;

     - case di riposo;

     - strutture protette;

     - centri residenziali per handicappati gravi.

     L'autorizzazione al funzionamento è rilasciata a domanda dell'interessato, da parte dell'Amministrazione provinciale competente per territorio entro tre mesi dalla presentazione della domanda, corredata dalla documentazione richiesta e sentito il parere dell'E.R. in cui è ubicata la struttura.

     Per quanto riguarda i requisiti, il terzo comma dell'art. 50 della richiamata legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1 prevede che gli stessi vengano definiti dal P.S.A., il quale deve fissare i «requisiti minimi ambientali e funzionali in base ai quali i gestori dei servizi hanno diritto ad ottenere l'autorizzazione»; lo stesso art. 50 prevede inoltre che «tali requisiti attengano agli elementi indispensabili per garantire la sicurezza degli operatori e degli utenti, nonché la capacità minima del servizio ad esplicare le relative funzioni».

     Sulla scorta delle sopracitate previsioni normative si individuano i requisiti necessari per ottenere il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, distinguendo tra requisiti soggettivi e requisiti oggettivi.

     Requisiti soggettivi

     Sotto il profilo dei requisiti soggettivi i legali rappresentanti della struttura devono dimostrare di non essere mai stati sottoposti a procedimenti penali o di non aver pendenze in corso, e comunque di godere della pienezza dei propri diritti civili ed elettorali. Tale dimostrazione deve essere fornita mediante le certificazioni probatorie d'uso.

     Requisiti oggettivi

     I requisiti di tipo oggettivo devono attenere, a seconda della tipologia del servizio che si intende aprire o continuare a gestire, ad adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale e di funzionalità strutturale ed organizzativa; si tratta in pratica di requisiti e indicazioni generali già contenuti nella L.R. 11 aprile 1980, n. 39, art. 18, anche se la loro concretizzazione porta necessariamente all'individuazione di standard strutturali e organizzativi minimi diversificati rispetto a quelli previsti per l'idoneità al

convenzionamento, considerata la diversa finalità che è sottesa.

     Per i servizi implicanti l'uso di strutture, tra i requisiti oggettivi si collocano altresì quelli derivanti da leggi e regolamenti in materia edilizia, igienico-sanitaria e di prevenzione incendi, per i quali è a carico del richiedente l'autorizzazione al funzionamento di dimostrare il possesso delle relative licenze, concessioni o autorizzazioni previste, al momento dell'attivazione delle strutture stesse o anche successivamente, se richieste in via continuativa dalla legge.

     E' inoltre opportuno evidenziare che in relazione al previsto diritto al convenzionamento sussistente per legge in capo alle strutture pubbliche, nei confronti di queste si realizza una coincidenza tra standard di funzionamento e standard di convenzionamento. Pertanto per le strutture pubbliche l'autorizzazione al funzionamento deve essere rilasciata dalle Amministrazioni Provinciali sulla base degli standard gestionali e strutturali altrimenti richiesti per il rilascio dell'idoneità al convenzionamento, così come precisato al successivo paragrafo 2.5.3.

 

     2.5.3. Disciplina dell'idoneità al convenzionamento.

     Si è già detto, parlando delle modalità di inserimento nella rete locale dei servizi, che la stipula delle convenzioni (non di natura accidentale) tra istituzioni pubbliche (E.R. e Comuni) e soggetti privati deve essere preceduta dall'ottenimento dell'idoneità al convenzionamento rilasciata dalla Regione (art. 18, I, II, III, IV e V comma, L.R. 11 aprile 1980, n. 39).

     Il riconoscimento di tale idoneità è subordinato all'accertamento dei seguenti requisiti:

     1) assenza di fini di lucro;

     2) adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale e di funzionalità organizzativa ed operativa, in conformità alle indicazioni del Piano socio-assistenziale;

     3) rispetto per i dipendenti delle norme contrattuali, ad eccezione delle prestazioni rese da volontari e obiettori o rese in forza di convenzioni con ordini religiosi e case generalizie.

     1) Per quanto riguarda il requisito «assenza di fini di lucro» si può affermare che esso è di norma individuabile in tutti quegli Enti ed organismi che, sulla base delle disposizioni statutarie, non si propongono un fine ultimo di carattere economico o di destinazione di utili tra gli associati o gli appartenenti all'organizzazione.

     Rientrano per configurazione statutaria tipica nella categoria degli Enti non economici le Associazioni riconosciute, le Fondazioni e gli Enti di diritto canonico riconosciuti civilmente.

     L'assenza di fini di lucro dovrà invece essere volta a volta accertata, sulla base delle disposizioni statutarie, per le Associazioni non riconosciute.

     Con riferimento alle Cooperative, sia pure previa verifica statutaria, lo scopo di lucro è da escludersi nelle cosiddette Cooperative di solidarietà sociale, sia che offrano servizi, sia che si organizzino per rispondere ai bisogni di lavoro di soggetti a rischio di emarginazione.

     2) Per quanto riguarda il requisito «adeguati livelli di prestazione, di qualificazione del personale, di funzionalità strutturale e organizzativa» viene immediato il riferimento, come modello ottimale, allo standard programmatorio così come definito, sia con riguardo agli aspetti organizzativi che agli aspetti strutturali, nella allegata normativa tecnica.

     In sede di prima applicazione vengono previsti nel successivo paragrafo, i tempi e le modalità di adeguamento a tale standard programmatorio sia organizzativo-gestionale sia strutturale.

     3) Per quanto attiene, infine, al requisito «rispetto di norme contrattuali di lavoro per i dipendenti» allo stato attuale non è indicabile con sicurezza il contratto di lavoro da osservare, in carenza di accordi collettivi riferiti espressamente all'area socio-assistenziale privata. In attesa della auspicata stipula di accordi collettivi nel settore, sembra risultare sufficiente il duplice requisito dell'effettiva applicazione di una disciplina contrattuale collettiva e della legittimità dell'estensione della stessa, per ragioni di attinenza e legittimità, secondo i normali principi di diritto del lavoro.

     E' infine opportuno ricordare che i soggetti privati che gestiscono strutture riconosciute idonee al convenzionamento sono iscritti di diritto in un registro regionale (art. 6, L.R. 7 gennaio 1986, n. 1); il riconoscimento dell'idoneità costituisce diritto alla stipula delle convenzioni con gli Enti Responsabili, nell'ambito delle prescrizioni del Piano regionale socio-assistenziale; la cancellazione dal registro può avvenire a richiesta degli interessati o per il venir meno dei requisiti previsti per la concessione dell'idoneità (art. 6. II comma, L.R. 7 gennaio 1986, n. 1).

 

     2.5.4. Tempi e modalità di adeguamento agli Standard strutturali e gestionali.

     A) Per quanto concerne gli standard strutturali va innanzitutto precisato che le strutture la cui costruzione non sia iniziata alla data dell'entrata in vigore del presente Piano devono essere realizzate in conformità dello standard programmatorio.

     Per le strutture già funzionanti o i cui lavori di costruzione o ristrutturazione siano già iniziati vengono di seguito indicati i requisiti che le diverse unità di offerta devono possedere nell'immediato e alla fine del triennio, per avviare il necessario processo di graduale adeguamento agli standard programmatori. I requisiti minimali che ciascuna unità di offerta (pubblica o privata) deve possedere nell'immediato al fine di ottenere l'autorizzazione attengono:

     - al rispetto dei regolamenti locali di igiene;

     - al rispetto delle norme di sicurezza degli impianti antincendio;

     - alla sicurezza statica dell'edificio.

     Come evidente, i requisiti sopra indicati sono fissati da norme di carattere generale emanate da organi diversi da quello regionale, ai quali pertanto competono le relative certificazioni e la concessione di eventuali deroghe transitorie.

     Per le strutture i cui lavori di adeguamento vengono posti in essere dopo l'entrata in vigore del presente P.S.A., i relativi lavori di ristrutturazione devono essere realizzati in conformità alle previsioni dello standard programmatorio, con riferimento, quanto meno, ai seguenti elementi:

     - camere da letto

     - servizi igienici

     - spazi per il pranzo e il soggiorno

     - impianti di sollevamento

     - barriere architettoniche.

     Fermo restando il rispetto dei requisiti sopracitati, ciascuna struttura operante in ambito socio assistenziale, entro la fine del triennio, deve dimostrare altresì il possesso di ulteriori caratteristiche.

     Tali elementi consistono da un lato, nella realizzazione, ove mancante, dell'impianto di sollevamento in specifiche strutture, onde permettere la fruizione di queste a soggetti con ridotte capacità motorie, e, dall'altro, nell'avvicinamento a un corretto rapporto tra numero di utenti e superfici degli spazi loro destinati.

     Con riferimento a quest'ultimo aspetto, preme sottolineare che il processo di adeguamento richiesto per il triennio a tutte le strutture non implica necessariamente la realizzazione di interventi edilizi, ma può essere di norma ottenuto attraverso la graduale riduzione degli ospiti.

     Va altresì precisato che i requisiti indicati per la fine del triennio devono essere intesi come soglia discriminante l'idoneità della struttura, e non come livello da raggiungere qualora la situazione di partenza risulti di inadeguatezza.

     Ai minimali vincoli già indicati per il funzionamento di tutte le strutture (sia pubbliche che private) si aggiungono ulteriori impegni per le strutture che rientrano di diritto (pubbliche) e che intendono rientrare (private) nel sistema del convenzionamento ossia per quelle che vengono assoggettate alla programmazione zonale e che possono fruire di contributi regionali destinati all'adeguamento edilizio.

     Ciascuna struttura rientrante il tale insieme deve impegnarsi a raggiungere lo standard programmatorio entro i tempi fissati dalla programmazione regionale e zonale, in relazione alla possibilità data dai finanziamenti regionali e dell'autofinanziamento degli Enti interessati.

     Per il periodo di validità del P.S.A., l'obiettivo che ciascuna zona deve perseguire consiste nell'avere riconvertito od avviato a riconversione e adeguamento strutturale:

     - il 45% del fabbisogno di posti letto in strutture e reparti protetti;

     - il 25% dei centri socio-educativi per handicappati e delle comunità alloggio.

     Tali percentuali ricomprendono la quota di strutture già adeguate a standard e in via di adeguamento con i finanziamenti pregressi. Gli obiettivi sopra indicati si traducono nell'obbligo di avviare entro il triennio i lavori per l'adeguamento allo standard programmatorio in tutte le strutture individuate dai programmi zonali.

     B) Per quanto concerne gli aspetti gestionali, il processo di adeguamento graduale agli standard programmatori tiene conto della quantità di personale attualmente in servizio, nonché degli scostamenti esistenti rispetto allo standard programmatorio; ciò al fine di consentire da un lato il proseguo delle varie attività e dall'altro il raggiungimento dello standard pieno entro tempi ragionevolmente contenuti.

     Per ogni unità di offerta vengono quindi riportati, nelle tabelle allegate al presente paragrafo, i rapporti personale/utenti minimi relativi ad ogni figura professionale distintamente per l'autorizzazione al funzionamento e per l'idoneità al convenzionamento, con l'avvertenza che il livello richiesto per la fine del triennio alle strutture attualmente funzionanti coincide con il livello che le strutture di nuovo avvio devono possedere nell'immediato.

     Va precisato che, per le sole strutture già funzionanti, sia pubbliche che private, può essere consentita la deroga ai requisiti minimi fissati per l'immediato prevista dal III comma dell'art. 93 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

     Compete quindi alle Amministrazioni Provinciali, in sede di rilascio dell'autorizzazione al funzionamento, valutare i tempi di adeguamento entro il termine massimo di tre anni, stabilito dal citato 3° comma dell'art. 93 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, tenuto conto delle specifiche situazioni, nonché, come già specificato al capitolo I, delle condizioni oggettive dalle quali dipenda l'attuabilità del processo di adeguamento stesso (formazione del personale e risorse finanziarie).

     Tali condizioni saranno oggetto di verifica regionale, a metà del triennio di validità del Piano, al fine di rimuovere gli ostacoli che si dovessero manifestare e di procedere alle eventuali variazioni dei tempi e delle modalità di adeguamento.

     Resta comunque inteso che alla fine del triennio di validità del presente Piano debbono essere raggiunti i maggiori requisiti richiesti dal Piano stesso per le strutture pubbliche e private convenzionate rispetto alle strutture private che operano a prescindere dal convenzionamento.

     Si precisa, infine, che, per il triennio di validità del P.S.A. va considerato come ausiliario socio-assistenziale tutto il personale inquadrato al 3° e IV livello («operatore» ed «esecutore») in servizio nelle strutture ad internato; ciò in relazione alla difficoltà di realizzare un sufficiente numero di corsi di qualificazione nel brevissimo periodo.

     Resta inteso che l'acquisizione della qualifica professionale attraverso la frequenza a specifici corsi regionali, debba valere ai fini del passaggio al IV livello degli ausiliari in servizio.

     Analoga considerazione vale per la figura del terapista della riabilitazione; nell'arco di validità del P.S.A., deve essere considerato utile al fine del raggiungimento dello standard per detta figura professionale anche il personale con diploma di masso-fisio-chinesiterapia ottenuto attraverso la frequenza di corsi almeno biennali presso scuole legalmente riconosciute.

     Esistono poi delle unità di offerta, e cioè le comunità alloggio e i centri di pronto intervento per le quali la L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 non ha previsto il rilascio dell'autorizzazione al funzionamento: ciò pone una serie di problemi perché tutta la rete di tali servizi esistenti, se vuol permanere nel sistema socio-assistenziale, deve richiedere l'idoneità al convenzionamento. Per tali unità di offerta il presente P.S.A. non poteva declinare i requisiti di idoneità al convenzionamento che in termini minimi, tenuto conto delle loro caratteristiche peculiari e delle variegate tipologie di funzioni e prestazioni esistenti.

     Le allegate tabelle, elaborate sulla base di puntuali standard programmatori contenuti nel Piano, tengono perciò conto di tali aspetti; ad esempio, nel conteggio del personale che concorre al raggiungimento dello standard vengono inclusi tutti gli operatori con rapporto di lavoro dipendente, non dipendente retribuito, nonché i volontari; rispetto a questi ultimi, la loro presenza in organico deve essere conteggiata per il monte ore globalmente prestato.

     Si sottolinea inoltre che, all'interno delle tipologie «comunità alloggio» esistono altri servizi di comunità quali i gruppi famiglia, le comunità autogestite, le comunità di risocializzazione e reinserimento, per le quali lo standard allegato al P.S.A. prevede solo i requisiti minimi che devono essere posseduti da subito. Per tali unità di offerta, si precisa da un lato che esse rimangono, per il triennio in corso, all'interno del sistema di finanziamento regionale purché in possesso dei pochissimi requisiti previsti, dall'altro, che nel corso del triennio stesso verranno effettuate le opportune verifiche, nonché alcune sperimentazioni significative, tese a consentire una più puntuale definizione di standard programmatorio per il successivo triennio.

     Per quanto riguarda l'adeguamento agli standard gestionali ai fini del rilascio delle autorizzazioni per i requisiti che da subito le strutture devono possedere, la Giunta si impegna a predisporre, con il parere della Commissione competente, una apposita direttiva alle Amministrazioni Provinciali con l'indicazione dei requisiti aggiuntivi rispetto a quelli già definiti dal Piano.

 

TABELLE

 

  REQUISITI STRUTTURALI E GESTIONALI CHE LE STRUTTURE E I SERVIZI SOCIO-

ASSISTENZIALI DEVONO POSSEDERE NELL'IMMEDIATO E ALLA FINE DEL TRIENNIO DI

VALIDITA' DEL P.S.A STRUTTURE PROTETTE

(Omissis)

 

     2.6 Il volontariato quale soggetto concorrente alla realizzazione del sistema socio-assistenziale regionale.

     Premessa

     Già le precedenti norme regionali di attuazione della riforma sanitaria (L.R. 5 aprile 1980, n. 35 sull'ordinamento dei servizi di zona; L.R. 11 aprile 1980, n. 39 sull'organizzazione e funzionamento delle USSL) contengono espliciti riferimenti agli organismi di volontariato, così la L.R. 5 aprile 1980, n. 35, agli artt. 10 e 11, riconosce al volontariato il ruolo di concorso al perseguimento dei fini istituzionali dei servizi e ne prevede la consultazione nella fase di programmazione delle attività e dei servizi, mentre la L.R. 11 aprile 1980, n. 39, all'art. 16, III comma, sancisce la possibilità di convenzionamento, sulla base delle prescrizioni dei piani regionali sanitario e socio-assistenziale.

     Ma è solo con la L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 sulla riorganizzazione e programmazione dei servizi socio-assistenziali che si costituisce un punto di riferimento complessivo e ricco di indicazioni positive, in cui il volontariato viene esplicitamente individuato tra i soggetti che concorrono alla realizzazione del sistema socio-assistenziale.

     In tale sede il legislatore regionale ha operato la scelta di prefigurare un sistema di servizi con pluralità di soggetti (art. 3 L.R. 7 gennaio 1986, n. 1), tra cui il volontariato, al quale viene riconosciuta una sua autonomia originaria e un ruolo di concorso autonomo all'individuazione dei bisogni e al conseguimento dei fini istituzionali dei servizi.

     La strada che la legge esprime per la definizione del volontariato è quella per enumerazione di caratteristiche, partendo da una dichiarazione di riconoscimento del valore e della funzione del volontariato come strumento di solidarietà sociale.

     Tale articolo prevede:

     E' volontariato il servizio reso dai cittadini in modo:

     a) continuativo: definizione non quantificata nel tempo, comunque volta ad escludere il carattere di saltuarietà ed estemporaneità e ad accertare invece l'entità delle risorse su cui poter «contare» e quindi l'affidabilità in termini di continuità nel tempo dell'apporto del volontariato in funzione delle finalità e degli obiettivi;

     b) senza fini di lucro diretto o indiretto: definizione tendente ad escludere un qualunque profitto e quindi ad affermare il «disinteresse» del volontariato;

     c) con prestazioni personali, volontarie e gratuite

     c.1. personali cioè del volontario, sia individualmente che in gruppi organizzati (in quest'ultimo caso si parlerà di aderenti, di soci);

     c.2. volontarie cioè prestazioni non discendenti dall'assolvimento di specifici obblighi (es. obiettore che assolve l'obbligo del servizio di leva), ma supportate da motivazioni di carattere altruistico, di solidarietà sociale;

     c.3. gratuite vale a dire senza alcun compenso, neppure forfettizzato e/o indiretto, per le prestazioni volte all'utente.

     Il concetto di gratuità è applicato alle prestazioni rese dai volontari, non anche all'organizzazione necessaria a rendere il servizio, che potrà quindi avere personale retribuito in equa proporzione tra detto personale e quello volontario; tale personale retribuito potrà essere quello di segreteria, amministrazione e formazione dei volontari stessi, consulenza alla organizzazione o ai volontari singoli, coordinamento e supporto tecnico organizzativo; ci si riferisce cioè alle funzioni preliminari e/o strumentali volte a realizzare le condizioni che permettono l'erogazione delle prestazioni fornite dai volontari.

     d) nell'ambito di strutture pubbliche o private di assistenza o in proprio.

     La definizione «strutture di assistenza» circoscrive necessariamente l'ambito di competenza normato dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 e cioè il sistema dei servizi socio-assistenziali; declina quindi le indicazioni contenute nella precedente legislazione regionale, che si riferiva anche agli organismi di volontariato operanti nel comparto sanitario, solo per gli aspetti relativi al comparto socio-assistenziale.

     Inoltre il servizio può essere reso «in proprio» attraverso strutture ad hoc predisposte o liberamente individuate e ritenute idonee, nel rispetto dei requisiti previsti dalla legge.

     In conclusione l'elemento essenziale è dato dalla natura dell'attività svolta, di assistenza, non dai luoghi dove questa viene prestata.

     Il registro del volontariato

     Si delinea attraverso l'art. 8, che norma la istituzione del registro regionale del volontariato, il rapporto fra Ente pubblico e volontariato cioè la concreta realizzazione dei principi e del riconoscimento del suo ruolo e funzione.

     Tale registro si pone indubbiamente quale importante strumento di conoscenza del volontariato organizzato e delle modalità di estrinsecazione dello stesso nell'ambito socio-assistenziale.

     Le indicazioni contenute in tale articolo si rivolgono alle organizzazioni, con l'esclusione quindi del volontario singolo e:

     - sottolineano che l'iscrizione al registro non rappresenta un obbligo bensì un diritto che le organizzazioni devono decidere se esercitare o meno;

     - ribadiscono la libertà della forma organizzativa.

     L'iscrizione è, tra l'altro, una «conditio sine qua non» per accedere alla possibilità di convenzionamento, ma è qualcosa di diverso dalla convenzione la quale è legata al possesso dei requisiti e standard fissati dal Piano; per l'iscrizione si prevede invece il possesso di requisiti minimi oggettivi;

all'iscrizione non fa seguito né una forma di finanziamento né un obbligo o diritto al convenzionamento.

     Modalità ed effetti dell'iscrizione al registro del volontariato

     Possono chiedere l'iscrizione al registro le organizzazioni di volontariato con o senza personalità giuridica che:

     - perseguano fini di solidarietà sociale senza alcun scopo di lucro, né diretto né indiretto;

     - svolgano attività socio-assistenziali da almeno un biennio, attraverso prestazioni volontarie e gratuite degli aderenti, non costituite solo da contribuzioni economiche;

     - abbiano sede operativa nel territorio lombardo (anche nel caso di sezioni periferiche di organizzazioni sovra-regionali).

     Nel contesto prima evidenziato è opportuno sottolineare la particolare posizione delle cooperative di solidarietà sociale e senza fini di lucro, nei confronti delle quali non si ritiene sussistano i requisiti previsti per configurarle come organizzazioni di volontariato, nell'accezione della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 e quindi come soggetti iscrivibili al registro, ma appare più opportuna una loro assimilazione agli enti e organismi privati; ciò in quanto è assente, in tutto o in parte, il requisito della gratuità delle prestazioni.

     All'iscrizione al registro si riconducono i seguenti effetti:

     - diritto ad essere consultati per la programmazione e quindi ad essere informati e consultati sui programmi regionali e zonali;

     - accesso prioritario, a parità di condizioni, a corsi di aggiornamento organizzati dalla Regione;

     - possibilità di richiedere il convenzionamento con enti pubblici se in possesso dei relativi standard richiesti dal più generale sistema di convenzionamento;

     - possibilità di ottenere dalla Regione contributi di funzionamento a titolo di sostegno delle attività generali, comprese quelle di formazione.

     A fronte di tali prerogative, le organizzazioni sono sottoposte alla vigilanza degli Enti Responsabili ai fini della verifica del permanere dei requisiti che avevano dato luogo all'iscrizione al registro regionale, e hanno l'obbligo di presentare annualmente alla Regione e all'E.R., nel cui ambito operano, una relazione sull'attività svolta.

     Le convenzioni

     Le organizzazioni di volontariato regolarmente iscritte nel relativo registro (o anche per taluni specifici casi non ancora iscritte, ma potenzialmente iscrivibili) possono stipulare convenzioni con gli Enti Responsabili e con i Comuni.

     In particolare l'art. 53 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 disciplina le possibilità di convenzionamento rispetto alle quali vengono individuate due differenti tipologie di convenzione:

     a) convenzioni aventi ad oggetto attività e servizi assunti integralmente in proprio dall'organizzazione di volontariato e sostitutive dell'intervento dell'Ente pubblico, ovvero attività innovative sperimentali;

     b) convenzioni aventi ad oggetto specifiche attività integrative o di supporto a servizi pubblici nell'ambito di programmi di intervento integrati.

     Per accedere alle convenzioni richiamate al sopracitato punto a) è necessario che gli organismi di volontariato abbiano non solo acquisito l'iscrizione al registro regionale (quale precondizione necessaria), ma altresì abbiano richiesto ed ottenuto l'idoneità al convenzionamento di cui all'art. 52 della già citata L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 in quanto in possesso dei relativi e più qualificanti requisiti ivi previsti.

     Tali tipi di convenzioni sono disciplinate, oltre che dall'art. 52, anche dagli artt. 16, 17, 18 della L.R. 11 aprile 1980, n. 39 e devono essere redatte in conformità ad apposito schema-tipo di convenzione approvato dalla Regione.

     Per accedere alle convenzioni di cui al sopracitato punto b) non è invece richiamato il possesso dell'idoneità al convenzionamento, essendo di norma sufficiente l'iscrizione al registro regionale del volontariato.

     Si aggiunge inoltre che questo secondo tipo di convenzione può essere attivato anche con organizzazioni non ancora iscritte a tale registro, in quanto non ancora ultimato il biennio di attività, purché in possesso degli altri requisiti.

     Resta inteso che in questi ultimi casi, trascorso il biennio di operatività dell'organizzazione, prosecuzione della convenzione è subordinata all'iscrizione al registro predetto, per cui la convenzione dovrà preventivamente contenere detta clausola di riserva.

     Il contenuto di tale convenzione è demandato all'autonoma volontà delle parti contraenti, nel rispetto peraltro dei requisiti minimi contemplati all'art. 53, III e IV comma, della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1.

 

     Linee di intervento per la conoscenza e la valorizzazione del volontariato

     Il Piano assume la declinazione del contenuto della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 intendendo valorizzare il rilevante ruolo del volontariato, quale strumento attraverso cui la società, recuperando la sua autonoma capacità solidaristica, trova raccordi nuovi con l'ente pubblico passando da una dipendenza assistenzialistica a un'attiva responsabilità e partecipazione. L'Ente pubblico riconosce che la propria funzione non si risolve necessariamente nella gestione diretta di tutti i servizi bensì cerca condizioni e presupposti di garanzia perché le organizzazioni possano rispondere autonomamente ai bisogni in atto o emergenti.

     Quanto sopra premesso testimonia il riconoscimento del ruolo del volontariato che la Regione intende dare, inteso quale estrinsecazione di solidarietà e di crescita morale e civile e nel contempo valido ed efficace strumento operativo, non già in alternativa o contrapposizione, bensì in concorso e collaborazione con l'Ente pubblico, per far fronte alla molteplicità dei bisogni sociali emergenti. In tale contesto assume particolare rilevanza l'assunzione della famiglia quale soggetto titolare di diritto al volontariato attivo nel suo interno e nel suo esterno, soprattutto, ma non esclusivamente, attraverso la formazione, l'educazione e l'orientamento familiare; volontariato che è ritenuto mezzo efficace di contributo al raggiungimento degli scopi che il consorzio civile si propone, nonché per la prevenzione e la soluzione dei problemi tipici della società attuale, come gli anziani, gli adolescenti, gli handicappati, le famiglie in difficoltà, la tutela della qualità della vita. Ne deriva la necessità per il P.S.A. di individuare precise linee di intervento che consentano una più compiuta conoscenza del fenomeno, e dell'articolazione operativa dello stesso in campo socio-assistenziale, nonché di favorire la valorizzazione del volontariato anche attraverso possibili interventi di contribuzione finanziaria; infine il Piano intende favorire, tramite un'azione di sensibilizzazione degli operatori e della società in genere, lo sviluppo di una vera e propria «cultura del volontariato». In tale contesto si tratta quindi di:

     - attivare il registro delle organizzazioni e curarne la tenuta, in base a requisiti oggettivi, senza regolamentare gli interventi o precostituire tipologie rigide;

     - promuovere idonee forme di informazione e pubblicizzazione tramite incontri, convegni, e ogni altra opportuna iniziativa promozionale, assicurando la conoscenza e la diffusione dei contenuti del registro e degli effetti dell'iscrizione;

     - realizzare indagini sulla consistenza e sulla articolazione delle prestazioni di volontariato nell'ambito del sistema socio-assistenziale;

     - favorire l'analisi e la elaborazione dei dati raccolti, da inserire nel più generale sistema informativo, anche per realizzare una banca dati con fini di scambio informativo;

     - definire criteri di priorità da porre a fondamento dei piani di contribuzione per il sostegno delle attività generali del volontariato, comprese quelle di formazione;

     - fornire infine, nel pieno rispetto dell'autonomia delle singole organizzazioni, ogni più opportuno supporto tecnico e giuridico, anche per la formulazione di articolati statutari aderenti all'attività svolta.

 

     2.7 La cooperazione

     Lo sviluppo della cooperazione in questi ultimi anni si pone come un fenomeno di grande rilevanza con riflessi considerevoli sul piano economico e sociale.

     La riscoperta di questa realtà è da ricondurre allo stato di crisi in cui si trova il sistema di «Welfare-State».

     Tale sistema caratterizza le società a capitalismo maturo, in cui il ruolo dello Stato oltre a favorire, a livello normativo e sociale, la riproduzione dei rapporti di produzione, è anche quello di intervenire direttamente nella gestione del sottosistema economico e sempre di più in una politica di riforma. Questa politica di «Welfare» è però possibile solo mediante alti investimenti economici ricavati sulla base di una efficace e severa politica fiscale e, a lungo andare, conosce crisi che si potrebbero definire di «rigetto» per la burocratizzazione ed eccessiva pianificazione dell'organizzazione sociale. Quando però la mancanza di risorse mette in crisi una politica di riforma, l'output della crisi del sistema economico crea crisi di legittimità e razionalità di gestione: queste due crisi combinate determinano a livello del sistema socio-culturale, un abbassamento della qualità della vita e declino della partecipazione sociale.

     In questo scenario emergono diversi orientamenti di soddisfacimento dei bisogni e la formula della cooperazione, nel porsi come «terza dimensione» dell'organizzazione sociale, tende a rispondere da un lato ai bisogni di quanti non sono in grado di realizzare autonome forme di autotutela, dall'altro alla ricerca di modelli di vita e di organizzazione del lavoro alternativi.

     Configurandosi in questo modo, la cooperazione è quindi da intendersi «come un sistema economico e sociale che non poggia su un concetto specifico o una sola teoria ma su un insieme di idee quali, ad esempio, la mutualità, la solidarietà, una giusta distribuzione dei guadagni e delle perdite, il self-help, l'unione di più persone che hanno lo stesso problema, la priorità dell'uomo sul denaro, il concetto che la società non sia strutturata sullo sfruttamento altrui, e perfino la ricerca dell'Utopia» (rapporto di A. Laidlaw Congresso dell'Alleanza Cooperativa Internazionale, Mosca 1980).

     Nell'ambito delle cooperative che intervengono nel terziario sociale a favore di persone che vivono una condizione permanente o temporanea di svantaggio o di emarginazione sociale per cause diverse, si inseriscono le cosiddette «cooperative di solidarietà sociale» (a questo proposito è in discussione presso il Parlamento un progetto di legge per un loro riconoscimento giuridico).

     Si tratta di cooperative che tendono a realizzare in modo organizzato servizi a disposizione della comunità. Operando, infatti, in proiezione sociale sul fronte del servizio alle persone, esse privilegiano il soddisfacimento di interessi generali della comunità rispetto a quelli dei soci. Ai valori intrinseci, del movimento cooperativo, queste di solidarietà sociale aggiungono quello della «mutualità allargata»; è questa la caratteristica più innovativa perché introduce il concetto di prestare un servizio non più necessariamente fra soci, ma anche ad altri. Il che significa organizzare le risorse, economiche ed umane, in maniera stabile per il perseguimento di un fine identificabile nella risposta ad un bisogno specifico ed individuato, non proprio della compagine dei cooperatori, ma diffuso entro l'ambiente sociale.

     E' interessante rilevare che una delle caratteristiche di questo tipo di cooperazione è la partecipazione e l'istituzionalizzazione del volontariato. E', il volontariato, espressione di disinteresse e di gratuità e quindi fenomeno sostanzialmente di atteggiamento individuale e di aggregazione sociale. Il collegamento tra questo fenomeno e la cooperazione (forma giuridica di organizzazione d'impresa) nasce allorché il volontariato si aggrega e si organizza per dare una risposta stabile, continuativa ad un bisogno che intende servire e, pertanto, ha assoluta necessità di trovare una formula giuridico-organizzativa.

     La cooperativa, per il tipo di valori che ha in sé, costituisce il tipo d'organizzazione maggiormente in sintonia con i valori profondi del volontariato. Essa, difatti, valorizza al proprio interno ogni singola persona, ponendo tutti sullo stesso piano, secondo il principio di una testa, un voto; sancisce, anche attraverso alcuni limiti normativi, la predominanza del fattore umano sul fattore capitale; tende alla massima democrazia, all'organizzazione interna. Le condizioni per la buona riuscita di questo connubio sono tuttavia l'intento e la necessità di gestire imprenditorialmente un servizio.

     L'imprenditorialità delle cooperative di solidarietà sociale non è tanto legata al perseguimento di fini economici quanto piuttosto all'organizzazione stabile di risorse umane e di capitali per produrre un servizio di rilevanza sociale, che abbia una sua consistenza economica.

     Entrando più nel dettaglio, vengono qui di seguito sintetizzati alcuni requisiti fondamentali, indispensabili alla cooperativa per qualificarsi impresa:

     - capacità di gestire in modo stabile e continuativo nel tempo, assumendo la logica del progetto quale modalità di lavoro per definire chiaramente obiettivi e strumenti;

     - composizione della base sociale data sia da soci lavoratori (ad esempio l'educatore di una cooperativa che gestisce una comunità alloggio) sia da soli volontari. Questi ultimi però non devono connotarsi come soci onorari bensì devono partecipare attivamente e stabilmente alla gestione della cooperativa. In questa logica è evidente che, in linea generale, non vi dovrebbe essere la presenza di personale dipendente non socio;

     - capacità di organizzare stabilmente le risorse umane ed economiche, padroneggiando i meccanismi della gestione economica ed aziendale indirizzandoli a scopi sociali e permettendo una reale occupazione dei soci a livelli adeguati di reddito;

     - valutazione e selezione delle risorse umane che opereranno in cooperativa sulla base della professionalità.

     Pur partendo dalle personali motivazioni al lavoro sociale, devono essere considerate le capacità tecnico-operative necessarie a svolgere «quel tipo di servizio»;

     - elasticità dal punto di vista organizzativo, economico e del personale per essere pronta a cogliere la dinamicità del bisogno e rispondervi in maniera adeguata (aderenza alle esigenze peculiari dell'utenza);

     - ricerca ed attivazione della massima integrazione con la complessiva rete dei servizi sociali e sanitari.

     Tutto quanto sopra esposto significa che la cooperazione, per poter operare, deve essere capace di professionalità, di efficienza nel servizio, di efficacia nel tessuto sociale, di autonomia, di corretta valutazione e gestione delle proprie risorse, di assunzione di rischi calcolati, di capacità propositiva autonoma.

     L'imprenditorialità della cooperativa si traduce spesso nel momento in cui interagisce con l'Ente pubblico.

     Rispetto alla gestione dei servizi sociali, istituzionalmente le cooperative non svolgono una funzione di supplenza o un mero ruolo esecutivo, ma hanno una titolarità paritetica rispetto alla pubblica amministrazione.

     Questo non significa evidentemente non riconoscere che esistono delle distinzioni di ruoli e che alla pubblica amministrazione competono essenzialmente tre funzioni: di indirizzo e programmazione, di promozione e sostegno, di controllo.

     E' importante che il pubblico, e più specificatamente l'ente locale, cui spetta la gestione e l'organizzazione dei servizi, realizzi in pieno la propria funzione di indirizzo e coordinamento, previa rigorosa rilevazione dei bisogni esistenti, per evitare che il servizio venga scaricato alla cooperativa e sfugga al suo controllo.

     L'articolarsi concreto di questo rapporto tra ente pubblico e cooperativa deve salvaguardare l'indipendenza e l'autonomia dei due soggetti: esso si esplica correttamente mediante la stipula di convenzioni. Il convenzionamento rappresenta quindi, in particolare per quelle cooperative che gestiscono servizi socio-assistenziali, lo strumento corretto mediante il quale le stesse cooperative possono partecipare alla programmazione ed al progetto gestionale, entrando così a pieno diritto nel sistema dei servizi socio-assistenziali.

     Da ultimo va ribadito che precondizioni alla stabilità e continuità nel tempo della cooperativa sono lo spirito e la convinzione cooperativistica in quanto, in mancanza di questi requisiti fondamentali, la stessa rischia di essere espediente transitorio per risolvere problemi di occupazione. Parallelamente, va sottolineato che deve essere di volta in volta valutata l'efficienza/efficacia dello strumento cooperativo per rispondere a determinati bisogni.

     L'evoluzione sia esperienziale sia teorica delle realtà cooperativistiche in Lombardia ha determinato uno scenario variegato e complesso, nel quale anche se lo scopo delle cooperative pare essere unico (integrazione sociale) di fatto le modalità organizzative, la composizione della base sociale, le aree di intervento ecc. sono molteplici e disomogenee tra loro.

     Ciò nonostante è possibile operare una prima classificazione delle diverse forme di intervento cooperativo nell'ambito sociale (inteso in senso lato) con la finalità di identificare macro-gruppi di appartenenza. Questa operazione ordinatrice ha una duplice finalità: da un lato, consente all'Ente pubblico di rapportarsi con queste realtà in termini più chiari e corretti rispetto al ruolo da esse svolto; dall'altro torna utile alle stesse cooperative per trovare una connotazione più precisa e coerente con il loro progetto complessivo.

     In virtù di quanto finora esplicitato, si possono distinguere tre categorie:

     - le cooperative integrate di produzione e lavoro nelle quali viene svolta un'attività lavorativa di tipo artigianale, industriale, agricolo o talvolta, ma più raramente, anche commerciale e su di essa si reggono integralmente la struttura ed i costi della stessa cooperativa.

     Per raggiungere lo scopo sociale che si sono prefissate, occupano lavoratori (soci o non) normodotati e disabili in proporzioni diverse in funzione del tipo di prodotto e della modalità di organizzazione della produzione;

     - le cooperative di inserimento lavorativo che, attraverso la concreta partecipazione ad attività lavorative di persone svantaggiate e in condizione di emarginazione, tendono ad elevare la capacità lavorativa e la professionalità delle persone stesse al fine di un loro successivo inserimento o reinserimento nel mercato del lavoro;

     - le cooperative di servizio formate da soci professionalmente qualificati, che intendono offrire direttamente all'utenza o all'Ente pubblico i propri servizi attraverso la gestione di un'unità d'offerta socio-assistenziale (ad esempio centri socio-educativi per handicappati, comunità alloggio ecc.) o di una prestazione complessa quale l'assistenza domiciliare.

     Rientrano nel regime di convenzionamento previsto all'art. 6 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, secondo le modalità definite al paragrafo 2.5.3 del presente P.S.A., solo quelle cooperative che, per la funzione che svolgono nell'ambito dei servizi socio-assistenziali, si qualificano come cooperative di servizio.

     Per quanto riguarda le altre due tipologie di cooperative (di produzione e lavoro e di inserimento lavorativo) è di competenza dell'Ente pubblico territoriale decidere la stipula di convenzioni o intese, ai sensi dell'articolo 18, 6° comma, della L.R. 11 aprile 1980, n. 39, valutando l'utilità sociale del servizio svolto, definendo altresì le modalità di sostegno che si ritiene di attivare a loro favore (ad esempio: contribuzioni sugli oneri sociali, commesse di lavoro privilegiate, ecc.).

     Il presente P.S.A. si propone nel triennio di promuovere il coordinamento con i Settori regionali competenti in materia di Formazione e Orientamento Professionale, Lavoro, Industria e Artigianato, Agricoltura al fine di definire una politica complessiva di intervento nei riguardi della cooperazione.

 

CAPITOLO III

LE RISORSE FINANZIARIE

 

     3. LE RISORSE FINANZIARIE

     Le risorse finanziarie che costituiscono il presupposto per l'attuazione del presente Piano socio-assistenziale sono date dalla sommatoria di più canali di finanziamento, che in passato spesso implicavano modalità di utilizzo settoriali e che il piano stesso si propone ora di impiegare secondo criteri di coordinamento e di integrazione.

     I fondi di cui trattasi possono essere classificati distinguendo tra:

     - le risorse che confluiscono nel fondo sociale;

     - le quote del fondo sanitario interagenti con il sistema socio- assistenziale;

     - le risorse esterne al bilancio regionale, ossia quelle proprie di Comuni, Province, IPAB, nonché quelle messe a disposizione dallo Stato.

 

     3.1. Il Fondo Sociale

     3.1.1. Le risorse storicamente assegnate al Settore Assistenza.

     Il fondo sociale istituito dalla Legge di riordino è costituito dall'insieme delle risorse erogate dallo Stato con vincolo di destinazione e delle risorse stanziate dalla Regione mediante l'utilizzo di fondi autonomi.

     L'ammontare di tali fondi, con riferimento alle spese correnti, è riportato nella seguente tabella 1, che ne illustra l'andamento negli anni 1979-1987.

 

TABELLA 1

(Omissis)

 

     Dalla tabella emerge con evidenza la diversa evoluzione dei flussi di finanziamento regionali e statali.

     Da un lato, le risorse autonome sono caratterizzate da un progressivo e regolare incremento fino al 1982, con una successiva flessione nel 1984 ed una brusca caduta nel 1986, mentre d'altro lato, l'ammontare delle risorse vincolate annualmente acquisite è caratterizzato da una notevole espansione fino al 1985, cui fa seguito un andamento irregolare.

     Per le risorse autonome assegnate al Settore Assistenza, l'andamento sopra descritto è legato ad una analoga evoluzione dei fondi disponibili a livello regionale per il complesso delle spese correnti operative, ma anche ad un progressivo disimpegno della Regione rispetto alle problematiche assistenziali.

     Infatti, se si confrontano gli stanziamenti di risorse autonome per spese correnti operative in rapporto al complesso delle corrispondenti risorse regionali si verifica che le prime sulle seconde sono passate dal 17,2% del 1979 al 7% circa del 1986.

     Si conferma, quindi, l'accentuarsi della residualità del Settore socio-assistenziale nelle scelte politiche autonomamente operate dalla Regione.

     Per le risorse vincolate, l'irregolare flusso di finanziamento è apparentemente inspiegabile, dato che tali entrate, legate alla dinamica del monte salari nazionale, avrebbero dovuto subire un processo di crescita più lento e regolare, senza impennamenti e cadute.

     La motivazione di tale andamento va in parte ricercata nel progressivo ridursi dei gravi ritardi con cui lo Stato, negli anni passati, ha accreditato alle Regioni i fondi ad esso trasferiti dall'INPS ed in parte ad un probabile, anche se non ufficialmente confermato, iniziale sottodimensionamento dei trasferimenti INPS allo Stato, cui ha fatto seguito fino al 1985 l'assegnazione di somme arretrate.

     Con ogni probabilità, si tratta di un fenomeno ormai concluso, per cui è lecito aspettarsi un plafonamento delle assegnazioni statali future.

     Permangono comunque gravi elementi di incertezza, che rendono oggi in parte aleatoria una precisa previsione delle entrate su cui far conto per l'attuazione del piano socio-assistenziale, incertezza che ha in passato fortemente condizionato l'operatività regionale, nel momento in cui ha indotto all'appostazione di stanziamenti nel bilancio di previsione fortemente sottostimati in rapporto agli effettivi flussi di entrata poi verificatisi.

     Questa eccessiva prudenza del Settore Bilancio non ha consentito al Settore Assistenza la programmazione dei livelli di spesa ripetitiva finanziabili con continuità, posto che l'ammontare dello stanziamento di previsione veniva, di volta in volta, rideterminato solo in occasione dei saltuari accertamenti di entrata. Tra l'altro, una consistente parte delle entrate è stata ogni anno accertata in chiusura di esercizio, così da rendere impossibili i correlativi impegni di spesa nell'esercizio stesso e da comportare la formazione di economie reiscrivibili nell'esercizio successivo.

     Dati questi vincoli, il livello della spesa corrente annualmente sostenuta dal Settore si è sempre collocato, fino al 1985, ad un livello superiore agli stanziamenti iniziali del bilancio di previsione, ma inferiore all'ammontare delle entrate verificate a consuntivo.

     Tale situazione, negativa per quanto concerne la possibilità di un pieno utilizzo dei finanziamenti introitati, ha tuttavia avuto alcuni risvolti positivi.

     Da un lato, infatti, la limitazione della spesa corrente vincolata ha evitato il consolidarsi di elevati livelli assistenziali a favore di categorie privilegiate come gli orfani E.N.A.O.L.I., livelli che non si sarebbero potuti mantenere con l'entrata in vigore della legge di riordino, che ha superato i vincoli di destinazione per oggetto e ha previsto la possibilità di intervenire garantendo gli stessi interventi assistenziali a favore di soggetti che in passato erano trattati in modo difforme. Dall'altro lato, l'economizzazione di risorse correnti ha consentito un significativo autofinanziamento a carico del Settore Assistenza delle spese destinate agli investimenti, con lo strumento del primo progetto di riconversione delle strutture socio-assistenziali attivato dalla L.R. 3 febbraio 1983, n. 11, ove 32 miliardi (pari ai 2/3 del finanziamento complessivo) sono stati assicurati da dette risorse.

     Analogamente L. 22.510 milioni degli stanziamenti sul bilancio 1987, riportati nella seguente tabella 2 che sintetizza gli stanziamenti in capitale progressi, derivano da un accantonamento di risorse correnti.

     In sostanza, quindi, prescindendo dagli stanziamenti annualmente appostati per il finanziamento di interventi in annualità avviati nel passato, il Settore Assistenza, negli anni 1984-1987, non ha beneficiato di risorse in capitale stanziate sul bilancio autonomo regionale.

 

TABELLA 2

(Omissis)

 

     3.1.2. Il fondo sociale per gli anni 1988-1990.

     L'andamento dei flussi di finanziamento statali negli anni pregressi, analizzato nel precedente paragrafo, non consente di stimare, per il 1988, un livello di entrate superiore agli 85 miliardi previsti sulla competenza 1987.

     Per gli anni successivi è invece ragionevole aspettarsi modesti incrementi in relazione, soprattutto, alla recente applicazione di criteri di riparto del Fondo Nazionale per gli asili nido più favorevoli alla Regione Lombardia.

     Per i fondi vincolati, quindi, viene stimata la seguente progressione:

 

 

       Anno                               Stanziamento

 

       1988                              L. 85 miliardi

       1989                              L. 88 miliardi

       1990                              L. 93 miliardi

 

 

     Per quanto concerne i finanziamenti autonomi correnti lo stanziamento previsto per il 1988 ammonta a 30 miliardi. Per gli anni successivi, pur non potendo far conto su previsioni pluriennali certe, è necessario prevedere limitati incrementi, tali da costituire un livello di equilibrio tra le generali compatibilità di bilancio e la necessità di invertire la tendenza negativa che ha caratterizzato il bilancio degli anni scorsi riferito al Settore Assistenza.

     Nella seguente tabella 3, vengono quindi riportati gli stanziamenti autonomi da prevedere ed il totale delle entrate correnti che derivano dalla somma con i fondi vincolati.

 

 

                                                                  TABELLA 3

 

              STANZIAMENTI AUTONOMI PREVEDIBILI (in miliardi)

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   Anno            Fondi            Fondi             Totale

                 vincolati         autonomi

---------------------------------------------------------------

   1988             85                30                115

   1989             88                35                123

   1990             93                40                133

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     A tali risorse vanno sommate:

     - le disponibilità derivanti dalla reiscrizione sul bilancio 1988 delle economie su fondi vincolati prevedibili in chiusura dell'esercizio 1987, il cui ammontare è pari a circa L. 75,8 miliardi, come rilevabile dalla precedente tabella 1;

     - le risorse già stanziate sul bilancio 1987 per interventi in capitale non utilizzate nello stesso esercizio e che pertanto devono essere impegnate entro la fine del 1988; l'entità di tali fondi assomma a L. 18,5 miliardi;

     - le nuove risorse autonome per investimenti, per un ammontare complessivo di L. 30 miliardi nel triennio 1988-1990.

 

     3.2. Il fondo sanitario: le quote interagenti con il sistema socio- assistenziale.

     A lato delle risorse confluenti nel fondo socio-assistenziale vanno conteggiati i finanziamenti a carico del fondo sanitario destinati e da destinare al pagamento delle prestazioni sanitarie rese in servizi di natura socio-assistenziale, nonché i finanziamenti che, a norma dell'art. 30 della Legge 27 dicembre 1983, n. 730 e del D.P.C.M. di indirizzo e coordinamento emanato in data 8 agosto 1985, vanno impiegati per le attività socio-assistenziali a rilievo sanitario.

     Tali risorse, fino al 1985, sono state prevalentemente indirizzate al sostegno delle spese per le prestazioni sanitarie erogate nelle strutture residenziali per anziani in relazione al numero degli ospiti e sulla base di quote forfettarie calcolate in funzione della gamma di prestazioni effettuate, con un onere complessivo di circa 40 miliardi per l'esercizio 1985.

     A partire dal 1986 il finanziamento a carico del fondo sanitario è stato incrementato di 50 miliardi annui, in concomitanza con l'approvazione delle delibere regionali di recepimento e attuazione dell'atto di indirizzo governativo, con le quali sono state definite le prestazioni a rilievo sanitario e le tipologie di unità di offerta in cui queste vengono erogate, e cioè:

     - strutture protette

     - case di riposo

     - centri residenziali per handicappati

     - centri socio-educativi

     - servizi di assistenza domiciliare.

     Tale regime è proseguito anche per il 1987 e comporta un onere stimabile in circa 80 miliardi per le strutture residenziali per anziani, ai quali vanno sommati gli oneri per il servizio di assistenza domiciliare e per i servizi dell'area handicap, la cui quantificazione è ancora in corso.

     A decorrere dal 1988, il fondo sanitario destina ulteriori 100 miliardi annui per assumere a proprio carico una maggior parte delle spese sanitarie ed a rilievo sanitario attualmente sostenute nei servizi sopra elencati e per adeguare gli stessi agli standard strutturali e gestionali fissati dal piano.

     Il monte risorse di nuova acquisizione viene destinato, in via orientativa, per il 50% al maggior sostegno delle attività gestionali e per il residuo 50% all'adeguamento e al potenziamento delle strutture.

     Nel triennio, quindi, si viene a costituire una disponibilità complessiva di 150 miliardi da destinare all'attuazione del progetto riconversione, ad integrazione delle risorse a questo scopo destinate dal fondo socio-assistenziale, e da utilizzare con le modalità indicate al cap. 4.1. del piano.

     Per quanto attiene, invece, alle risorse del fondo sanitario che si rendono complessivamente disponibili per il sostegno delle spese di gestione, è necessario superare l'attuale sistema dei rimborsi forfettari, attraverso la individuazione di nuovi criteri che, da un lato, devono essere indirizzati al pagamento degli oneri riguardanti le sole strutture rientranti nel sistema del convenzionamento, e, dall'altro, devono essere orientati ad incentivare il processo di adeguamento agli standard gestionali.

     L'attuazione del sistema dei rimborsi in un assetto a regime è, pertanto legata alla individuazione delle strutture idonee al convenzionamento ed alla classificazione, da parte degli Enti Responsabili, delle strutture da convenzionare in funzione delle loro caratteristiche e del livello di risposta ai bisogni zonali.

     Con riferimento alle modalità di calcolo dei rimborsi si deve pervenire ad un sistema che comporti:

     - per tutte le strutture, il rimborso delle prestazioni medico- generiche e farmaceutiche, nel limite dei costi standard prefissati;

     - per le sole strutture che garantiscono gli standard gestionali di convenzionamento, il rimborso integrale degli oneri riferiti al personale infermieristico e riabilitativo ed il rimborso percentuale degli oneri riguardanti gli operatori che, in quanto addetti all'assistenza diretta agli ospiti svolgono funzioni a rilievo sanitario, nel limite massimo di spesa derivante dalla applicazione degli standard programmatori.

     Le specifiche modalità per il calcolo dei rimborsi verranno determinate con successivo provvedimento regionale, da emanarsi entro il 1988, con il quale, tra l'altro, verrà disciplinato il precesso di transizione dell'attuale regime al nuovo sistema sopra descritto.

 

     3.3. Le risorse esterne al bilancio regionale.

 

     3.3.1. Le risorse dei comuni e delle province.

     Tra le risorse esterne al bilancio regionale assumono rilevanza dominante quelle stanziate dai comuni lombardi, i quali nel 1985, hanno impegnato 497,7 miliardi per spese socio-assistenziali correnti, corrispondenti all'8,5% delle spese correnti totali, il cui ammontare risultava di 5.855 miliardi.

     La spesa socio-assistenziale dei Comuni è stata alimentata da fondi autonomi propri, assegnazioni regionali e contributi a carico dell'utenza nelle misure indicate nella seguente tabella 4.

 

 

                                                                  TABELLA 4

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Canali di finanziamento delle spese correnti dei Comuni lombardi nel 1985

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Fondi autonomi comunali       L. 311,3 miliardi      =  62,5%

Contributi regionali a

carico di fondi

assistenziali                 L.  93,0 miliardi      =  18,7%

Rette o tariffe               L.  93,4 miliardi      =  18,8%

---------------------------------------------------------------

Totale                        L. 497,7 miliardi      = 100%

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     Va osservato che, a lato delle assegnazioni regionali a carico di fondi socio-assistenziali, la Regione ha erogato ed eroga consistenti somme per il pagamento delle spese sanitarie e a rilievo sanitario sostenute per la gestione di strutture protette per anziani.

     Di tali assegnazioni i comuni sono beneficiari diretti, se gestori delle strutture, o indiretti (nella maggior parte dei casi), nel momento in cui si avvalgono di presidi (gestiti da IPAB o da Enti privati) in cui vengono ospitati utenti con onere, totale o parziale, a carico dei comuni stessi.

     Nel 1985 l'onere sostenuto dai Comuni lombardi, al netto delle rette introitate, per il ricovero di anziani in istituti ad internato è risultato di 110,3 miliardi.

     In corrispondenza all'incremento delle quote a carico del fondo sanitario previsto per il triennio 1988-1990, i Comuni verranno sgravati di una ulteriore quota di spesa, che può, di conseguenza, essere impiegata per il mantenimento e lo sviluppo di altri servizi socio-assistenziali, nelle direzioni indicate dal Piano Socio-Assistenziale. Ciò evidentemente presuppone la volontà, da parte dei Comuni, di impiegare le economie rese possibili dalle manovre prima indicate nell'ambito di attività socio- assistenziali.

     Ulteriori risorse possono essere liberate sviluppando i già avviati processi di razionalizzazione e riconversione delle spese comunali, anche con il sostegno derivante da una ripartizione mirata delle risorse regionali governate dagli Enti Responsabili.

     Il contenimento della spesa può essere realizzato anche attraverso l'adozione di politiche tariffarie più incisive, ma contemporaneamente più eque, sperimentando i criteri e le indicazioni fornite in altra parte del piano.

     Infine, vanno prese in considerazione le risorse destinate all'assistenza dalle amministrazioni provinciali, con riferimento sia ai fondi propri sia a quelli loro trasferiti dalla Regione per l'esercizio di funzioni nell'area della assistenza alla maternità e all'infanzia e per il supporto tecnico alla formazione.

     L'utilizzo di queste risorse deve essere normato nell'ambito delle convenzioni di cui all'art. 16 della legge di riordino, al fine di delimitare con chiarezza gli ambiti di competenza e di finanziamento e per evitare sovrapposizioni tra gli interventi realizzati da comuni o USSL e quelli realizzati dalle amministrazioni provinciali stesse.

 

     3.3.2. Le risorse delle I.P.A.B.

     Tra le risorse destinate al sistema dei servizi socio-assistenziali assume particolare rilievo il patrimonio delle IPAB che, a seguito di alienazioni e reinvestimenti può essere destinato alla costruzione, riconversione o ristrutturazione di immobili adibiti ad attività istituzionali, oppure al miglioramento della redditività.

     Si tratta di una disponibilità consistente, la cui esatta entità deve essere rilevata attraverso l'analisi degli inventari che le IPAB sono tenute ad aggiornare e trasmettere alla Regione, e attraverso specifiche e dirette rilevazioni nel caso in cui le informazioni desumibili dagli inventari stessi siano carenti.

     Già nell'immediato, tuttavia, sono disponibili e sono stati portati a conoscenza degli Enti Responsabili i dati relativi alle operazioni compiute sul patrimonio da parte delle IPAB assoggettate alle norme di salvaguardia di cui alla L.R. 28 dicembre 1981, n. 72, in quanto la realizzazione di tali operazioni è subordinata alla preventiva autorizzazione regionale.

     Per le altre IPAB, l'accertamento delle disponibilità patrimoniali riconvertibili dovrà essere realizzato nel momento in cui le IPAB stesse saranno inserite nel sistema del convenzionamento.

     In ogni caso, le risorse derivanti da alienazioni patrimoniali deliberate dalle IPAB devono essere prioritariamente indirizzate al perseguimento degli obiettivi fissati dai piani zonali in coerenza alle indicazioni ed ai vincoli stabiliti dal presente P.S.A. Da parte loro, gli Enti Responsabili devono elaborare proposte di finanziamento per investimenti a carico della Regione tenendo adeguatamente conto delle possibilità di autofinanziamento degli enti interessati.

     Al fine di massimizzare tali possibilità devono essere incentivate tutte le operazioni che consentono di avvicinare gli obiettivi di piano attraverso l'uso più razionale delle risorse patrimoniali.

     Ci si riferisce alla possibilità di fusione di IPAB e/o alla riconversione delle loro finalità statutarie, nei casi in cui enti dotati di patrimonio siano inattivi od operino in modo ridotto rispetto alle possibilità offerte dal patrimonio stesso.

     Per quanto riguarda i patrimoni non destinati o destinabili ad attività istituzionali, va verificata la possibilità di procedere a riconversioni finalizzate ad incrementare la redditività, in modo che, in sede di stipula delle convenzioni, le rette a carico degli ospiti possano essere corrispondentemente ridotte.

     Un'ulteriore possibilità per la valorizzazione del patrimonio delle IPAB, può consistere nella realizzazione di interventi che siano validi non solo sotto il profilo dell'utilità sociale, ma anche sotto il profilo dell'investimento finanziario. Ad esempio, si può pensare alla realizzazione di mini alloggi, dei quali potrebbe essere venduto a parsone anziane il diritto di uso vitalizio.

     In sostanza si tratterebbe di una sorta di assicurazione sulla vecchiaia, finalizzata alla garanzia di disponibilità dell'alloggio, da acquistare mediante l'impiego del denaro derivante dall'indennità di liquidazione percepita all'atto del pensionamento.

     Questa proposta, attualmente appena abbozzata, va approfondita sotto il profilo giuridico ed economico e va verificata sotto l'aspetto dell'interesse per gli acquirenti.

     Deve infatti essere accertato se una soluzione di questo genere consenta la vendita del diritto d'uso a prezzi competitivi rispetto a quelli di vendita della proprietà, in una logica che, da un lato, escluda il lucro e, dall'altro, renda possibile un completo autofinanziamento dell'iniziativa.

     Nel caso in cui operazioni di tale natura dovessero presentare buona validità economica, si potrebbe al limite ipotizzare anche un interessamento dell'imprenditoria privata.

 

     3.3.3. Le risorse dello Stato

     L'art. 32 della legge finanziaria per l'anno 1986 prevede che, per gli edifici pubblici già esistenti e non adeguati al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di barriere architettoniche, le amministrazioni competenti adottino piani di eliminazione delle barriere stesse.

     Tali piani devono essere realizzati tenendo conto degli obiettivi indicati dall'emananda legge sulla materia e ad essi devono essere connessi i programmi zonali di investimento laddove siano previste ristrutturazioni per l'adeguamento a standard delle strutture socio-assistenziali.

     In particolare, a livello zonale, si dovrà tener conto delle risorse, che a norma della stessa legge finanziaria, il Ministero dei Lavori Pubblici e la Cassa Depositi e Prestiti mettono a disposizione degli enti locali.

     Per quanto precedenti esperienze abbiano messo in luce difficoltà di coordinamento tra la concessione di finanziamenti da parte della Regione e di mutui da parte della Cassa Depositi e Prestiti, la recente previsione legislativa costituisce un'opportunità da verificare.

 

     3.4. Le modalità di utilizzo del fondo sociale.

     Nell'ambito dei fondi disponibili per il finanziamento del piano, va ricercato il migliore equilibrio possibile tra risorse destinate agli investimenti e risorse destinate alla spesa corrente.

     Queste ultime devono essere tali da garantire un sufficiente sostegno:

     - ai servizi esistenti;

     - al processo di adeguamento agli standard gestionali fissati dal piano;

     - alla gestione di nuovi servizi finanziati con precedenti piani di investimento, nonché di quelli che verranno realizzati in attuazione del piano;

     - all'aggiornamento del personale operante nei servizi socio- assistenziali;

     - alle spese che lo Stato ha addossato al comparto socio-assistenziale della Regione con il D.P.C.M. 8 agosto 1985.

     Questo sostegno minimo non può essere assicurato con l'esclusivo utilizzo delle risorse correnti che verranno prevedibilmente acquisite nel triennio 1988-1990.

     Si rende pertanto necessario utilizzare una parte delle risorse correnti economizzate a tutto il 1987, il cui ammontare, come si è visto, risulta pari a L. 75,8 miliardi.

     Di tale somma, quindi, vengono utilizzate L. 36 miliardi per il finanziamento degli investimenti, mentre la residua disponibilità di L. 39,8 miliardi è destinata ad integrare i fondi per spese correnti, attraverso una opportuna distribuzione nell'intero arco del triennio.

 

     3.4.1. Il fondo per investimenti

     La somma che il piano destina agli investimenti per il triennio 1988- 1990 è costituita da:

     - L. 18,5 miliardi già stanziati nell'esercizio 1987 e da impegnare entro il 1988

     - L. 36 miliardi derivanti da pregresse economie sulle spese correnti

     - L. 30 miliardi di risorse autonome regionali da stanziare nel triennio

     - L. 150 miliardi messi a disposizione dal fondo sanitario.

     Il complesso delle risorse impegnabili nel triennio risulta quindi di L. 234,5 miliardi.

     Tale disponibilità viene destinata nella misura di:

     - L. 3,5 miliardi per la realizzazione di interventi urgenti sulle strutture socio-assistenziali, finalizzate alla riparazione dei danni derivanti da calamità naturali ed all'adeguamento alla normativa anti- incendio, da utilizzare secondo le modalità e i criteri previsti per il P.O.

     Riconversione:

     - L. 6 miliardi per l'inserimento lavorativo di handicappati e per manutenzione straordinaria su immobili di proprietà regionale;

     - L. 225 miliardi per la attuazione del progetto obiettivo riconversione delle strutture socio-assistenziali, da indirizzare al perseguimento degli specifici obiettivi secondo la quantificazione, i criteri ed i vincoli definiti nel progetto stesso.

     Tale massa di finanziamenti regionali è in grado di mobilitare una consistente quota di investimenti indotti, per cui l'entità complessiva delle opere finanziabili nel triennio è stimabile in circa 400 miliardi.

 

     3.4.2. I fondi per spese correnti.

     In relazione alle previsioni di nuove entrate e di utilizzo delle economie pregresse delineate nei precedenti paragrafi, è possibile sintetizzare, nella seguente tabella 5, le risultanze finanziarie che si prevedono per gli anni 1988-1990, con riferimento alle risorse vincolate.

 

 

                                                                  TABELLA 5

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La progressione e l'utilizzo dei fondi vincolati

(L. in milioni)

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Anno                           1988        1989          1990

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Reiscrizioni ex art. 50       75.778      23.327         9.227

L.R. 31 marzo 1978, n. 34

Stanziamento di competenza    85.000      88.000        93.000

Totale stanziamenti          160.778     111.327       102.227

Impegni in capitale           32.000       2.000         2.000

Impegni correnti             105.451     100.100       100.227

Economie                      23.327       9.227         ---

---------------------------------------------------------------

 

     La stessa tabella evidenzia il monte risorse proveniente da fondi

vincolati impegnabile per spese correnti.

     Se a tali fondi vengono sommate le risorse correnti autonome previste,

si ottengono le risultanze della successiva tabella 6, che evidenzia il

complesso delle risorse correnti annualmente impegnabili.

 

                                                                  TABELLA 6

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Le risorse correnti annualmente impegnabili

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Anno                           1988         1989         1990

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Impegni su fondi vincolati   105.451      100.100      100.227

Impegni su fondi autonomi     30.000       35.000       40.000

Totale impegni               135.451      135.100      140.227

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     L'impiego prevedibile del monte risorse sopra individuato è descritto

dalla seguente tabella 7, che sostanzialmente è sviluppata in base alla

articolazione in capitoli del bilancio del Settore Assistenza e consente un

confronto con gli impegni nel corso del 1987.

 

                                                                  TABELLA 7

 

             IMPEGNI PER SPESE CORRENTI PREVISTI (in milioni)

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Anno                          1987     1988     1989     1990

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- Mantenimento e sviluppo

  servizi                   112.925  123.896  123.600  127.727

- Spese straordinarie e

  volontariato                2.000    2.000    2.100    2.200

- Sperimentazione               645    1.755    1.800    2.300

- Vigilanza e

  riconoscimento idoneità

  al funzionamento dei

  servizi                     2.200    2.200    2.200    2.500

- Funzioni ex ONMI

  trasferite alle Province    5.000    3.500    3.500    3.500

- Aggiornamento personale

  socio-assistenziale          --      1.000    1.000    1.000

- Altro                       1.054    1.100      900    1.000

---------------------------------------------------------------

Totale                      123.824  135.451  135.100  140.227

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     3.4.3. Classificazione e quantificazione dei fondi di parte corrente per il mantenimento e lo sviluppo dei servizi.

     La legge di riordino, con riferimento alle risorse di parte corrente destinate al sostegno dei servizi, introduce una distinzione tra quote di risorse destinate al mantenimento e quote destinate allo sviluppo.

     Tale distinzione ha rilevanza da un punto di vista procedurale, posto che le risorse destinate al mantenimento vengono erogate agli Enti Responsabili entro il 31 gennaio di ogni anno con criteri di ripartizione fondati su parametri socio-demografici o proporzionali alle assegnazioni storiche, semplificando e accelerando quindi il meccanismo di distribuzione.

     Diversamente, la quota destinata allo sviluppo presuppone una specifica verifica da parte della Regione circa la coerenza delle ipotesi di distribuzione dei nuovi servizi con gli obiettivi stabiliti dal piano socio-assistenziale. Pertanto il piano di riparto viene effettuato entro il 30 giugno, sulla base delle proposte avanzate dagli Enti Responsabili con le relazioni annuali di zona, che devono essere rassegnate alla Regione entro il 31 marzo.

     Ciò premesso e tenuto conto di una classificazione già introdotta con il 1986, in sede di prima attuazione della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, va operata una ulteriore distinzione tra interventi:

     a) per i quali si considera corretto il finanziamento sulla base di parametri socio-demografici, in quanto trattasi di attività non legate all'esistenza di specifiche strutture e in generale pressoché uniformemente diffuse sul territorio regionale (servizi parametrati su base demografica);

     b) per i quali è da prevedere l'esclusivo finanziamento di mantenimento, da determinare in base alle assegnazioni storiche (servizi parametrati su base storica);

     c) per i quali, oltre ai finanziamenti per il mantenimento possono essere assegnate ulteriori risorse destinate allo sviluppo e alla perequazione; trattasi di servizi complessi dal punto di vista organizzativo, non uniformemente distribuiti sul territorio e tali, quindi, da richiedere manovre finanziarie selettive (servizi programmati).

     La collocazione di ciascun intervento o servizio socio-assistenziale nei vari gruppi previsto dal presente piano è riportata nella successiva elencazione, con l'avvertenza che gli interventi conseguenti a provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria Minorile verranno inclusi, a partire dal 1988, nell'ambito dei servizi programmati e che i futuri piani socio-assistenziali potranno introdurre ulteriori spostamenti in relazione ai livelli di perequazione e consolidamento raggiunti per ciascuna tipologia di offerta.

     GRUPPO A - Finanziamento agli Enti Responsabili entro il 31 gennaio sulla base di parametri socio-demografici.

     - Contributi economici destinati all'assistenza generica, ivi compresi:

     - il sostegno economico a favore di famiglie di handicappati;

     - i contributi in conto canoni di locazione e per utenze domestiche;

     - gli interventi economici a favore di nuclei orfanili e non, compresi l'assistenza economica e i servizi integrativi ex ENAOLI;

     - l'assistenza penitenziaria e post penitenziaria;

     - gli assegni di in collocamento ex ANMIL;

     - oneri per il soggiorno di vacanza di minori anche handicappati;

     - oneri per il trasporto di handicappati.

     Con gli stessi criteri vengono ripartite le somme attribuibili agli Enti Responsabili senza specifico vincolo di destinazione e che, pertanto, possono essere utilizzate sulla base di autonome scelte di programmazione operate a livello locale.

     GRUPPO B - Finanziamento agli Enti responsabili entro il 31 gennaio sulla base delle assegnazioni storiche.

     - Case di riposo ex ONPI e ONIG;

     - Personale trasferito da ENAOLI e ANMIL operante nei comuni.

     GRUPPO C - Finanziamento agli Enti Responsabili entro il 31 gennaio destinato al mantenimento e finanziamento entro il 30 giugno per lo sviluppo e la perequazione.

     - asili-nido;

     - comunità alloggio;

     - centri di aggregazione giovanile;

     - centri di pronto intervento;

     - centri ricreativi diurni;

     - centri socio-educativi;

     - centri residenziali per handicappati;

     - assistenza domiciliare;

     - interventi conseguenti a provvedimenti dell'Autorità Giudiziaria Minorile;

     - interventi socio-assistenziali nei consultori;

     - interventi socio-assistenziali per la lotta contro la tossicodipendenza;

     - tipologie di servizio di nuova istituzione.

     L'ammontare degli impegni previsti per ciascun gruppo di interventi è riportato nella seguente tabella 8.

 

 

                                                                  TABELLA 8

 

              GLI IMPIEGHI PER IL MANTENIMENTO E LO SVILUPPO

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Anno                       1987        1988     1989      1990

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Mantenimento dei      [a] 36.000      26.000   26.000    26.000

servizi

Assegnazioni su base

demografica

«Circolare 4»             56.078  [a] 67.200   71.800    75.700

Personale Enti

Nazionali disciolti       15.230      15.260   15.260    15.260

Hanseniani                    40          40       40        40

Spese sanitarie

asili-nido                  --         2.200    2.500     2.500

- (competenza)

- (arretrati)               --         4.400      --        --

Consultori (competenza)     --         1.100    1.500     1.500

    "      (arretrati)     1.057       1.100      --        --

Spese sociali

tossicodipendenza          1.700       1.500    2.000     2.000

Altro (arretrati)             16         --       --        --

Totale spese di

mantenimento             110.121     118.800  119.100   123.000

---------------------------------------------------------------

Sviluppo e perequazione    2.804       5.096    4.500     4.727

TOTALE GENERALE          112.925     123.896  123.600   127.727

---------------------------------------------------------------

[a] Dal 1988 vengono inseriti nella «Circolare 4» L. 10.000 milioni di

fondi riguardanti gli interventi conseguenti a provvedimenti della

Magistratura Minorile, che, nel 1987, sono stati ripartiti su base

demografica.

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     3.4.4 Modalità di attribuzione dei fondi per il mantenimento e lo sviluppo.

     GRUPPO A - Funzioni finanziate mediante l'attribuzione di fondi ripartiti tra gli Enti Responsabili su base demografica.

     Le risorse destinate a tali funzioni vengono ripartite tra gli Enti Responsabili sulla base di criteri che tengano conto in modo privilegiato delle aree:

     - con maggiore concentrazione di anziani e/o minori, in quanto trattasi delle fasce di popolazione nei confronti delle quali viene rivolta la quasi totalità degli interventi assistenziali;

     - con maggior presenza di comuni di piccole dimensioni, in relazione alle diseconomie di scala che in tali casi si determinano.

     Costituita in tal modo la dotazione finanziaria di ciascuna zona, l'Ente Responsabile attribuisce parte delle risorse ai Comuni sulla base delle quantificazioni operate dalla Regione in ottemperanza alla legislazione sulla finanza locale, che prevede la determinazione dei finanziamenti spettanti a ciascun Comune per l'esercizio delle funzioni già regionali trasferite agli stessi.

     La restante quota può essere utilizzata liberamente dagli Enti Responsabili per integrare le assegnazioni di cui sopra e/o quelle riguardanti i servizi «programmati», cioè quelli rientranti nel gruppo C.

     La stessa quota può essere utilizzata, nel limite del 50%, a sostegno degli oneri riguardanti il personale del servizio di Assistenza Sociale dell'U.S.S.L. che svolge funzioni di programmazione e coordinamento zonale.

     GRUPPO B - Funzioni finanziate mediante l'attribuzione di fondi ripartiti in base alle assegnazioni finanziarie storiche.

     Rientrano in questo gruppo i finanziamenti storicamente assegnati dalla Regione in base a norme nazionali per servizi rarefatti sul territorio.

     Per la gran parte il finanziamento riguarda le case di riposo ex ONPI, distribuite in 6 Comuni della regione, per le quali è da prevedere per i triennio 1988-1990, un finanziamento non superiore al costo del personale accertato per il 1985.

     Ciò al fine di iniziare la graduale riduzione di una situazione di privilegio determinata dal quasi totale accollo da parte della Regione degli oneri gestionali delle case ex ONPI, nel momento in cui tutte le altre strutture residenziali destinate ad anziani non ricevono sostegni a carico di fondi assistenziali.

     Per quanto riguarda il pagamento degli oneri del personale ex ENAOLI ed ex ANMIL trasferito ai comuni, il finanziamento regionale è da prevedere fino alla cessazione del rapporto di impiego con le persone interessate, posto che di norma le funzioni dalle stesse ormai svolte nei comuni sono diverse da quelle trasferite dagli enti disciolti.

     GRUPPO C - Funzioni per le quali sono destinati sia i fondi di mantenimento che di sviluppo.

     Questo gruppo comprende le funzioni assitenziali più complesse, per le quali vanno destinati agli Enti Responsabili:

     - entro il 31 gennaio, i fondi per il mantenimento, che nei fatti costituiscono una anticipazione sulle complessive spettanze;

     - entro il 30 giugno, i fondi per la perequazione e lo sviluppo. Il corretto utilizzo di tali fondi presuppone il perseguimento degli obiettivi generali e specifici del presente piano triennale, miranti a correggere le disomogeneità che caratterizzano la situazione odierna e che si possono così sintetizzare:

     1) una disomogeneità dei finanziamenti regionali in rapporto al costo dei servizi esistenti nelle varie zone;

     2) una disomogeneità della qualità dei servizi, in rapporto agli standard gestionali;

     3) una disomogeneità in ordine alla dotazione dei servizi delle diverse aree.

     La correzione degli squilibri interzonali di finanziamento può essere ottenuta attraverso la individuazione di costi standard e la loro applicazione ai servizi esistenti in ciascuna zona. La sommatoria dei costi standardizzati dei servizi della zona calcolata per tutte le zone, costituisce elemento in base al quale, a regime, dovranno essere proporzionalmente ripartiti i fondi per il mantenimento dei servizi.

     E' evidente che, in mancanza di un significativo incremento di risorse da destinare al mantenimento dei servizi, il processo di correzione richiederà una fase transitoria, al fine di evitare repentine decurtazioni delle risorse regionali assegnate in precedenza.

     I fondi acquisiti da ciascun ente responsabile vengono ripartiti tra gli enti gestori sulla base di scelte da adottarsi a livello locale in relazione agli elementi acquisiti attraverso il sistema di controllo di gestione operante ed alle modalità definite dalla Giunta Regionale.

     Per quanto riguarda lo sviluppo dei servizi, l'ente responsabile, con la presentazione della relazione annuale di zona propone alla Regione i servizi da finanziare compatibilmente con gli obiettivi di equilibrata crescita indicati dal piano.

     La concessione di finanziamenti per il sostegno di tali nuovi servizi è di competenza regionale e comporta l'assegnazione di contributi assegnabili a preventivo, ma la cui conferma è condizionata all'effettiva realizzazione delle iniziative.

     Decorsi 2 anni dalla concessione senza esito, il contributo stesso viene recuperato sulle assegnazioni ordinarie disposte a favore degli enti responsabili.

     La Giunta Regionale provvede altresì al finanziamento dei seguenti interventi non riconducibili alle procedure sopra indicate:

     - funzioni regionali delegate (vigilanza, autorizzazione al funzionamento)

     - interventi relativi all'inserimento sociale e lavorativo

     - funzioni trasferite alla Regione ex D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616

     - contributi agli hanseniani

     - funzioni ex ONMI trasferite alle amministrazioni

provinciali e attività di supporto tecnico alla formazione.

 

CAPITOLO IV

GLI INTERVENTI DEL PIANO

 

     4. L'INTEGRAZIONE SOCIO-SANITARIA

     In sintonia con quanto contenuto nel Programma Regionale di sviluppo 1986/88, l'integrazione tra i servizi sanitari e socio-assistenziali è ormai una realtà da declinare nei relativi atti di pianificazione regionale. Il P.R.S. prevede infatti uno stretto coordinamento tra la pianificazione sanitaria e socio-assistenziale «al fine di promuovere una azione unitaria dell'intervento socio-sanitario, che consenta anche di razionalizzare la spesa», in sintonia con le decisioni regionali già assunte in merito attraverso la deliberazione consiliare di recepimento del D.P.C.M. 8 agosto 1985.

     La finalità generale posta per il triennio è data dalla necessità di ristrutturare e qualificare la rete dei servizi socio-sanitari, procedendo all'attuazione concreta dell'integrazione nelle aree di bisogno più fortemente connotate da tali esigenze.

     Preme qui sottolineare che l'integrazione non è un fine ma uno strumento per mezzo del quale è possibile ottenere risposte più efficaci ai bisogni che ogni persona esprime in modo unitario; quanto più si va affermando il concetto che l'insieme dei bisogni deve essere riferito alla unicità della persona, tanto più la valutazione dell'efficacia del sistema d'offerta dei servizi non può che scaturire da un insieme integrato, in grado di evitare e superare le sovrapposizioni, le diseconomie, gli sprechi inevitabilmente collegati alla gestione settoriale degli interventi.

     Il significato fondamentale dell'integrazione è dato quindi dalla necessità, per entrambi i comparti, di porsi il comune obiettivo di un miglioramento dei servizi resi ai cittadini in termini di efficacia e di efficienza.

     La sua concreta realizzazione passa pertanto:

     - a livello istituzionale, attraverso una gestione unica dei servizi sanitari e sociali;

     - a livello programmatorio, attraverso la programmazione unificata in un unico ambito territoriale;

     - a livello organizzativo, attraverso l'individuazione di un unico modello di organizzazione degli interventi;

     - a livello finanziario, mediante la corretta imputazione ai fondi dei due comparti sanitario e socio-assistenziale rispettivamente per le attività e prestazioni sanitarie a rilievo sanitario e socio-assistenziale.

     Ciò si è tradotto, per il presente P.S.A., nella necessità di affrontare il tema dell'integrazione sia nei suoi aspetti più generali che in quelli specifici.

     In relazione agli spetti generali dell'integrazione il P.S.A.:

     A) per quanto attiene alle finalità generali e agli obiettivi prioritari comuni, declina l'integrazione attraverso l'individuazione degli indici di fabbisogno e degli indici di piano a valere per i presidi e i servizi che rendono prestazioni integrate sociali e sanitarie nelle aree degli anziani, degli handicappati, dei minori e delle famiglie ecc.; fissa standard gestionali e strutturali a valere per la necessaria riclassificazione della rete delle unità d'offerta, in modo da rendere possibile il loro inserimento nel generale sistema di convenzionamento; definisce una politica organica di formazione e aggiornamento del personale sociale, con particolare riguardo al personale le cui prestazioni fondamentali assumono la valenza di «attività a rilievo sanitario»;

     B) per quanto attiene alla definizione di un comune modello organizzativo, definisce l'organizzazione del servizio di assistenza sociale dell'USSL ne individua le unità operative, definisce la partecipazione di dette Unità Operative ai costituendi dipartimenti, in particolare nell'area dell'handicap; definisce le prestazioni da rendere in modo integrato a livello distrettuale e individua l'Unità Operativa socio- assistenziale degli interventi sociali di base quale componente fondamentale della équipe socio-sanitaria di distretto;

     C) per quanto attiene alla individuazione di strumenti di coordinamento, il presente P.S.A., oltre che fare propri gli strumenti di coordinamento politico e tecnico previsti dal P.R.S. 1986/88 e in precedenza richiamati, riafferma il Comitato di coordinamento dei Sindaci quale strumento indispensabile per il coordinamento politico delle scelte a livello zonale: tale strumento, attualmente a valenza solo per la politica socio-assistenziale, può diventare punto di riferimento per il più ampio dibattito sulle politiche sanitarie; individua nel corretto svolgimento del ruolo del dirigente coordinatore socio-assistenziale il punto nodale del coordinamento tecnico tra i vari servizi delle USSL e tra queste e i Comuni componenti l'associazione;

     D) per quanto attiene gli aspetti di corretta imputazione degli oneri, il P.S.A. fa proprie le indicazioni stabilite dal Consiglio Regionale in ordine al recepimento dell'atto di indirizzo e coordinamento governativo emanato con D.P.C.M. 8 agosto 1985, come puntualmente indicato al capitolo III «Risorse finanziarie»; in particolare:

     - definisce gli standard gestionali e strutturali, strumento necessario alla riclassificazione della rete di unità di offerta, e per ognuna di esse definisce la natura e le finalità generali, la tipologia di utenza cui è diretta, la tipologia delle attività e funzioni assicurate e del personale impiegato;

     - individua le unità di offerta integrate e, al loro interno, le prestazioni a rilievo sanitario assicurate da personale socio- assistenziale, i cui oneri, in quota parte, devono gravare sul fondo sanitario regionale, così come le prestazioni e funzioni sanitarie e riabilitative da far gravare totalmente sul fondo stesso.

 

     I Progetti Obiettivo

     Contenuto particolarmente pregnante nella direzione dell'integrazione è quello relativo ai progetti-obiettivo; la legge 23 ottobre 1985, n. 595, nel prevederli quali parti integranti del Piano Sanitario nazionale e conseguentemente dei relativi piani regionali, li definisce come «un impegno operativo idoneo a fungere da polo di aggregazione di attività molteplici delle strutture sanitarie, integrate da servizi socio- assistenziali, al fine di perseguire la tutela socio-sanitaria dei destinatari dei singoli progetti», stabilendo altresì che alla loro attuazione si provvede sia con risorse vincolate provenienti dal comparto sanitario, sia con risorse aggiuntive incluse quelle di competenza della Regione e degli Enti locali.

     Le motivazioni sottese alla scelta della modalità di intervento per progetti-obiettivo discendono:

     a) dalla necessità di offrire risposte operative adeguate al problema che si intende affrontare attraverso l'azione complessiva, sinergica e finalizzata di tutti i comparti dell'azione pubblica per quanto è di comune interesse, in particolare, dalla forte connotazione di integrazione, quanto meno sociale e sanitaria che tali progetti devono avere;

     b) dal fatto che la realizzazione di un progetto obiettivo richiede di norma l'utilizzo mirato di risorse aggiuntive rispetto a quelle normalmente afferenti agli interventi nell'area di bisogno interessata al progetto stesso;

     c) dalle necessità che tutto il personale impegnato nel progetto si riconosca ed abbia ben chiari gli obiettivi generali e specifici da raggiungere, gli interventi da attivare, i risultati da perseguire.

     La legge di Piano sanitario definisce altresì le aree di bisogno che sviluppano i progetti obiettivo, da realizzarsi mediante la integrazione funzionale operativa dei servizi sanitari e socio-assistenziali e precisamente: la tutela della salute materno-infantile; la tutela della salute degli anziani; la tutela della salute mentale e la risocializzazione dei disabili psichici; la prevenzione dell'handicap, la riabilitazione e socializzazione dei disabili psichici, fisici e sensoriali; la prevenzione delle tossicomanie e la riabilitazione e il reinserimento dei tossicodipendenti.

     Tali progetti sono pertanto parte integrante anche del presente P.S.A. e non possono quindi che indicare i comuni obiettivi e le modalità operative necessarie nelle aree di massima integrazione.

     Non tutti i progetti obiettivo indicati assumono però, nella declinazione puntuale del Piano, lo stesso peso organizzativo e di impiego mirato di risorse finanziarie e di personale; il progetto obiettivo nell'area dell'handicap rappresenta (per la gravità dei fenomeni da contrastare, per lo sforzo congiunto che si richiede ai diversi settori coinvolti, per le risorse aggiuntive mobilitate) il progetto affrontato con maggior impegno e sforzo di articolazione degli interventi; gli interventi previsti nell'area degli anziani, pur non essendo articolati in forma di progetto obiettivo (in quanto tale progetto dovrà essere parte integrante della programmazione sanitaria) rappresentano, per quanto contenuto sia nel capitolo degli obiettivi generali, che nel progetto obiettivo riconversione delle strutture e dei servizi socio-assistenziali, uno degli aspetti più qualificanti del presente P.S.A., al quale è destinata la maggior parte delle risorse finanziarie disponibili per il triennio. Gli altri progetti, peraltro previsti dalla legge 23 ottobre 1985, n. 595, da realizzarsi nelle aree: materno infantile, della devianza e disadattamento, tossico- dipendenze, tutela della salute mentale, richiedono ulteriori approfondimenti specie sul versante sanitario: in questa sede sono stati pertanto declinati i possibili interventi di natura socio-assistenziale, in particolare con notevole impegno di articolazione nell'area materno infantile.

     I progetti obiettivo nell'area dell'handicap e degli anziani rappresentano inoltre il risultato di una elaborazione congiunta che ha visto i Settori Sanità ed Assistenza impegnati nella definizione di un unico testo, da considerarsi parte integrante sia del P.S.A. che del Piano Sanitario Regionale. Analogo sforzo dovrà essere compiuto anche nelle altre aree prima individuate.

     Una particolare considerazione va fatta sul progetto-obiettivo «Riconversione delle strutture socio-assistenziali»; tale progetto si caratterizza per la sua finalizzazione tesa al graduale e progressivo avvicinamento delle unità di offerta attualmente esistenti agli standard e ai criteri generali fissati dal Piano, attraverso l'individuazione delle aree di bisogno su cui intervenire prioritariamente, la finalizzazione specifica degli interventi da realizzare, la mobilitazione di tutte le risorse finanziarie destinate agli investimenti disponibili sia a livello regionale che locale.

     Tale finalizzazione consente di definire il progetto-obiettivo «Riconversione» come «trasversale» rispetto a tutti gli interventi che il presente Piano individua: le indicazioni di priorità in esso contenute, quindi, non hanno potuto che recepire gli obiettivi prioritari indicati in altri progetti (handicappati-anziani-minori e, all'interno di questa area, il disadattamento e la devianza minorile).

     Per le priorità in esso indicate e per il volume di risorse già mobilitate, esso rappresenta inoltre lo strumento principale per la realizzazione di un obiettivo fondamentale nell'area degli anziani, e cioè la ristrutturazione e la riconversione delle attuali Case di Riposo in strutture protette per soggetti non autosufficienti.

     Al di là di questi aspetti specifici, il progetto «Riconversione» si caratterizza per la realizzazione di interventi strutturali e tecnico organizzativi, funzionali alla realizzazione delle finalità e degli obiettivi specifici degli altri singoli Progetti; come tale diventa l'asse portante dei più significativi interventi, strumento indispensabile per la mobilitazione di tutte le risorse disponibili anche esterne alla Regione.

 

     Le azioni programmate

     Come già in precedenza accennato, gli interventi da realizzarsi nell'area materno infantile e della età evolutiva, delle tossicodipendenze e della tutela della salute mentale vedono il P.S.A. impegnato nella definizione e realizzazione dei necessari interventi socio-assistenziali; conseguentemente vengono nel presente capitolo affrontati solo quegli aspetti, riferiti a ciascuna area, che non hanno trovato specificazione nei paragrafi precedenti e che sono finalizzati a completare il quadro di riferimento dell'azione regionale e degli enti locali volta ad affrontare i problemi nella loro globalità.

     E' del tutto evidente che gli interventi socio-assistenziali dovranno essere integrati con gli interventi sanitari e riabilitativi, nell'ambito degli specifici progetti-obiettivo da inserire nel primo piano sanitario regionale.

 

     4.1 Il progetto obiettivo «riconversione delle strutture socio- assistenziali»

 

     4.1.1 Finalità

     Il presente progetto di riconversione delle strutture socio- assistenziali si colloca in un processo già avviato dal 1983, come anticipazione del Piano socio-assistenziale, mediante la approvazione e l'attuazione della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11.

     Tale processo è finalizzato ad orientare le risorse disponibili, all'interno e all'esterno della Regione, verso la riconversione delle strutture attualmente esistenti in modo da:

     a) ottenere gradualmente una più omogenea distribuzione delle unità di offerta in rapporto ai bisogni, mediante la individuazione delle zone più carenti di servizi;

     b) avvicinare progressivamente l'attuale offerta di servizio socio- assistenziale ai modelli strutturali e organizzativi definiti in allegato al presente piano e già anticipati, per quanto attiene agli aspetti strutturali, con delibera consiliare n. III/1233.

     Il perseguimento delle finalità enunciate non può esaurirsi nel periodo di validità del presente P.S.A., dato l'elevato grado di scostamento della situazione esistente rispetto ad una dotazione di servizi equamente distribuita e qualitativamente idonea.

     Vengono fissati, quindi, gli obiettivi intermedi da raggiungere entro tre anni, tenendo conto della disponibilità di risorse mobilitabili a breve scadenza e del rapporto costi/risultati che ha caratterizzato il precedente progetto.

 

     4.1.2 I risultati del primo progetto di riconversione, attuato con la legge regionale 3 febbraio 1983, n. 11 rispetto alla situazione dei servizi preesistenti

     Il primo progetto di riconversione delle strutture socio-assistenziali si è avvalso di uno stanziamento di fondi regionali per un complesso di L. 48.180 milioni per il triennio 83/85.

     Di tali risorse, ben 32 miliardi (pari ai due terzi del totale) sono derivati dalla disponibilità per investimenti maturata dalla economizzazione di risorse correnti destinate dallo Stato alla Regione per l'esercizio delle funzioni ex ONPI ed ex ENAOLI.

     L'utilizzo dei fondi regionali è stato programmato con le procedure della legge regionale 3 febbraio 1983, n. 11, la quale ha portato alla elaborazione da parte di tutti gli Enti Responsabili, di programmi zonali che, sulla scorta delle indicazioni regionali, hanno consentito:

     - il censimento del patrimonio edilizio socio-assistenziale esistente nelle varie aree di intervento;

     - l'analisi degli incroci tra domanda e offerta, sulla base di informazioni e stime fornite dalla Regione, verificate e approfondite a livello locale;

     - la proposta alla Regione degli interventi da finanziare per realizzare, in concorso con le disponibilità finanziarie degli Enti gestori, un avvicinamento graduale dell'offerta ai bisogni nelle diverse aree di intervento.

     Sulla base delle scelte di priorità regionali che hanno caratterizzato l'avvio del progetto e sulla base delle proposte zonali, i fondi della Regione hanno avuto la destinazione riportata nella seguente tabella:

 

 

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Destinazione delle         Ammontare degli         Percentuale

strutture                 impegni in milioni        sul totale

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Anziani non

autosufficienti                28.193                  58,5

Anziani autosufficienti         8.417                  17,5

                              --------                ------

Sub totale anziani             36.610                  76,0

Handicappati                    7.699                  16,0

Minori e devianza               3.871                   8,0

---------------------------------------------------------------

Totale                         48.180                 100,0

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     Nel proseguo vengono sintetizzate, per ciascuna area di intervento, la situazione di partenza sulla quale ha inciso il primo progetto di riconversione, nonché i risultati che lo stesso ha consentito di realizzare.

     Una più accurata analisi di tali elementi è demandata ai programmatori zonali, i quali dovranno procedere alla verifica della rete dei servizi già esistenti e in via di realizzazione, nonché del patrimonio edilizio riconvertibile a finalità assistenziali, avvalendosi anche dei supporti messi a disposizione dalla Regione.

 

     Area anziani

     Nell'area degli anziani la programmazione zonale è stata supportata dai risultati di un censimento sulle strutture ad internato presenti in Lombardia, effettuato dalla Regione nel 1982.

     Tale censimento aveva rilevato, a fronte di una complessiva eccedenza di posti letto nel complesso delle strutture residenziali per anziani (rispetto ai parametri già fissati in attuazione della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11), una forte carenza di posti letto in strutture o reparti protetti, per anziani non autosufficienti.

     La situazione sopra evidenziata è stata confermata dalle analisi operate dagli Enti responsabili che, in sede di elaborazione dei programmi di zona, hanno classificato i posti letto esistenti come facenti parte di strutture o reparti protetti, case di riposo e case albergo.

     Confrontando i risultati di tali analisi con i fabbisogni derivanti dalla applicazione degli indici già individuati in sede di programmazione degli interventi previsti dalla L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 e riferiti alla popolazione ultrasessantacinquenne stimata al 1990 (ossia per l'ultimo anno di validità del presente piano) si ottiene la seguente situazione:

 

 

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Unità di        Fabbisogno teorico     Posti letto    Carenza o

offerta                                 esistenti     eccedenza

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Strutture

protette         1,6        19.579       12.665        - 6.914

Case di riposo   0,8         9.789       18.467        + 8.678

Case albergo     0,6         7.342       10.294        + 2.952

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     Va precisato che la classificazione sopra riportata è di natura formale in quanto effettuata tenendo conto prevalentemente delle tipologie degli ospiti e delle unità di personale presente al momento della rilevazione.

     Pertanto, i dati esposti non sono significativi della rispondenza delle strutture ai requisiti strutturali e gestionali fissati dal presente P.S.A., ma costituiscono un primo punto di riferimento per valutare il peso assunto dagli interventi edilizi finanziati dalla L.R. 3 febbraio 1983, n. 11, consistenti nella ristrutturazione o riconversione di 1.650 posti letto per anziani non autosufficienti ottenuti attraverso la realizzazione di:

     - 252 posti letto, mediante ampliamento di strutture esistenti e già funzionanti o riconversione funzionale di edifici (o parte di edifici) adibiti ad attività non connesse al settore socio-assistenziale;

     - 1.398 posti letto, tramite riconversione di eccedenze di 1.484 posti letto in case di riposo e case albergo.

     Inoltre sono stati adeguati a standard 513 posti letto in strutture protette e 416 posti letto in case di riposo, e sono stati finanziati 13 interventi su altrettante strutture riguardanti in parziale adeguamento a standard.

     Per quanto concerne le altre unità di offerta nell'area anziani è stata finanziata la realizzazione di 12 centri diurni, nonché di 89 posti letto in mini alloggi.

     La tipologia degli interventi in corso di realizzazione, come evidenziato dai dati sopra indicati, risente della scelta operata con il primo progetto di riconversione, tendente a privilegiare gli interventi nell'area dei non autosufficienti, per cui la carenza di strutture o reparti protetti verrà a ridursi da 6914 posti letto a 5264.

 

     Area handicappati

     Nell'area handicappati, le informazioni disponibili derivano dal sistema finalizzato al controllo di gestione sulle tipologie di intervento che storicamente hanno fruito di contributi a carico di fondi socio- assistenziali. Pertanto, per il riscontro dei dati riguardanti la rete di centri socio-educativi, centri residenziali e comunità alloggio si è tenuto conto dei risultati del controllo di gestione anno 1985.

     A tale data, la rete dei servizi per handicappati risultava composta da 134 C.S.E. con 2.340 utenti, 6 centri residenziali con 100 utenti, 37 comunità alloggio con 300 utenti circa.

     Ciò posto, la situazione della rete in via di realizzazione è caratterizzata dalla presenza di 1 o più C.S.E. in 75 USSL. Risultano perciò prive di tale servizio 4 USSL.

     Va infine segnalata la presenza sul territorio lombardo di circa 23 istituti ospitanti handicappati rispetto ai quali il livello di informazione è molto scarso. Si tratta di una rete rilevante che, nel breve periodo, deve essere censita e tenuta presente dalla programmazione zonale, e che deve essere assoggettata, come per altro specificato negli obiettivi del P.S.A., ad interventi di riconversione.

 

     Area minori

     Per quanto attiene all'area minori, per la prima volta la programmazione regionale e locale può essere fondata su dati di conoscenza specifici relativamente ad una significativa componente del sistema dei servizi, quale è quello degli istituti per minori, grazie ad una indagine realizzata nel corso del 1985, alla quale si rimanda per una puntuale conoscenza della tematica.

     Da tale indagine emerge che l'universo degli istituti di carattere assistenziale per minori in Lombardia è composto da 116 Istituti, diffusi in tutte le 9 Province; frequente è la presenza di istituti con ridotto numero di utenti (il 42%, cioè 49 Istituti, accolgono meno di 30 utenti), per i quali è presumibile si riscontrino meno difficoltà nell'attuazione di processi di riconversione in comunità alloggio.

     Per queste ultime va rilevata una consistente espansione verificatasi in tempi recentissimi, che ha portato il numero delle comunità alloggio per minori dalle 83 censite a fine 1984, come risultante dai dati finalizzati al controllo di gestione, alle attuali 97, alle quali vanno aggiunte 7 unità in corso di realizzazione, grazie ai finanziamenti per investimenti erogati con la L.R. 3 febbraio 1983, n. 11.

     Con la stessa legge è stato finanziato l'adeguamento a standard di 10 comunità preesistenti.

     Per quanto concerne la distribuzione geografica, va rilevata la presenza di almeno una comunità alloggio nella metà delle USSL lombarde.

     L'incrocio tra la distribuzione territoriale delle due tipologie di servizio (istituti e comunità) evidenzia la seguente situazione complessiva:

     - nel 25% delle USSL sono presenti entrambe le tipologie residenziali;

     - nel 25% delle USSL sono presenti solo istituti ad internato;

     - nel 25% delle USSL sono presenti solo comunità alloggio;

     - nel restante 25% delle USSL non esistono risposte residenziali all'utenza minorile.

     Per quanto attiene alle unità di offerta finalizzate al sostegno della famiglia nell'area minori si rileva la presenza di 78 centri di aggregazione giovanile distribuiti in 41 USSL lombarde.

     Allo stadio embrionale è invece la rete dei centri di pronto intervento, caratterizzata da tre strutture in corso di realizzazione con i finanziamenti della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11.

     Da ultimo, per quanto riguarda la rete degli asili nido, si rimanda alla descrizione analitica contenuta nelle «basi statistico descrittive» e nelle monografie sull'area minori, pubblicate dal Settore Assistenza.

     In sintesi, la situazione è caratterizzata da 439 unità di offerta a gestione pubblica oltre che da 44 unità a gestione privata (dati 1985), con o senza fine di lucro.

     Si tratta di una rete ormai sostanzialmente stabilizzata, caratterizzata da numerosi casi di sottoutilizzo e da poche situazioni di non totale soddisfacimento della richiesta, per altro concentrate nelle aree ad alta densità urbana ed in particolare a Milano.

 

     4.1.3 Gli obiettivi di lungo periodo.

     Come già accennato, la finalità prioritaria del processo di riconversione consiste nel graduale avvicinamento dell'offerta di servizi ai fabbisogni che si determinano nelle varie tipologie di intervento e nelle diverse aree geografiche.

     Ciò si traduce, nella fissazione di indici di bisogno ai quali la rete dei servizi si deve via via adeguare, attraverso fasi intermedie caratterizzate dal massimo grado di coerenza con il generale disegno programmatorio.

     Tale azione presenta un grado di definizione diverso a seconda della tipologia di intervento.

     Infatti, se per le strutture residenziali per anziani è stato possibile identificare, già con il primo progetto di riconversione, i parametri a cui fare riferimento per definire un corretto livello di riposta ai bisogni, nelle altre aree di intervento il livello di offerta necessario è ancora oggetto di studio attraverso ricerche in fase di realizzazione.

     E' questa una limitazione alle possibilità di pianificazione a lungo termine, che tuttavia non impedisce una corretta operatività per il prossimo futuro.

     Va infatti considerato che l'area di intervento a favore degli anziani, ove è maggiore il livello di conoscenza, è anche quella ove il livello di bisogno è tendenzialmente in aumento a causa dell'invecchiamento della popolazione, ove è maggiore la concentrazione di strutture e di utenti ed ove, di conseguenza, si indirizzano le scelte di prioritario intervento regionale.

     Anche nelle altre aree di intervento, tuttavia, pur in mancanza di indici di bisogno assoluti, è possibile procedere alla programmazione equilibrata degli interventi, avendo cura di potenziare servizi nelle aree geografiche in cui questi sono relativamente più carenti. Si ritiene pertanto possibile identificare la carenza di servizi laddove questi siano inferiori agli indici assunti per il lungo periodo o siano inferiori ai livelli di offerta medi regionali.

     Per converso, l'eccedenza dei servizi può essere rilevata laddove siano individuati gli indici di fabbisogno.

     In tali casi è possibile la classificazione delle aree geografiche in funzione dei livelli di carenza o di eccedenza distinguendo tra:

     1) USSL carenti di alcune tipologie di servizi, ma eccedenti per altre tipologie;

     2) USSL carenti in linea generale;

     3) USSL ove il livello di risposta ai bisogni è adeguato o addirittura eccedente.

     Nel primo caso gli interventi da prevedere riguardano la riconversione sia del patrimonio edilizio che delle modalità organizzative in atto.

     Nel secondo caso è da prevedere la possibilità di procedere, se possibile, alla riconversione di edifici attualmente non destinati ad attività socio-assistenziali ed eventualmente alla costruzione di nuove strutture o all'ampliamento di strutture preesistenti.

     Nell'ultimo caso va prevista una graduale riduzione dei servizi, pur tenendo conto che questi attualmente sono fruiti da utenti provenienti da zone in cui i servizi non sono sufficienti. Pertanto la riduzione delle eccedenze va subordinata alla realizzazione di servizi nelle zone carenti e, quindi, costituisce obiettivo da dilazionare nel tempo.

     La fondamentale classificazione sopra delineata trova il suo presupposto nella necessità, che costituisce uno degli obiettivi della pianificazione regionale, di ridurre gradualmente i flussi migratori dalle zone di residenza degli utenti alle zone più dotate di servizi.

     Questo obiettivo si traduce in una regionale ragionata selezione degli interventi edilizi da incentivare, ma anche nella adozione di tutti gli interventi organizzativi atti a ridurre i flussi migratori non motivati da carenze di servizi nelle zone di provenienza degli utenti.

     Ulteriore e non secondario obiettivo da perseguire consiste nell'adeguamento delle varie unità d'offerta agli standard strutturali e gestionali fissati dal presente Piano. Anche in questo caso si tratta di un processo da realizzare in un arco di tempo non breve, a causa, della vetustà del patrimonio edilizio.

     Anche il processo di adeguamento agli standard deve essere realizzato in coerenza con la riconduzione dell'offerta di servizi ai livelli di bisogno identificato per ciascuna USSL, per cui deve essere evitata la ristrutturazione di servizi eccedenti rispetto alle necessità zonali, servizi questi che, come detto, vanno assoggettati a progressiva riduzione o riconversione in altri servizi.

     Gli obiettivi sopra indicati, sia per quanto concerne la riconversione che l'adeguamento a standard, vanno praticati tenendo conto che tutte le strutture a gestione pubblica entrano di diritto nel sistema dei servizi e che, pertanto, il loro utilizzo o loro riconversione risultano obbligati nella programmazione della rete delle unità di offerta socio-assistenziali.

     Di conseguenza, il progetto riconversione deve prevedere il prioritario finanziamento degli interventi sulle strutture che gli Enti Pubblici (enti pubblici territoriali e IPAB) sono tenuti a realizzare e solo nel caso in cui i servizi pubblici siano insufficienti va utilizzata la disponibilità di Enti privati ad entrare nel sistema dei servizi.

 

     4.1.4 Gli obiettivi per il triennio di validità del Piano socio- assistenziale in rapporto alle risorse mobilitabili.

     Gli obiettivi da assumere per il triennio consistono nella quota degli obiettivi di lungo periodo che si possono realizzare con le risorse mobilitabili nell'arco di validità del P.S.A. da parte della Regione e degli Enti gestori.

     Come in dettaglio esplicitato nel capitolo III, le risorse regionali destinabili ad investimenti per il triennio 1988-1990 sono stimate nella misura di L. 225 miliardi, provenienti da accantonamenti di risorse correnti, da ulteriori fondi autonomi regionali ed infine dal fondo sanitario regionale.

     Si tratta di una somma pari, in termini monetari, a circa il quintuplo delle quote per investimenti stanziate dal primo progetto di riconversione.

     Le risorse sopra indicate vengono suddivise tra le diverse aree di intervento rispettando orientativamente le percentuali che hanno caratterizzato il precedente piano.

     Lo stanziamento complessivo viene quindi così ripartito:

 

 

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Area d'intervento            Percentuali          Stanziamento

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Anziani                          78               175 miliardi

Handicappati                     13                30 miliardi

Minori e devianza                 9                20 miliardi

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     Le risorse sopra indicate vanno finalizzate alla realizzazione sia di nuovi presidi sia all'adeguamento delle strutture agli standard edilizi, secondo gli obiettivi a valenza regionale indicati nel primo capitolo del presente piano e compatibilmente con i programmi elaborati da ciascuna zona.

     In questo paragrafo vengono individuate le coerenze tra risorse regionali disponibili per investimenti ed obiettivi da perseguire operando stime di massima, la cui validità dovrà essere verificata con i contenuti dei programmi zonali per quanto riguarda i risultati concretamente ottenibili, e con le conseguenti proposte di finanziamento avanzate dagli Enti Responsabili per quanto concerne il reale onere della realizzazione.

     Nell'area degli anziani l'obiettivo da perseguire consiste prioritariamente nello sviluppo della rete delle strutture protette per non autosufficienti, da ottenere, per quanto possibile, attraverso riconversione di strutture edilizie preesistenti, nonché, in seconda istanza, nell'adeguamento a standard delle case di riposo e centri diurni.

     Pertanto, la disponibilità finanziaria individuata per l'area anziani viene ripartita nella misura di:

     - L. 163 miliardi, per adeguamento a standard, costruzione, ampliamento, attrezzature ed arredi di strutture destinate a non autosufficienti;

     - L. 12 miliardi, per adeguamento a standard, arredi e attrezzature di strutture destinate ad autosufficienti, con particolare attenzione ai centri diurni e ad altre unità di offerta di tipo preventivo e di socializzazione.

     Sulla base dei risultati in via di conseguimento con il primo progetto di riconversione e dei relativi oneri gravanti sul bilancio regionale, si può stimare che l'onere a carico della Regione per la realizzazione di un posto letto per non autosufficienti attraverso opere di ristrutturazione o riconversione si aggiri intorno a L. 20 milioni.

     Tale onere medio a carico del bilancio regionale è calcolato tenendo conto che:

     - i fondi regionali non coprono l'intero costo dell'intervento, ma costituiscono un incentivo alla mobilitazione delle risorse proprie degli Enti Gestori, ed in particolare modo delle IPAB che possono procedere a trasformazioni patrimoniali;

     - i progetti da finanziare prioritariamente devono presentare caratteristiche di economicità in rapporto ai risultati conseguibili.

     Sulla base di tali elementi, si può stimare in circa 7.500 il n. dei posti letto per non autosufficienti realizzabili o adeguabili a standard.

     Ciò significa che, a progetto realizzato, tenendo anche conto delle opere finanziate con la L.R. 3 febbraio 1983, n. 11, si potrà disporre di circa 9.000 posti letto in strutture o reparti protetti adeguati a standard, coprendo così circa il 45% del fabbisogno con strutture rispondenti ai requisiti tecnico/edilizi fissati dal presente Piano.

     Nell'area handicappati, l'onere stimato a carico della Regione per la realizzazione degli obiettivi di cui al capitolo I, tramite riconversione del patrimonio edilizio esistente, è riportato nella seguente tabella:

 

 

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Unità di offerta            n.        Onere           Onere

                                     unitario      complessivo

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Centri socio-educativi

nelle USSL prive di

servizio                    4          400            1.600

Centri residenziali        12          600            7.200

Comunità alloggio          20          250            4.000

Nuovi posti in CSE da

ottenere con ampliamenti

e nuove costruzioni in

USSL carenti              300           20            6.000

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Totale (in milioni)                               L. 18.800

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     La restante disponibilità finanziaria riservata all'area handicappati viene destinata, per 6 miliardi, all'adeguamento agli standard strutturali dei centri socio-educativi, dei centri residenziali e delle comunità alloggio esistenti, con una previsione di spesa di L. 10 milioni per ogni posto e con la conseguente possibilità di adeguare 600 posti complessivi pari circa il 25% della totale disponibilità.

     I residui 5,2 miliardi vengono destinati all'acquisto di attrezzature e arredi e alla eliminazione di barriere architettoniche nelle abitazioni di handicappati.

     Nell'area minori la destinazione dei finanziamenti regionali in rapporti alle opere da realizzare è riportata nella seguente tabella:

 

 

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Unità di offerta        n.           Onere            Onere

                                    unitario       complessivo

---------------------------------------------------------------

Comunità alloggio      30             250             6.000

Centri di pronto

intervento             10             300             3.000

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Totale                                                9.000

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     L'ulteriore residua disponibilità finanziaria viene destinata per: L. 2.500 milioni per la realizzazione di centri di aggregazione giovanile; L. 3.000 milioni per l'adeguamento a standard delle comunità alloggio; L. 1.500 milioni per l'adeguamento a standard di istituti per minori; L. 2.000 milioni per la straordinaria manutenzione e la migliore fruizione degli spazi non utilizzati negli asili nido; L. 2.000 milioni per l'acquisto di attrezzature ed arredi.

 

     4.1.5 Procedure per la programmazione zonale.

     Le procedure per l'attribuzione delle risorse regionali destinate ad investimenti sono chiaramente delineate dalla Legge regionale di riordino.

     Si tratta, in pratica, delle medesime procedure già sperimentate con la L.R. 3 febbraio 1983, n. 11, con alcune modificazioni tese a migliorare l'efficacia del processo programmatorio, scindendo in maniera più netta il momento dell'elaborazione dei programmi di zona da quello dell'esame delle domande, da presentare successivamente in coerenza al Piano stesso, e della formulazione delle proposte.

     Ciò posto, vengono riportati di seguito gli eventi procedurali che connotano il processo di programmazione zonale.

     Il programma di zona deve essere proposto entro 90 giorni dalla pubblicazione del P.S.A. (art. 92, 1° comma).

     Tale programma è articolato secondo i contenuti dell'art. 34 e viene formulato dal Comitato di Gestione, sentito il parere del Comitato di Coordinamento previa consultazione degli aventi titolo a partecipare alla programmazione dei servizi.

     La proposta di programma va comunicata ai singoli Consigli Comunali e, corredata dei pareri pervenuti, viene approvata dall'Assemblea dell'Ente Responsabile entro i successivi 60 giorni.

     Il programma di zona approvato è trasmesso alla Giunta Regionale e contestualmente alle Province competenti per territorio, che entro 30 giorni si pronunciano sulle eventuali localizzazioni di nuovi presidi (art. 35).

     La Giunta Regionale, entro 60 giorni dal ricevimento dei programmi di zona, ne verifica la compatibilità con il P.S.A. e, se del caso, li rinvia all'Ente Responsabile per l'adeguamento (art. 36).

     Si ricorda che i riflessi che derivano dal programma di zona sono molteplici e non si esauriscono nella mera programmazione delle risorse destinate agli investimenti, di cui peraltro il programma di zona costituisce il necessario presupposto.

     A titolo esemplificativo si ricorda che ai sensi dell'art. 37 il programma di zona costituisce quadro di riferimento anche per le opere che Enti pubblici e privati intendono realizzare a loro totale carico, senza ricorrere quindi al finanziamento regionale.

     Per quanto concerne i finanziamenti regionali, la normativa prevede che, sulla base dei programmi approvati e regolarmente pubblicati (art. 36), gli enti interessati, entro 30 giorni dalla pubblicazione stessa (art. 46, 1° comma) presentino all'Ente Responsabile domanda di contributi per investimenti compatibili con gli obiettivi del programma.

     Entro i 30 giorni successivi il Comitato di Gestione, d'intesa con il Comitato di Coordinamento delibera le proposte di priorità degli interventi da finanziare con fondi regionali.

     Si tratta di una procedura articolata che si reputa però possa garantire il massimo livello di confronto e di coinvolgimento di tutti gli Enti che concorrono alla programmazione ed attuazione dei servizi.

     Ciò risulta essenziale specie in questa prima fase di riprogrammazione del sistema dei servizi socio-assistenziali.

 

     4.1.6 Criteri e vincoli per la programmazione zonale.

     Al fine di una corretta ed efficace azione programmatoria va innanzitutto sottolineato che ciascun Ente Responsabile deve elaborare programmi di riconversione caratterizzati dal più alto grado di convergenza degli Enti operanti sul territorio, non solo per garantire più realismo alla programmazione stessa, ma anche per le implicazioni che la riconversione tipologica delle strutture e l'adeguamento a standard assumono al fine del convenzionamento, nonché della erogazione di contributi di gestione.

     L'accordo con gli Enti è anche indispensabile per ottenere la effettiva e rapida attuazione degli interventi programmati a livello zonale, onde poter raggiungere in ciascuna USSL il livello di risposta ai bisogni programmati in base alle risorse disponibili.

     Per gli obiettivi indicati al primo capitolo, in anticipazione dei progetti obiettivo integrati anziani e handicap, il Fondo Sanitario Regionale destina, a partire dall'anno 1988, ulteriori 100 miliardi annui finalizzati sia a incrementare gli oneri per spese sanitarie e a rilievo sanitario sia per l'adeguamento a standard strutturali e gestionali dei presidi e strutture esistenti, al fine di aumentare la capacità complessiva da parte della rete esistente di rispondere ai bisogni, attraverso l'offerta di posti in strutture e reparti protetti per anziani non autosufficienti, centri residenziali e centri socio-educativi per handicappati gravi e gravissimi. Tale sistema a regime deve essere selettivamente indirizzato alle sole strutture rientranti nel sistema di convenzionamento e orientato a incentivare il processo di adeguamento agli standard gestionali e strutturali fissati dal P.S.A., attraverso un'azione di classificazione operata dalla Regione con l'idoneità al convenzionamento delle strutture private e delle strutture pubbliche che, previa ristrutturazione e/o riconversione, entrano da subito nel sistema del convenzionamento, previa verifica delle loro caratteristiche e del livello di risposta in grado di assicurare agli utenti.

     Nell'immediato, la quota di finanziamento del Fondo Sanitario destinata a supportare gli interventi strutturali per adeguamenti a standard può essere assicurata a quelle strutture e presidi, individuate negli atti di programmazione zonale in quanto concorrenti al raggiungimento degli obiettivi regionali e zonali fissati per ciascuna area di intervento, che già usufruiscano delle quote sanitarie destinate alla gestione, con l'avvertenza che l'eventuale scostamento oggi esistente rispetto allo standard gestionale iniziale di convenzionamento ritenuto necessario in via generale deve essere colmato al momento del termine dei lavori, previo impegno formalmente deliberato della struttura a convenzionarsi a lavori ultimati e a rinnovare detta convenzione per un periodo pari a quello previsto come vincolo di destinazione sulle strutture ammesse ai finanziamenti regionali.

     Le modalità e l'ammontare delle quote sanitarie a ciò destinate unitamente con quelle derivanti da finanziamenti per investimenti socio- assistenziali verranno individuate e quantificate con successivi provvedimenti regionali. Nell'operare la selezione a livello regionale e zonale delle strutture e dei presidi da convenzionare, la Regione deve preliminarmente procedere alla revisione delle convenzioni attualmente esistenti con n. 16 IPAB per i trattamenti sanitari e riabilitativi, individuando le quote di posti letto da utilizzare eventualmente per lungo degenza riabilitativa; parte delle risorse oggi indirizzate a dette strutture, dedotto l'onere per l'attività di lungo degenza riabilitativa, possono essere destinate a incrementare i fondi sanitari da utilizzare per adeguare a standard e ampliare le strutture rientranti nel nuovo sistema di convenzionamento, come prima delineato.

     Ciò posto, si individuano di seguito le procedure, i criteri e i vincoli a valere per ogni singola area:

 

     Area anziani

     La preliminare operazione che deve essere compiuta da ciascun Ente Responsabile nell'area anziani consiste nella classificazione delle strutture residenziali secondo le tipologie individuate dalla legge di riordino, vale a dire strutture e reparti protetti, case di riposto e case albergo.

     Tale operazione va realizzata partendo dalle risultanze dei programmi zonali elaborati in attuazione della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 ed operando le necessarie verifiche ed aggiornamenti.

     A questo riguardo sembra necessario puntualizzare che non può essere variata la classificazione delle strutture e reparti protetti che abbiano ricevuto finanziamenti dalla predetta legge, sia per l'adeguamento a standard, sia per la riconversione da altre tipologie di offerta.

     Fermo restando tale vincolo, la verifica e/o aggiornamento della classificazione deve essere operata tenendo conto della situazione esistente o prevista, a seguito delle riconversioni attualmente in fase di realizzazione, con riferimento:

     - alla tipologia di ospiti;

     - alle caratteristiche strutturali;

     - alle caratteristiche gestionali:

     - alle finalità statutarie dell'Ente.

     Ciò consente di censire il numero di posti disponibili per ciascuna tipologia di offerta e cioè di definire il punto di partenza dal quale muovere per realizzare il complessivo programma delle riconversioni.

     Il conteggio dei posti letto deve essere realizzato comprendendo tutte le strutture operanti nel territorio zonale, senza eccezioni per quelle aventi sede legale in altre USSL e per le IPAB attualmente convenzionate con la Regione per la riabilitazione.

     Deve inoltre essere operata una distinzione tra posti letto appartenenti all'area del pubblico o del privato, in quanto, come noto, sulla base della legislazione vigente gli Enti pubblici entrano di diritto nel sistema del convenzionamento e quindi assumono priorità nei piani di riconversione.

     Viceversa, la inclusione di strutture private nel sistema del convenzionamento zonale è subordinata, da un lato, alla richiesta degli Enti gestori e dall'altro, alle scelte che l'Ente Responsabile deve adottare in relazione all'incrocio bisogni/offerta presente in ciascuna zona.

     Individuata quindi la disponibilità di posti in ciascuna tipologia di struttura, questa va rapportata agli indici di piano già fissati in attuazione della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 e riconfermati dal presente P.S.A. e cioè:

     1,6% della popolazione > 65 anni per l'insieme delle strutture e dei reparti protetti, secondo le stime di popolazione al 1990:

     0,8% della popolazione > 65 anni per le case di riposo, secondo stime di popolazione al 1990;

     0,6% della popolazione > 65 anni per le case albergo, secondo le stime di popolazione al 1990.

     In sede di approvazione dei programmi di zona per le strutture protette e le case di riposo, la Giunta Regionale può autorizzare l'innalzamento di tali indici rispettivamente fino all'1,9% e dall'1,0%, solo in caso di comprovata necessità derivante dalla presenza di strutture ospitanti oggetti anziani non autosufficienti appartenenti all'area della psichiatria e dell'handicap grave e gravissimo, ovvero in considerazione di insediamenti di particolare interesse climatico, quali le zone lacustri.

     Dal rapporto tra indici di fabbisogno e posti disponibili si ricavano le complessive necessità d'intervento e i conseguenti programmi di riconversione a lungo termine.

     Parallelamente, ciascun Ente Responsabile deve censire gli scostamenti della situazione esistente rispetto agli standard strutturali e organizzativi fissati dal presente Piano.

     Nel programmare il processo di progressivo adeguamento agli indici di piano e, in particolare le quote da realizzare nel triennio 1987/89, ogni Ente Responsabile deve assegnare priorità assoluta alle strutture ed ai reparti protetti, posto che i finanziamenti regionali per investimenti nell'area anziani sono destinati dal presente P.S.A. principalmente a favore di non autosufficienti.

     Di conseguenza, per il prossimo triennio, non sono da considerare prioritarie nell'area anziani le riconversioni di eccedenza a finalità diverse da quella delle strutture e dei reparti protetti.

     In ogni caso devono essere evitate opere che causerebbero l'incremento o il consolidamento degli squilibri interzonali. Pertanto, non è consentito sia l'incremento delle disponibilità di posti a livelli superiori agli indici di fabbisogno fissati per ciascuna zona, sia l'adeguamento a standard dei posti attualmente eccedenti.

     Nelle USSL con eccedenza di posti, il rispetto dello standard strutturale, con riferimento quanto meno agli elementi edilizi dimensionati in rapporto al numero degli utenti, può essere perseguito attraverso la progressiva riduzione degli ospiti, da ottenere limitando l'accoglimento di utenti provenienti da altre zone. Ciò, da un lato riduce l'onere dell'adeguamento a standard e, dall'altro, costituisce un elemento di razionalizzazione nel processo di riconduzione del trattamento dell'utenza agli ambiti zonali dai quali la stessa proviene.

     La riduzione dei flussi migratori, nella rete delle strutture ad internato per anziani, è un obiettivo da realizzare su scala regionale, attuando scelte di programmazione zonali finalizzate all'incremento di posti disponibili soltanto nelle aree in cui questi sono carenti.

     Caso eccezionale, ma principale responsabile dei flussi migratori che caratterizzano la realtà lombarda è rappresentato dall'USSL n. 75 di Milano, ove il patrimonio edilizio disponibile è saturo e la carenza di posti letto per non autosufficienti rappresenta circa il 40% della carenza totale regionale.

     E' di tutta evidenza l'importanza fondamentale che riveste per l'intera politica regionale del settore una decisiva azione di tipo programmatico ed organizzativo da parte del Comune di Milano, per colmare queste deficienze, che condizionano pesantemente gli squilibri dell'intera rete dei servizi. Da qui la necessità che il particolare aspetto della localizzazione di nuove strutture protette assuma, per il Comune di Milano, carattere assolutamente prioritario nella politica del Settore Assistenza, tenuti ben presenti gli aspetti di integrazione col sistema sanitario caratterizzanti ogni intervento in direzione dei non autosufficienti.

     Come già detto, il riequilibrio dell'offerta in rapporto ai bisogni è il principale elemento per la riduzione di flussi migratori, ma non va tuttavia trascurato il fenomeno delle migrazioni incrociate da USSL.

     E' questo un aspetto da tenere sotto maggior controllo a livello zonale, rilevando la provenienza dell'utenza presente, le motivazioni che causano richieste da altre USSL ed introducendo correttivi nella organizzazione per arrivare all'accoglimento prioritario degli ospiti della zona fino alla saturazione della quota di bisogno ad essa pertinente.

     Ulteriore elemento di riferimento per la programmazione zonale consiste nell'opportunità che ogni USSL, per quanto possibile, venga dotata almeno di 1 struttura protetta mono-funzionale rivolta all'utenza che, all'atto dell'ammissione sia già in condizioni di non autosufficienza, fatte salve particolari situazioni che, per cultura, storia, orografia, dispersione della popolazione, possono consigliare una diversa soluzione.

     Dall'altro lato, i reparti protetti, che principalmente sono destinati ad anziani divenuti non autosufficenti dopo essere stati ricoverati in case di riposto in condizioni di parziale autosufficienza, vanno ubicati perseguendo la distrettualizzazione dell'offerta rispetto ai bisogni avendo cura tuttavia di evitare che ciò comporti sottoutilizzi del patrimonio edilizio esistente.

     Altro indirizzo da tener presente negli interventi di adeguamento di strutture già esistenti con capacità ricettive inferiori o superiori a quelle stabilite negli Standard (per la nuova struttura) è quello di operare manovre che favoriscono un avvicinamento ai livelli ottimali per una buona gestione economica e funzionale.

     In particolare, nel caso di capacità ricettiva di gran lunga superiore allo standard massimo, occorre incentivare una riorganizzazione funzionale della struttura attraverso la costituzione di autonome unità gestionali rientranti nei limiti di capacità ricettiva standard.

     Un caso particolarmente problematico è rappresentato da quelle strutture con alta capacità ricettiva di gran lunga esuberante rispetto ai bisogni delle zone in cui sono ubicate; di norma quindi vengono utilizzate con prevalenza da utenti provenienti da altre zone (e talvolta da altre Regioni) e in taluni casi risultano addirittura a quasi esclusivo servizio di una zona specifica (tipico il caso delle strutture utilizzate dal Comune di Milano in zone diverse).

     Va ribadito il diritto/dovere da parte delle USSL, sul cui territorio insistono strutture siffatte, oltre che di svolgere le regolari attività di vigilanza nei loro confronti, di inserirle ad ogni effetto nella rispettiva programmazione territoriale.

     E' evidente, a riguardo, che il potere programmatorio si traduce nella individuazione di quella quota di posti necessaria e sufficiente a colmare i fabbisogni zonali senza procedura alla realizzazione di nuovi posti letto.

     Ne risulta che le quote eccedenti il soddisfacimento dei vari fabbisogni zonali dovranno formare oggetto di valutazioni a diverso livello (intese con altre USSL interessate o indicazioni regionali) nel quadro di una politica di riequilibrio interzonale cui sono strettamente correlate.

     E' impegno della Regione di procedere nel corso del triennio all'individuazione delle strategie di riequilibrio in tale direzione. Analoghe considerazioni possono valere per quelle strutture per le quali esistono specifiche convenzioni con il sistema sanitario regionale per trattamenti riabilitativi e/o ospedalieri.

     Per quanto concerne le case di riposo ex ONPI, che presentano problematiche similari, il presente Piano ha assunto la determinazione di trasferirne la gestione a livello di zona, superando quindi, sia pur gradualmente, l'apertura ad utenti provenienti da altre zone. A maggior ragione quindi la programmazione riferita a tali strutture va inserita a pieno titolo nella competenza delle zone interessate fatta salva l'intesa con i Comuni e la Regione quali Enti titolari rispettivamente del personale e degli immobili, circa la gradualità delle procedure da perseguire.

     Tali intese verranno formalizzate in apposita deliberazione di Giunta d'intesa con la Commissione consiliare competente, nonché con i Comuni interessati.

     Alla luce dei vincoli e degli indirizzi sopra indicati, l'obiettivo regionale di rendere disponibile ed adeguato a standard il 45% del fabbisogno di strutture e reparti protetti, si deve tradurre in obiettivi zonali orientativamente di pari livello, comprendendo nel novero le strutture preesistenti già idonee e le strutture riconvertire o adeguate con i finanziamenti erogati ai sensi della L.R. 3 febbraio 1983, n. 11 (dando atto che le opere realizzate in conformità agli standard fissati dalla delibera del Consiglio Regionale n. III/1233 sono da considerare definitivamente idonee sotto il profilo strutturale).

 

     Area handicappati

     Per quanto riguarda i criteri ai quali deve essere assoggettata la programmazione delle riconversioni in questa area di intervento si rimanda al progetto obiettivo handicappati, che costituisce parte integrante del presente Piano.

     In questa sede, tuttavia, vengono fornite alcune indicazioni su specifici problemi.

     Particolare rilevanza assume l'insieme delle azioni finalizzate alla eliminazione delle barriere architettoniche. A tale riguardo deve essere ricercato l'utilizzo coordinato delle risorse finanziarie stanziate dalla legge finanziaria per l'anno 1986, con le risorse che confluiranno nel p.d.l. regionale per la eliminazione delle barrire architettoniche attualmente allo studio.

     Va comunque precisato che la eliminazione di barriere all'interno di specifici servizi socio-assistenziali (centri residenziali, centri socio- educativi, comunità alloggio) è obiettivo da perseguire nell'ambito del più generale processo di adeguamento agli standard fissati dal presente Piano.

     La programmazione zonale dovrà comunque prevedere la eliminazione di barriere nelle abitazioni di handicappati, prevedendo la erogazione di contributi finalizzati ad adattamenti edilizi o alle permute di abitazioni non idonee con altre prive di barriere.

     A tal riguardo gli Enti Responsabili, sono tenuti a raccogliere le domande degli interessati e a proporre alla Regione gli interventi da finanziare contestualmente alle proposte di finanziamento per l'insieme degli investimenti zonali.

     Nel caso in cui gli interventi proposti rivestano carattere di urgenza è data agli Enti Responsabili la possibilità di procedere alla presentazione di proposte annuali, da allegare ai piani di assegnazione dei contributi di gestione.

     Sempre annualmente devono essere presentate le proposte di finanziamento finalizzate all'inserimento lavorativo, relative sia al sostegno «una tantum» degli oneri sociali, che all'adeguamento di beni strutturali. A quest'ultimo riguardo, val la pena di precisare, anche in relazione ai problemi operativi emergenti in sede di attuazione della legge 29 marzo 1985, n. 113, che la delega prevista dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, art. 79 IV comma, in materia di avviamento al lavoro dei minorati della vista, nonché di ogni altra iniziativa utile a supportare tali interventi si esercita nei confronti dei Comuni ove hanno sede operativa le aziende tenute all'adeguamento dei centralini telefonici, ovvero nei confronti dei Comuni di residenza dei ciechi, per quanto attiene tutte le altre iniziative.

 

     Area minori

     Nell'area minori le manovre edilizie considerate prioritarie per il triennio consistono nella riconversione degli istituti assistenziali ad internato per minori in comunità alloggio.

     A tale riguardo è necessario precisare che, ciascuna zona deve procedere ad una preventiva verifica degli istituti per minori da prendere in esame al fine della possibile riconversione, assumendo come base di riferimento l'indagine regionale recentemente pubblicata ed operando, se del caso, le necessarie integrazioni.

     Preme sottolineare che il campo della indagine è stato delimitato ai soli istituti a carattere assistenziale con minori a convitto che risiedono e sono affidati [12 mesi all'anno] all'istituto, che è il referente principale anche in presenza di famiglie presso cui i minori possono trascorrere brevi periodi durante le vacanze scolastiche.

     Sono stati quindi esclusi:

     - i collegi in quanto istituti di tipo esclusivamente educativo e non assistenziale, nonché i pensionati;

     - i centri di pernottamento, caratterizzati da un elevato turn-over settimanale/mensile degli ospiti che li rende estranei alle caratteristiche proprie degli istituti;

     - gli istituti che erogano prevalentemente servizi rieducativi e riabilitativi per handicappati;

     - le comunità alloggio e i gruppi famiglia.

     Va esplicitato, come per altro precisato negli obiettivi di Piano e nell'azione programmatica relativa all'area minori ed età evolutiva, che le operazioni di riconversione devono essere rivolte prioritariamente alla trasformazione in comunità alloggio degli istituti con ridotto numero di utenti, specie nelle USSL ove le stesse comunità non siano già state attivate.

     Per gli istituti con media ed alta capacità ricettiva si deve invece perseguire una riorganizzazione funzionale finalizzata alla costituzione di gruppi autonomi di minori, anche attraverso opportune ristrutturazioni edilizie.

     Per quanto riguarda l'istituzione di centri di aggregazione giovanile e di centri di pronto intervento, deve essere ricercata la possibilità di riconvertire strutture preesistenti, limitando, per ragioni di economicità, il ricorso a nuove costruzioni.

     Per i centri di pronto intervento, in particolare, la localizzazione va definita ricercando intese tra USSL limitrofe (posto che si tratta di unità d'offerta il cui bacino d'utenza è sovrazonale) valutando anche la possibilità di legare l'attivazione del centro ad una rete di servizi capaci di risolvere in via definitiva i bisogni assolti dal centro stesso in via di urgenza e transitorietà.

     Per gli asili nido si pone il problema degli spazi inutilizzati in strutture funzionanti nonché in edifici realizzati, anche con il concorso di finanziamenti regionali e mai attivati.

     Nel primo caso vanno perseguiti obiettivi di utilizzo integrato con i servizi della prima infanzia, mentre nel secondo caso la struttura è da considerare patrimonio edilizio esistente da utilizzare eventualmente in parte come nido ed in parte per altri scopi, sempre nell'ambito del sistema socio-assistenziale.

     Laddove si preveda il cambio di destinazione di tutta o parte delle strutture sulle quali è stato posto vincolo di destinazione, il programma zonale può disporre lo svincolo, fatta salva la riserva di autorizzazione da parte della Regione.

     Tale procedura deve essere adottata non solo per la variazione di destinazione di strutture afferenti all'area minori, ma anche di strutture afferenti ad aree di intervento diverse.

 

     4.1.7 Le proposte di priorità zonali finalizzate alla concessione di finanziamenti regionali.

     Per quanto concerne la elaborazione delle proposte di priorità che ciascun Ente Responsabile deve rassegnare alla Regione, si ritiene di poter fornire criteri validi per tutte le aree di intervento.

     In linea generale val la pena di precisare che le proposte di priorità assumono una valenza sostanzialmente attuativa in rapporto alle scelte di programmazione contenute nei programmi di zona. E' per questo motivo che i tempi tecnici previsti dalla normativa per la elaborazione di tali proposte si presentano di gran lunga più brevi rispetto a quelli definiti per la elaborazione dei programmi di zona.

     Ciò conferma l'esigenza di massimo coinvolgimento di tutti gli Enti interessati e di puntuale riscontro delle concrete direttrici di intervento già in fase di predisposizione del programma di zona, lasciando alle proposte di priorità una valenza veramente attuativa e operativa.

     Solo in tal modo si possono limitare resistenze e difficoltà che altrimenti rischierebbero di vanificare la tempestività degli interventi.

     Ciò premesso, va precisata che la erogazione dei finanziamenti è limitata alle sole opere progettate da enti pubblici, convenzionabili di diritto, o dagli enti privati idonei o disponibili al convenzionamento e disponibili ad accettare gli impegni che questo comporta.

     In particolare, le graduatorie di priorità devono privilegiare le opere che consentano di ottenere i maggiori risultati con il minor finanziamento a carico della Regione, sia con riferimento all'entità degli stanziamenti a carico degli Enti indotti dagli stessi finanziamenti regionali, sia con riferimento al rapporto costi/risultati intrinseco di ciascun progetto.

     Vanno quindi accantonati progetti riferiti a strutture che richiedono radicali opere di risanamento statico. Viceversa, assume, in linea generale, priorità il completamento di opere delle quali sono stati finanziati lotti funzionali con L.R. 3 febbraio 1983, n. 11.

     Contestualmente alle proposte per il finanziamento di interventi edilizi, gli Enti Responsabili dovranno rassegnare alla Regione proposte di contributo per l'acquisto di attrezzature ed arredi, secondo scelte di priorità indirizzate a rendere funzionali strutture che abbiano frutto di sostegni finanziari a carico della Regione e che si trovino in avanzato stato di realizzazione.

 

     4.2 Le azioni programmate

 

     4.2.1. L'area dei minori, dell'età evolutiva e del disadattamento.

 

     4.2.1.1. Finalità generali e obiettivi

     Il P.S.A. vuole fornire gli elementi fondamentali per impostare correttamente una politica complessiva a favore dei minori, pertanto indica le linee lungo le quali articolare gli impegni operativi e finanziari, sollecitando altresì la creazione di strumenti capaci di renderne possibile l'attuazione.

     C'è la necessità del rilancio di una politica del minore, raccordata funzionalmente con le altre politiche più generali, ma caratterizzata da una sua specificità perché mirata a dare rilievo alla centralità del bambino quale soggetto di diritti, riconoscendo, al tempo stesso, l'importanza e la peculiarità dei problemi che egli prospetta.

     Tutto ciò implica affrontare questa tematica con sistematico impegno e secondo una visione complessiva del benessere psico-fisico e sociale del minore.

     Bisogna quindi privilegiare la multidisciplinarietà dell'analisi dei problemi di questi soggetti, nel rispetto dell'unitarietà della persona, coinvolgendo sinergicamente diversi ambiti e competenze per creare una strategia mirata.

     E' evidente che si impone la necessità di intervenire in quest'area secondo la modalità del progetto-obiettivo; la stessa legge 23 ottobre 1985, n. 595 «Norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986/88» prevede tra i progetti obiettivo «La tutela della salute della donna, delle scelte consapevoli e responsabili di procreazione, della maternità, lotta alla mortalità infantile e la tutela della salute nell'età evolutiva; la prevenzione e la cura delle malattie congenite ed ereditarie», come parte integrante dei piani sanitari regionali. Trattandosi di progetto integrato, il Piano socio-assistenziale intende declinare un'azione programmata minori per definire quale impegno operativo generale deve essere assunto e come esso debba fare confluire nella rete complessiva degli interventi le attività specificatamente socio- assistenziali, le cui competenze sono da considerarsi interdipendenti rispetto al fine proposto.

     La presente azione programmata minori si propone, innanzitutto, di creare i presupposti affinché siano garantiti al minore:

     - il diritto alla salute, ribadendo che l'attuale concetto di salute include non solo gli aspetti fisici ma anche quelli psichici e sociali del benessere;

     - il diritto a condizioni e strumenti più favorevoli alla educazione e alla socializzazione, attraverso il coinvolgimento delle famiglie e di più istituzioni e forze sociali: scuola, area extrascolastica, mondo del lavoro;

     - il diritto fondamentale di protezione e tutela.

     Va dunque sottolineato che la migliore «tutela dei minore» si ottiene attraverso il concorso di tutte le componenti spontanee ed istituzionali, in modo da attivare un'azione più incisiva ed efficace rispetto ad uno stato di bisogno che sovente produce una situazione psicologicamente onerosa per il minore che lo porta a distorsioni di rapporto con se stesso e con gli altri.

     La strategia da attivare contempla interventi complessi per il perseguimento delle seguenti finalità generali:

     - il mantenimento della salute: il perseguimento di tale finalità dipende da interventi non solo riparativi del danno, ma innanzitutto da interventi tesi alla prevenzione, in una logica di integrazione tra sociale e sanitario (assistenza sociale e sanitaria durante: la gravidanza, il parto, il periodo neonatale, la prima infanzia, l'età evolutiva);

     - lo sviluppo psico-fisico: il perseguimento di tale finalità è strettamente legato al rapporto persona/ambiente, perciò ad ogni minore deve essere riconosciuto il diritto a crescere nella propria famiglia e nel proprio ambiente. La famiglia, quale società naturale titolare di diritti e doveri e soggetto socialmente attivo per la promozione di una società ispirata ai principi di solidarietà umana, economica, civile e politica, è uno dei riferimenti privilegiati delle politiche sociali e, come tale, deve essere aiutata a svolgere la sua funzione, prevedendo adeguati supporti, quali ad esempio servizi di consulenza e di sostegno alla funzione genitoriale.

     Per quanto riguarda la scuola, si tratta di raccordare questa agenzia con la complessiva rete dei servizi sulla base di una programmazione educativa concordata, che si articola in progettazioni individuali volte alla valorizzazione delle singole personalità.

     Ma né la famiglia né la scuola, né le due istituzioni insieme, possono esaurire i bisogni educativi del minore; occorre riconoscere l'importanza del ruolo assolto dalle istituzioni operanti all'esterno della scuola: è l'area extrascolastica, nella quale adiscono gli Enti locali, le associazioni private con le loro iniziative sociali, ricreative, sportive e culturali:

     - la tutela precoce ed effettiva dei minori: il perseguimento di tale finalità, oltre che servizi adeguati, comporta la presenza di un apparato di giustizia minorile diffuso nel territorio, partecipato attraverso la presenza di esperti in discipline extragiuridiche, collegato con i servizi e l'organizzazione sociale.

     Stante quanto sopra evidenziato, la presente azione programmata individua quale criterio di lettura degli interventi socio-assistenziali quello sistemico, e quale modalità di realizzazione degli stessi quella dell'integrazione.

     Posto che una corretta politica d'intervento parte dalla centralità del «soggetto minore», la strategia, innescata dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 ed esplicitata dal presente P.S.A., è quella di pervenire ad un sistema di servizi che ad esigenze specifiche dia risposte flessibili e modulari di intervento. In tal senso la rete dei servizi assume le caratteristiche di un sistema integrato che prevede anche l'intervento del privato, in cui la gestione sociale è potenziata e sostenuta non come presenza generica, ma come presenza degli utenti che vogliono organizzarsi per la compartecipazione alla gestione dei servizi.

     Sulla scorta delle più recenti acquisizioni socio-pedagogiche, sembra corretto affermare che, in un'ottica di migliore utilizzo e validità dei servizi stessi, questi ultimi debbano rivolgersi oltreché al singolo soggetto interessato, essenzialmente al suo gruppo di riferimento primario, rappresentato dal nucleo familiare di appartenenza.

     La motivazione fondamentale da cui scaturisce la necessità dell'intervento sociale nei confronti della famiglia deriva dalla centralità che essa ha come unità primaria dei servizi, rispetto alla quale la rete assistenziale si deve porre in termini di aiuto e di sostegno.

     Inoltre a partire dall'analisi dell'evoluzione dei modelli familiari durante l'ultimo decennio, occorre da un lato tener conto del variare delle dimensioni del nucleo familiare e, dell'aumento del numero dei componenti che concorrono alla formazione del reddito; dall'altro, dall'aumento del numero di donne consapevoli del ruolo autonomamente esercitabile all'interno della vita politica, culturale, lavorativa, nonché dall'emergere delle diverse esigenze educative che tale nuova organizzazione familiare comporta nei confronti dei figli.

     Le politiche sociali pertanto devono obbligarsi a tener conto del peso che tali fattori sempre più avranno nel futuro sulla organizzazione familiare, sulle relazioni di coppia e con i figli, sulla diversa organizzazione del lavoro, sulla esigenza di maggiore elasticità della rete dei servizi.

     L'assunzione della famiglia come unità di riferimento per il sistema dei servizi costituisce indicazione metodologica ormai consolidata; in genere si possono riconoscere alla famiglia due ruoli per quanto attiene i servizi: un primo ruolo riguarda la famiglia come produttrice di servizi; un secondo ruolo vede nella famiglia il luogo in cui avviene l'integrazione con i servizi forniti dal settore pubblico e, attraverso questa integrazione, la possibilità di utilizzo dei servizi stessi. Questi ruoli di produzione di servizi e di mediazione delle famiglie rispetto ai servizi prodotti dal pubblico diventano decisivi quando si tratta dei bambini e degli adolescenti.

     La capacità della famiglia, come dimostra la recente ricerca I.R.e.R.: «Famiglia e servizi sociali», di svolgere un ruolo corretto di integrazione con il sistema dei servizi non è per altro presente in maniera omogenea e diffusa, bensì legata alle caratteristiche socio-economiche e al livello culturale e di scolarizzazione, così come un ruolo non indifferente rispetto alla mancata integrazione è provocato dalla rigidità dei modelli di servizio che in genere il settore pubblico è in grado di offrire.

     La caratterizzazione della domanda è tale per cui pare inadeguato rispondervi solo in termini di estensione quantitativa dell'offerta di servizi, secondo i modelli attualmente prodotti; rimarrebbero in questo caso senza risposte le istanze relative alla qualità dei servizi e alla domanda di trasformazione che la stessa ricerca ha posto in luce in relazione ai modelli organizzativi e di contenuto.

Parallelamente al superamento delle inadeguatezze dell'offerta, occorre uno sforzo progettuale che parta dall'analisi critica del rapporto tra servizi e bisogni.

     La scelta delle problematiche giovanili come secondo polo di riferimento delle politiche sociali è dovuta all'emergere di uno stato di disagio sempre più diffuso in ordine a:

     - difficoltà nel processo di socializzazione dovuta a fenomeni di carenza o disgregazione familiare;

     - solitudine del giovane nella ricerca di una autonoma maturazione della personalità e nella elaborazione di una capacità critica di giudizio nei confronti dei modelli culturali dominanti;

     - conseguente conflittualità sia con la famiglia che con gli altri tradizionali istituti di socializzazione;

     - manifestazioni di disadattamento e di devianza, che assumono in alcuni casi caratteristiche vistose quali: droga, violenza, ecc.;

     - difficoltà di inserimento nel mondo del lavoro.

     Infine il Piano intende intervenire su bisogni diversi che hanno riflesso sul sistema socio-assistenziale nel suo insieme, in quanto molto spesso inducono una forte richiesta di interventi sociali riparatori: ci si riferisce a bisogni legati alla disoccupazione giovanile e allo scollamento esistente tra il mondo scolastico formativo e i possibili sbocchi lavorativi, alla rigidità dell'attuale organizzazione del lavoro, ai bisogni derivanti da non autosufficienza economica, con l'obiettivo di stimolare, attraverso l'analisi delle cause che provocano alcune patologie sociali e la diffusione delle relative informazioni, l'intervento degli altri sistemi, per giungere a una modifica significativa delle cause stesse.

     Sulla base delle finalità generali del Piano che consistono nella diffusione di una cultura preventiva, nello sviluppo e nella valorizzazione della solidarietà sociale, questa azione programmata, da integrare con il P.O. «Materno infantile» di prossima elaborazione quale allegato al Piano Sanitario Regionale, mira per la famiglia:

     - all'armonico sviluppo delle relazioni familiari nonché al rapporto tra genitori e figli;

     - alla tutela della procreazione responsabile;

     - alla promozione e tutela di una capacità di accoglienza dei minori in difficoltà in contrapposizione con i fenomeni di ricorso all'istituto.

     Per quanto riguarda l'area giovanile l'intervento socio-assistenziale mira:

     - ad ostacolare processi di emarginazione sociale o di socializzazione distruttiva anche attraverso la promozione dell'integrazione lavorativa dei giovani, per la realizzazione della quale si rimanda alla legge regionale sull'occupazione giovanile;

     - a favorire occasioni di socializzazione positiva, nonché fornire informazioni e strumenti per consentire il miglior utilizzo delle risorse culturali, ricreative e di inserimento lavorativo, anche in collegamento con le finalità generali dell'Osservatorio Permanente sulla Condizione Giovanile, istituito dal Settore al Coordinamento per i Servizi Sociali.

     Infine è obiettivo strumentale necessario per la corretta attuazione del Piano quello da un lato di acquisire maggiori conoscenze sul versante della domanda sociale (a ciò è appunto finalizzata la ricerca SOCIAL SURVEY già attuata, nonché l'Osservatorio sulla Condizione Giovanile) e dall'altro di prefigurare un più articolato sistema di servizi, caratterizzati ognuno dalla maggior flessibilità ottenibile in quanto a criteri di organizzazione e capacità di adeguamento alla domanda.

L'obiettivo innescato dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 e dal presente Piano è di pervenire a un sistema di servizi che ad esigenze specifiche dia risposte flessibili e modulari di intervento, cioè un sistema all'interno del quale più unità di offerta concorrano in un progetto comune ad un'offerta sempre più adeguata alla domanda dei cittadini; in cui la rete dei servizi assuma le caratteristiche di un sistema integrato che prevede anche l'intervento del privato; in cui la gestione sociale sia potenziata e sostenuta, non come presenza generica ma come presenza degli utenti che vogliono organizzarsi per una compartecipazione alla gestione dei servizi.

     Si tratta cioè di pervenire, nell'arco del triennio, ad un più razionale utilizzo di tutte le strutture e servizi esistenti, sia al fine di istituire o potenziare la rete integrata di servizi alla famiglia, sia per le riconversioni finalizzate agli interventi di prevenzione e a quelli riparatori nell'area del disadattamento e della devianza giovanile.

     Questi obiettivi generali vengono perseguiti attraverso la realizzazione di un sistema integrato e organico di prestazioni e servizi a carattere preventivo, di sostegno alle famiglie, di sostituzione del nucleo familiare.

     La presente azione pertanto prevede una serie di interventi che, se pur in larga misura centrati sui minori, supportano la famiglia nella direzione di esercitare i suoi diritti e farsi pieno carico del proprio ruolo attivo, offrendo tutti i sussidi di formazione, di sostegno e di prevenzione affinché essa sia effettivamente in grado di adempiere il proprio ruolo.

 

     4.2.1.2 Il modello organizzativo.

     Una delle condizioni strumentali necessarie alla realizzazione dell'azione programmata minori è quella relativa alla elaborazione di un modello organizzativo in grado di garantire efficacia e unitarietà all'intervento. In coerenza a quanto esplicitato in tutto il P.S.A., il modello organizzativo proposto si sviluppa su due momenti, zonale e distrettuale, e prevede:

     - l'unità operativa zonale minori, formata dagli operatori sociali che garantiscono:

     - le strategie complessive di intervento nell'area;

     - l'elaborazione, nelle linee generali, di progetti individuali di intervento;

     - le verifiche di efficacia.

     Tale U.O. costituisce il nucleo di operatori che confluirà nel dipartimento zonale materno-infantile, dipartimento che deve costituire l'asse portante per la realizzazione del progetto obiettivo e, come tale, prevedere la presenza di tutte le figure sanitarie specialistiche necessarie. Analogamente a quanto il P.S.A. definisce nel P.O. handicap, il dipartimento materno infantile potrà esprimere un nucleo dipartimentale zonale, deputato ad assorbire e svolgere le funzioni prima individuate per l'unità operativa zonale «minori»;

     - l'èquipe socio-sanitaria di distretto, e per essa l'Unità Operativa degli interventi sociali di base, per la individuazione della quale si rimanda ad altro paragrafo del presente P.S.A., anche in merito alla descrizione delle prestazioni e attività da svolgere.

     Nell'attuale organizzazione dei servizi, esiste un terzo polo di intervento costituito dalla rete dei consultori familiari. Tali realtà di servizio, sulla base della legislazione nazionale e regionale istitutiva, svolgono prestazioni e attività che sono, per molti contenuti, assimilabili a quelle svolte dai due livelli organizzativi prima citati.

     Ciò implica la necessità di uno stretto raccordo operativo, in attesa che venga definito a livello di Piano sanitario regionale l'organizzazione complessiva del dipartimento materno-infantile.

     Risulta perciò indispensabile pervenire a una modifica della attuale operatività del consultorio, individuando le prestazioni di base da effettuarsi nel distretto, come integrazione progettuale e operativa tra le èquipe consultoriale e quella del distretto socio-sanitario.

     Vanno poi evidenziate le prestazioni più complesse e rarefatte, per così dire «specialistiche», da riferirsi obbligatoriamente al livello zonale.

     Va tenuto presente che il servizio di assistenza sociale dell'USSL, e per esso l'U.O. zonale, è il livello responsabile della programmazione generale e della progettazione degli interventi, e che il personale sociale della èquipe consultoriale dipende da detto servizio e allo stesso risponde della propria attività. La scelta di mantenere il consultorio come organizzazione di servizio autonoma comporta per il personale psico-sociale ivi operante una dipendenza gerarchica dal servizio di assistenza sociale dell'USSL e una dipendenza funzionale dal «consultorio», in modo analogo a quanto già esplicitato per la partecipazione del personale sociale alle unità operative di psichiatria o della tossicodipendenza.

 

     4.2.1.3 Le strategie e le modalità di intervento

     La programmazione di un quadro strategico d'intervento nella complessa area dei minori deve fondarsi su due elementi fondamentali: la progettazione individuale che partendo dalla persona e dalle sue interrelazioni, fissa gli obiettivi da raggiungere, definisce strumenti, tempi e verifiche; essa deve svilupparsi in maniera sintonica e coerente all'interno della progettazione più generale definita per l'area. L'integrazione che costituisce non solo una modalità di coordinamento di più comparti, ma è anche una modalità di lavoro fra le diverse figure professionali chiamate ad operare per il perseguimento di un obiettivo comune, che porta ognuna di loro a modificare, di fatto, il proprio modo d'intervenire.

     Una classificazione delle modalità d'intervento a favore dei minori individua due macroinsiemi: quello riferito alla prevenzione e quello riguardante la riparazione. La suddivisione può apparire rigida, ma è inevitabile in qualsiasi operazione teorico-concettuale. Proprio per sgombrare il campo da fraintendimenti, va evidenziato che nell'ambito degli interventi sia di prevenzione che di riparazione sono sottese altresì finalità di sostegno alla famiglia, per evitare in qualsiasi modo che avvenga l'espulsione del minore dal nucleo familiare o comunque che, laddove essa si verifichi, sia recuperabile ed il soggetto possa reinserirsi.

     Dallo schema allegato, le modalità di intervento che si intendono assumere, e conseguentemente gli obiettivi di piano realizzabili nel triennio, partono dall'individuazione delle due grosse aree (quella della prevenzione e quella della riparazione), rispetto alle quali gli interventi da porre in atto vengono così declinati:

     A) Area della prevenzione:

     Gli interventi previsti sono sia specifici (cioè interventi che devono realizzarsi e hanno probabilità di successo solo se vedono congiuntamente impegnati più comparti interessati) che specifici (che comprendono più propriamente tutte le attività tipicamente socio-assistenziali che afferiscono al settore).

     Rientrano nella prima tipologia tutte le azioni di carattere preventivo volte a tutelare i diritti alla salute, all'educazione e socializzazione, alla protezione e tutela, e che devono vedere coinvolte tutte le altre agenzie (dalla scuola alla formazione professionale, dalla sanità al tempo libero, al lavoro ecc.).

     La funzione dell'intervento preventivo specifico può essere diretta o indiretta a seconda che si rivolga direttamente al minore oppure indirettamente allorché esso si declina nelle agenzie sopra indicate.

     Gli interventi specifici a loro volta possono distinguersi in:

     - interventi diretti: pur rivolgendosi direttamente al minore, sono anche di sostegno al suo nucleo familiare e coincidono con la tutela dei bisogni primari e quotidiani, quali l'alimentazione, l'educazione, la socializzazione, la custodia, il tempo libero e vedono interessate quali unità di offerta di riferimento gli asili nido, i centri di aggregazione giovanile, i centri ricreativi diurni, il servizio di assistenza domiciliare;

     - interventi indiretti: pur rivolgendosi al nucleo familiare, svolgono indirettamente un'azione preventiva nei confronti del minore; tali interventi di norma afferiscono a prestazioni riferite all'assistenza psicologica e sociale al singolo, alla coppia e alla famiglia, sia in ordine ai rapporti interpersonali che alle loro implicazioni di carattere psicologico e sociale (L.R. 6 settembre 1976, n. 44) e si estrinsecano attraverso le prestazioni professionali degli operatori sociali che operano a livello territoriale (distretto, zona, consultorio, ecc.).

     B) Area della riparazione:

     Come già descritto all'inizio della presente azione programmata, al minore devono essere garantiti il diritto alla salute, all'educazione e socializzazione, per un armonico sviluppo psico-fisico, nonché alla protezione e tutela.

     Si tratta di assicurare una funzione educativa diffusa e costante attraverso la comunità familiare e sociale, che è l'ambito naturale nel quale il minore deve trovare gli aiuti di cui ha bisogno, e la rete complessiva dei servizi che deve offrire tali aiuti.

     Può accadere che la funzione educativa diffusa si riveli insufficiente a causa di un qualunque incidente nel «percorso di normalità» del minore; in particolare ci si riferisce a situazioni cui i bisogni evolutivi del minore non vengono soddisfatti. Si rendono quindi necessari interventi di riparazione per garantire al minore una compensazione alle carenze manifestatesi.

     Nel merito, effetti negativi sullo sviluppo psico-fisico del minore possono essere determinati da:

     - interruzione della funzione educativa: imprevedibilmente e in modo irreparabile può venir meno un elemento portante della rete affettiva. Si pensi ad esempio a situazioni di separazione dei genitori, morte e malattie nell'ambito del nucleo familiare, ecc.;

     - distorsione della funzione educativa: è una alterazione nelle relazioni psico-affettive che causano il peggioramento e la cronicizzazione degli elementi patologici presenti. A titolo esemplificativo ci si riferisce a situazioni di inadeguatezza educativa provocate da: malattia psichica di un genitore, alcoolismo, comportamenti irregolari ecc.

     Gli interventi di riparazione, attivati per protegge il minore da un rischio o per tutelarlo da un danno, sono difficilmente riconducibili ad una rigida classificazione, poiché ogni singolo caso ha una sua specificità, e pur se analogo ad altra situazione per la riproposizione di elementi simili, se ne discosta per sfumature molteplici che gli conferiscono peculiarità.

     Diventa pertanto indispensabile predisporre gli interventi sulla base di una diagnosi dinamica, la quale deve fondarsi sull'analisi ed esame della realtà, sulla valutazione del complesso situazionale e della tendenza dei rapporti interpersonali, sulla valutazione della capacità evolutiva del nucleo familiare, del minore e del contesto sociale.

     Da ciò discende la valutazione di reversibilità o di irreversibilità della interruzione/distorsione della funzione educativa.

     Il concetto di reversibilità sta ad indicare il processo di trasformazione che avviene attraverso una successione di stati di equilibrio e quindi di ripristino dell'equilibrio della famiglia e della sua funzione educativa.

     Per irreversibilità si intende che la funzione educativa è irrecuperabile e che la situazione determinatasi va in una direzione che non può essere invertita.

     Il principio della globalità dell'intervento va affermato come irrinunciabile accanto alla definizione di progetti individuali, così pure va riaffermato il principio dell'integrazione, esplicitato in altra parte dell'azione programmata.

 

STRATEGIE E MODALITA' D'INTERVENTO

(Omissis)

 

     4.2.1.3.1 Area della prevenzione

     A) Interventi specifici

     Un'azione preventiva a favore dei minori deve perseguire l'obiettivo della tutela e della salvaguardia della qualità della loro vita e del loro contesto relazionale.

     Nel quadro degli interventi preventivi, che hanno come riferimento generale il percorso di «normalità di vita» del minore, il settore socio- assistenziale progettualmente si inserisce negli spazi lasciati vuoti da altre istituzioni (scuola, area extrascolastica, servizi sanitari, mondo del lavoro) ed opera per il recupero e la valorizzazione di una cultura del sociale.

     Prevenire nell'area dei minori implica avere come riferimento più generale la famiglia; ciò connota quindi l'intervento di una doppia finalità, di prevenzione da un lato e di sostegno al nucleo familiare dall'altro.

     Secondo la definizione data dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, il concetto di salute va considerato nella sua accezione globale di «completo benessere fisico, mentale e sociale». Dato questo presupposto, fare prevenzione significa prefigurare interventi di educazione che sappiano rispondere alla necessità di assicurare oggettive informazioni tecniche e promuovere adeguati comportamenti, singoli e collettivi, in relazione a specifici temi ed aspetti dei problemi che, in sede di prevenzione, di diagnosi e cura, di riabilitazione, si pongono sia per il soggetto, che per la comunità, che per gli stessi operatori.

     Gli interventi sono pertanto rivolti a tutta la popolazione e devono essere attivati in più sedi (consultorio, scuola, servizi extrascolastici, luoghi di lavoro) proprio per raggiungere il maggior numero di persone.

     Nel caso degli adolescenti, la doppia connotazione dell'intervento preventivo tende a sfumare, se si riconosce il processo di emancipazione dalla famiglia che in questa età è presente, cosicché il giovane ricerca spazi esterni in cui realizzarsi in termini di identità personale e di integrazione sociale.

     Nei confronti degli adolescenti una politica di prevenzione mira ad intervenire prioritariamente e direttamente sul soggetto, attivando strategie mirate al raggiungimento di una piena maturazione personale (identità, autonomia, capacità di relazione).

     Il livello distrettuale è, per le sue caratteristiche ed attività, deputato a realizzare questi interventi di base e l'équipe socio-sanitaria distrettuale è competente ad operare in quest'ambito in collaborazione con l'équipe consultoriale.

     Rientrano in una logica di prevenzione anche tutti quei servizi che si propongono di garantire al minore un armonico sviluppo psico-fisico favorendone l'educazione e la socializzazione. Ci si riferisce da un lato alle agenzie educative, vale a dire, all'asilo nido, alla scuola materna, alla scuola (dell'obbligo, superiore, formazione professionale...); dall'altro all'ampio ventaglio di servizi della cosiddetta area extrascolastica, finalizzati a favorire occasioni di socializzazione positiva in termini di aggregazione e di impiego del tempo libero, di acculturazione ecc.

     In particolare, per quanto concerne le agenzie scolastiche va ribadito quanto è importante un'attenta valutazione da parte dei docenti dei livelli di partenza dei ragazzi e rispetto a questi programmare l'intervento educativo-formativo per favorire al massimo l'espressione della potenzialità e la valorizzazione della personalità.

     Il lavoro pedagogico del personale scolastico deve, però, essere supportato ed integrato, laddove sia necessario, da contributi che il comparto socio-assistenziale garantisce attraverso il coinvolgimento di specifiche figure professionali (psicologo, pedagogista, assistente sociale).

     A titolo esemplificativo, agire per prevenire e ridurre il fenomeno degli abbandoni scolastici implica l'individuazione di azioni progettate in stretto raccordo tra scuola, enti locali e forze sociali per rimuovere le cause determinanti tale fenomeno, rafforzando anche gli interventi nel campo dell'orientamento.

     Rispetto all'area extrascolastica, il metodo dell'integrazione e della progettazione deve mirare non solo a raccordare le agenzie educative con questi ambito, ma anche a favorire una maggiore flessibilità della scuola affinché giochi un ruolo di rilievo anche nell'extrascuola (ad esempio promozione di attività di socializzazione qualificate di tipo espressivo e d'impiego mirato del tempo libero).

     Favorire occasioni di socializzazione positiva, fornire altresì informazioni e strumenti per consentire il migliore utilizzo delle risorse culturali, ricreative e iniziative di inserimento lavorativo sono interventi preventivi. A questo proposito si ricorda la prossima istituzione dell'Osservatorio Permanente sulla Condizione Giovanile, a cura del Settore al Coordinamento per i Servizi Sociali, che nelle sue finalità generali intende concretizzare le azioni appena citate.

     Merita infine una riflessione il tema del diritto al lavoro, perché esso deve poter essere garantito immediatamente, o quanto meno entro tempi accettabili, allorché il giovane fuoriesce dal circuito scolastico. In caso contrario, si viene a creare una situazione a rischio che a lungo andare può determinare uno status di emarginazione.

     Il lavoro rappresenta difatti per il giovane uno strumento di realizzazione esistenziale, di maturazione della personalità, di integrazione sociale.

     Intervenire efficacemente rispetto all'inserimento lavorativo dei giovani significa:

     - adeguare gli interventi di formazione scolastica e professionale, affinché questi siano da un lato acquisizione di reale professionalità, dall'altro realizzino il raccordo tra domanda ed offerta di nuova occupazione;

     - accentuare la trasparenza del mercato del lavoro mediante il reale funzionamento degli osservatori del mercato del lavoro, deputati a fornire dati precisi circa l'andamento della domanda e dell'offerta (non solo in termini quantitativi ma anche qualitativi), le linee di tendenza dello sviluppo economico e dei processi occupazionali.

     La presente azione programmata ritiene particolarmente importante citare qui di seguito una serie di strumenti legislativi che, se utilizzati correttamente, possono favorire l'inserimento lavorativo dei giovani;

     - L. 19 dicembre 1984, n. 863 «Misure urgenti a sostegno e ad incremento dei livelli occupazionali» che prevede l'assunzione nominativa mediante l'uso del contratto di formazione e lavoro di durata non superiore a 24 mesi e non rinnovabile, per lavoratori di età compresa tra i 15 e i 29 anni;

     - L.R. 10 dicembre 1968, n. 68 «Interventi a sostegno di nuove iniziative imprenditoriali giovanili» che prevede contributi diversi ad incentivo di tali iniziative;

     - L.R. 7 agosto 1986, n. 32 «Interventi a sostegno della cooperazione per la salvaguardia e l'incremento dei livelli occupazionali» che prevede, peraltro, contributi per la costituzione di cooperative di produzione e lavoro da parte di giovani.

     Resta tuttavia indefinita l'area degli interventi propedeutici all'inserimento lavorativo, specie per i soggetti in situazione di svantaggio. Nell'arco del triennio si effettueranno sperimentazioni in quest'ambito al fine di definire le strategie d'intervento più adeguate ed incisive.

     La tutela precoce ed effettiva dei minori, oltre che servizi adeguati, comporta la presenza di un apparato di giustizia minorile diffuso nel territorio, partecipato attraverso la componente tecnico-professionale, collegato con i servizi e l'organizzazione sociale. Esige, altresì, un corpo di norme sostanziali e procedurali in materia civile e penale che attribuiscano tutti gli interventi sul rapporto educativo e tutte le funzioni tutorie sui minori all'unico organo giurisdizionale minorile. Più che un adeguamento normativo di tipo repressivo di certi comportamenti che hanno per soggetto passivo il minore, è utile una cultura più avanzata che sia un filtro più adatto di applicazione concreta della norma al caso specifico.

     Ad esempio nel concetto di maltrattamento non rientra solo la violenza di tipo fisico ma ogni fatto che determina, per la sua carica endemica, aggressione e violenza alla psiche del bambino.

     La tutela dei diritti del minore è prevista dalla nostra Costituzione agli artt. 2 e 3, ma non con una focalizzazione precisa, bensì come conseguenza naturale dell'esistenza del diritto di ogni essere umano a realizzare adeguatamente la propria personalità e a vedere eliminati dallo Stato tutti quei vincoli ed ostacoli che di fatto limitano o impediscono lo sviluppo pieno della persona.

     Solo la Legge sulla riforma del Diritto di Famiglia del 1975 e la legge 4 maggio 1983, n. 184 sulla disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori hanno statuito alcuni principi in virtù dei quali il minore è destinatario non solo di tutela giuridica. La tutela si connota quindi per un diverso contenuto più pregnante del diritto di personalità del minore, pertanto si tratta non solo di tutela materiale ma di tutela dei diritti di personalità.

     Sotto questo profilo la L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 ha previsto, anticipando le proposte di riforma della legislazione nazionale, all'art. 65, l'ufficio di Pubblica Tutela. La realizzazione di tale ufficio può costituire utile strumento per avviare a soluzione i problemi nei quali il minore non è adeguatamente rappresentato per i bisogni specifici che prospetta. Tra i compiti dell'ufficio di Pubblica Tutela appaiono particolarmente significativi quelli inerenti alle attività promozionali volte anche al reperimento delle persone disponibili a svolgere la funzione di tutore, ovvero la promozione in via amministrativa per la tutela di interessi collettivi dell'infanzia.

     L'individuazione dei poteri e delle facoltà dell'ufficio di Pubblica Tutela, del raccordo con i servizi, sarà oggetto di approfondimenti successivi e di iniziative sperimentali.

     Nel merito del trattamento della devianza, si è visto come l'attività strettamente repressiva ha mostrato limitati segni produttivi sia perché investe una minima parte rispetto agli effettivi devianti, sia perché ottiene inconsistenti risultati di recupero, talora la carcerazione diventa una causa controproducente per il medesimo soggetto e al tempo stesso contagiosa, venendo meno così lo scopo che secondo la nostra stessa Costituzione dovrebbe avere l'espiazione delle pene.

     Vi è, a questo proposito, da parte del sistema giudiziario la tendenza a sostituire la carcerazione con forme alternative di «controllo sociale». Affinché ciò si realizzi concretamente, è assolutamente indispensabile che la rete dei servizi territoriali si mobiliti in termini progettuali ed operativi per favorire il riassorbimento del disadattamento da parte dell'ambiente sociale.

     Il raccordo effettivo tra sistema giudiziario e servizi territoriali è pertanto la modalità di lavoro favorevole per raggiungere questo obiettivo.

     Per indicazioni più precise su questa specifica tematica, si fa rinvio all'azione programmata sulle carceri contenuta nel presente P.S.A.

     B) Interventi specifici

     Come già precisato a proposito di questi interventi nel paragrafo su «le modalità e le strategie di intervento» essi si suddividono in indiretti e diretti. Quelli indiretti sono così definiti in quanto svolgono una funzione diretta di sostegno al nucleo familiare e indiretta di prevenzione a favore del minore.

     Tali interventi che si sostanziano attraverso le prestazioni professionali degli operatori psico-sociali sono inerenti alle seguenti tematiche:

     - l'informazione e l'educazione per una procreazione consapevole e responsabile;

     - le misure di carattere eugenetico in caso di malattie familiari trasmissibili;

     - il controllo qualificato della gravidanza e il tempestivo riconoscimento e trattamento delle gestazioni a rischio;

     - controlli sistematici sullo stato di salute del minore durante il periodo neonatale, la prima infanzia, l'età evolutiva;

     - la prevenzione dell'aborto volontario, in specie quello minorile, con l'individuazione e la rimozione, ove possibile, delle cause sociali che spingono a questa scelta;

     - l'elaborazione delle «mappe di rischio».

     Rispetto agli interventi specifici diretti così definiti perché agiscono direttamente a favore dei minori ed indirettamente sostengono il nucleo familiare, la presente azione programmata minori esplicita gli obiettivi che si prefigge di raggiungere nel corso del triennio a supporto delle strategie e degli interventi specifici precedentemente definiti.

 

     Asilo nido

     L'asilo nido si colloca tra le unità di offerta a carattere preventivo per la natura del servizio e per le prestazioni che rende alla collettività; si tratta infatti di un servizio che rispondendo a bisogni specifici deve innestarsi in una cornice più complessiva di politiche sociali.

     L'asilo nido, in questa concezione che supera quella di assistenza di tipo igienico-sanitaria e custodialistica,

stabilisce il diritto di ammissione per tutti i bambini

indipendentemente dalle loro condizioni psico-fisiche e dalle condizioni socio-economiche delle famiglie di provenienza. Esso garantisce, attraverso una programmazione attenta delle

attività, l'armonico sviluppo psico-fisico dei bambini

proponendosi quale luogo educativo, pedagogico e soprattutto di effettiva socializzazione, senza peraltro trascurare gli aspetti legati alla prevenzione sanitaria.

     Ovviamente questo tipo di servizio ha anche una forte valenza di sostegno alla famiglia sia in senso educativo (raccordo tra operatori e genitori e supporto pedagogico della funzione genitoriale) sia in senso più semplicemente di supporto alla donna lavoratrice.

     Il Piano socio assistenziale, nel confermare l'impostazione di fondo del servizio «nido», deve peraltro confrontarsi con l'attuale situazione della rete lombarda dei nidi, caratterizzata da profondi squilibri che, se non corretti attraverso l'azione congiunta del livello regionale, dei livelli locali e degli operatori, rischiano di inficiare tutto quanto finora realizzato, se non addirittura di portare ad una diminuzione progressiva ma inarrestabile delle unità di offerta oggi esistenti. Aumentano infatti le richieste di diverso utilizzo delle strutture così come sempre più frequentemente gli enti gestori evidenziano difficoltà gestionali legate all'aumento dei costi. Ciò comporta per il Settore una valutazione attenta delle cause che hanno provocato l'attuale situazione di crisi, con l'obiettivo di individuare modalità di intervento che consentano di superare i nodi problematici di seguito evidenziati, al fine di mantenere il servizio stesso in un quadro di compatibilità che tenga conto sia dei bisogni della collettività, che delle esigenze di razionalizzazione e di contenimento degli oneri finanziari ulteriormente non più dilatabili.

     La consistenza attuale (anno 1985) della rete dei nidi lombarda è rappresentata da n. 439 strutture pubbliche, a cui vanno aggiunte n. 44 strutture private autorizzate a funzionare sulla base dei requisiti a suo tempo stabiliti dal Consiglio Regionale. Tale rete, che può considerarsi ormai consolidata, ha una capacità ricettiva di 20.401 posti, pari all'8% della popolazione 0-2 anni; se però si analizza la fruizione reale del servizio si evidenzia una situazione a dir poco problematica: il numero degli iscritti, pari a 14.968 unità, dà un indice di saturazione (rapporto iscritti/capienza) pari al 73,4%, il numero dei frequentati, pari a 11.055 unità, dà un indice di utilizzo (rapporto frequentanti/capienza) pari al 54,2%. Tali dati sono riferiti all'anno 1985, ma l'analisi della serie storica, effettuata dal Settore a partire dal 1980, mette in luce una linea di tendenza che vede sia l'indice di saturazione che l'indice di utilizzo in costante diminuzione nel corso dell'arco di tempo prima indicato (si passa rispettivamente dall'87,1% del 1980 al 73,4% del 1985 e dal 74,4% del 1980 al 54,2% del 1985).

     Nello stesso arco di tempo, l'andamento dei costi ha, per converso, fatto riscontrare un costante aumento: il costo medio annuo per iscritto è passato dai 3,3 milioni del 1980 agli 8,7 milioni del 1985; il costo medio per frequentante dai 3,8 milioni del 1980 agli 11,8 milioni del 1985. Contemporaneamente l'incidenza percentuale dei costi del personale sul costo totale ha fatto riscontrare un trend in lieve aumento (dall'81% del 1980 al 54,2% del 1985).

     Per quanto riguarda il personale, l'analisi dell'organizzazione dei nidi pone in luce la seguente situazione: gli organici e la loro articolazione per figure professionali, la dinamica di crescita del personale ausiliario rispetto agli educatori, il divario fra l'orario di apertura media dei nidi e l'orario del personale, l'articolazione dei turni e delle sostituzioni portano a considerare che il sistema corra il rischio di porre più attenzione agli operatori che agli utenti. Infatti, si è riscontrato un aumento di personale che è passato dalle 2.569 unità in organico del 1980, a fronte di n. 16.108 iscritti e 13.757 frequentanti, alle attuali n. 3.009 unità di personale in organico, a fronte di n. 14.968 bambini iscritti e ai n. 11.055 frequentanti. Se poi si tiene conto che l'indice di utilizzo negli stessi anni (come già esplicitato precedentemente) è diminuito dal 74,4% al 54,2%, si evidenzia con immediatezza uno dei problemi di fondo della rete dei nidi e cioè la divaricazione crescente tra i costi e le possibilità effettive di fruizione.

     La recente emanazione del D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268, che recepisce gli accordi sindacali per il triennio 85/87 relativo al contratto del personale degli enti locali, contiene indicazioni destinate a incidere con ulteriore pesantezza sui costi di gestione: il D.P.R. prevede infatti, all'art. 52 un rapporto medio educatori-bambini non superiore a 1/6; un orario di lavoro settimanale non superiore alle 33 ore; una successiva riduzione del rapporto diretto educatore/bambino a 30 ore settimanali e una riduzione dell'apertura dall'attuale regime alle 42 settimane annue, da attuarsi gradualmente e a seguito di contrattazioni decentrate.

     Tali previsioni, una volta andata a regime, comporteranno per il sistema nidi l'assunzione di circa 800 nuovi educatori, di cui 635 nuove assunzioni e 166 quale quota per le sostituzioni; tale quota è stata calcolata per differenza tra una stima di incremento per le sostituzioni pari al 10% del personale in organico e le attuali eccedenze esistenti di personale (n. 187 unità) pur calcolando il nuovo standard; tali eccedenze vanno riassorbite per le sostituzioni prima di procedere a qualsiasi aumento del personale. L'aumento della spesa complessiva viene stimato attorno al 30% in più dell'attuale costo di personale.

     Altro problema con cui il P.S.A. deve confrontarsi è quello legato alla diffusione territoriale dei nidi: il prevalere, nella pianificazione pregressa degli insediamenti dei nidi, di una logica distributiva, rispetto ad una logica mirata al fabbisogno, ha finito per privilegiare aree a bassa densità demografica, con il conseguente insediamento di asili nido in comuni piccoli e piccolissimi (su 250 comuni lombardi sede di nidi 128 comuni hanno meno di 10.000 abitanti, soglia considerata problematica per la possibile saturazione di una struttura da 30 posti).

     Stante la situazione prima evidenziata, il P.S.A. non può che assumere la finalità generale dell'aumento della produttività del sistema nidi, da realizzarsi attraverso il contenimento dei costi e l'aumento della capacità di fruizione. Si indicano pertanto come obiettivi specifici e prioritari del triennio:

     1) la riconversione delle localizzazioni ipercritiche;

     2) il contenimento dell'evoluzione dei costi di gestione;

     3) il miglioramento delle possibilità di fruizione.

 

     Obiettivo n. 1. Riconversione delle localizzazioni ipercritiche

     Per il raggiungimento del primo obiettivo, supponendo di poter ascrivere alla eccessiva capillarizzazione dei nidi parte delle difficoltà gestionali, nei comuni piccoli e non, il programmatore zonale potrà, nell'arco del triennio, sulla base delle possibilità e dei programmi previsti dai piani zonali e dagli investimenti, procedere alla individuazione di ipercriticità di localizzazione o gestionali confrontando la propria realtà dei nidi con alcuni indicatori quali:

     - scarso utilizzo (indice medio regionale 1985 dei presenti su capienza pari a 54,2%);

     - rapporto tra capacità ricettiva e utenza potenziale (ricordando che un nido di 30 posti ha buone possibilità di essere saturato solo se gli utenti potenziali sono 300, nella realistica ipotesi che gli stessi accedano al nido nella misura del 10%);

     - tasso di occupazione femminile;

     - presenza di altri nidi che per grado di accessibilità, capacità ricettiva, possano offrire una sufficiente risposta alla domanda.

     Sulla base di tali analisi la programmazione zonale deve affrontare dette problematiche in modo incisivo, con soluzioni che incentivino il maggior utilizzo delle strutture attraverso:

     - la riconversione parziale, intendendosi per questo il diverso utilizzo di parte della struttura (fatte salve le indicazioni degli standard strutturali e gestionali) nella direzione di servizi per la prima infanzia, quali consultori pediatrici, sezioni di scuola materna, ecc;

     - la riconversione dell'intera struttura da realizzarsi per altre unità di offerta socio-assistenziali.

     Le opere di riconversioni possono essere indirizzate alla realizzazione di micro-nidi, ossia di servizi con capienza compresa tra 8 e 29 posti, che si collocano presso una struttura di appoggio, ad es. una scuola materna, con la quale possono essere divisi gli oneri di gestione riguardanti le spese generali, il personale ausiliario e la mensa.

     Obiettivo n. 2. Contenimento dell'evoluzione dei costi di gestione

     Dalle informazioni provenienti dal sistema di controllo di gestione emerge una generale bassa produttività dovuta alla continua crescita del personale che si manifesta in presenza e malgrado la diminuzione degli utenti e dei conseguenti carichi di lavoro, con effetti dirompenti sui costi globali e unitari (nel 1985 il costo del personale educativo e l'ausiliario è stato pari all'82,5% del costo totale). Su questo aspetto particolarmente delicato incide in modo determinante l'adozione degli standard gestionali che il presente P.S.A. assume; come evidenziato in premessa, l'indicazione contenuta nel D.P.R. 13 maggio 1987, n. 268 in merito al rapporto educatori-bambini, se attuata con immediatezza, comporta problemi tali da rendere impraticabile l'obiettivo del contenimento dei costi di gestione; va inoltre sottolineato che tale orientamento, seppure contenuto in una norma nazionale, non esautora la Regione dalla potestà di normare gli aspetti organizzativi e programmatori nel quadro della legislazione regionale vigente. Ciò posto, mentre il rapporto medio educatore bambino non superiore a 1/6 può essere assunto come standard programmatorio (con la valenza che tale standard assume all'interno del presente P.S.A., a tale proposito vale quanto precisato al paragrafo 1.5 del capitolo 1) si riconferma per il triennio lo standard gestionale contenuto nell'allegato 2 del presente documento.

     L'adozione di tale standard consente l'avvio di un processo di razionalizzazione tendente al contenimento dell'evoluzione dei costi di gestione, senza pregiudicare la qualità e quantità delle prestazioni erogate.

     Va infatti considerato che la precedente normativa obbligava ad assicurare la presenza di un educatore ogni cinque bambini presenti di età inferiore all'anno e ogni otto bambini di età superiore all'anno, senza precisare le fasce orarie in cui questo rapporto doveva essere garantito, con la conseguenza di indurre i Comuni gestori all'assunzione di personale in misura tale da garantire i sopracitati rapporti in ogni momento della giornata e quindi in misura anche superiore all'effettiva necessità. Considerata, infatti, la divaricazione tra le ore di apertura giornaliere del nido e le ore di presenza di ciascun operatore, si veniva a determinare l'adozione di doppi turni di personale, tali da assicurare sempre il rispetto dei rapporti indicati, ma tali anche da comportare una eccessiva presenza di operatori nei periodi della giornata, in cui non tutti i bambini sono presenti.

     Gli standard adottati per il triennio, invece, si propongono di assicurare gli stessi rapporti personale/utenti per sette ore giornaliere, da considerare come periodo in cui svolgere attività educativa, limitando la presenza di personale nel restante periodo di funzionamento del nido, durante il quale, peraltro, la presenza di bambini è ridotta in relazione allo scaglionamento orario degli ingressi e delle uscite dei bambini stessi. A tali risultati si perviene mediante la fissazione del nuovo standard, che determina il personale in organico in rapporto al numero di bambini iscritti. Considerati, infatti, il maggiore assenteismo medio dei bambini (oltre il 30%) rispetto a quello del personale, nonché la non contemporanea presenza di tutti i bambini per l'intero orario di apertura, gli standard 1/5 e 1/8 (rispettivamente per bambini minori e maggiori di un anno) riferiti a organico su iscritti, consentono di ottenere carichi di lavoro medi effettivi (educatori presenti su bambini presenti) pari agli stessi rapporti 1/5 e 1/8 per le sette ore in cui si svolge l'attività educativa.

     Ovviamente, qualora si voglia assicurare l'attività educativa per tutto l'arco di apertura giornaliera dei nidi, cosa che sicuramente porterebbe ad un miglioramento delle prestazioni globalmente assicurato, lo strumento individuato e che si suggerisce è quello di adottare, in luogo dell'attuale orario unico degli educatori, l'orario spezzato (modalità di lavoro per altro caratterizzante la quasi totalità degli operatori degli enti locali): introduzione di tale modalità di lavoro consentirebbe in larga misura di superare la lamentata accentrazione dell'aspetto «custodialistico» del nido, in termini compatibili con la necessità assoluta di non dilatare ulteriormente i costi per il personale.

     In tale aspetto, si sottolinea che l'aumentare del costo di personale ha riflessi sulle rette praticate per l'utenza, con il risultato di scoraggiare ulteriormente l'utilizzo del nido e di portare a ulteriori difficoltà gestionali, quando non anche alla chiusura delle strutture.

     Con il presente piano viene inoltre per la prima volta fissato lo standard riferito al personale ausiliario, in modo tale da fissare un vincolo alla discrezionalità locale, che spesso ha portato all'assunzione di personale esuberante.

     Rispetto all'applicazione degli standard, contenuti nell'allegato 2 infatti, si rileva che, su un universo di 439 asili nido, 377 strutture impiegano 977 educatori in eccedenza, mentre 399 asili nido sono caratterizzati da una eccedenza complessiva di 733 ausiliari. Per contro, nelle restanti strutture, si rileva una carenza complessiva di soli 39 educatori e 16 ausiliari. Si evidenzia pertanto una generalizzata eccedenza di personale educativo ed ausiliario; si ritiene che il fenomeno possa essere affrontato dal programmatore locale con manovre tendenti a:

     - bloccare le assunzioni di nuovo personale in tutti quei nidi che presentano eccedenze rispetto allo standard gestionale fissato;

     - ridefinire le modalità organizzative di turni;

     - ridefinire i meccanismi di sostituzione di personale almeno nei nidi ad alto rapporto personale/utenti.

     Gli E.R.S.Z., in accordo con le OO.SS. e gli Enti Gestori del servizio favoriranno inoltre, ove lo ritengano attuabile, la mobilità del personale all'interno dei servizi socio-sanitari che presentino carenze di personale educativo ed ausiliario, prevedendo una obbligatoria ed adeguata partecipazione a corsi di formazione finalizzati al nuovo inserimento.

     Obiettivo n. 3. Miglioramento della possibilità di fruizione dei nidi

     Il miglioramento della possibilità di fruizione dei nidi, cioè l'ampliamento delle possibilità di accesso nel caso in cui la richiesta di ammissione al nido non trovi attualmente risposta, è innanzitutto legata ad un utilizzo più intenso delle attuali strutture. A tale riguardo, le manovre da porre in essere riguardano:

     - la revisione delle capienze, qualora già non effettuate, posto che nel 1980 con la legge regionale 17 maggio 1980, n. 57 la superficie minima per utenza è stata ridotta a 6 mq. e che tale valore viene riconfermato dagli standard strutturali allegati al presente Piano;

     - le iscrizioni di bambini in misura pari al 20% in più della capienza ricalcolata, dato che in mancanza di questa manovra, l'assenteismo medio dei bambini non consentirebbe mai la completa saturazione;

     - il progressivo accoglimento dei bambini nel momento in cui i posti si rendono disponibili, evitando l'inserimento limitato a periodi prefissati.

     A tale proposito, i dati del controllo di gestione evidenziano per il 1985 una situazione caratterizzata da 3.900 bambini in lista di attesa distribuiti in 167 strutture, a fronte degli indici di saturazione e di utilizzo prima individuati; la maggiore diffusione del fenomeno si ha nell'hinterland milanese con una concentrazione a Milano, che da solo fa registrare 2.603 potenziali utenti in lista di attesa, sui complessivi 3.900. Il dato è stato correlato con la capacità ricettiva, con il numero degli iscritti e con il numero degli educatori ed ha posto in evidenza che, pur in presenza di un numero largamente eccedente di operatori rispetto agli iscritti in n. 139 nidi con liste di attesa le iscrizioni sono inferiori addirittura alla capienza, in 9 nidi le iscrizioni sono pari alla capienza e solo in 18 nidi si è seguita l'indicazione regionale che consentiva l'iscrizione in misura del 20% in più della capienza.

     Evidentemente, le modalità con cui gli Enti Gestori pervengono alle iscrizioni iniziali e alle successive iscrizioni di nuovi bambini rappresentano una distorsione grave che va corretta a tempi brevi, risultando intollerabile l'esistenza di liste di attesa non giustificata esclusivamente dalla saturazione pari al 120% della capienza nido.

     Nel caso dei nidi che presentano invece disponibilità di posti in assenza di liste di attesa, l'aumento delle possibilità di fruizione può essere perseguito favorendo l'accesso al nido di bambini provenienti da Comuni limitrofi a quello dove ha sede il servizio e la stipula di convenzioni tra le parti in causa, per regolamentare il numero dei posti disponibili, le rette, le contribuzioni dei comuni, la gestione sociale del nido.

     Ancora, una più ampia fruizione può essere ottenuta ricercando modalità organizzative più flessibili, consentendo l'accesso a quei bambini che, per esigenze personali o familiari, abbiano necessità di utilizzare il nido per un numero di ore inferiore a quello di apertura del servizio, come, ad esempio, nel caso in cui il bambino sia handicappato o l'orario di lavoro della madre sia inferiore alle otto ore giornaliere.

     Per rispondere a queste esigenze potrà essere prevista una tariffa ridotta e dovrà essere favorita l'adozione di modelli educativi che affianchino quelli del nido tradizionale, costituendo, per esempio, un modulo organizzativo con caratteristiche di «centro gioco», simile a modelli già sperimentati, «play-group», «baby-center», ecc. Tali soluzioni dovranno concretamente essere utilizzate tenendo conto dell'articolazione degli spazi esistenti nella struttura e prevedendo gli eventuali adattamenti necessari.

 

     Centri di aggregazione giovanile

     Obiettivo fondamentale del Centro di aggregazione giovanile é quello di rispondere ai bisogni di educazione extrascolastica.

     I contenuti si caratterizzano per la possibilità di offrire elementi di lettura critica della realtà sociale e l'acquisizione di efficaci modalità espressive e comunicazionali.

     E' uno spazio educativo in cui discutere, documentarsi, giocare o fare sport: è uno spazio aperto ma è anche modularità programmata di incontro culturale. Si tratta di luoghi di convergenza educativa, di restituzione di un autentico significato pedagogico dove stimolare il rapporto con la società, fornire le basi di partenza per incursioni socio-culturali nella vita reale del nostro tempo e costituire un circuito di scambio e di integrazione tra giovani, e le varie componenti sociali.

     L'attività di prevenzione svolta da questa unità di offerta assume particolare rilevanza laddove la struttura si collega con le agenzie educativo-formative e con quelle dell'area extrascolastica, per la programmazione mirata di attività e su specifiche fasce di utenza.

     Attualmente la rete di tali unità risulta composta complessivamente da 78 centri. All'interno di tale universo alcuni presentano caratteristiche che per numero di utenti, rapporto educatori/utenti, offerte di attività, li rendono più assimilabili ai centri di aggregazione definiti dagli standard; altri si configurano come ateliers/botteghe in cui gli utenti svolgono attività lavorative di tipo artigianale, mentre altri svolgono interventi legati al recupero scolastico.

     Premesso che tale unità di offerta è da intendersi tendenzialmente riferita ad un bacino di utenza il più capillarizzato possibile (quartiere, comune piccolo, al massimo ambito distrettuale), il P.S.A. persegue, nel triennio, come primo obiettivo quello di sviluppare la rete esistente, attraverso l'istituzione di n. 30 nuovi C.A.G.

     Nella decisione circa il comune o il distretto ove localizzare il centro, devono essere valutate le seguenti caratteristiche:

     - numero potenziale degli utenti da 10 a 21 anni;

     - possibilità di utilizzo di strutture già esistenti da riconvertire con interventi economicamente convenienti;

     - disponibilità di personale educativo da utilizzare;

     - esistenza o meno nel comune e/o distretto di offerte culturali, di tempo libero nei confronti di queste fasce di età.

     Il secondo obiettivo del P.S.A. è quello di riclassificare la rete dei C.A.G. attraverso l'applicazione degli standard gestionali e strutturali.

     Nell'ambito dell'applicazione degli standard va comunque tenuta presente la necessità che queste unità di offerta debbano essere organizzate in modo flessibile ed accessibili alle dimensioni più informali che caratterizzano l'area giovanile e il ruolo istituzionale deve essere teso all'offerta di spazi, di occasioni di incontro e socializzazione positiva.

     Il centro di aggregazione giovanile, così come definito, si propone quale polo di aggregazione di una pluralità di attività ed anche di competenze professionali. Questo implica un coinvolgimento di più settori, ad esempio Tempo libero e sport, Cultura, Istruzione, al fine di favorire l'avvio di questi centri più aderenti a finalità di prevenzione.

     L'azione programmata minori, in questa logica, intende promuovere nel triennio intese e modalità di coordinamento con i settori sopra citati, affinché l'elaborazione concettuale su questa tipologia d'intervento si arricchisca di spunti molteplici di riflessione ed avvii un processo di utilizzo più razionale delle risorse.

     I Centri ricreativi diurni

     Il Centro ricreativo diurno, funzionante solo nel periodo estivo, si deve qualificare sempre più come servizio che attua una concreta politica di prevenzione e socializzazione, in modo integrato con i servizi del tempo libero, dando continuità all'azione educativa della scuola.

     Questo servizio, valido soprattutto nelle aree a più alta concentrazione di industria, di terziario e di occupazione femminile, si svolge in un periodo di tempo che, non essendo coperto dalla scuola, pone solitamente alla famiglia seri problemi riguardo alla custodia dei figli.

     La rete delle unità di offerta esistenti si caratterizza per la sufficiente presenza sul territorio: 475 strutture localizzate in 358 comuni che hanno ospitato nel corso dell'ultimo anno circa 54.000 ragazzi.

     Nella logica di una strategia di intervento integrata finalizzata alla ricomposizione degli interventi nell'area extrascolastica, è possibile avanzare l'ipotesi che i centri di aggregazione giovanile possano svolgere nei periodi estivi attività più tradizionalmente legate a quelle dei Centri ricreativi diurni.

     Le azioni che il presente P.S.A. intende sviluppare sono pertanto da riferirsi a manovre di razionalizzazione e di miglioramento qualitativo nell'ambito delle risorse esistenti.

     In questo quadro di riferimento, l'obiettivo di migliorare e potenziare la qualità del servizio richiede che gli Enti Locali, nella organizzazione concreta, privilegiano:

     a) In relazione alla consistenza della rete:

     i tempi di funzionamento e gli orari giornalieri di apertura, per almeno 7 ore, che consentano di coprire il più possibile il periodo delle vacanze scolastiche;

     - la conseguente estensione del servizio mensa a tutte le strutture pubbliche e non;

     - il potenziamento dei centri rivolti all'utenza fra i 3 e i 5 anni, facilmente realizzabile attraverso l'utilizzo di strutture e personale già esistente e parzialmente riutilizzato durante il periodo estivo (scuole materne);

     b) In relazione al miglioramento della qualità delle prestazioni:

     - programmi di attività che garantiscano le funzioni ludico-ricreative sulla base di calendari di attività organizzati per gruppi di utenti;

     - presenza di personale educativo qualificato in grado di effettuare progetti educativi;

     - partecipazione e controllo delle famiglie nelle diverse iniziative;

     - localizzazione delle attività preferibilmente in ambienti extrascolastici quali parchi e centri sportivi ecc., in grado di stimolare gli interessi ambientalistici e di offrire opportunità di esperienze significative;

     c) In relazione alla diffusione territoriale:

     - sempre maggiori intese tra gli Enti Locali e gli altri Enti privati gestori dei servizi, attraverso l'uso del convenzionamento, evitando in tal modo la polverizzazione degli interventi e delle risorse in direzione di una organizzazione più complessiva e razionale;

     - in particolare, nei Comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, va prevista una organizzazione del servizio che ricomprenda più comuni limitrofi, in grado quindi di offrire migliori prestazioni a costi contenuti, realizzando le necessarie economie.

     Servizio di Assistenza Domiciliare

     Il Servizio di assistenza domiciliare a favore dei minori è costituito da prestazioni di natura socio-assistenziale-educativa che vengono assicurate al domicilio di nuclei familiari comprendenti minori a rischio di emarginazione, affinché ne sia prevenuta l'espulsione. Tali prestazioni si caratterizzano sia in senso preventivo a favore del minore, sia in termini di sostegno diretto al minore e alla famiglia al fine di salvaguardare la qualità del rapporto tra genitori e figli e con l'obiettivo di rafforzare il legame tra le figure parentali. Esse si rendono necessarie allorché si manifestano sintomi di disagio nella famiglia che possono danneggiare pesantemente i suoi componenti più deboli, quali appunto i minori.

     Le prestazioni da rendere sono di:

     - sostegno alla quotidianità per garantire alimentazione, custodia, istruzione, tempo libero, nei casi di temporanea impossibilità da parte della famiglia ad assicurare tali funzioni;

     - sostegno educativo per sovvenire situazioni di disagio educativo nei confronti del minore, prodotte da modelli familiari problematici.

     Il Servizio di assistenza domiciliare si pone a sostegno della famiglia in crisi, pertanto necessita di un programma di intervento che coinvolga in questo processo le figure genitoriali. Indispensabili appaiono quindi: la definizione di un progetto di utilizzo, il consenso dei genitori e una puntuale verifica degli effetti che tale intervento determina nel contesto familiare.

     L'assistenza, domiciliare minori deve essere realizzata nell'ambito di una progettazione più complessiva relativa al minore ed è uno dei diversi interventi che concorrono strategicamente a favorire il recupero del contesto familiare.

     Attualmente esiste una realtà consolidata di servizio a favore di anziani ed handicappati, mentre per i minori pochissime sono le esperienze.

     La presente azione programmata ha tuttavia sopra esplicitato le linee di orientamento da attivare per evitare la parcellizzazione delle esperienze e perché sia possibile governare programmatoriamente l'intervento. Nell'arco del triennio questa prestazione complessa sarà materia di studio e di sperimentazione per una sua configurazione più puntuale.

 

AREA DELLA RIPARAZIONE

(Omissis)

 

     4.2.1.3.2. Area della riparazione

     La diagnosi dinamica, esprimendo una valutazione di reversibilità della interruzione/distorsione della funzione educativa, definisce la strategia dell'intervento riparativo. Gli interventi che come già si è detto sono di natura specifica, si configurano nel seguente modo:

     - diretti, in quanto compensando la funzione educativa venuta meno, agiscono a favore del diritto del minore ad un armonico sviluppo psico- fisico;

     - indiretti poiché agiscono in termini di forte sostegno prioritariamente sulla famiglia per ristabilire l'equilibrio e consentire al minore di rientrarvi, secondariamente sul contesto socio-ambientale per favorire le condizioni al pieno reinserimento del minore.

     A) Interventi specifici diretti (diagnosi dinamica reversibile)

     Questi interventi svolgono una funzione diretta di riparazione a favore del minore e devono essere realizzati sulla base di una progettazione individuale. La previsione della durata temporale del progetto deve tenere conto che questi interventi sono a sostegno della famiglia, per un recupero delle sue risorse educative, e che il minore è temporaneamente «espulso» dal suo nucleo per poi rientrarvi a condizioni ottimali ripristinate.

     Tutto ciò per esplicitare che la strategia è di breve, in qualche caso anche medio periodo, e deve indirizzarsi sia sul minore sia sul suo contesto familiare e socio-ambientale, con momenti progettuali distinti, ma indispensabilmente raccordati.

     B) Interventi specifici indiretti (diagnosi dinamica reversibile)

     Questi interventi sono di fatto i medesimi già analizzati nell'area della prevenzione, ma vengono qui attivati nel quadro di una strategia riparativa. Essi, pur continuando ad essere una opportunità/diritto per tutti, assumono una specifica valenza di prevenzione, in quanto prevedono progetti specifici e individuali al fine di riassorbire in un contesto di normalità il minore e garantirgli l'integrazione.

     La diagnosi dinamica, esprimendo una valutazione di irreversibilità della interruzione/distorsione della funzione educativa, prevede interventi specifici solo diretti, perché agiscono sul minore, e unicamente su di lui, togliendolo definitivamente dal suo contesto familiare e socio-ambientale, perché altamente patologico e precludente qualsiasi possibilità di un sano sviluppo psico-fisico.

     A) Interventi specifici diretti (diagnosi dinamica irreversibile)

     Questi interventi devono essere attivati allorché si prospetta una situazione che oggettivamente si configura per il minore in termini di abbandono, al di là del fatto che esista o meno una dichiarazione formale.

     Il concetto di abbandono si configura quando i genitori, o la rete parentale più estesa, sono in condizioni tali da non offrire concrete possibilità di riaccoglimento o accoglimento atte a garantire al minore il soddisfacimento dei bisogni educativi.

     In questo caso, il progetto individuale ha come obiettivo il raggiungimento della piena autonomia del minore, attraverso il ricorso all'adozione. Solo in casi particolari (mancato consenso manifesto del minore ecc.) è possibile ricorrere alla Comunità Alloggio piuttosto che all'Istituto.

 

     Affido Familiare

     Per affido familiare si intende l'inserimento temporaneo di un minore, privo di un ambiente familiare idoneo per un adeguato sviluppo psico- fisico, presso una famiglia diversa dalla sua di origine, al fine di garantirgli con continuità il mantenimento, l'educazione e l'istruzione nonché validi rapporti affettivi.

     Esso pertanto è uno degli interventi possibili in situazioni di disagio del nucleo familiare, senz'altro il più idoneo per situazioni di difficoltà temporanee e non stabilizzate quali:

     - situazione transitoria di incapacità di gestione familiare (es. malattie, ricoveri etc.);

     - situazione in cui si stanno definendo nuovi sistemi familiari (es. separazioni, morti etc.);

     - situazioni di inadeguatezza educativa della famiglia;

     - situazioni di tensione e difficoltà patologiche della famiglia.

     L'affido perciò risponde al bisogno della famiglia naturale di ricerca della conservazione del proprio equilibrio interno. Infatti l'affido del soggetto ad altri permette al nucleo originario di ristrutturarsi mediante l'allontanamento temporaneo di un proprio membro e l'inclusione di altri membri esterni (ad esempio l'operatore sociale, la famiglia affidataria etc.). Tutto questo le consente di superare la crisi, di riguadagnare il precedente equilibrio o di giungere ad uno nuovo, riaccogliendo infine al proprio interno il membro allontanato.

     L'affido quindi non deve essere considerato un'alternativa all'adozione, ma un provvedimento temporaneo a fondamento del quale esiste una accertata, nei limiti del possibile, validità di base della famiglia d'origine del soggetto, validità che costituisce una garanzia di un suo ritorno nel nucleo originario, una volta risolto il problema che ne ha determinato l'allontanamento.

     La famiglia affidataria opera prevalentemente a scopo di servizio sociale e civile in base ad una chiara presa di coscienza del problema e seguendo una spinta vocazionale, perciò il suo lavoro è più simile ad un «volontariato» che ad una professione.

     Preme sottolineare che tale famiglia si occupa dell'affidato a titolo non professionale (anche se per tale opera può ricevere un contributo economico). Ciò significa che essa inserisce il soggetto affidatole nel proprio normale ambiente di vita, il quale preesiste all'affido ed ha una sua autonoma ragione d'essere. Tutto questo perché l'affido deve sempre essere effettuato nel preminente interesse del soggetto in difficoltà e non deve invece essere utilizzato dalla famiglia affidataria a proprio esclusivo vantaggio quale strumento esterno per riorganizzarsi in un certo momento della propria evoluzione.

     Si evidenzia pertanto la duplice connotazione dell'intervento di affido familiare:

     - di prevenzione per il soggetto che potrebbe trovarsi in stato di disagio (soggetto a rischio) come conseguenza della situazione familiare in difficoltà ovvero per il soggetto per il quale è già in atto tale situazione di disagio;

     - di sostegno alla famiglia d'origine per aiutarla a superare la momentanea situazione di crisi.

     Per far sì che l'affido si configuri concretamente quale intervento di prevenzione e di sostegno, deve rispettare le seguenti fasi:

     a) valutazione approfondita rispetto all'idoneità o meno di usare l'affido quale strumento (può non essere l'unico) risolutivo del caso, verificando che le «difficoltà» della famiglia di origine siano legate a situazioni contingenti superabili in breve periodo o modificabili in funzione della crescita del soggetto;

     b) predisposizione del progetto di intervento mirato sul singolo soggetto che tenga conto di tre momenti: pre-affido, affido vero e proprio, post-affido.

     Il pre-affido si configura come l'insieme di:

     - osservazione del soggetto;

     - osservazione della famiglia di origine;

     - abbinamento famiglia affidataria-soggetto;

     - preparazione della famiglia di origine;

     - preparazione della famiglia affidataria;

     - modalità di inserimento del soggetto presso la famiglia affidataria;

     - rapporto con l'autorità giudiziaria minorile (laddove si renda necessario).

     L'affido vero e proprio che realizza:

     - sostegno alla famiglia di origine in previsione del rientro del figlio;

     - sostegno alla famiglia affidataria in quanto tale e nella sua relazione con il soggetto e la famiglia di origine dello stesso;

     - sostegno al soggetto affidato;

     - aggiornamento all'autorità giudiziaria minorile (se ciò è necessario).

     Il post-affido che prevede:

     - rientro del soggetto presso la famiglia di origine;

     - verifica dell'andamento del contesto familiare dopo il rientro del soggetto ed eventuale sostegno sia alla famiglia che al figlio;

     - rapporti del soggetto con famiglia affidataria dopo il rientro;

     - aggiornamento all'autorità giudiziaria minorile (se è necessario).

     Si ritiene opportuno evidenziare che in presenza di minori orfani va privilegiato l'affido ai parenti entro il IV grado, al fine di utilizzare al massimo una risorsa legata alla solidarietà familiare; si ritiene che tale tipologia di affido, del tutto particolare, non debba essere soggetta a quelle prescrizioni dettate dalla legge 4 maggio 1983, n. 184 e relative alla selezione delle famiglie e alla temporaneità dell'intervento. Per l'affido ai parenti entro il IV grado, e perciò tenuti agli alimenti, l'ente locale concorderà con gli affidatari, sulla base delle disponibilità di reddito degli stessi, l'opportunità o meno di un sostegno economico.

     Per quanto attiene alle modalità organizzative, si fa rimando al paragrafo sul modello organizzativo della presente azione programmata e all'apposito paragrafo del presente P.S.A. relativo ai livelli di gestione, richiamando le funzioni e le attività che l'E.R. deve comunque garantire. Ci si riferisce in particolare:

     - alla promozione dell'affidamento;

     - alla selezione e preparazione delle famiglie affidatarie, attraverso la costituzione di un'anagrafe zonale;

     - al collegamento e al sostegno della famiglia di origine tenendo conto delle possibilità di ritorno in essa del minore;

     - alla prevenzione di situazioni conflittuali tra famiglia di origine e affidataria;

     - alla segnalazione immediata al competente Tribunale Minorile di eventuali affidi di minori di anni 8, se effettuati in via di urgenza, nonché alla segnalazione di tutti gli affidi non autorizzati e non predisposti dall'E.R. o dai Comuni, soprattutto nei casi di sospetto «commercio di minori»;

     - all'impegno a non collocare in affido minori in situazioni di alto rischio, per i quali è più opportuno prevedere interventi di natura diversa.

     Per quanto attiene al livello regionale, le scelte in questo ambito operate dal Piano sono relative:

     - alla riqualificazione e aggiornamento specifici degli operatori (assistente sociale, psicologo) che intervengono per l'affido familiare;

     - ai supporti finanziari ritenuti necessari per il consolidamento e lo sviluppo dell'affido; tali interventi sono finalizzati a sostenere le spese degli Enti locali sotto forma di contributi economici da erogarsi alle famiglie affidatarie;

     - alla elaborazione dello schema di regolamento-tipo per i servizi socio-assistenziali di zona, all'interno del quale devono essere ricompresi i criteri per regolamentare questo intervento;

     - alla collaborazione tecnica con gli E.R. per promuovere campagne di informazione atte a coinvolgere e sensibilizzare l'opinione pubblica sul fenomeno dell'abbandono dei minori e sull'affido familiare come una delle possibili soluzioni al problema.

 

     Comunità Alloggio

     La Comunità alloggio è una soluzione residenziale da considerarsi ambiente strutturato di vita temporaneo o permanente, caratterizzato da un clima di interrelazione che permetta la manifestazione di comportamenti differenziati e autonomi ma ancorati a motivazioni personali o di gruppo, nonché di progetti articolati e realistici riguardanti l'organizzazione della vita di ognuno. Da ciò deriva un concetto di «vita comunitaria» costituita da rapporti paritari, indipendente dal fatto che vi sia un operatore e un «assistito», intesi come rapporti tra persone volti al soddisfacimento di bisogni di relazione, di appartenenza e così via. Il modello di convivenza comunitaria costituisce pertanto la modalità educativa che viene proposta dagli «utenti» e il bisogno cui si tenta di rispondere è il bisogno complessivo di riappropriazione di sé e del senso di vita.

     Fra le condizioni per la costituzione di una comunità, la più rilevante, proprio perché su di essa si modellano gli interventi e rispetto ad essa si connota il servizio medesimo, è quella che vede l'istanza di struttura comunitaria definirsi a partire dal bisogno.

     Partendo da tale assunto, questa unità di offerta può accogliere (dopo un'attenta valutazione dei casi), una pluralità tipologica di utenti per evitare il ricrearsi di modi culturali e di comportamenti comunque chiusi. Ciò, tuttavia, non esclude che la comunità alloggio possa organizzarsi per rispondere ad una utenza prevalente.

     Nel ribadire che la Comunità alloggio è un modello di prestazioni sostitutivo del nucleo familiare, qualora lo stesso sia inesistente, impossibilitato o incapace del tutto ad assolvere il proprio compito, preme sottolineare che altra importante condizione al suo costituirsi è il suo far parte dell'ambiente sociale, che significa avere rapporti stabili con altre realtà ed esperienze che essa non può ricercare solo al suo interno. L'enfasi posta sul carattere alternativo della propria azione socio- assistenziale e la pretesa di costituirsi come intervento autosufficiente rischiano di rendere chiuso ed asfittico anche il servizio più innovativo e ideologicamente «più aperto», riducendolo simile a quelle istituzioni totali in alternativa alle quali sono sorte le Comunità.

     Attualmente la rete delle Comunità alloggio è costituita da n. 97, unità, di cui n. 79 gestite da enti privati e n. 18 a gestione pubblica, e si caratterizza per i seguenti aspetti:

     - progressivo aumento delle C.A. a gestione privata;

     - specializzazione delle C.A., che polarizzano sempre più il proprio intervento in direzione di specifiche fasce di bisogno:

handicappati, minori disadattati, ecc.;

     - prevalenza di personale volontario e obiettore a tempo pieno, con livello di scolarizzazione medio-alto;

     - definizione non univoca e oggettiva delle tipologie del servizio (infatti all'interno della rete si trovano: comunità alloggio; gruppi famiglia; centri di pronto intervento; pensionati).

     A partire dalle indicazioni del piano si ritiene di aprire una fase di riflessione organica che deve portare alla definizione di un quadro programmatorio e finanziario certo, in cui queste esperienze possono svilupparsi.

     Sono obiettivi prioritari del P.S.A.:

     1) sviluppare la rete esistente con la realizzazione di n. 30 nuove comunità nel triennio;

     2) riclassificare e ricondurre ad una tipologia il più possibile omogenea le comunità esistenti.

 

     Obiettivo n. 1. Sviluppare la rete esistente con la realizzazione di n. 30 nuove C.A.

     Il presente piano impegna risorse finanziarie aggiuntive e individua come criterio per la loro localizzazione territoriale la necessità di dotare di tale unità di offerta le USSL che ne sono prive; come parametro di successiva selezione tra queste USSL che si trovano in tale condizione e le 30 nuove C.A. che è possibile realizzare nel triennio, si indica una popolazione giovanile (in età compresa tra i 10 e i 24 anni), non inferiore alle 10.000 unità.

     All'interno delle USSL così prescelte, il programmatore zonale dovrà tener conto, per la localizzazione di nuove strutture, dei seguenti elementi:

     - presenza di istituti educativo-assistenziali, previa verifica della loro disponibilità ad una riconversione (si ritiene che ciò sia possibile almeno in 20 delle realtà zonali prima indicate);

     - possibilità di utilizzo di altre strutture già esistenti, nelle USSL prive di istituti educativo-assistenziali e di ogni altra risposta residenziale destinata ai minori.

 

     Obiettivo n. 2. Riclassificazione della rete

     Il Piano, attraverso l'autorizzazione al funzionamento e l'adeguamento agli standard ritiene di apportare correttivi tali per cui è possibile avviare, nell'arco del triennio, il processo di adeguamento tipologico per contenuti, per personale ed utenze.

 

     Istituti Educativo-assistenziali

     Nel corso dell'ultimo decennio si è assistito a un profondo modificarsi delle strutture educativo-assistenziali per minori in situazioni di abbandono e difficoltà materiale, nel senso che le stesse sono significativamente diminuite (si è passati dagli oltre 300 istituti esistenti negli anni '70 agli attuali 116 funzionanti), e che soprattutto si è via via modificata la loro organizzazione interna e i rapporti con l'ambiente esterno.

Difficile dire quale componente ha svolto una funzione più significativa, se cioè hanno influito il dibattito teorico e scientifico sui bisogni dell'età minore, ovvero le trasformazioni istituzionali e legislative, una diversa cultura degli operatori, la composizione dell'utenza; unica affermazione ragionevole sembra essere che tutte le componenti hanno rappresentato momenti importanti di una interazione complessa.

     La recente ricerca I.Re.R. «Gli istituti per minori in Lombardia», nel delimitare il proprio campo di ricerca agli istituti più propriamente a carattere assistenziale (cioè quegli istituti che accolgono minori loro affidati in maniera continuativa, anche in presenza delle famiglie presso le quali i minori possono trascorrere brevi periodi durante le vacanze scolastiche) ha evidenziato alcune delle caratteristiche fondamentali di cui occorrerà tener conto dell'azione programmatoria:

     - innanzitutto, le classi di età dei minori presenti; si constata la maggiore consistenza numerica per le classi di età comprese tra i 6 e 13 anni;

     - ancora, la durata media della permanenza nella struttura; un numero consistente di minori è ricoverato in istituto da più di 3 anni e, in numero leggermente inferiore, vi è ricoverato da più di 5 anni;

     - infine, la tipologia delle famiglie che ricorre alla soluzione «istituto»; hanno sempre meno peso le famiglie costituite da nuclei orfanili e sono sempre più numerose le famiglie «normali», che, accanto ad un figlio ricoverato in istituito, vedono poi la presenza di altri figli regolarmente inseriti nel nucleo familiare, ovvero le famiglie di separati e divorziati.

     Più difficile appare invece trarre dalla ricerca informazioni puntuali sui motivi che ancora oggi portano a richiedere il ricovero da parte delle famiglie e degli enti preposti alla tutela dei minori; si ritiene tuttavia che l'istituto educativo-assistenziale sia ancora la risposta più opportuna, anche se per una fase di trattamento assolutamente temporanea, ai bisogni di minori necessitanti di particolare protezione, i quali, per propria storia personale e familiare, non siano immediatamente inseribili in altri servizi, quale le comunità alloggio o l'affido familiare.

     La linea su cui intende muoversi la programmazione regionale attiene essenzialmente all'analisi delle motivazioni che ancor oggi portano al ricovero di minori in istituto, attraverso la predisposizione di un sistema articolato ed organico di rilevazione tendente a censire le caratteristiche strutturali, gli aspetti organizzativo-gestionali con riferimento sia all'utenza che al personale, l'analisi dei motivi che portano i minori in istituto anche attraverso la collaborazione con i tribunali per i minori e con i giudici tutelari. Parallelamente, il presente P.S.A. intende innescare un processo di ristrutturazione e riconversione degli istituti nella direzione di un loro diversificato utilizzo e della loro integrazione con la rete dei servizi esistenti.

     Gli istituti attualmente funzionanti sono, come già detto, n. 116, di cui il 42% accoglie meno di 30 minori, mentre gli altri accolgono un numero di ospiti variabili da 31 a 80, e solo una piccolissima quota supera i 100 ospiti, distribuiti geograficamente in maniera disomogenea tale per cui solo il 50% delle USSL lombarde ne risulta dotata.

     Come già indicato in altra parte del Piano, si ritiene che la manovra di riconversione vada iniziata e potenziata attraverso la realizzazione dei seguenti obiettivi prioritari per il triennio:

     1) riconversione di 20 Istituti in Comunità alloggio;

     2) riconversione totale e/o parziale di 19 istituti in centri di pronto intervento;

     3) adeguamento a standard di n. 100/150 posti letto in istituti disponibili ad assicurare tutela e protezione a minori con particolari problematiche.

 

     Obiettivo n. 1. Riconversione di 20 istituti in Comunità alloggio

     Il P.S.A., come in dettaglio specificato nel P.O. «Riconversione delle strutture socio-assistenziali» individua risorse finanziarie per il raggiungimento di questo obiettivo; confermando la scelta di potenziare le zone più carenti, opera supportando finanziariamente la riconversione di almeno 20 istituti in comunità alloggio nelle USSL che sono prive di quest'ultima struttura; a livello zonale, nell'operare concreto, vanno privilegiati i n. 28 istituti esistenti che attualmente ospitano un numero di minori inferiore a 10, in quanto si ritiene che tali strutture incontrino minori difficoltà a riconvertirsi in comunità alloggio tramite adeguamento a standard.

 

     Obiettivo n. 2. Riconversione totale e/o parziale di n. 10 istituti in centri di pronto intervento

     Per la realizzazione di questo obiettivo si rimanda a quanto già indicato al paragrafo successivo concernente detta unità di offerta.

 

     Obiettivo n. 3. Adeguamento a standard di n. 100/150 posti letto di istituti destinati a minori con particolari problematiche.

     Come già in precedenza esplicitato, la valutazione del fenomeno del ricorso all'istituto deve diventare punto qualificante della programmazione regionale e locale; solo a partire da detta analisi potranno essere inserite nei programmi di zona richieste tendenti ad ottenere finanziamenti per l'adeguamento a standard di istituti per minori ritenuti idonei (per tipologia di intervento reso, per dotazione di personale qualificato, per prestazioni specialistiche assicurate) a soddisfare le specifiche esigenze di minori con particolari problematiche; i finanziamenti potranno essere indirizzati a quelle strutture che avranno provveduto o si dichiareranno disponibili ad adottare al loro interno le soluzioni organizzative ritenute più idonee per il trattamento di questa particolare fascia di bisogno.

 

     Centri di pronto intervento

     Esiste un'area di bisogno di assistenza a carattere particolare: l'insorgenza non prevedibile di necessità di primo trattamento, immediata e non compatibile con i tempi di reazione delle normali unità di offerta e con tempi di trattamento molto brevi. La risposta più idonea a tale area di bisogno è stata individuata nel centro di pronto intervento.

     Il trattamento dell'emergenza è azione particolarmente delicata che richiede all'educatore un intervento specialistico sia nella gestione dell'emergenza stessa, sia nella raccolta ed elaborazione di informazioni finalizzate a comprendere i problemi e le risorse del minore, utili all'individuazione dell'intervento da attivare. Occorre pertanto che la struttura che intende realizzare questa fruizione sia dotata di personale preparato a trattare l'emergenza.

     La definizione del progetto individuale compete all'unità operativa zonale o all'équipe distrettuale; in ogni caso da questi due livelli devono essere garantite le figure specialistiche che supportino adeguatamente il personale del centro di pronto intervento.

     Rispetto alla definizione contenuta nello standard strutturale e gestionale, che prevedeva una utenza indifferenziata, si sottolinea che le esperienze fin qui condotte hanno portato alla constatazione che tale scelta, se praticata in modo generalizzato e indiscriminato, ne rende molto problematica la gestione e lo stesso avvio delle attività. Sembra pertanto più opportuno prevedere che la funzione fondamentale del C.P.I. (soddisfacimento temporaneo di vitto, alloggio, tutela di fatto, in attesa di soluzioni più adeguate) per alcune fasce di utenza debba essere prevista e assicurata da altre unità d'offerta. Così, per esempio, sono da prevedersi C.A. e Istituti educativo-assistenziali che assicurino tale funzione per i minori e gli adolescenti; centri residenziali per handicappati che riservino una quota di posti letto per l'utenza handicappata; case di riposo che assicurino tale funzione per gli anziani.

     Pertanto, per le suddette utenze, il programmatore zonale dovrà individuare almeno una struttura, per ogni tipologia prima indicata, che sia disponibile ad assicurare a livello zonale tale funzione. Nell'ambito degli obiettivi specifici di ogni area di intervento sono state individuate le risorse per investimenti destinate a supportare tali interventi.

     Accanto alle utenze prima indicate e per le quali esiste una rete articolata di presidi specifici con i quali assicurare la funzione di pronto intervento, esiste tuttavia un'utenza per la quale non è praticabile la modalità prima individuata: ci si riferisce a un'utenza indifferenziata, sostituita da persone temporaneamente non in grado di sopperire alle proprie necessità personali (casi di violenza sulle donne; di alcolismo; ecc.) per le quali è opportuno prevedere centri di pronto intervento in grado di fronteggiare bisogni eccezionali ma di breve durata in attesa della risoluzione positiva delle cause che hanno provocato il bisogno ovvero dell'attivazione di interventi più adeguati.

     La realizzazione di tali centri autonomi, a bacino di utenza sovrazonale è una delle finalità del P.S.A., per la cui realizzazione si prevede impiego di risorse aggiuntive.

     La rete dei Centri si caratterizza attualmente per la sua scarsa consistenza, per la sua disomogenea distribuzione territoriale e per il diverso contenuto di attività e di personale utilizzato. Poiché tale carenza rappresenta una delle lacune più vistose del sistema socio- assistenziale lombardo, sono obiettivi prioritari del P.S.A.:

     1) sviluppare la rete con la realizzazione di n. 10 nuovi centri nel triennio sulla base degli standard strutturali e gestionali;

     2) riclassificare la rete esistente e ricondurre la funzione di pronto intervento alle unità di offerta già esistenti come funzione aggiuntiva.

 

     Obiettivo n. 1. Sviluppare la rete esistente attraverso la realizzazione di 10 nuovi centri nel triennio.

     Constatata la pressoché totale insistenza di tale unità d'offerta e anche in ragione della prevista rarefazione dell'utenza, il P.S.A. indica per tali strutture un bacino di utenza sovrazonale; per il primo triennio si ritiene che tale sovrazonalità possa essere concretamente praticata utilizzando come riferimento territoriale l'aggregazione di più USSL così come definita dai recenti provvedimenti regionali di costituzione delle U.O. di neuropsichiatria infantile.

     Per la localizzazione di nuovi centri, previe intese tra tutte le USSL interessate, si dovrà tener conto dei seguenti criteri:

     - possibilità di utilizzo di strutture già esistenti preferibilmente mediante riconversioni totali o parziali di istituti educativo- assistenziali;

     - possibilità di utilizzo di personale già in servizio;

     - valutazione della rete complessiva dei servizi esistenti e previsti dai rispettivi programmi zonali, necessari a supportare le successive e definitive risposte al bisogno.

 

     Obiettivo n. 2. Riclassificare la rete esistente e ricondurre la funzione di pronto intervento all'interno di unità di offerta già esistenti.

     Considerata l'opportunità che la funzione di «pronto intervento» venga assicurata, come funzione aggiuntiva, all'interno di altre unità d'offerta, il presente P.S.A. indica come obiettivo del triennio la realizzazione della funzione di un «centro di pronto intervento» per minori e anziani in ogni USSL, da ottenersi attraverso modesti interventi aggiuntivi in presidi esistenti.

     Per l'area handicap, l'obiettivo che prevede la realizzazione di 12 Centri Residenziali deve veder declinata, al suo interno, anche la funzione di pronto intervento.

 

     4.2.2. Area della prevenzione e assistenza Contro gli stati di tossicodipendenze.

     Attraverso la seguente azione programmata, si vogliono definire le funzioni più propriamente socio-assistenziali complementari e integrate a quelle sanitarie e di altri settori dell'azione pubblica, attraverso l'indicazione degli interventi finalizzati alla prevenzione, alla risocializzazione e al contrasto del fenomeno delle tossicodipendenze.

     Per quanto riguarda l'integrazione si rimanda al capitolo del P.S.A. che tratta dell'argomento in modo complessivo.

     Relativamente all'area specifica delle tossicodipendenze, per l'arco triennale di durata del P.S.A., il Settore Coordinamento dei Servizi Sociali in collaborazione con il Settore Assistenza e Sanità è impegnato ad operare una riclassificazione delle Unità di Offerta esistenti sul territorio regionale. Sulla base di criteri comuni si individueranno quelle Unità di Offerta caratterizzate in tutto o in parte, da valenze terapeutiche e/o riabilitati e quelle invece che svolgono solamente attività di reinserimento sociale e/o inserimento lavorativo.

     I criteri fondamentali per tale classificazione sono:

     - natura e finalità generali dell'intervento;

     - riconduzione a tipologie il più possibile omogenee delle Unità di offerta esistenti.

     Si verifica infatti la presenza di servizi di varia tipologia, spesso non chiari nei contenuti, caratterizzati da una grossa carica umanitaria e legati alle singole realtà in cui operano, ma non sufficientemente coordinati in una progettualità più generale. E' perciò indispensabile unificare, tramite la suddetta classificazione, tutti questi servizi operanti in ambito regionale, così da avere un immagine effettiva e attuale degli interventi e realizzare quindi una reale politica di lotta alle tossicodipendenze.

     La definizione di finalità e contenuti delle Unità di offerta esistenti consentirà maggiore chiarezza sui più corretti canali di finanziamento, riconoscendo alle competenze dell'Assessorato all'Assistenza il finanziamento delle attività che si qualificano nell'ambito del reinserimento sociale e lavorativo.

     In relazione agli specifici interventi di natura socio-assistenziale si rende necessario potenziare e avviare nuovi servizi di supporto destinati a soddisfare esigenze alloggiative, C.A. (nella loro ampia gamma tipologica), di avviamento al lavoro (Coop. di lavoro, atelier/bottega, ecc.), nonché esigenze di riappropriazione primaria e critica di modelli relazionali di vita (Comunità terapeutiche).

     Ad eccezione dell'ultima tipologia, che richiede un approfondimento e una verifica generale sulla sua organizzazione e sulla valenza «terapeutica» delle prestazioni che offre agli utenti, la gamma di servizi prima elencati rientra a pieno titolo nelle unità di offerta socio- assistenziali.

     Nell'ambito della tossicodipendenza infatti, come in tutte le aree in cui più fattori concorrono sia alla determinazione che alla risoluzione di un problema, l'uso terminologico non sempre è appropriato.

     In questo caso il termine «terapeutico» è mutuato dal linguaggio medico, ma sta ad indicare un «progetto terapeutico» che deve prevedere l'avvio di un'azione socio-riabilitativa di reinserimento e nel quale gli interventi sanitari (ricoveri ospedalieri, terapia farmacologica con farmaci sostitutivi e non, ecc.) si integrano necessariamente con quelli psico-sociali, così come d'altronde già indicato dalla Deliberazione Giunta Regionale n. 20866 del 5 ottobre 1982 e n. 34579 del 21 dicembre 1983.

     Riguardo ai tre momenti fondamentali delle azioni sulla tossicodipendenza (prevenzione, cura, riabilitazione) viene sempre più a restringersi il momento intermedio e assumono importanza fondamentale la prevenzione, la riabilitazione, il reinserimento. Le finalità generali e le fasi di intervento sanitario e socio-assistenziale prospettate sono quelle della prevenzione, del trattamento curativo e del recupero sociale e reinserimento del «soggetto» nel proprio ambiente di vita e di lavoro.

     Gli interventi più propriamente socio-assistenziali complementari e integrati agli interventi terapeutici afferiscono, rispetto a tutte le fasi prima indicate, essenzialmente al momento della prevenzione e della risocializzazione e reinserimento.

     Prevenzione

     Gli ambiti in cui si attua la prevenzione sono fondamentalmente tre:

     - famiglia

     - scuola/lavoro

     - ambiente sociale

     1) La famiglia, spesso ritenuta elemento patogeno, può trasformarsi in risorsa di cambiamento se adeguatamente sostenuta nei momenti più difficili delle sue posizioni educative.

     Per questo sono necessarie iniziative che affrontino con i genitori i problemi legati alla crescita dei figli e al periodo critico dell'adolescenza.

     2) La scuola deve riappropriarsi del proprio ruolo educativo globale realizzando percorsi e programmi che permettano al ragazzo di crescere come soggetto attivo, creativo, attento alla realtà esterna, così da raggiungere una propria identità personale e sociale.

     A questo compito devono essere delegati gli organismi competenti: Provveditorato/Distretti scolastici (art. 85-89 L. 22 dicembre 1975, n. 685).

     3) Il territorio deve essere in grado di offrire momenti di ritrovo, di stimolo, attività educative che possano anche essere di riferimento e collegamento per la scuola e le famiglie.

     Centri diurni, centri di aggregazione giovanile, animazioni di gruppi giovanili, formazione professionale, cooperative di lavoro, sono momenti indispensabili che colgono richieste e necessità della realtà giovanile.

 

     Riabilitazione e risocializzazione

     La finalità generale di qualsiasi intervento attuato nel campo della tossicodipendenza deve essere il reinserimento nella società e l'abbandono definitivo di qualsiasi droga.

     Tre sono i fattori determinanti della risocializzazione:

     - la ricostruzione di relazioni familiari positive

     - l'inserimento in attività lavorativa

     - il riallacciare rapporti sociali validi

     L'intervento socio-assistenziale deve esplicarsi all'interno di un progetto globale individualizzato, predisposto dai già costituiti nuclei operativi zonali, all'interno dei quali le figure professionali dello psicologo e dell'assistente sociale unitamente al restante personale del nucleo garantiscono la diagnosi e il progetto terapeutico e riabilitativo individuale, attuandolo direttamente o in collegamento con le risorse socio-sanitarie disponibili sul territorio.

     Il Piano ha individuato gli strumenti e le azioni da porre in essere, sia per quanto attiene alla individuazione degli obiettivi comuni, sia per il modello organizzativo zonale e le funzioni sociali e psicologiche da assicurare all'area, in modo integrato, sia per quanto attiene al potenziamento della rete degli interventi di sostegno da prevedersi (Comunità Alloggio, Centri di aggregazione giovanile, ecc.).

     In relazione alle modalità di appostazione degli oneri all'uno o all'altro comparto, si fa rimando alle indicazioni puntuali della deliberazione consiliare di recepimento del D.P.C.M. 8 agosto 1985, segnalando che il criterio prioritario da utilizzare consiste nel riconoscimento della valenza terapeutica degli interventi attuati da parte dei competenti nuclei zonali.

     4.2.3 Area della tutela della salute mentale

     Come già esplicitato in premessa al capitolo, attraverso la presente azione programmata il P.S.A. definisce le funzioni e prestazioni più propriamente assistenziali, complementari e successive a quelle sanitari e terapeutiche.

     Le linee generali del Progetto obiettivo «tutela della salute mentale» già vigente definiscono le indicazioni fondamentali, il modello organizzativo di riferimento, la tipologia degli interventi e la rete delle unità di offerta presenti e/o da attivare sul territorio regionale nel corso del triennio.

     Le finalità generali indicate in detto progetto, le fasi degli interventi previsti, sono quelle afferenti alla prevenzione, alla cura e al reinserimento e/o mantenimento nel loro ambiente di vita degli utenti interessati.

     Per quanto attiene al modello organizzativo prefigurato dal Progetto Obiettivo e ai suoi necessari raccordi con il modello organizzativo indicato nel presente P.S.A., si fa rimando all'apposito paragrafo del capitolo II.

     In relazione agli interventi previsti, la rete delle unità di offerta esistente e/o da attivare consiste in:

     - n. 43 unità operative di psichiatria

     - n. 39 servizi psichiatrici di diagnosi e cura

     - Centri territoriali di terapie psichiatriche e di risocializzazione

     - n. 81 centri psico sociali zonali.

     Tali interventi attengono evidentemente all'area sanitaria.

     Esistono poi altre unità di offerta quali le comunità terapeutiche, le strutture intermedie residenziali e non residenziali ecc.; in questo gruppo sono state provvisoriamente ricomprese tutte le strutture e i servizi esistenti destinati a persone che necessitato di terapie e di interventi socializzanti e assistenziali. Allo stato attuale pare di poter affermare che queste ultime tipologie siano quelle connotate da forti caratteristiche di integrazione socio-sanitaria.

     Anche sulla base della recente deliberazione consiliare di recepimento del D.P.C.M. dell'8 agosto 1985, deve essere operata una preliminare riclassificazione dei presidi esistenti che li riconduca alle tipologie individuate nel P.O. regionale. Analoga riclassificazione va operata per quanto attiene la riconversione degli ex O.P. e delle strutture private di lungo degenza psichiatrica attualmente convenzionate con il comparto sanitario, al fine di individuare la quota di ospiti di preminente interesse psichiatrico (per i quali si prevede la riconversione parziale dei presidi attuali in Comunità terapeutiche), la quota di ospiti di interesse medico-riabilitativo, e la quota di ospiti in fascia assistenziale, da porre a carico del comparto socio-assistenziale.

     Una volta operata la preliminare riclassificazione della rete delle unità di offerta, è obiettivo del P.S.A. procedere ad una progressiva integrazione tra interventi sanitari e socio-assistenziali.

     A tal fine il piano ha individuato gli strumenti e le azioni da porre in essere, sia per quanto attiene alla individuazione degli obiettivi comuni, sia per il modello organizzativo zonale e le funzioni sociali e psicologiche da assicurare all'area, in modo funzionalmente integrato, sia per quanto attiene al potenziamento della rete degli interventi di sostegno da prevedersi (Comunità alloggio, Strutture Protette per non autosufficienti).

     In relazione alle modalità di appostazione degli oneri all'uno o all'altro comparto, si fa rimando alle indicazioni puntuali della deliberazione consiliare di recepimento del D.P.C.M. 8 agosto 1985, segnalando che il criterio prioritario da utilizzare consiste nel riconoscimento della valenza terapeutica degli interventi attuati, da parte della competente U.O. di psichiatria; va tuttavia sottolineato, per quanto attiene la suddivisione degli oneri, che nel fondo sanitario regionale sono confluite da parte delle Amministrazioni Provinciali le quote che le stesse Amministrazioni utilizzavano per interventi non squisitamente sanitari e che di tale realtà si dovrà tener conto in sede di bilancio per la valutazione complessiva dei finanziamenti regionali da attribuirsi al fondo regionale socio-assistenziale a sostegno di detti interventi.

     4.2.4 Azioni di Contrasto a forme vecchie e nuove di povertà e di emarginazione.

     Il tema delle vecchie e nuove povertà ha assunto una notevole rilevanza anche nel più recente dibattito politico-culturale italiano legato com'è ad aspetti cruciali di visione del ruolo dello stato assistenziale moderno e, soprattutto, essendo il tema legato intimamente alle trasformazioni sociali della società industriale avanzata con le relative modificazioni nei meccanismi distributivi e perequativi di redditi e di «opportunità».

     Ed infatti l'emergere ed il radicarsi anche nelle aree a più elevato tasso di sviluppo socio-economico, di nuove forme di emarginazione e di povertà materiale e non, è ormai una comune constatazione all'interno delle analisi scientifiche frutto di rilevazioni-survey o di carotature campionarie su aspetti e situazioni della vita collettiva nelle società urbane-industriali.

     Rispetto anche ad un recente passato gli approcci analitici sottolineano l'importanza di inquadrare questi fenomeni di pauperizzazione, oltre che con le classiche chiavi di lettura «assolute», tramite il concetto di «deprivazione relativa» scaturente dalle condizioni di disuguaglianza propria delle società complesse, altamente differenziate, ad alto sviluppo industriale.

     In questo senso la povertà, da fatto intimamente individuale, diventa un fatto sociale a carattere multidimensionale, da destino personale si trasforma in effetto del funzionamento dell'intera organizzazione sociale e di alcuni suoi sottosistemi in modo peculiare.

     In quest'ottica accanto allo studio dei fattori scatenanti la povertà economica si pone ormai, ad esempio, una attenzione particolare anche ai contesti dei servizi (sociali, sanitari, culturali) e della realtà familiare di appartenenza visti appunto come contesti ove si manifesta e struttura la «linea della povertà» e, di contro, poiché possono essere considerati ambiti importanti ove convogliare risolutivi interventi di una «politica di anti-povertà».

     In sintesi quindi occorre far riferimento a tutti i processi di pauperizzazione definendoli in linea generale, come quelle caratteristiche sociali e di status che danno luogo ad una condizione, per gli individui ed i loro ambiti vitali e relazionali primari, di inferiorità sociale e personale a rischio di stabilizzazione, seriamente deficitaria, rispetto ai livelli garantiti e socialmente diffusi, di risorse economiche, relazionali e di accesso all'intera gamma delle opportunità sociali che garantiscono i diritti di cittadinanza.

     Tale condizione, che è al tempo stesso oggettivamente misurabile, storicamente e culturalmente relativa e soggettivamente definita, va a toccare svariati strati e gruppi sociali, comunità locali, interi segmenti di popolazione.

     Perciò, pur nell'ambito di realtà della competizione sociale che caratterizza la società industriale nel suo complesso e che conduce obbligatoriamente a diseguali riconoscimenti economici e di prestigio, occorre far sì che a tutti i cittadini si riconosca il diritto a dei livelli di «qualità della vita» che via via si consolidino su «zoccoli di benessere minimo», frutto di una parziale redistribuzione sociale dei benefici, degni di una società civile ed avanzata che vuole evitare, a milioni di suoi membri, insormontabili ed immorali «piramidi di sacrificio».

     In quest'ottica si deve porre anche il rinnovato impegno delle politiche socio-assistenziali, pur nella loro relativa capacità di incidenza sulle cause originanti tali fenomeni ma insieme consapevoli della importanza del loro contributo di primo tamponamento, di supporto e di sostegno sulla via d'un pieno riconoscimento sociale per ogni cittadino.

     Innanzitutto occorre delineare un «quadro sociale» rispetto al quale organizzare l'esigenza conoscitiva e l'intervento sociale. In prima approssimazione esso è composto da coloro che vivono:

     - in condizioni di povertà economica (di reddito) e cioè particolarmente si tratta di gruppi sociali composti da anziani soli, famiglie anziane, famiglie monoparentali estese, famiglie ad alta densità numerica con unico percettore di reddito, oltre agli inoccupati ed ai disoccupati da lungo periodo (specie se costituenti famiglie unipersonali);

     - in situazioni di grave degrado della vita familiare e relazionale dovute, ad esempio: alla grave insufficienza nelle condizioni abitative; alla presenza di fattori di disgregazione del nucleo relazionale di riferimento (stati di tossicodipendenza, di alcoolismo, di violenza diffusa su minori o donne, di grave assenza fattuale e psicologica di membri della coppia ecc.) che portano a frequenti situazioni di emarginazione ed impoverimento sociale; alla presenza di gravi deficit di «salute» nei principali componenti il nucleo familiare.

     L'intreccio di tali condizioni, che altresì favoriscono le situazioni di analfabetismo di base e di ritorno, è assai intricato. Vi sono poi da considerare quei gruppi di popolazione «a rischio» costituiti dagli immigrati stranieri di prima e seconda generazione, provenienti da Paesi poveri, che ormai hanno raggiunto una notevole consistenza numerica anche nel nostro contesto regionale (le ultime stime parlano di almeno 100.000 persone in Lombardia).

     Insomma si delinea appunto un «quadro sociale» di riferimento su cui attivare politiche di anti-povertà e di sicurezza sociale, che tocca quote non indifferenti di popolazione ed è ad estrema complessità e varietà di bisogno.

     Al fine di dare sistematicità all'insieme delle possibili vie di azione perseguibili per prevenire e contrastare tali fenomeni occorre dotarsi, anche e soprattutto a livello regionale, di strumenti e di occasioni di approfondimento e di proposta operativa integrata.

     Sarà perciò sollecitata dal Settore Assistenza la costituzione di una apposita «Consulta sulle vecchie e nuove povertà» i cui compiti dovranno essere quelli di stimolare e raccordare a livello regionale tutti gli interventi di anti-povertà, oltre che di favorire la completa e corretta conoscenza dei fenomeni in atto, anche attraverso l'attivazione d'apposite indagini esplorative ed approfonditive «mirate», tra loro coordinate da una ricerca di Osservatorio sulle povertà in Lombardia (cfr. capitolo sul sistema informativo regionale).

     E' comunque da tenere in evidenza il fatto che i poteri locali possono e debbono intervenire laddove più è grande la loro capacità di incidenza: dinnanzi a situazioni di povertà assolute ove i bisogni primari stentano a trovare un minimale soddisfacimento mediante interventi di aiuto e sostegno più incisivi; dinnanzi alla sempre più articolata gamma delle povertà istituzionali, ovvero dinnanzi al depauperamento frutto della scarsa qualità e quantità delle opportunità istituzionali o dei servizi locali (ospedali, scuole, case, servizi di prevenzione, centri di pronto intervento, servizi di ricovero, comunità, centri sociali ecc.).

     In questa logica, per quel che è di sua competenza, il comparto socio- assistenziale si impegna, in prima battuta, a tener conto dei «fattori di povertà» che verranno individuati e misurati nei vari contesti territoriali aggregati nel momento delle annuali erogazioni finanziarie parametrate; nel medio periodo sarà inoltre valutata la possibilità di significativi interventi finanziari ad hoc nella misura in cui sarà consentita dai provvedimenti di bilancio.

     Su altro fronte si incentiverà, nell'arco di validità del Piano, un adeguato aggiornamento su queste nuove tematiche degli operatori sociali più direttamente coinvolti mediante la finalizzazione contenutistica di parte dei corsi regionali di formazione.

     In modo particolare andrà affrontato il problema della immigrazione straniera e fatto conto che all'interno di questa fascia di popolazione esiste un gruppo di persone particolarmente bisognose di interventi e di tutele che è rappresentato dalla popolazione minorile immigrata. In questo quadro di futuro impegno del livello regionale, che assumerà la modalità dell'intervento sperimentale in alcune aree territoriali ove il problema è più acuto, si possono al momento dare delle indicazioni di ordine generale circa l'attivazione di set di interventi che potranno prevedere:

     - attività di alfabetizzazione e di crescita linguistico-culturale;

     - attività di informazione sui diritti dei lavoratori, sui diritti civili e di tutela, sui diritti e i doveri dei cittadini;

     - attività di assistenza economica di emergenza e di indirizzo per l'accesso e l'utilizzo dei servizi sanitari e sociali;

     - attività di supporto volte alla risoluzione definitiva o temporanea dei problemi abitativi;

     - attività di supporto per l'accesso a corsi di formazione lavorativa e professionale;

     - attività di supporto per l'accesso alle strutture scolastiche pubbliche, in particolare proprio per i minori immigrati o di seconda generazione;

     - attività di valorizzazione delle culture d'origine in un quadro di integrazione sociale e di confronto culturale con la realtà lombarda;

     - attività di informazione e di sensibilizzazione dell'opinione pubblica regionale.

     L'insieme degli impegni di intervento e promozionali innovativi in questa azione finalizzata non potrà che essere frutto di un lavoro congiunto tra diversi settori regionali ed altri soggetti istituzionali (organi periferici dello Stato, Comuni, Province, ecc.): torna perciò in evidenza l'importante funzione che potrà svolgere la «Consulta» nel rappresentare il luogo della messa in comune non solo di «idee» ma anche di specifici «impegni».

     In conclusione è importante ribadire comunque come già di per sé una politica di sicurezza sociale che esiga e preveda di agire con dei servizi sociali che innanzitutto non favoriscano la separatezza e l'autoesclusione sociale di individui, famiglie, gruppi portatori di bisogni, non può che essere una politica che si allontana dall'assistenzialismo marginalizzante e stigmatizzante e, perciò, non può che proporsi, implicitamente, come una politica di anti-povertà almeno su uno dei fronti che costituiscono le «nuove povertà».

     Oltretutto il processo di degrado della qualità della vita, da un lato, ed il processo di degrado della qualità del sistema dei servizi, per altro verso, si localizzano in modo acuto nel contesto urbano- metropolitano.

     La «marginalità» diventa così un fenomeno «diffuso» e mobile in quanto sposta continuamente i propri confini rendendo estremamente difficile una pianificazione di intervento che tradizionalmente è ancorata ai concetti di «bacini» di utenza, alla «quantificazione» della domanda e alla localizzazione della struttura di erogazione.

     Di conseguenza il tumultuoso sviluppo delle grandi città oltre che comportare una spinta alla disgregazione sociale ha indotto anche una risposta distorta da parte del sistema dei servizi stessi.

     Se l'utente tradizionalmente definito come emarginato chiede (se si convince a farlo) una risposta immediata al suo stato acuto di bisogno (ad esempio aiuto in denaro per l'ex carcerato, assistenza psichiatrica per l'ex ospite dell'O.P.), non è difficile mostrare come e quanto su queste modalità immediate di domanda retroagiscono le strutture e la vigente cultura dei servizi. Ne nasceranno delle forme di assistenzialismo persistente, di categorizzazione degli utenti, di parcellizzazione normativa, di settorialismo degli enti e degli interventi, che possono produrre degli effetti sulla stessa funzione professionale degli operatori del settore.

     Tale processo di involuzione del sistema dei servizi crea più casi di emarginazione di quanto la domanda non permetta di individuare persone emarginate, poiché lo stato di bisogno «acuto» di alcuni gruppi sociali spesso non dipende del tutto dagli individui che lo compongono ma da una interazione tra questi individui e l'istituzione o il settore che li «amministra».

     E' necessario quindi che la stessa mobilità culturale dei bisogni rimetta in gioco la valutazione e i criteri della cultura amministrativa dei diversi servizi.

     Quest'ultima, infatti, li classifica in genere secondo dei criteri di radicalità e acutezza (facendo prevalere in questo modo una valutazione passiva dei bisogni) e non secondo dei criteri di socializzazione- prevenzione.

     In sintesi poiché i bisogni, così come la pericolosità e il rischio urbani, hanno una loro mobilità culturale, «le frontiere» della città non si snodano più lungo i suoi confini (o non solo), né sono concentrate in particolari luoghi ma attraverso ogni luogo e spazio (quartieri, zone) della città, con la conseguenza che non tutti i servizi del territorio sociale sono localizzabili nello stesso modo e misura, né con gli stessi criteri organizzativi.

     Affrontare la questione «povertà» così intesa diviene dunque, al contempo, affrontare la questione delle modalità di azioni innovative che bisogna saper impostare. Su questi aspetti, riflessioni teoriche e sperimentazioni pratiche dovranno fornire a tutti gli attori, pubblici e privati, più radicate considerazioni.

     Certo è però che i servizi sociali, gli operatori in essi incardinati, i programmatori socio-assistenziali centrali e zonali sono chiamati ad un ulteriore impegno che, se purtroppo non li può vedere spesso dotati di strumenti e risorse per eliminare o ridurre le aree di povertà, le loro cause, li può vedere correttamente attivi, proprio a partire dal contesto locale, almeno nel bloccare alcuni effetti devastanti, nel tamponare i bisogni più urgenti e drammatici, nel sensibilizzare e nel premere affinché la coscienza collettiva non rimuova questi problemi e non abbandoni a sé stessi questi gruppi sociali che sono composti da cittadini cui va riconosciuta una piena e pari dignità.

 

     4.2.5. Area dell'intervento socio-assistenziale nell'ambito carcerario.

     Esiste oggi un quadro normativo frammentario e disomogeneo che, comunque, assegna nuovi compiti e nuove competenze al Governo locale (Regione, USSL, Comune) in tema di esecuzione penitenziaria.

     Tale quadro è venuto progessivamente emergendo a partire dagli anni '70 in coincidenza con il processo di decentramento amministrativo.

     La Regione Lombardia con il presente P.S.A. intende avviare, nell'ambito delle proprie competenze e nello spirito della vigente legislazione penitenziaria, un processo di interventi finalizzato alla realizzazione di un progetto di esecuzione penitenziaria che possa dare un contenuto apprezzabile al dettato costituzionale che vuole la pena orientata ai fini di prevenzione e di recupero sociale. Con un'attenzione rivolta alle risorse disponibili sul territorio lombardo il P.S.A. del triennio tenta di tracciare i contorni di tale modo di intendere la pena.

     Per un corretto e proficuo svolgimento delle rispettive competenze, si evidenzia sempre più come prioritaria la necessità di una più stretta collaborazione tra il Ministero di Grazia e Giustizia e la Regione e pertanto per il prossimo triennio ogni sforzo dovrà essere teso ad un lavoro integrato tra i vari Organi regionali (Giunta Commissione speciale per la criminalità, Comitato interassessorile per i problemi della criminalità e carcerari, Gruppo tecnico di lavoro interdisciplinare) e gli Organi del Ministero di Grazia e Giustizia.

     Di non secondaria importanza appare la necessità di coinvolgere in qualche modo anche il «privato» intendendosi per tale il volontariato, le associazioni, i gruppi interessati, così da favorire una reale partecipazione e collaborazione da parte della comunità stessa.

     L'attività integrata dei vari Organi dovrà effettivamente rappresentare un modo nuovo e costruttivo di lavoro e un punto di riferimento in quanto sede di:

     - raccordo tra organi periferici del Ministero di Grazia e Giustizia e quelli degli Enti Locali;

     - coordinamento delle iniziative proponibili sia da parte del «pubblico» che del «privato»;

     - azione promozionale e di sensibilizzazione sociale a livello di comunità esterna;

     - proposte di progetti integrati di intervento nel settore penitenziario con conseguente controllo della validità degli stessi progetti e verifica della loro attuazione;

     - studio per le ipotesi di formazione in comune degli operatori dei tre livelli interessati: penitenziario, Ente locale, volontariato.

     L'impegno della Regione e dell'Ente locale in materia può essere concretizzato in vari tipi di intervento, che vanno da un'azione di prevenzione generale e specifica ad un'azione di recupero e di reinserimento sociale del detenuto.

     Per raggiungere tale obiettivo sarà necessario il coinvolgimento diretto di altri specifici settori in quanto le problematiche emergenti investono competenze diverse e riguardano in particolare:

     - la sanità penitenziaria;

     - la formazione professionale del detenuto;

     - l'attività culturale, ricreativa e sportiva del detenuto;

     - il lavoro penitenziario;

     - la territorializzazione della pena;

     - il personale degli istituti di pena.

     Per il prossimo futuro in attesa che il gruppo di lavoro interdisciplinare per i problemi della criminalità e carcerari (istituito con D.P.G.R. 17 novembre 1986, n. 1199) definisca il predetto Piano Organico Integrato, il Settore Assistenza e Sicurezza Sociale intende attivare da subito delle specifiche iniziative nell'area penale, interna ed esterna al carcere, anticipatrici del predetto Piano Organico e, comunque, negli spazi concessi dalla vigente normativa.

     Corre obbligo precisare che il Piano Organico sarà costruito sulla base delle indicazioni fornite in merito dal Comitato Interassessorile per i problemi della criminalità e carcerari, (istituito con delibera n. 5297 del 29 gennaio 1986) e sulla base di quelli che saranno i reali spazi di intervento del Governo Regionale, precisati in apposito protocollo d'intesa tra la stessa Regione e la Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena, per la cui predisposizione è stata già costituita una Commissione mista a seguito di intese già perfezionate tra la Giunta Regionale e la stessa Direzione Generale degli Istituti di Prevenzione e Pena.

     Questa scelta del Settore Assistenza per un intervento immediato scaturisce da un'attenta riflessione dell'attuale situazione carceraria attraverso un riesame della vigente normativa nazionale e regionale in materia di riforma penitenziaria (legge 26 luglio 1975, n. 354; legge 10 ottobre 1986, n. 663), di trasferimento di funzioni in ambito socio- assistenziale dallo Stato alla Regione dei Comuni (D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ) e di riorganizzazione e programmazione dei Servizi socio- assistenziali in Lombardia (L.R. 7 gennaio 1986, n. 1).

     Il quadro dell'attuale situazione carceraria nella nostra società presenta una evidente contraddizione. Mentre da un lato infatti si moltiplicano le proposte e le sperimentazioni di forme punitive o di controllo alternative alla detenzione e si diffonde l'idea di una progressiva restrizione del carcere, dall'altro si va accentuando, in modo allarmante, il peso dell'istituzione carceraria chiusa, sia attraverso l'aumento del numero dei reclusi, sia con il deterioramento delle condizioni di vita interne, spesso oggetto di vivaci dibattiti nei mass- media.

     Nonostante il nuovo Ordinamento penitenziario del 1975, giustamente ritenuto di avanguardia rispetto a quello vigente in altri Paesi, sembra effettivamente che il carcere perda di credibilità e lo si accetta solo perché ritenuto necessario come dato inevitabile di ogni organizzazione sociale e come giusta ritorsione contro chi metta in pericolo la convivenza civile.

     In presenza di questa percezione, si ritiene che allo stato attuale delle cose ci siano i presupposti per un intervento della Regione e degli Enti Locali, finalizzato al miglioramento complessivo delle condizioni di vita della popolazione detenuta, avviando un reale processo di trattamento rieducativo e di reinserimento sociale e lavorativo, in un ottica che pone gli istituti di pena nel contesto complessivo della città e del suo sviluppo.

     Grazie alla legge di riforma, L. 26 luglio 1975, n. 354 «Norme sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà» e alla legge 10 ottobre 1986, n. 663 «Modifiche alla legge sull'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà» è stato avviato un processo di grande portata volto a rendere il detenuto partecipe e protagonista del proprio inserimento sociale, attraverso la sua adesione alle attività di trattamento rieducativo.

     Alla base di tale processo vanno individuate le varie misure alternative alla detenzione e altre forme di «premio» che, nel consentire una progressiva diminuzione del corso di sofferenza, legata all'esecuzione della pena, in funzione della regolarità della condotta carceraria, sono altresì servite ad orientare gli atteggiamenti dei detenuti verso una significativa partecipazione al trattamento e a portare un maggior ordine e una maggiore serenità all'interno del mondo carcerario, non certo appannati da singoli episodi negativi che saltuariamente si registrano.

     Il reinserimento sociale di un detenuto infatti non è un risultato che si può conseguire in forza di azioni punitive, bensì è un itinerario progressivo, che coinvolge anche i nuclei familiari dell'interessato, attraverso cui lo stesso detenuto sperimenta concretamente nuove scelte di vita, aderendo alle regole della vita in comune, nonché la propria capacità di mantenere fede all'impegno liberamente assunto.

     In questo quadro, tenendo realisticamente conto delle possibilità in cui si realizza il reinserimento sociale, il complesso degli incentivi, che favoriscono la collaborazione dei detenuti al loro trattamento, deve essere il più vasto e articolato possibile.

     Da sottolineare ancora come la Riforma penitenziaria avviata con la citata legge 26 luglio 1975, n. 354 agli artt. 17, 45 e 46 ribadisce l'importanza della partecipazione della comunità esterna all'opera della rieducazione dei detenuti e come la successiva legge di modifica, L. 10 ottobre 1986, n. 663 incrementa l'istituto delle misure alternative alla detenzione e, nel contempo, apre nuovi spazi di intervento al governo locale (Regione, Comune, USSL) per progetti di reinserimento sociale.

     Va inoltre ricordato che il D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 ha trasferito alla Regione e ai Comuni tutte le funzioni amministrative statali relative alla organizzazione e all'erogazione dei servizi di assistenza e beneficenza (artt. 22, 23 e 25) e che la L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 ha previsto una nuova organizzazione e programmazione dei Servizi socio-assistenziali in Lombardia.

     In particolare l'art. 23 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 specifica che tra dette funzioni sono comprese:

     a) l'assistenza economica in favore di famiglie bisognose dei detenuti;

     b) l'assistenza post-penitenziaria;

     c) gli interventi in favore di minorenni soggetti a provvedimenti delle Autorità giudiziarie minorili nell'ambito della competenza civile (affidamenti, adozioni, tutele, ecc.) e della competenza amministrativa (irregolarità della condotta e del carattere, disadattamento sociale, rieducazione, ecc.).

     Interventi in tal senso sono già stati previsti dalla circolare n. 4 del Settore Assistenza e Sicurezza Sociale «Criteri e direttive per il riparto del fondo regionale per i Servizi socio-assistenziali destinato alle spese correnti».

     Più significativa e più organica si ritiene debba essere la presenza della Regione e degli Enti Locali in tali aree di intervento a seguito soprattutto della recente sentenza della Corte Costituzionale 22 maggio 1987, n. 287 che ha espresso un giudizio di legittimità costituzionale dei citati artt. 22, 23 e 25 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

     La Legge Regionale 7 gennaio 1986, n. 1 inoltre, nel ribadire all'art. 1 quanto precisato dal D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, all'art. 2, all'interno degli obiettivi generali, sottolinea la necessità di prevenire e rimuovere le cause che provocano situazioni di bisogno o fenomeni di emarginazione, assicurando la fruibilità delle strutture e dei servizi atti al recupero sociale.

     La medesima legge regionale, all'art. 79 prevede specifici interventi per l'inserimento sociale e lavorativo di soggetti esposti a rischio di emarginazione e a tal fine possono essere erogati contributi alle imprese e alle Cooperative ed assumere, inoltre, tutte le altre iniziative di sostegno e incentivazione, compreso il concorso negli oneri sociali.

     In questo quadro di riferimento legislativo si colloca l'iniziativa del Settore Assistenza e Sicurezza Sociale che, nell'immediato, si ritiene possa concretizzarsi, ad integrazione e miglioramento di quelli già in atto, con l'obiettivo di supportare finanziariamente i seguenti interventi, attraverso:

     1) Contributi ai Comuni e/o alle USSL per il finanziamento di piani di intervento finalizzati all'inserimento sociale di detenuti, che fruiscono di misure alternative alla detenzione (semiliberi affidati al servizio sociale) ed ex detenuti, attraverso la formula di «borse formazione/lavoro» che non va pensata come un vero inserimento lavorativo.

     Questo, infatti, segue i normali canali previsti in merito dalla vigente normativa per l'assunzione lavorativa; la borsa «formazione/lavoro» invece è un'occasione che viene offerta ad un numero limitato di utenti (detenuti ed ex detenuti) in particolare di quanti hanno seguito corsi di formazione professionale, quale strumento di verifica delle loro potenziali capacità di reinserimento sociale attraverso il lavoro e con un supporto di natura educativa e psicologica.

     2) Contributi ad Associazioni di Volontariato e Privato Sociale, ritenute idonee, impegnate in azioni di sensibilizzazione sui problemi posti dalla carcerazione, da attuare nei confronti della cittadinanza con il coinvolgimento delle forze politiche e sociali operanti sul territorio, attraverso un programma di lavoro da sottoporre al Settore Assistenza e Sicurezza Sociale.

     3) Contributo finanziario per la realizzazione di un Progetto a favore dei minori detenuti presso l'Istituto di Osservazione «C. Beccaria» di Milano, finalizzato a migliorare la qualità della vita della popolazione minorenne detenuta, attraverso un pacchetto di iniziative, capaci di creare prospettive di aggregazione sociale all'esterno che riguardano il settore delle attività culturali, ricreative sportive.

     Per un tale Progetto sarebbe opportuna una collaborazione tra il pubblico e il privato con il coordinamento della Regione.

     Va precisato che le nuove importanti misure introdotte nell'ultimo decennio nell'ordinamento penitenziario per gli adulti non sembrano rispondere adeguatamente alle esigenze di specificità dell'utenza minorile.

     Vanno pertanto incoraggiate e sostenute tutte quelle iniziative finalizzate ad impegnare gli Organi di Governo per chiarire, nelle sedi competenti, sino a che punto e a quali condizioni il nuovo apparato delle misure dell'ordinamento penitenziario degli adulti può essere utilizzato per i minori o debba essere invece totalmente ripensato.

     4) Realizzazione della II parte del Corso di formazione «Qualifica per ausiliario socio-assistenziale» rivolto ai detenuti dell'area omogenea del carcere di Bergamo, in collaborazione con la Provincia di Bergamo.

     5) Finanziamenti a Cooperative di lavoro e di solidarietà sociale, per la realizzazione di programmi di lavoro mirati all'inserimento lavorativo di detenuti ed ex detenuti.

     6) Contributi finanziari ai Comuni e/o alle USSL per interventi economici a favore delle famiglie bisognose dei detenuti per tutto il periodo della detenzione e per i primi sei mesi dopo la scarcerazione, sulla base di puntuali indicazioni da parte della Regione.

     7) Indagine conoscitiva sul territorio regionale per la individuazione di immobili di proprietà di Enti Pubblici, ritenuti idonei, a seguito di ristrutturazione, ad essere utilizzati quali strutture per detenuti in misure alternative alla carcerazione.

     Il Piano organico integrato per l'area «carcere» di cui in precedenza, rielaborerà, arricchendola, questa parte del P.S.A. che, comunque, rimane sempre principale punto di riferimento per tutti quegli interventi, direttamente o indirettamente, correlati alla devianza sottoposta a misure penali.

 

     4.3 Formazione del personale socio-assistenziale.

 

     4.3.1. Premessa teorica

     In una organizzazione complessa come quella di un sistema di Servizi socio-assistenziali e sanitari, nel quale la formazione rappresenta una prassi diffusa, ma spesso gestita con scopi contraddittori, è da chiedersi, prima di delineare un quadro di intervento formativo regionale, quale sia la funzione che la formazione ha, di che cosa deve farsi carico e in quale modo, da chi e per quali risultati deve essere programmata, gestita e utilizzata.

     Dare risposta a questi interrogativi sarà materia di questo paragrafo, però non senza rilevare in questa premessa alcuni elementi di fondo.

     Il primo aspetto si riferisce alla funzione dell'intervento formativo che necessariamente porta con sé il segno del cambiamento e si colloca correttamente solo in situazioni che intendano coordinare competenze professionali del personale e organizzazione del servizio, al fine di avviare un processo progressivo di avvicinamento fra bisogni, espressi e non, dall'utenza, e risposta del servizio.

     Un altro problema di cui la formazione si deve far carico riguarda gli atteggiamenti culturali e i comportamenti del personale operante nei vari servizi, che spesso gestiscono rigidamente i rapporti interpersonali, impedendo la comunicazione e favorendo la separatezza:

     - fra il territorio-società, i servizi territoriali e i servizi delle strutture e dei presidi;

     - fra chi è preposto ad erogare servizi assistenziali e chi eroga quelli sanitari;

     - e soprattutto ponendo una frattura esistenziale fra chi è portatore della disfunzione e coloro che sono preposti a porne rimedio.

     Ogni programma di formazione perciò sarà legittimato ad essere tale in quanto avrà considerato i possibili significati strategici dell'intervento in una visione unitaria di formazione e organizzazione e di modelli culturali e modelli organizzativi.

     Circa i modelli culturali, incidenti esistenziali (povertà, infermità, abbandono, ecc.) che coinvolgono un individuo in forma più o meno stabile, danno allo stesso una connotazione e un'identità in negativo di emarginazione e di disfunzione, che tenderà a stabilizzare nell'individuo stesso comportamenti complementari alla propria disfunzione quale la compassione, la richiesta e pretesa passiva di aiuto, la dipendenza, il rifiuto di responsabilità e impegno ecc. e ponendo alla società l'obbligo di intervenire per porre rimedio. La richiesta di aiuto per rimediare crea a sua volta un altissimo potenziale di definizione sociale per coloro che prestano aiuto, creando fra le due parti sociali (chi chiede e chi dà aiuto) una alleanza nella conservazione della disfunzione, in quanto questo è un ambito nel quale l'uno e l'altro si definiscono in una relazione i cui ruoli sono contemporaneamente contrapposti e complementari.

     Lo spirito della legge regionale di riordino con i suoi principi intende viceversa contrastare tali atteggiamenti sociali, mira ad evitare il rischio che le professioni di terapia, assistenza, sostegno, nonché i ruoli sociali di volontariato e beneficenza, possano assumere caratteristiche parassitarie della disfunzione, concorrendo a conservarla.

     La legge intende regolare la prevenzione delle cause di bisogno ed emarginazione e la loro rimozione, anche con la cooperazione partecipativa dei soggetti, della famiglia, della comunità, sviluppando nel singolo il massimo di autonomia e di autosufficienza, in una visione di integrazione operativa soprattutto fra servizi assistenziali e sanitari.

     La norma mira perciò a correggere l'immagine dell'individuo definito per difetto, per disfunzione, restituendogli un'identità che nasce sull'iniziativa di un progetto per se stesso o organizzato attorno alla soluzione del proprio problema.

     Ciò pertanto richiede che un intervento assistenziale non agisca per trauma, riparando continuamente a situazioni problematiche in atto, ma operi con azioni progettuali e per attivazione di responsabilità.

     Quale professionalità allora per gli operatori sociali? Sarà necessario passare da una professionalità di prestazioni ad una professionalità di risultati.

     Operare per risultati intermedi e finali significa che tutti gli attori (utenti, famiglie, comunità, operatori amministrativi, organizzatori) si coinvolgano nel progetto e si assumano la responsabilità dei risultati e di una valutazione di qualità e di economicità del servizio sia all'interno dell'organizzazione che all'esterno.

     Significa anche che:

     - l'unicità della persona con la quale si opera, e non sulla quale si opera, viene rispettata, e che l'identità sociale dell'utente, poiché è basata sull'iniziativa, viene definita in positivo;

     - introducendo razionalità e progettualità nell'intervento, cercando soluzioni funzionali, si attiva responsabilità anche sull'economicità di costi e tempi dell'intervento.

     Una professionalità per prestazioni, viceversa, limita la propria responsabilità tutt'al più alla correttezza tecnica dell'operazione in sé, estraniandosi da una qualsiasi logica globale di funzionalità del servizio stesso.

     Ciò non significa tuttavia che la professionalità per prestazioni debba venir negata nei contenuti e obiettivi propri della formazione, ma collocata nella sua corretta funzione di strumentazione «tattica» a fronte degli obiettivi strategici prima evidenziati.

     La nuova strategia emancipativa degli operatori sociali sarà allora qualificata dalla capacità di consapevolizzarsi sul proprio processo di lavoro, per cogliere il rapporto della valenza della propria prestazione con il risultato che si vuole ottenere e calibrare.

     Verranno in tal modo valutati i termini espliciti e consapevoli i tempi, i costi, le modalità di lavoro, la correttezza tecnica, i flussi comunicativi, la partecipazione ecc.; ogni operatore, quindi, sarà in grado di precisare la qualità e la validità del servizio.

 

     4.3.2 Finalità generali

     Dal quadro generale indicato in premessa: operare in direzione di una formazione «per risultati» e non solo «per prestazioni», discende come logica conseguenza che la formazione del personale dei servizi e delle strutture socio-assistenziali non costituisce un aspetto a sé stante, ma trova la sua collocazione nel disegno unitario della nuova organizzazione dei servizi.

     D'altro canto, è noto che ogni manovra di miglioramento delle prestazioni e dei servizi non può avere come unico o prevalente connotato quello della quantità (aumento consistente del personale, rapportato agli standard indicati nell'allegata normativa tecnica), ma deve necessariamente farsi carico della «qualità» delle prestazioni professionali degli operatori impegnati; il presente PSA non può che assumere come finalità generali in questo ambito specifico, il superamento delle residualità che oggi lo caratterizza, con azioni finalizzate alla formazione di base degli operatori, alla riqualificazione e all'aggiornamento del personale in servizio, alla quantificazione dei fabbisogni quanti-qualitativi di formazione, tenuto conto degli obiettivi specifici e delle priorità in appresso indicate e conseguenti alle scelte individuate nel capitolo delle finalità generali, degli obiettivi specifici e degli interventi del presente PSA.

     La formazione viene qui intesa come investimento attuato sulla risorsa «personale» in una stretta correlazione tra gli obiettivi da perseguire e i risultati attesi per la riqualificazione e riclassificazione del sistema dei servizi socio-assistenziali.

     Gli aspetti formativi professionali vanno pertanto affrontati in connessione allo sviluppo e alla riclassificazione della rete delle unità di offerta, con soluzioni che tengano conto degli aspetti normativo- contrattuali, che devono corrispondere ad altrettanti interventi sul piano organizzativo-normativo, affinché a livello funzionale e contrattuale, possano conseguire gli esiti attesi in termini di professionalità.

 

     4.3.3 Ambiti di intervento e ruoli istituzionali

     Il quadro istituzionale cui fare riferimento in questo settore vede coinvolti lo Stato, la Regione, le Province, gli E.R.S.Z., in particolare:

     a) Lo Stato, per quanto attiene la definizione dei profili professionali socio-assistenziali di riferimento, le mansioni degli operatori, il raccordo tra le decisioni da assumere in questa materia e i decreti triennali di recepimento della contrattazione collettiva di lavoro, come in appresso più specificatamente indicato;

     b) La Regione, per quanto attiene sia la formazione professionale in genere che le competenze e funzioni in ambito specifico socio assistenziale. E' da dire, a questo proposito, che non pochi problemi derivano al settore assistenza dalla attuale collocazione e organizzazione della formazione professionale: da un lato, la formazione della figura dell'infermiere professionale demandata al settore sanità, che segue pertanto la logica di una formazione e di una quantificazione strettamente collegata ai presidi sanitari, escludendo quindi le strutture e i servizi socio-assistenziali connotati da forti caratteristiche di integrazione; dall'altro, la collocazione degli specifici interventi formativi del comparto socio-assistenziale nel più ampio quadro della formazione professionale di competenza del settore istruzione, con i vincoli e i contenuti della L.R. 7 giugno 1980, n. 95.

     Il settore assistenza, cui peraltro la Legge Regionale 7 gennaio 1986, n. 1 affida compiti e funzioni di notevole portata, si trova quindi ad operare in una materia che non governa direttamente con proprie risorse, ma solo attraverso l'individuazione di criteri e indirizzi generali, di finanziamento alle Province per i loro compiti di supporto tecnico e coordinamento alla formazione, di possibili finanziamenti di qualche progetto di sperimentazione nell'area. In particolare, la Legge 7 gennaio 1986, n. 1 prevede che il livello regionale:

     - stabilisca il livello di qualificazione professionale degli operatori socio-assistenziali addetti a diversi tipi di servizi e di presidi, nonché i rapporti numerici tra personale e utenti (art. 33);

     - indichi criteri e modalità specifiche per l'integrazione dei servizi socio-assistenziali con quelli sanitari a livello zonale e distrettuale (art. 33);

     - garantisca la prevenzione e la rimozione delle cause di emarginazione, salvaguardando la salute del singolo e della collettività, con la cooperazione partecipativa dei soggetti, della famiglia, della comunità, per produrre autonomia e autosufficienza (art. 2);

     - curi perciò la riqualificazione e l'aggiornamento degli operatori dei servizi assistenziali attraverso corsi di formazione anche al fine di assicurare la riqualificazione del personale in sede di primo inquadramento (art. 33). Dà inoltre diritto alle organizzazioni di volontariato di provvedere alla formazione e aggiornamento dei propri soci in modo autonomo e di usufruire dei corsi di aggiornamento organizzati dalla Regione (art. 8).

     Alla luce degli obiettivi indicati dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 e dei fabbisogni che scaturiscono dal presente P.S.A., sembra opportuna una riflessione circa la congruità dell'attuale impianto

organizzativo/istituzionale interno al livello regionale in rapporto alla necessità di dare risposte tempestive e flessibili alla domanda di formazione, che dovrebbe prevedere un più diretto coinvolgimento del Settore Assistenza; ciò richiede necessariamente una revisione dell'assetto normativo in modo tale da far coincidere in un unico centro programmatorio sia l'individuazione degli obiettivi e della relativa priorità che il governo delle risorse globalmente impegnabili.

     c) Le Province.

     Le Province esercitano per delega regionale la programmazione della formazione professionale in genere e, in quanto esercitanti tale ruolo, si trovano ad operare anche nel campo della formazione socio assistenziale nell'ambito della più generale pianificazione degli interventi formativi.

     La specificità della formazione socio-assistenziale, all'interno della pianificazione generale provinciale prima evidenziata è attualmente affidata di norma all'Assessorato Provinciale ai servizi sociali e non sempre viene assicurato il necessario raccordo interassessorile (servizi sociali-istruzione) nonché la unicità di governo in capo al settore direttamente interessato. I nuovi significativi compiti riconosciuti alla Provincia dalla Legge Regionale 7 gennaio 1986, n. 1 e dal presente P.S.A. comportano l'esigenza che tutta la materia socio-assistenziale venga governata unitariamente da un unico settore, così da rendere significativo ed efficace l'intervento formativo nel suo complesso (autorizzazioni al funzionamento, conseguenti fabbisogni quali-quantitativi di personale, fabbisogni di formazione e aggiornamento necessari).

     Tale manovra non richiede peraltro alcuna modifica legislativa rispetto all'attuale assetto ma solo una revisione dell'organizzazione Interna alla Provincia stessa.

     In relazione alle funzioni di supporto tecnico e di coordinamento previste dalla L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, va sottolineato che si tratta di un «di più» rispetto alle normali funzioni di pianificazione in campo formativo generale e nello specifico socio-assistenziale: si tratta di funzioni aggiuntive attraverso le quali la Provincia si pone come ente di coordinamento territoriale e di contenuti tra le indicazioni generali regionali e la specificità delle situazioni e dei fabbisogni zonali; tutto questo, per l'esigenza sempre più avvertita di una migliore finalizzazione delle risorse e una risposta più adeguata ai bisogni. Più in specifico le Province:

     - supportano la Regione per la programmazione delle politiche di formazione;

     - collaborano con la Regione per la costruzione di strumenti di analisi e valutazione del fabbisogno formativo e dei progetti di formazione;

     - elaborano un piano provinciale di formazione coordinato con gli enti territoriali sulla base delle indicazioni rassegnate dai singoli Enti Responsabili, in particolare attraverso i programmi di zona di volta in volta approvati;

     - svolgono nei confronti delle USSL compiti di supporto tecnico per la formazione e l'aggiornamento del personale con riferimento all'intero ambito dei servizi socio-assistenziali;

     d) Gli Enti Responsabili in base alla vigente legislazione, sia in campo sanitario che socio-assistenziale, sono titolari delle funzioni collegate alla formazione e all'aggiornamento del personale, tenuto conto delle direttive, degli indirizzi e vincoli discendenti dai Piani regionali sanitario e socio assistenziale.

     A questo livello pertanto si attua quella ricomposizione di titolarietà, mezzi e strumenti, funzionale al processo di integrazione tra i due comparti; nel comparto socio-assistenziale, in particolare, l'Ente responsabile è chiamato, in accordo con tutti i Comuni della zona:

     - a quantificare i fabbisogni di prima formazione, aggiornamento e riqualificazione;

     - a elaborare progetti di intervento formativo integrati fra i due comparti;

     - a proporne il loro inserimento nel Piano di formazione delle Province.

     Nell'analisi dei fabbisogni formativi, l'Ente responsabile è chiamato a porre particolare attenzione alle caratteristiche dell'utenza e alla funzionalità dei servizi, ai fini della realizzazione degli obiettivi sia del Piano socio-assistenziale regionale che dei propri programmi triennali.

     Gli interventi relativi alla formazione e all'aggiornamento del personale operante nei servizi, in quanto strettamente correlati agli obiettivi specifici e alle priorità che il programma di zona fissa per lo sviluppo del sistema socio-assistenziale e per la realizzazione dei progetti-obiettivo, diventano parte integrante e sostanziale di tale programma: tuttavia la loro esecutività presuppone il successivo recepimento nei programmi triennali e annuali regionali e provinciali e quindi richiede una costante collaborazione tra tutti i livelli interessati, includendo in tale circuito programmatorio le Province, in considerazione del ruolo proprio di valutazione dei fabbisogni complessivi di tutte le zone di competenza, anche ai fini di una miglior organizzazione e della possibilità di evitare dispersioni e polverizzazioni dei corsi. Gli stessi Enti responsabili partecipano al controllo di gestione dei corsi e alla verifica della congruità esistente tra obiettivi e realizzazioni.

 

     4.3.4 Figure professionali

     La complessità e, in alcuni casi, la disomogeneità prima sottolineata per quanto attiene alla competenza dei livelli istituzionali coinvolti nella formazione è una caratteristica che si ritrova anche nella definizione delle figure professionali.

     A questo riguardo va operata preliminarmente una distinzione fra figure professionali già legislativamente riconosciute e con iter formativo consolidato e indiscusso, rientranti di norma nel comparto sanitario, ovvero con livello di preparazione universitaria (medici; riabilitatori; psicologi; sociologi; pedagogisti), anche se molti tra questi operatori prestano la propria attività professionale nella rete delle unità di offerta socio assistenziale, dagli operatori che costituiscono l'asse portante del sistema dei servizi socio-assistenziali, di norma con profili professionali giuridicamente ancora non riconosciuti a livello nazionale e normati con interventi surrogatori dalla Regione (assistenti sociali- educatori professionali-ausiliari socio-assistenziali) ovvero indicati in leggi nazionali di settore in modo scoordinato e non omogeneo (educatori/operatori degli asili nido). E' su questo secondo gruppo di profili che si accentua l'attenzione del presente P.S.A., sia in relazione alle azioni da programmare nel campo della 1° formazione, che per la riqualificazione e l'aggiornamento del personale in servizio.

     Si analizzano di seguito, per ogni singola figura professionale:

     - lo stato di definizione del profilo professionale, a livello nazionale;

     - le iniziative di prima formazione svolte attualmente dalla Regione: requisiti richiesti, vincoli posti, significato della certificazione di qualifica rilasciata;

     - le interconnessioni esistenti con la contrattazione collettiva e la definizione delle mansioni ivi previste;

     - le unità di offerta in cui viene impegnata.

 

     Assistente sociale

     A livello nazionale non è stato a tutt'oggi riconosciuto il titolo di A.S. né è stato definito un iter formativo omogeneo.

La Commissione nazionale di studio per la definizione dei profili professionali sociali, istituita nel 1982 presso il Ministero dell'Interno, ha terminato i suoi lavori nel dicembre 1983, indicando, nel rapporto conclusivo, come soluzione praticabile per la formazione degli assistenti sociali l'istituzione delle scuole universitarie a fini speciali ex D.P.R. 10 marzo 1982, n. 162.

     Dal 1984, più volte sono stati presentati dal Ministero della Pubblica Istruzione i relativi decreti di attuazione ma a tutt'oggi non sono ancora stati approvati in via definitiva.

     In assenza di normative statali, la Regione ha provveduto nel frattempo a normare il profilo e la formazione dell'Assistente Sociale emandando nel 1977 gli ordinamenti didattici per le Scuole di formazione degli operatori sociali e quindi con la L.R. 7 giugno 1980, n. 95. Recentemente una Commissione appositamente costituita presso il Settore Istruzione ha operato una revisione degli ordinamenti didattici e dei requisiti delle scuole professionali per operatori sociali.

     Sulla base di tali normative sono state riconosciute quattro scuole regionali di formazione in quanto hanno accolto gli ordinamenti didattici indicati: tali scuole prevedono un iter formativo triennale e richiedono come requisito di base un diploma di scuola media superiore che consenta l'accesso all'Università.

     Il profilo professionale indicato dalla Commissione regionale per gli orientamenti didattici è il seguente:

     «L'Assistente Sociale è un operatore che, secondo i principi, le conoscenze ed i metodi specifici della professione, svolge la propria attività nell'ambito del sistema organizzato delle risorse sociali nei confronti di individui, gruppi, famiglie, istituzioni, al fine di concorrere a prevenire e risolvere situazioni di bisogno».

     Per il raggiungimento di tali obiettivi l'Assistente Sociale attua interventi rivolti a favorire l'autonomia delle persone nell'affrontare i problemi personali e sociali e la capacità di sostenere responsabilmente le proprie funzioni sociali, aiutando l'utenza nell'uso costruttivo delle risorse disponibili; coopera nella progettazione, organizzazione e amministrazione dei servizi sociali; svolge attività di studio, di ricerca e documentazione volte e promuovere prestazioni e servizi rispondenti ai bisogni sociali.

     Il possesso del titolo è requisito indispensabile per l'accesso al mondo del lavoro sia pubblico che privato e per la partecipazione a concorsi pubblici.

     Il diploma regionale rilasciato dalle predette scuole è altresì aderente, per contenuti formativi, al profilo professionale ipotizzato dalla commissione nazionale di studio prima citata.

     Agli effetti dell'inquadramento ai livelli funzionali del pubblico impiego, le mansioni e il profilo dell'assistente sociale sono recepiti in maniera sufficientemente corrispondente alla declaratoria del profilo, anche se le possibilità di carriera si sviluppano al massimo su due livelli (di norma il primo inquadramento è al VI livello) essendo precluso l'accesso a livelli direttivi in assenza del riconoscimento del titolo.

     Unica eccezione in questa direzione è il disposto della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, quando prevede che anche l'assistente sociale sia una delle figure professionali di riferimento tra cui operare la scelta del responsabile del servizio di assistenza sociale dell'USSL, non essendo per tale responsabile previsto il possesso della posizione apicale del ruolo di provenienza.

     La collocazione prevalente degli assistenti sociali è quella nelle équipes territoriali, ovvero nelle unità operative zonali e distrettuali dell'USSL e nei Comuni singoli, in quanto l'organizzazione pubblica tende a esaltarne il ruolo legato alla progettazione e realizzazione dei servizi alla formulazione delle mappe di rischio, al sostegno e agli interventi professionali resi al singolo, a gruppi, alla comunità;

nell'area del privato o del pubblico autonomo, l'assistente sociale è più frequentemente impegnato all'interno di singole unità di offerta, per gli ovvii motivi di specificità e settorialità che maggiormente connotano detto settore.

 

     Educatore professionale

     A livello nazionale le indicazioni emerse dalla già citata Commissione di studio per i profili professionali, istituita presso il Ministero degli Interni, prevedono per questo operatore un iter professionale simile a quello dell'assistente-sociale: corso triennale post scuola media di secondo grado da effettuarsi in una scuola universitaria a fini speciali; tali indicazioni non hanno avuto poi sbocchi concreti. In contrasto con detta impostazione, il D.P.R. 29 dicembre 1984, n. 1219 individua tre profili di operatori educativi: l'operatore dell'area pedagogica, in una funzione esecutiva, l'educatore e il direttore di area pedagogica.

     L'educatore a sua volta è articolato in due profili: l'educatore e l'educatore coordinatore; rispettivamente al VI e al VII livello. Per il primo si richiedono come requisiti il diploma di istruzione secondaria di secondo grado ed il superamento di corsi organizzati dall'Amministrazione di destinazione; per il secondo il diploma di laurea e un corso di specializzazione post-universitaria, nonché la frequenza di corsi di aggiornamento dell'Amministrazione di destinazione.

     Sempre nel 1984, con il Decreto del 10 febbraio, D.M. 10 febbraio 1984, il Ministero della Sanità ha identificato il profilo dell'educatore attinente al D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, che regolamenta lo stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali; tale educatore, che cura il reinserimento e il recupero di soggetti portatori di menomazioni psico-fisiche deve possedere come requisito specifico l'attestato di corso di abilitazione di durata almeno biennale, rilasciato da presidi del Servizio Sanitario Nazionale, ovvero dalla Università, cui si accede con Diploma di istruzione Secondaria di secondo grado.

     Tali indicazioni sono peraltro inattuabili, vuoi per l'inesistenza di presidi del Servizio Sanitario Nazionale abilitati ad effettuare corsi, vuoi perché anche in campo universitario ciò non è possibile, in attesa dell'istituzione della scuola universitaria a fini speciali, come si vede, a livello nazionale, la trattazione della materia è diversa e contraddittoria.

     In assenza di indicazioni certe dal livello nazionale, la Regione, nel riconoscere le scuole per operatori sociali ex art. 46 della L.R. 7 giugno 1980, n. 95, le ha estese alla formazione dell'educatore specializzato, formulando attraverso l'apposita commissione per gli ordinamenti didattici il seguente profilo professionale di riferimento:

     L'educatore professionale è l'operatore che, in base ad una specifica preparazione di carattere teorico-pratico, svolge la propria attività mediante la formulazione e la realizzazione di progetti educativi, volti a promuovere la formazione e l'integrazione dell'individuo nelle diverse età, lo sviluppo e la partecipazione sociale.

     Per il perseguimento di tali obiettivi, nell'ambito del sistema delle risorse sociali, egli svolge interventi riguardanti i rapporti interpersonali, la famiglia, i gruppi e le istituzioni sociali, il contesto ambientale, i servizi e le strutture in campo educativo.

     Gli strumenti di cui si avvale sono relativi a metodologie di operatività psico-pedagogica e socio culturale. Conduce attività di studio, ricerca, e documentazione indirizzate all'intervento educativo. Requisito per l'accesso alla scuola di durata triennale, è il possesso di un titolo di studio di scuola media di secondo grado.

     Il diploma regionale di educatore professionale, rilasciato dalla scuola per operatori sociali, è in armonia con le indicazioni della commissione e con le esigenze di operatività nei servizi.

     La diversità di normativa in campo nazionale ha comportato comunque l'insorgere di problemi per la Lombardia in ordine alla possibilità di assumere educatori formati dalle scuole regionali all'interno di unità operative e presidi sanitari (educatori da utilizzare per l'area della psichiatria e della tossicodipendenza).

     Ciò ha comportato la necessità di un coordinamento intersettoriale regionale (Sanità, Assistenza, Istruzione, Coordinamento dei Servizi Sociali) allo scopo di evitare il rischio di un doppio canale formativo e per, viceversa, sottolineare l'impegno congiunto al riconoscimento di un unico profilo professionale sia per i servizi e strutture socio- assistenziali, che per quelle sanitarie, e per quelle socio-sanitarie integrate. Il tutto in attesa che il Ministero della Pubblica Istruzione emani i Decreti attuativi ex D.P.R. 10 marzo 1982, n. 162 per l'istituzione delle scuole universitarie a fini speciali.

     Le scuole regionali riconosciute per la preparazione di tale operatore sono 4.

     A differenza di quanto accade per l'assistente sociale, non esiste per la figura dell'educatore l'obbligatorietà del diploma regionale per l'accesso al mondo del lavoro sia pubblico che privato; ne discende di conseguenza che all'interno di molte unità di offerta sono in servizio «educatori» senza specifica preparazione professionale; tale situazione incide negativamente sia sulla qualità dei servizi (in molte situazioni esiste scarsa correlazione tra natura e complessità dell'intervento educativo e formazione di base degli addetti), che sul livello di inquadramento degli operatori, caratterizzato da forte disomogeneità e sperequazione.

     Di norma gli educatori prestano la propria attività professionale nella rete delle unità di offerta per minori ed handicappati (comunità alloggio, istituti educativo assistenziali per minori, centri di aggregazione giovanile, centri socio educativi, centri residenziali per handicappati, assistenza domiciliare, come prestazione specifica per i soggetti handicappati, nonché nei centri psico-sociali, nei C.R.T., nelle C.T. dell'area della tutela della salute mentale).

 

     Ausiliari socio-assistenziali

     Con questa denominazione viene indicato dal presente PSA un operatore che a livello nazionale non ha ottenuto alcun riconoscimento formale e che, nelle varie Regioni, ha assunto denominazioni talora diverse pur in presenza di mansioni analoghe.

     La Commissione nazionale, già più volte citata, istituita presso il Ministero dell'Interno, aveva concluso i suoi lavori auspicando: il riconoscimento della qualifica dell'assistente domiciliare e dei servizi tutelari nell'area dei servizi socio-assistenziali; il riconoscimento della qualifica da parte del Ministero del Lavoro; il recepimento del profilo professionale in sede di accordo nazionale di lavoro riferito al comparto degli EE.LL.; la prescrizione circa l'obbligatorietà di una specifica formazione professionale, da inserire quale requisito nei contratti di lavoro e che vincoli le Regioni a programmare corsi selettivi di prima formazione e riqualificazione; la convalida dei corsi già programmati dalle Regioni qualora conformi ai requisiti previsti dalla Commissione anche ai fini del rilascio dell'attestato di qualifica agli operatori interessati. La Commissione inoltre raccomandava alle Regioni «di mettere allo studio e affrontare, nell'ambito della formazione professionale, i problemi connessi con la fase di transizione per quanto riguarda la figura dell'assistente domiciliare e dei servizi tutelari...».

     Il profilo professionale individuato è stato il seguente:

     «L'assistente domiciliare e dei servizi tutelari è un operatore dell'area socio-assistenziale che, in base ad una specifica formazione, è preposto, a livello domiciliare o in strutture tutelari, allo svolgimento di una serie di attività integrate che si qualificano come assistenza diretta alla persona, aiuto domestico, prestazioni igienico sanitarie di semplice attuazione complementari alle attività di assistenza e di tutela, di tramite con servizi e risorse sociali, al fine di favorire l'autonomia personale dell'utente nel proprio ambiente di vita, nel rispetto della sua autodeterminazione ed allo scopo di evitare, o comunque con l'obiettivo di ridurre, i rischi di isolamento e di emarginazione».

     Le principali funzioni e mansioni sono di seguito sintetizzate:

     aiuto volto a favorire l'autosufficienza (aiuto nelle attività della persona su se stessa: alzarsi, pulizia personale, alimentazione, corretta deambulazione, movimento arti invalidi, ecc.; aiuto per il governo dell'alloggio ovvero igiene e pulizia effetti personali e letto dell'utente; accompagnamento, ecc.);

     aiuto volto alla tutela igienico-sanitaria che comporta attività di semplice attuazione non legate a situazioni di rischio specifico e valutate come non separabili da una attività integrata di assistenza alla persona (massaggi e frizioni per prevenire piaghe da decubito, mobilizzazione dell'utente, ecc);

     interventi volti a favorire la rete di relazione;

collaborazione nel settore dell'educazione alla salute e nell'attività di segretariato sociale (informazioni, svolgimento pratiche, piccole commissioni, ecc.);

     contributo alla gestione del servizio e alle attività di programmazione.

     Malgrado il parere espresso dalla Commissione Nazionale al Ministero della Sanità circa la opportunità di riconsiderare l'attribuzione di alcuni compiti di natura sanitaria alla nuova figura professionale delineata, nonché la necessità di coordinare la stessa alle figure previste dal D.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, il Ministero della Sanità, in data 10 Febbraio 1984, con proprio Decreto ha identificato la figura professionale dell'ausiliario socio-sanitario specializzato che «assicura la pulizia degli ambienti di degenza ospedaliera diurna e domiciliare, ivi comprese quelle del comodino e dell'apparecchiatura della testata del letto. Provvede al trasporto degli infermi in barella e in carrozzella ed al loro accompagnamento, se deambulanti con difficoltà. Collabora con il personale infermieristico nelle pulizie del malato allettato e nelle manovre di posizionamento del letto; è responsabile della corretta esecuzione dei compiti affidati dal caposala e prende parte alla programmazione degli interventi assistenziali per il degente». Il livello iniziale di inquadramento previsto è il secondo con possibilità di accesso al terzo livello, dopo due anni di permanenza nel secondo e il superamento di apposito corso.

     Come si può notare, fra i due profili esistono non poche differenze, la più rimarchevole delle quali è la totale assenza, dal profilo normato in campo sanitario, delle attività volte a favorire la vita di relazione e, in parte, quelle volte a favorire l'autosufficienza.

     In Regione Lombardia, con deliberazione n. 8029 del 1981, il Settore Istruzione ha provveduto a istituire corsi di qualifica per «ausiliari addetti all'assistenza».

     Le caratteristiche attribuite all'ausiliario da tale delibera sono in armonia con il profilo dell'«Assistente domiciliare e dei servizi tutelari» definito dalla Commissione Nazionale di studio già citata e configurano un profilo professionale di base, specifico per prestazioni di carattere assistenziale e tutelare per operare sia nel servizio di assistenza domiciliare che nelle strutture territoriali di carattere residenziale, anche al fine di garantire una necessaria mobilità.

     Tale personale deve avere sostanzialmente una valenza di tipo socio- assistenziale e le sue prestazioni devono essere quelle di aiuto domestico- alberghiero, di assistenza e di tutela diretta alla persona.

     Non esiste vincolo di obbligatorietà alla prima formazione per detta figura professionale: tuttavia la prima formazione attualmente viene curata, tramite convenzioni con l'Assessorato Regionale Istruzione, prevalentemente da organismi privati che si occupano del settore specifico (API-Colf della fondazione Clerici, cooperative di lavoro), ovvero da enti che operano nel campo della formazione professionale (CFP, ENAIP); per l'accesso a tali corsi si richiede il possesso della Licenza di Scuola dell'obbligo e il compimento del 18° anno di età: i corsi hanno di norma una durata 400/600 ore. Le suddette agenzie non sono attualmente in grado di soddisfare il fabbisogno né sotto il profilo quantitativo né sotto quello qualitativo, a causa soprattutto della mancanza di un raccordo con il settore pubblico.

     La formazione del personale in servizio privo della relativa qualifica è stata da tempo avviata attraverso piani annuali di formazione che hanno consentito, dal 1981 ad oggi, la qualificazione di circa 2600 operatori. Peraltro tale manovra risulta insufficiente anche a causa della scarsità di risorse mobilitate allo scopo e, molto spesso, per le esigenze organizzativo-contrattuali interne agli enti gestori dei servizi e delle strutture.

     Per quanto attiene gli aspetti normativo-contrattuali, si è già detto a proposito dell'ausiliario socio-sanitario specializzato del comparto sanitario; nel comparto socio-assistenziale, il D.P.R. 25 giugno 1983, n. 347 che recepisce il contratto di lavoro degli EE.LL., prevede alla terza qualifica (operatore), una figura professionale che svolge oltre alle pulizie, attività di cura della igiene personale degli utenti e di sorveglianza degli stessi, e alla quarta qualifica funzionale (esecutore) una figura di operatore addetto all'assistenza cui sono attribuite le funzioni da esplicare in modo integrato a livello domiciliare e in centri appositi a favore di persone anziane e persone portatrici di handicap consistenti in prestazioni di infermieristica generica e di assistenza domiciliare. Requisiti per l'accesso all'esterno sono la licenza di scuola dell'obbligo e specializzazione, professionale, se richiesta. Per completezza va detto che l'ipotesi di piattaforma contrattuale di rinnovo del contratto di lavoro degli EE.LL. prevede anche un operatore definitivo «collaboratore specializzato dell'assistenza» da inserire al quinto livello funzionale.

     Come si può rilevare, la figura prevista dal contratto degli EE.LL. è assimilabile a quella normata in Lombardia e proposta dalla citata Commissione nazionale, sia pure con alcune limitazioni.

     Si sottolinea infatti la coincidenza per quanto riguarda:

     - l'unicità dell'operatore rispetto agli ambiti di intervento (domiciliare residenziale), per anziani e handicappati;

     - l'integrazione delle funzioni (assistenza domiciliare ed igienico- sanitaria anche se impropriamente definita, infermieristica generica);

     - la previsione di una specializzazione professionale che comunque va esplicitamente indicata.

     Gli ausiliari socio-assistenziali in Lombardia sono impiegati in servizi per anziani (strutture protette per non autosufficienti, case di riposo, servizi di assistenza domiciliare) per handicappati (centri residenziali e assistenza domiciliare) e nei centri di pronto intervento.

 

     Animatore

     Non esiste profilo professionale individuato a livello nazionale; anche a livello regionale la formazione specifica per questo operatore ha subito alterne vicende; attualmente è previsto l'apprendimento di tecniche di animazione all'interno dei corsi di aggiornamento per educatori professionali, ovvero vengono previsti corsi di animazione gestiti da enti privati o a cura degli stessi enti gestori dei servizi.

     L'animatore è un operatore idoneo ad operare come conduttore di gruppo con soggetti in difficoltà (adolescenti a rischio, handicappati, anziani), in possesso delle tecniche di animazione che gli consentono lo svolgimento di tutta una serie di attività (ginnastica, pittura, teatro, danza, corsi di educazione alimentare, organizzazione attività ricreative-feste ecc.) e, attraverso di esse, di curare le dinamiche relazionali fra i componenti dei gruppi.

     Nel corso degli ultimi anni, per formare figure di questo genere si è intervenuti su operatori già dotati di una loro professionalità (insegnanti, operatori sociali), ovvero su giovani in possesso del diploma di 2° grado, attraverso corsi di formazione tesi a sviluppare, all'interno di competenze generali già date, la conoscenza delle tecniche e delle modalità di intervento proprie dell'animatore (atteggiamento maieutico ed empatico, utilizzo di tutti i linguaggi anche non verbali) e per l'acquisizione di tecniche specifiche di organizzazione del tempo libero, creazione di occasioni di svago e ricreative, ecc.

 

     Operatore educativo degli asili nido

     Si tratta di operatori impiegati negli asili nido pubblici e privati. Hanno compiti di integrazione dell'azione educativa della famiglia, ai fini di ottenere l'armonico sviluppo psico-fisico e la socializzazione del bambino. Ad essi competono anche le operazioni di igiene e pulizia, nonché la somministrazione del pasto, momenti indispensabili di rapporto con il bambino e i suoi bisogni e quindi veicolo di molti interventi educativi.

     I titoli di studio o qualifiche richieste sono quelli già elencati nella L.R. 17 maggio 1980, n. 57 in attuazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1044.

     Si tratta di requisiti diversi e disomogenei per livelli e sedi formative. Per l'assunzione vengono infatti richiesti i seguenti titoli: puericultrice, vigilatrice d'infanzia, assistenti di infanzia, diploma di maturità magistrale, diploma di abilitazione all'insegnamento nelle scuole di grado preparatorio, diploma di dirigenti di comunità rilasciato da scuole superiori statali con cinque anni di corso. Sussiste riserva di preferenzialità per i primi tre titoli: puericultrice, vigilatrice d'infanzia, assistente d'infanzia, ai sensi della legge 19 luglio 1940, n. 1098; modificata dalla legge 30 aprile 1976, n. 338.

     Secondo il contratto degli EE.LL. questi operatori sono collocati al VI livello funzionale.

     La Regione, in considerazione della disomogeneità (quantitativa e qualitativa) della formazione di base (da formazione prevalentemente sanitaria, vigilatrici e puericultori, a formazione più specificamente pedagogica, magistrali, assistenti d'infanzia), ed in attuazione della legge 6 dicembre 1971, n. 1044, ha svolto e svolge tuttora per questi operatori un'intensa attività di formazione e di aggiornamento in servizio.

     La definizione di un iter formativo più omogeneo ed adeguato potrebbe consentire da una parte una più precisa caratterizzazione della figura in senso educativo e dall'altro canto anche la sua mobilità in servizi educativi diversi.

     L'orientamento più diffuso che sembra emergere è quello che porta all'identificazione di una figura di educatore della prima infanzia che copra tutto l'arco dell'età prescolare.

     Una simile scelta comporterebbe anche una ridefinizione dei servizi per l'infanzia in una direzione più integrata tra asilo nido e scuola materna e con una caratterizzazione più accentuata in campo socio-educativo rispetto ad impostazioni tradizionali di tipo custodialistico- assistenzialistico.

     La formazione ipotizzabile potrebbe essere collocata all'interno della riforma della scuola media superiore con il successivo accesso, a seguito del conseguimento del diploma di maturità con indirizzo socio-pedagogico, a corsi di specializzazione per il settore specifico.

 

     Psicologo

     La normativa riguardante la natura delle prestazioni professionali e il ruolo dello psicologo è ancora in discussione a livello nazionale, anche se si tratta di una figura professionale la cui formazione avviene in campo universitario.

     Nell'ambito del sistema dei servizi socio-sanitari, la figura dello psicologo si è andata caratterizzando per la sua partecipazione ai processi di tutela della «salute della persona»; della sua promozione e salvaguardia, così come nelle diverse forme di cura o reintegrazione permesse dal grado di limitazione della salute stessa.

     Considerare la persona umana come una realtà dinamica e unitaria, determinata non solo biologicamente, socio-culturalmente ed economicamente, ma anche psicologicamente, significa affermare che essa ha una dimensione cognitiva, relazionale, oggettiva che non può essere considerata marginale. Si tratta in verità di una dimensione complessa ma non metafisica.

     Gli stessi fenomeni inconsci, spesso considerati selvagge astruserie che nulla avrebbero da dire a chi pretende di decidere come «deve» essere l'uomo senza immergersi nel coinvolgimento profondo con l'uomo «reale», esistono, si manifestano nella realtà osservabile, interferiscono in un contesto di relazioni, «parlano» un loro linguaggio, che può essere «decodificato».

     Ma lo psicologo non deve essere identificato come l'esperto dell'inconscio, anche se una certa funzione «interpretante» (non in senso riduttivamente psico-analitico) gli è necessaria per orientarsi, almeno dal punto di vista conoscitivo, nel contesto operativo quotidiano.

     A questo proposito vale una distinzione nel quadro delle competenze dello psicologo:

     a) una conoscitiva, che consiste in un bagaglio culturale o conoscenza teorica di base, generale, con eventuali settori di approfondimento già sviluppati o ancora da sviluppare. In una parola un «sapere».

     b) una competenza pratica che consiste nella capacità di base, o anche specialistica, di saper correttamente gestire determinate situazioni. In una parola: un «saper fare».

     Questi due assi di competenza vanno necessariamente ad intersecarsi con lo schema generale di programmazione dell'attività.

     Competenze psicologiche di base

     Fermo restando che ogni operatore socio-sanitario dovrebbe essere dotato di un livello minimo ottimale di competenza psicologica intesa come capacità relazionale unita ad una sufficiente conoscenza teorica, almeno per il Settore in cui opera, è necessario, (per evitare velleità, arbitrii e razionalizzazioni quale una interpretazione distorta della «polivalenza»), che si definisca un settore di competenza «specifica» dello psicologo. Un primo livello di competenza, o «competenza di base», comprende quelle conoscenze, quelle prestazioni, quelle capacità tecniche che ogni psicologo deve possedere perché sia garantita un'omogeneità di interventi in ogni territorio e in linguaggio comune per programmare, operare e verificare correttamente.

     Esse possono essere suddivise in:

     a) competenze di base generali;

     b) competenze di base per settore.

     Competenze di base generali

     - Promozione del lavoro interdisciplinare mediante impulso ai potenziali comunicativi e integrativi dell'«équipe»;

     - capacità di conduzione di gruppi operativi, gruppi di lavoro e gruppi eterocentrati che non presentino psicodinamiche particolarmente complesse per loro composizione;

     - collaborazione con gli operatori sanitari e sociali per gli interventi in cui si rende necessaria la presenza e/o la supervisione dello psicologo (pediatra, ginecologo, assistente sociale, assistente sanitario ecc.);

     - collaborazione con i tecnici della riabilitazione e/o con il neuropsichiatra infantile nella gestione delle situazioni in cui il disturbo affettivo-relazionale e/o cognitivo si manifesti legato al disturbo motorio, e/o del linguaggio e/o organico;

     - collaborazione nell'impostazione e nella verifica di programmi di Educazione Sanitaria;

     - capacità di svolgere colloqui con l'utenza (singoli, coppie e gruppi) e di ricavarne, nei tempi necessari allo scopo, eventualmente anche mediante l'uso di strumenti psicodiagnostici, un quadro strutturale della situazione e/o del problema sotteso, come momento preliminare alla presa in carico o al rimando ad altri operatori, per interventi specifici (funzioni di filtro);

     - capacità di eseguire interventi per il singolo, la coppia e la famiglia caratterizzati da durata breve o medio breve (dalle 4/5 alle 10/15 sedute circa) a scopo di consulenza e di «sostegno»;

     - conoscenza teorica e capacità osservativa delle fondamentali espressioni dello sviluppo affettivo-relazionale e cognitivo nei soggetti in età evolutiva, comprese le loro distorsioni, e collaborazioni con il neuropsichiatra infantile per i quadri di maggiore complessità;

     - approntamento di strumenti (es. scheda di osservazione, questionari, ecc.).

     Competenze per settore

     Nelle singole aree in cui lo psicologo è chiamato ad intervenire (a livello specialistico), area minori, area adulti, area anziani, area handicappati, area tossicodipendenza, area psichiatria, consulenza alla struttura ospedaliera, possono essere richiesti volta a volta interventi quali:

     - consulenza alle strutture (scolastiche, per anziani, per handicappati, asili nido, ecc.);

     - consulenza specialistica ed interventi psicologici di sostegno al singolo (senza limiti di età), alla famiglia, alle coppie;

     - collaborazione specialistica con altri operatori a livello dipartimentale (es. a livello di consultorio familiare, con gli operatori dell'area anziani...);

     - attività informativa e di sensibilizzazione su tematiche particolari (relative, per esempio, all'educazione sanitaria, alla prevenzione delle tossicodipendenze, ecc.);

     - attività di collaborazione con l'autorità giudiziaria (perizie psicologiche, interventi per affidi, adozioni, ecc);

     - partecipazione all'organizzazione di corsi di aggiornamento interni all'USSL e rivolti agli operatori del territorio;

     - conduzione di gruppi (psico-profilassi al parto, in collaborazione con gli altri operatori di consultorio, gruppi di famiglia, per affidi e adozione, ecc.).

 

     Competenze relative a conoscenze e/o tecniche particolari

     In alcuni settori, per alcuni aspetti particolari, gli psicologi o hanno acquisito o intendono acquisire, con iter formativo specifico, conoscenze e/o tecniche rispondenti a determinati bisogni dell'utenza o a finalità non configurabili come «di base».

     Tale potenziale non solo giova al servizio, ma permette forme di articolazione degli interventi di tipo collaborativo tra psicologi che non può non essere qualificante.

     A questo livello si possono impostare anche progetti di aggiornamento professionale «mirati».

     Distinguendo tra conoscenze e/o tecniche già acquisite e da acquisire ogni psicologo può ampliare le proprie competenze di base nel tempo, senza rischi di individualismi e senza sacrificare legittime motivazioni e interessi tecnico-culturali.

     Alcuni esempi

     - Tecnica dell'infant-observation:

     - psicoterapia infantile;

     - psicoterapia individuale e di coppia;

     - psicoterapia relazionale;

     - tecniche di conduzione di gruppo;

     - training autogeno;

     - R.A.T;

     - consulenza e/o terapia sessuologica;

     - strumenti psicodiagnostici;

     - musicoterapia.

     Si precisa che alcune tecniche ovviamente implicano forme di supervisione e condizioni di aggiornamento periodici nel tempo.

     Va inoltre tenuta presente la necessità di garantire un intervento di supervisione, effettuato in carenza di risorse locali, anche da centri esterni (università, centri studi, professionisti privati di comprovata capacità...). Tale intervento, complementare rispetto a quello strettamente formativo, costituisce parte integrante di una corretta prassi professionale (in quanto consente una «messa a fuoco» del lavoro svolto nel quotidiano ed un ripensamento dello stesso), garantendo al contempo una crescita professionale dell'operatore, che può più agevolmente affrontare problemi «nuovi» (non va dimenticato che il settore psico-sociale e psico- terapeutico specie nell'ambito pubblico non ha alle sue spalle una tradizione consolidata; valga per tutti l'esempio della difficoltà di regolamentare giuridicamente la pratica psico-terapeutica).

     Sociologo; pedagogista

     Tali figure tecnico-operative, chiaramente individuate dal loro iter formativo universitario, sono ancora scarsamente presenti, in termini quantitativi, nei vari servizi socio-assistenziali, nonché nel sistema di governo dei medesimi.

     L'importanza comunque che possono assumere tali figure professionali, sia a livello direttamente operativo con l'utenza socialmente problematica (si pensi solo al contributo che il pedagogista può offrire in tutto l'arco dei servizi per handicappati, minori ed adolescenti), sia a livello della organizzazione e programmazione degli interventi sociali stessi (qui il ruolo del sociologo è quanto mai di estremo interesse), non ha bisogno di particolari sottolineature.

     Sebbene queste figure non vengono mai menzionate in qualità di componenti di specifiche équipes di primo e secondo livello, ovvero specialistiche, esse possono concorrere comunque a dare a tali équipes più articolate capacità di lettura dei problemi da affrontare e delle conseguenti modalità operative da attivare.

     D'altro canto sia i sociologi sia i pedagogisti possono accedere al ruolo di coordinatore dirigente del Servizio V della USSL, così come altre figure professionali.

     Sulla scorta anche di quanto l'attività di affinamento delle conoscenze sugli effettivi modelli di configurazioni professionali in atto farà emergere oltre che in base alla capacità di affinare e migliorare le finalità caratteristiche dei vari tipi di unità d'offerta operanti e di quelli innovativi da far decollare, sarà possibile individuare nel prossimo futuro un più compiuto, e correttamente localizzato, apporto anche di questi operatori qualificati all'interno del nostro sistema di sicurezza sociale.

     4.3.5 Quantificazione del fabbisogno formativo per il personale socio- assistenziale

     L'insieme degli obiettivi generali e specifici di piano, accanto alla pressante esigenza di rendere possibile l'adeguamento a standard gestionali della unità d'offerta socio-assistenziali, carica il settore della formazione di notevoli impegni.

     In particolare la formazione per profili professionali si incentrerà nel triennio su due figure portanti operanti nei servizi: l'educatore e l'ausiliario socio-assistenziale. Per la figura dell'Assistente sociale si ritiene ormai raggiunto un accettabile equilibrio tra domanda/offerta così come esso si è consolidato in questi anni.

     1) circa l'educatore, i fabbisogni stimati in base agli standard di Piano per ciascuna area d'intervento, tenuto conto del preventivato sviluppo della rete dei servizi, portano ad indicare in 1.100 il n. di personale necessario.

     Si ritiene di dover prevedere nel triennio un intervento che porti a qualificare 550 educatori o ad avviare a qualifica (pari al 50% del totale) mediante una duplice manovra di prima formazione. Infatti attraverso le quattro scuole regionali per operatori sociali abilitate anche per il profilo dell'educatore, si stima che, in base alla loro attività normale, siano qualificabili:

 

 

     per l'anno scolastico 85/86 previsione di uscita di n. 35 soggetti;

     per l'anno scolastico 86/87 previsione di uscita di n. 54 soggetti;

     per l'anno scolastico 87/88 previsione di uscita di n. 80 soggetti;

                                                 TOTALE n. 169

 

 

     Sicché risulta pertanto necessario attivare una manovra che incrementi la capacità formativa delle quattro scuole regionali (scuola del Comune di Milano di Via Daverio, ESAE di Milano, IAL-CISL di Brescia, la Nostra Famiglia di Bosisio Parini) istituendo almeno quattro nuovi corsi, uno per scuola, a partire possibilmente dall'anno scolastico 86/87, di trenta allievi per corso. Se sarà possibile mantenere tale linea si sarà avviata, con i prossimi tre anni scolastici, la formazione di un totale di 360 unità circa.

     Per quel che concerne la formazione in corso di impiego (per personale già in servizio con funzioni educative ma privo di titolo) occorre basarsi su una stima che valuta in circa n. 800 unità tale universo di cui solo un 10% in possesso di titolo.

     In una tale situazione è realisticamente prevedibile pensare di poter qualificare non oltre 130-140 unità pari al 20% del fabbisogno mediante l'istituzione di appositi corsi di riqualificazione presso le scuole regionali, preferendo inizialmente, laddove possibile, la qualificazione del personale in servizio in più giovane età.

     Tali corsi (presumibilmente tra i sei e gli otto) dovranno articolarsi almeno su due anni di attività.

     2) Circa l'ausiliario socio-assistenziale, il dato stimato di consistenza numerica di questa figura nei servizi è attualmente di circa 11.600 unità mentre, in base alle indicazioni degli standard gestionali, è prevedibile un ulteriore fabbisogno di 3.432 unità così ripartite:

 

 

- assistenza domiciliare                  515 nuove unità

- case di riposo + Strutture protette

per non autosufficienti                2.600 nuove unità

- centri residenziali per handicappati

privi di nucleo familiare                290 nuove unità

- centri di pronto intervento              26 nuove unità

 

TOTALE                                  3.431 nuove unità

 

 

     A tale numero si aggiungono le necessarie nuove immissioni per i nuovi servizi che si attiveranno: per il triennio è stato stimato un fabbisogno di 350 unità ogni anno sicché la previsione è di una necessità di 1.050 nuove unità.

     Complessivamente quindi si renderanno necessari circa 4.500 nuovi ausiliari socio-assistenziali per soddisfare alle esigenze della rete dei servizi.

     Le attuali sedi formative per tale figura (API-COLF, Fondazione Clerici, CFPR di Mantova, C.O.R.) riescono a dare una copertura molto bassa al fabbisogno. Occorre perciò istituire, avvalendosi anche dell'apporto delle scuole regionali, un ulteriore numero di corsi (circa 40/50) che permetta la prima formazione di almeno 800/1.000 ausiliari nel triennio. Tali corsi annuali, della durata complessiva di 600 h., porteranno a soddisfare tra il 20% e il 25% del fabbisogno. Altrove è puntualizzata l'introduzione della obbligatorietà della prima formazione per tutti i nuovi inserimenti.

     Per quel che concerne invece la qualificazione degli ausiliari in servizio che dovrà essere massicciamente condotta avanti per tutti coloro che sono privi di qualsiasi titolo, si prevede che essa dovrà toccare, a conclusione del processo, circa 9.000 unità di personale ausiliario.

     Infatti su circa 10.000 addetti presenti in strutture protette e case di riposo e su circa 1.600 addetti all'assistenza domiciliare si stima con buona approssimazione che, dal 1981 ad oggi, si siano qualificate circa 2.600 unità di personale.

     Per il triennio l'obiettivo è di attivare corsi di qualificazione per circa il 30% degli ausiliari privi di titolo migliorando altresì, anche in rapporto ai più elevati requisiti della prima formazione richiesta, la qualità dei corsi medesimi portandoli ad almeno 250 ore di durata, dalle attuali 170 ore, con possibilità di biennalizzazione.

     L'esigenza quantificabile è quindi quella di far avviare almeno 40 corsi (pari a circa 1.000 frequentanti all'anno) dall'anno scolastico 1986/87.

     3) Sempre nel merito della formazione per profili professionali, anche se in questo caso sotto diretta responsabilità del Settore Sanità, va evidenziato come si renderà necessario avere disponibili, per la rete dei servizi integrati socio-sanitari, un numero di circa 1.600 nuovi infermieri professionali ed un numero di circa 400 tecnici della riabilitazione per poter ottemperare sia alle indicazioni di standard sia alle esigenze connesse con l'evoluzione delle reti di unità d'offerta.

     4) Infine si segnala che per quel che concerne l'animatore del tempo libero si prevede di formare nel triennio circa 500 operatori qualificati da inserire in case di riposo e strutture protette, mediante l'attivazione di circa 27 corsi di teoria e tecnica dell'animazione della durata di 60/100 ore.

     In una situazione che, come si è visto, richiede massicci interventi di prima formazione e di riqualificazione per alcune figure professionali «chiave», il Settore Assistenza manterrà comunque aperta tutta una serie di altre opportunità formative per operatori in servizio, già qualificati, che permettano una continuità di crescita in conoscenze e competenze professionali.

     La quantificazione di tale bisogno formativo di aggiornamento avverrà, come già si è detto, in collaborazione con gli Enti Responsabili Servizi Zonali e le Province, e, d'altro canto, troverà un suo nuovo criterio di definizione non appena si saranno raggiunti gli obiettivi legati alla sperimentazione sulle configurazioni professionali così come si dirà più avanti.

     Indicativamente, nel corso del triennio, e sulla scorta dell'esperienza acquisita, si ritiene comunque che si renderanno necessari almeno:

     - 40 corsi di formazione e aggiornamento (di 120 h.) per assistenti sociali ed educatori;

     - 50 corsi di formazione e aggiornamento (di 60 h.) rivolti ad operatori aggregati per unità d'offerta;

     - 80 corsi di formazione e aggiornamento (di 150 h.) rivolti ad operatori aggregati per aree integrate di intervento (handicap, consultori, équipes territoriali);

     - 180 seminari territoriali zonali (di 30/60 h.) rivolti ad operatori aggregati per aree di bisogno.

     La declinazione puntuale di tale programma operativo non potrà comunque darsi che annualmente e sulla base della programmazione zonale.

     La formazione per unità d'offerta

     E' destinata agli operatori dei servizi socio-assistenziali ed educativi (nidi, istituti per anziani, assistenza domiciliare, centri socio-educativi per handicappati, comunità alloggio, e istituti per minori, ecc.) con l'obiettivo primario della formazione permanente in una dimensione di integrazione di una stessa unità di servizio.

     A tutt'oggi ad interventi specifici finalizzati a tale obiettivo primario si sono dovuti affiancare, anche in forma massiccia, interventi diversi di recupero di situazioni residuali di carenza di formazione di base, problema che nel settore socio-assistenziale è particolarmente grave ed attraversa quasi tutte le figure professionali che lo costituiscono.

     Tale situazione, chiaramente, non è affrontabile e risolvibile separatamente dai problemi connessi alla formazione primaria e alla definizione dei profili professionali e pertanto gli interventi riparatori, di recupero e di riqualificazione si dovranno riproporre per tempi ancora non brevi.

     L'obiettivo della formazione permanente si pone comunque come punto primario: pertanto sempre maggiore spazio dovrà essere lasciato agli interventi di carattere promozionale capaci di attivare il processo corretto dell'autoformazione all'interno delle unità di offerta, relativamente ai servizi e agli operatori pubblici dell'Ente locale con priorità alle aree della devianza, dell'handicap, degli anziani.

     Nel triennio le previsioni di intervento nelle unità di offerta sono difficilmente quantificabili e soprattutto non definibili per ogni unità specifica, in quanto una programmazione corretta deve necessariamente tener conto dei piani di zona.

     La formazione per aree di bisogno

     Comporta lo svolgimento di attività formative svolte in forma seminariale e rivolte ad un'utenza costituita dall'insieme degli operatori sociali agenti nelle USSL, nei Comuni e nei distretti. All'interno dell'attività di formazione rappresentano una modalità meno vincolata ad esigenze di stretta professionalizzazione e vengono proposte ai fini dell'approfondimento di tematiche circoscritte e maggiormente legate alla operatività concreta.

     Le tematiche si riferiscono a specifiche aree di bisogno degli utenti e problematiche proprie della zona.

     Le aree specifiche individuate devono essere quelle indicate dal Piano socio-assistenziale e quelle di integrazione con altri settori: minori, anziani, devianza, handicap, tossicodipendenze, malati di mente, vecchie e nuove povertà.

     Questi seminari si propongono come momento di riflessione in una logica di formazione-intervento in rapporto alle specifiche situazioni territoriali ed istituzionali, coinvolgendo tutti gli operatori che in diversi ruoli e in diversi servizi operano sulla stessa tematica, ai fini di favorire momenti di confronto e di coordinamento.

     La formazione per aree integrate di intervento

     Il personale sociale opera spesso in aree di integrazione, specie tra sociale e sanitario, e parte di esso dipende direttamente dalla USSL; pertanto i canali di finanziamento della formazione possono provenire da settori diversi, non solo in rapporto agli obiettivi, ma anche alla dipendenza degli operatori.

     Il canale cui fa tradizionalmente riferimento il Settore Assistenza per il suo piano di formazione è gestito in collaborazione con il Settore istruzione, attraverso fondi stanziati all'interno del capitolo della formazione professionale. Si sono però verificate situazioni diverse (ad es. Legge regionale 9 giugno 1981, n. 30 per l'Anno Internazionale Handicap, Progetto F.S.E.) in cui altri Settori sono intervenuti collaborando a vari livelli in progetti di formazione di personale per problematiche specifiche.

     Vi è poi tutta la fascia di dipendenti delle USSL, interessati dalle disposizioni sull'aggiornamento obbligatorio del Settore Sanità. Si deve sottolineare che la diversità di dipendenza giuridica del personale o la diversa provenienza dei finanziamenti dei corsi non implica una diversità di riconoscimento di fabbisogni e di obiettivi della formazione.

     Un ambito di operatività in cui si propone di intervenire è quello delle équipes territoriali, comprese quelle dei consultori familiari, che hanno competenze e funzioni su problematiche ad alta integrazione socio- sanitaria.

     Anche per questa area di intervento formativo risulta ardua una qualsiasi quantificazione, sia per la complessità dei settori coinvolti e dei loro reciproci rapporti, sia per la dinamicità e la continua evoluzione dei servizi in rapporto ai problemi. Infine è necessario un cenno sulla prima formazione: rispetto alla relativa autonomia che le Scuole per operatori sociali, in futuro collegate con le Università, hanno in relazione alla definizione contenutistica dei curricula formativi, è importante rendere esplicita la necessità posta con forza dal livello regionale che, oltre alla acquisizione tecnico-conoscitiva, si dia estrema attenzione, all'interno del processo formativo, alla acquisizione degli attributi di ruolo specifici entro specifici contesti dei servizi sociali. A tal fine si attiveranno gli opportuni contatti con le scuole riconosciute dalla Regione Lombardia per concretizzare quanto prima questa esigenza di convergere sui modelli di formazione adottati.

     Ciò renderà più efficace la prima formazione, la renderà più vicina alle esigenze dei servizi, renderà possibile un fecondo aggancio con i successivi processi di formazione permanente e di aggiornamento che la Regione annualmente attiva.

     D'altro canto, in un rapporto di vicendevole confronto e collaborazione, il livello regionale offrirà a tal fine un contributo teorico e di idee frutto della sperimentazione sulle configurazioni professionali che sarà quanto prima avviata.

     Formazione per i dirigenti coordinatori del servizio di assistenza sociale delle USSL

     L'attuazione di quanto previsto dalla legge in merito alla direzione, organizzazione e gestione dei servizi di assistenza sociale delle USSL comporta uno stretto collegamento tra dirigenti coordinatori dei servizi stessi e Settore regionale all'Assistenza.

     Tale raccordo avviene normalmente a livello operativo. E' però indispensabile prevedere momenti di approfondimento delle tematiche professionali specifiche del ruolo del dirigente coordinatore del V servizio che riguardano in particolare:

     - la capacità di lettura dei problemi e dei contesti;

     - la capacità di programmare le attività di coordinamento;

     - la responsabilità connessa al sistema informativo zonale e regionale;

     - la capacità di gestione delle risorse, con particolare attenzione alle risorse umane;

     - la capacità tecnica di verifica sugli interventi attivati.

     A tal fine si darà avvio ad una stretta collaborazione con l'IREF per giungere a definire nei dettagli appositi corsi di formazione manageriale rivolti a questa figura-chiave del sistema socio-assistenziale.

 

     4.3.6. Una prospettiva di lavoro: dalla rilevazione del fabbisogno formativo alla maturazione della domanda di formazione, alle caratteristiche qualitative dei progetti formativi.

     In una logica di rinnovamento dell'intervento formativo, il fabbisogno viene determinato misurando la distanza tra le competenze realmente possedute dagli operatori e quelle richieste da un'organizzazione che intende assicurare all'utenza gradi accettabili e collettivamente condivisi di soddisfacimento del bisogno.

     Gli Enti ed agenzie preposte alla formazione, per individuare e far percepire tale distanza, dovranno disporre di descrizioni quanto più analitiche delle tipologie di servizio in termini di:

     - risultati per l'utenza e accettabilità di tali risultati (efficacia e qualità del servizio);

     - insieme dei compiti professionali di pertinenza di ciascun operatore e delle relative strumentazioni tecniche, conoscitive e relazionali necessarie per far fronte ad essi.

     Sulla base di tali descrizioni, sarà possibile percepire la distanza tra il dover essere del servizio e lo stato delle competenze e delle capacità dell'organizzazione possedute in quel momento. Poiché alla costruzione di tale rappresentazione dovrebbero partecipare, con contributi proporzionali alla funzione svolta, tutti gli operatori della struttura o del servizio, la percezione del fabbisogno formativo e la richiesta di formazione non costituirà in tal modo una valutazione esercitata all'esterno, ma l'indispensabile momento di valutazione della domanda formativa condiviso all'interno del servizio.

     Ciò avverrà successivamente anche a livello zonale per la costruzione del programma di formazione mediante una valutazione della distanza fra le risorse organizzative e le competenze professionali esistenti in zona e mediante risultati concreti che il programma della formazione zonale si propone di raggiungere in relazione al volume dei bisogni che attendono risposta.

     Anche in relazione agli imperativi che una corretta maturazione della domanda formativa richiede, se ne ricava che, nel merito, un progetto formativo per essere tecnicamente valido deve tener conto di tre ordini di analisi:

     1) delle strutture e servizi socio-assistenziali;

     2) delle configurazioni professionali;

     3) dei processi di lavoro.

     1) L'analisi della struttura e dei servizi comporta precise descrizioni:

     - della tipologia degli utenti;

     - della tipologia delle prestazioni erogate all'utenza e per il funzionamento delle strutture;

     - del sistema organizzativo adottato dalla struttura o dal servizio socio-assistenziale;

     - delle interazioni di ogni struttura con il territorio;

     Tali precise descrizioni sono indispensabili per contestualizzare l'intervento formativo e finalizzarlo ai bisogni effettivi dell'utenza e alle prestazioni erogate dalla struttura, ma fino ad oggi non sono purtroppo generalmente disponibili. Infatti anche gli standard gestionali definiti dal presente PSA, nel riconoscere che i loro principi informatori sono:

     a) analizzare le funzioni assolte dai singoli servizi socio- assistenziali;

     b) garantire la qualità delle prestazioni;

     c) contenere i costi;

     non possono che far riferimento alle definizioni ufficiali dei vari profili professionali del personale socio-assistenziale e non alle concrete configurazioni professionali operanti nelle varie aree di intervento sociale.

     2) Dai profili alle configurazioni professionali

     Così come si dà una differenza qualitativa fra la mera indicazione di standard gestionale e l'indicazione di uno standard qualitativo di servizio, si dà una differenza significativa tra profili professionali e configurazioni professionali.

     I profili professionali (o i loro sinonimi «qualifiche» o «figure professionali») sono costruiti su elementi di identificazione professionale ad uso contrattuale, giuridico burocratico, amministrativo.

     I profili definiscono le aree di responsabilità, i livelli di autonomia, le mansioni, le abilità, i titoli di studio da possedere, ecc... Sono comunque elementi definitori generali in base ai quali è difficile trarre concretezze circa compiti operativo-professionali di un operatore che deve saper cogliere il rapporto reale che sussiste fra le proprie prestazioni e quelle di tutti gli altri operatori coinvolti nel servizio all'utente; individuare l'esatto contributo del proprio paniere di operazioni; comprendere il livello di accettabilità delle medesime e quindi gli eventuali contenuti di formazione necessari per garantire prestazioni più qualificate.

     La configurazione professionale è data viceversa dall'insieme organico di contenuti professionali analiticamente descritti in termini di:

     - risultati che competono all'operatore di un dato contesto organizzativo;

     - compiti professionali da assolvere;

     - processi di lavoro per la produzione di ogni risultato;

     - conoscenze e competenze da possedere per garantire quei risultati in quel contesto organizzativo.

     La strategia emancipativa degli operatori nei confronti dei propri utenti sarà allora qualificata:

     - dalla capacità di assumere responsabilità sul risultato finale per l'utenza e non solo sulla prestazione richiesta dal mansionario;

     - dalla conseguente capacità di controllare tutte le variabili che incidono sul risultato, dell'evoluzione sempre problematica del rapporto con l'utente e con l'organizzazione, alle risorse da coinvolgere nella comune responsabilità sul risultato finale (operatori sociali e sanitari, amministratori, famiglie, volontari, gli stessi utenti), nella consapevolezza che i propri processi sono e vanno inseriti in una appartenenza organizzativa-gerarchica cui spetta, con il contributo di ognuno, l'elaborazione di una strategia comune;

     - dalla capacità di costruire, a partire da tale consapevolezza, dei progetti il più possibile personalizzati di ciascun utente.

     3) I processi di lavoro

     Essi descrivono in termini operativi risultati che ogni servizio deve garantire all'utenza, così da consentire l'identificazione:

     - degli standard di ogni risultato (di qualità, tempi, costi);

     - delle singole operazioni e della sequenza corretta che produce ogni risultato;

     - dei contributi dei diversi operatori al risultato, cioè dei campi di ogni operatore.

     E' sulla scorta di queste analisi e descrizioni operative che progetti formativi potranno davvero ritagliarsi su esigenze reali di crescita della capacità e della consapevolezza professionale degli operatori. L'offerta formativa sarà in tal modo tale da «rendere capaci e competenti» gli operatori, cioè metterli davvero in grado di svolgere i compiti, e di conseguire i risultati di propria competenza.

 

     4.3.7. Strategie della Regione per la costruzione di strumenti a sostegno della attività di formazione

     Il possesso delle descrizioni operative degli standard qualitativi delle varie tipologie di servizi e dei compiti professionali degli operatori collocati nelle varie tipologie di servizio, diventa condizione per qualificarne la formazione.

     E' quindi compito della Regione promuovere interventi di sperimentazione, coinvolgendo gli organismi competenti avvalendosi di agenzie formative, al fine di organizzare un completo archivio di standard qualitativi di servizi e di configurazioni professionali ad uso di chi progetta la formazione, ma anche di chi è deputato ad attività di programmazione, verifica e controllo che competono al Governo centrale e periferico (vigilanza sugli enti, definizione degli standard gestionali, riclassificazione delle strutture e dei servizi, ecc.).

     Tale programma di sperimentazione, volto alla definizione esaustiva delle configurazioni professionali e quindi alla alimentazione di un archivio delle professioni presenti nei vari contesti operativi, si articolerà su un campione di strutture e servizi rappresentativo dell'intero sistema socio-assistenziale per quel che concerne tutte le tipologie dei servizi e le figure professionali risultanti dall'incrocio delle modalità operative (residenziali o meno), delle aree d'utenza (anziani, minori, ecc.), delle funzioni dei servizi (assistenza alla persona, consulenza, sostegno, ecc.), della localizzazione geografica delle strutture stesse (aree socio-economiche di contesto).

     Grazie ad esso si prevede di raggiungere i seguenti obiettivi:

     1) costituire un archivio-dati sulle configurazioni professionali di basilare importanza, per la «politica formativa» regionale in questo campo;

     2) dotarsi di uno strumento idoneo per costruire gli standard qualitativi in quanto definibili attraverso:

     - l'analisi di strutture e servizi socio assistenziali;

     - analisi delle configurazioni professionali;

     - analisi dei processi di lavoro;

     3) collaudare la praticabilità e l'efficacia di impianti formativi, vincolati agli standard definiti, anche in situazioni operative diverse;

     4) coinvolgere gli organi competenti (Province, USSL, servizi) nella gestione delle iniziative di ricerca e sperimentazione per:

     - la verifica degli standard prefissati in rapporto alle diverse situazioni locali;

     - la rilevazione dei bisogni dell'utenza (correlando i risultati di varie indagini e ricerche) e la valutazione della risposta dei servizi;

     - la verifica del fabbisogno formativo reale e la valutazione dei risultati formativi in funzione dell'esigenza di migliorare i servizi dell'utenza.

     5) utilizzare queste acquisizioni nell'avvio sperimentale di nuovi servizi socio-assistenziali.

     La scelta di obiettivo che è connaturata ad una tale impostazione innovativa circa l'individuazione e la contestualizzazione del bisogno formativo secondo schemi tecnico-funzionali all'altezza delle nuove esigenze di qualificazione della «politica formativa» rivolta agli operatori sociali non può che essere una scelta «difficile», che si tradurrà compiutamente in concretezza solo in un arco di medio periodo e solo se tutti gli attori interessati offriranno un loro apporto fattivo ed intelligente.

 

     4.4 Il sistema informativo

 

IL SISTEMA INFORMATIVO SOCIO-ASSISTENZIALE

 

     4.4.1 Descrizione

     Nell'ambito del dibattito scientifico e culturale così come tra i più avvertiti apparati burocratico-gestionali si è ormai da tempo consolidato il convincimento che senza un adeguato impianto di Sistema Informativo, correttamente delineato, calibrato ed operato, non possa darsi alcuna strategia organizzativo-programmatoria.

     Ma, come appare ovvio, un impianto di sistema informativo nel campo dei servizi alla persona non può proporsi come un semplice sistema di raccolta di dati statistici. Esso, al contrario, nel mentre raccoglie informazioni provenienti da diversi nodi di accumulo alla medesima, è un sistema che vuole orientare l'intervento proprio attraverso la produzione di «informazioni finalizzate» altamente attendibili.

     Ecco perché il P.S.A., in stretta connessione con le più ampie finalità dell'intervento socio-assistenziale enucleate dalla legge regionale 7 gennaio 1986, n. 1, assume come dato fondante ogni esigenza di razionalizzazione dell'esistente, nonché di trasformazione dell'esistente verso nuovi e più avanzati equilibri, la costruzione di un compiuto Sistema Informativo informatizzato in campo socio-assistenziale (S.I.S.A.) che assolva a tutte le esigenze connesse con il «bisogno informativo» in questo Settore.

     E' d'altro canto evidente che non si può dare rifondazione alcuna di alcun concreto sistema di welfare che cementi il passaggio verso una concezione «plurale» dello stato assistenziale, né monolitico- assistenzialistico né corporativo-specialistico quindi, senza la fissazione di chiari obiettivi e di chiare imputazioni di responsabilità: tra queste ultime spetta senza dubbio al sistema pubblico-statale (ovvero, nel concreto, all'organo regionale in primis) l'irrinunciabile compito di stabilire, pur sulla base di un lavoro compartecipato, indirizzi programmatori generali, criteri di adeguamento delle prestazioni e degli interventi in atto (standard) e modalità di controllo sul loro rispetto e sul loro grado di efficacia (evaluation).

     Ciò presuppone l'operare di un compiuto sistema informativo anche nello specifico campo degli interventi socio-assistenziali inteso come un insieme, logicamente integrato, di metodi, procedure, strumenti necessari alla raccolta, classificazione, elaborazione, archiviazione e utilizzazione di particolari set di informazione in vista del perseguimento di condivise finalità generali e di concreti obiettivi che tengano conto delle caratteristiche «nuove» dei soggetti sociali che si pongono di fronte all'offerta di welfare con modalità esigenti ad esse stesse poliedriche.

     Perciò il sistema informativo si pone come insieme di strumenti e come realtà organizzativa volto a orientare, valutare, controllare il sistema socio-assistenziale e le sue realizzazioni assolvendo alla precondizione fondamentale per poter svolgere attività programmatoria e di verifica: infatti è ovvio che se il livello di conoscenza posseduto non consente di conoscere con sufficiente certezza il sistema di partenza e le sue possibili evoluzioni o non consente di misurare la direzione e le caratteristiche dei mutamenti avviati, non si potrà programmare un cambiamento ma si dovrà assistere ad un processo affidato alla logica degli interventi per tentativi ed errori casualmente condotti.

     D'altro canto il prefigurare una architettura di sistema informativo che preveda (anche) la costruzione di sistemi di comunicazione simmetrici, vale a dire che permetta di evitare rigidità asimmetriche in cui esistono uno o un ridotto numero di emissori ed una infinità di ricettori che non hanno la capacità di reagire nel sistema e giocano un ruolo fondamentalmente passivo, è elemento centrale in una visione concreta di un sistema informativo socio-assistenziale che vede ben delineati sia processi informativi dall'alto al basso sia processi dal basso all'alto su supporto informatico, visto come l'unico che rende davvero possibile ciò.

     Non si dimentichi altresì che il momento programmatorio a valenza complessiva, cui è principalmente finalizzato il S.I.S.A., si pone di per sé, ovviamente se praticato con «metodo», come momento che abbisogna di feed-backs negativi «base vertice» proprio per mantenere la sua intima caratterizzazione metodologica.

     Operatività da logica programmatoria ed operatività da sistema informativo trovano infine nel riferimento valoriale al futuro (alla «condizione futura» del sistema in cui sono immerse) un definitivo anello di congiunzione; essendo stata assunta come finalità primaria quella di «produrre» politiche sociali dai fini meno incerti orientate al «problem solving», cioè davvero decisive, e correttamente imputanti ruoli e gradi di responsabilità per i vari attori in gioco, allora bisogna sapere se e come reagiscono i fruitori e i produttori di prestazioni in un ambiente ove mutano, quasi per definizione, le condizioni della domanda, la disponibilità delle risorse, le «regole», gli «incentivi», i «comportamenti»: bisogna in una parola, saper anche continuamente «prevede re» situazioni e interi «scenari» certo, nella piena consapevolezza che tale obiettivo è estremamente ambizioso da raggiungere ed implica un lavoro continuo di analisi scientifica.

     Il S.I.S.A. è descritto schematicamente come segue per quel che concerne i livelli istituzionali coinvolti fig. 1); gli attori specifici (fig. 1 bis); l'architettura interna (fig. 2); i suoi output relativi agli obiettivi generali del sistema (fig. 3a/3b); i suoi possibili utilizzi (fig. 4).

 

Figure 1-4

(Omissis)

 

     Il S.I.S.A. si presenta dunque come un sistema informativo complesso poiché:

     a) si propone come strumento per ben tre livelli istituzionali (Regione, USSL, Comune/Enti gestori) cui si imputano «doveri» operativi ben distinti: rispettivamente strategico, gestionale, operativo.

     Va sottolineato però come il sistema informativo dia «pesi» diversi alle tre diverse esigenze conoscitive e favorisca, prioritariamente, la raccolta, il trattamento ed il ritorno dei dati più direttamente utili per il livello programmatorio regionale (il livello «governatore» degli archivi-dati del S.I.S.A.) e per il livello zonale.

     In questo senso il S.I.S.A. non si pone come un sistema fagocitante e omnicomprensivo. Possono (debbono) esistere, ad es. sistemi informativi a livelli zonali o distrettuali, oppure a livello provinciale ecc. che hanno una loro evidente funzione e una loro autonomia, solo parte delle informazioni lì raccolte confluirà però, se in grado di rispettare i criteri richiesti, nel S.I.S.A.

     Si noti comunque che viene garantito un flusso informativo di ritorno per tutte le unità del sistema dei servizi poiché ciò attiva un tessuto comunicativo forte e circolare;

     b) si propone come un sistema decentrato (ad ogni livello vanno tutte le informazioni necessarie sia per svolgere le attività di esercizio sia per svolgere attività di governo dei servizi); partecipato (vi sono coinvolti come «emissori» e come «ricettori» di informazioni selettive, in un processo comunicativo dialogico, tutti i soggetti fondamentali operanti nel sistema di welfare pubblico e privato); continuativo (in quanto fornisce a cadenze temporali prefissate analisi compiute su una intera gamma di fenomeni ritenuti fondamentali);

     c) si presenta come un sistema dove trovano equilibrio i flussi informativi d'ingresso sull'offerta dei servizi con quelli sulla domanda sociale: ne viene la possibilità di operare analisi non solo sulla organizzazione, gestione, controllo dei servizi; non solo per una valutazione complessiva delle reti d'offerta ma anche per una nuova conoscenza della dislocazione e trasformazione del bisogno sociale e della domanda dei servizi nei vari gruppi di popolazione. In questo senso il S.I.S.A. è davvero il principale e rigoroso strumento di raccordo con l'ambiente sociale e di lettura della funzionalità del sistema di welfare rispetto alle esigenze sociali.

     A corollario di quanto sin qui affermato vale la pena il notare come questo strumento favorisca notevolmente e concretamente le capacità di crescita «professionali» e di conoscenza degli universi di riferimento da parte delle attuali burocrazie tecnico-funzionali, da più parti ritenute un «anello debole» del sistema operativo pubblico;

     d) si caratterizza per essere uno strumento praticabile e praticato, orientato su problemi definiti, che raccoglie dati per:

     - individuare fenomeni, e per quanto fattibile, le cause dei medesimi;

     - valutare l'efficacia di servizi;

     - valutare l'efficienza raggiunta;

     - fare analisi «valutative» complessive, intese come applicazioni di logiche scientifiche appropriate su particolari contesti comunque «politicamente» marcati, che si pongono, mediante l'uso di coerenti gruppi di indicatori sociali ed economici, come «risorse» per tematizzazioni non solo di efficacia/efficienza ma anche di costi/prestazioni; rigidità/flessibilità; permeabilità/impermeabilità; obiettivi dichiarati/obiettivi raggiunti; valori organizzativi manifesti/valori organizzativi latenti; modelli organizzativi dichiarati/modelli organizzativi praticati ecc.

     E' grazie a queste sue possibilità che il S.I.S.A. si caratterizza come strumento anche previsionale che permette estrapolazioni (e forse anche simulazioni) basate su inserimenti di vincoli teleonomici e teleologici. In questo quadro si comprende l'estrema vicinanza (e forse sovrapposizione) ma la non identità tra un sistema di raccolta di informazione per il controllo di gestione e un sistema informativo orientato a più finalità; non sembra scorretto dire che il «controllo di gestione» è un processo attraverso il quale la direzione politica di una amministrazione garantisce che le risorse siano disponibili e vengano utilizzate efficacemente ed efficientemente per raggiungere gli obiettivi; per far questo necessita perciò di informazioni che rendano perseguibile quello scopo ben delineato. Un sistema informativo di «area», come quello qui proposto, deve certamente assolvere, primariamente, a funzioni di raccolta del dato (secondo modalità, tempi, elaborazioni particolari) per attività di controllo di gestione del sistema dei servizi sociali, nonché deve raccogliere tutte le informazioni statistiche sugli insiemi delle prestazioni erogate per ricavare indicatori di valutazione sui possibili risultati raggiunti, ma ha anche il compito di raccogliere tutte quelle informazioni che permettano, al momento politico così come a quello tecnico, di ri-elaborare continuamente gli «obiettivi» stessi del sistema d'azione in relazione all'evoluzione (rapida) del bisogno sociale.

     Il S.I.S.A. inoltre si dà delle «giuste» cadenze temporali di attività (raccolta del «dato giusto» al «momento giusto») ed individua criteri di omogeneizzazione delle informazioni raccolte per garantire la massima comparabilità.

     Da ultimo, ma non ultimo, il S.I.S.A. si propone come un sistema informativo che richiede agli operatori sociali un forte impegno e un forte coinvolgimento.

     Dinnanzi all'«abitudine» degli attori a dare informazioni non vagliate o non puntuali, l'inserimento in un contesto di sistema informativo di tutte le operazioni legate all'input informativo, consente il crearsi di una situazione di riferimento nuova per ogni singolo soggetto coinvolto cui si chiede una diversa «abitudine» verso l'informazione (e verso la comunicazione) sino a prefigurare un operatore dei servizi «culturalmente» marcato da questa acquisizione di funzioni e di responsabilità.

     Gli operatori dei servizi, così come tutti gli altri attori del sistema informativo, sono cioè chiamati a costruire metodologie di lavoro (ed, ancor prima, logiche di pensiero) che prevedano un rilevante peso alla variabile «gestione dell'informazione» vista come nuova variabile fondamentale dei processi partecipativi propri e, in modo mediato, dell'utenza stessa.

     L'approccio che qui si è molto sinteticamente descritto si basa oltretutto sull'esigenza della trasparenza: essere trasparenti porta anche ad essere più accettati e credibili. Ciò vale per tutti i soggetti ma soprattutto per l'attore-livello regionale che potrà forse suscitare maggiori sinergie e potrà porsi in modo davvero più razionalmente credibile se saprà impegnarsi a fondo in un progetto di lavoro ove la trasparenza delle opzioni e dei comportamenti è un fattore ineliminabile e positivamente operante.

 

     4.4.2 I sottoinsiemi cardinali del Sistema Informativo

     Il S.I.S.A. risulta costituito (cfr. Fig. 2) dalla complementarietà tra:

     1) Il sottoinsieme informativo prodotto dal Controllo di Gestione (che fornisce tutte le informazioni sull'offerta dei servizi messa a disposizione) e dagli «Adempimenti normativo-amministrativi» cui sono sottoposti tutti gli attori operanti in campo socio-assistenziale;

     2) il sottoinsieme informativo prodotto dal Piano delle Ricerche (dal quale derivano le conoscenze sulla domanda sociale e sui suoi incroci con gli interventi);

     3) il sottoinsieme informativo prodotto dal Piano delle Attività Sperimentali (dalle quali si richiedono approfondimenti conoscitivi inediti e peculiari).

     A tali principali sottoinsiemi informativi, direttamente attivati dal Settore regionale socio-assistenziale, si aggiungono tutti gli altri flussi attivati da altri attori cui ne spetta la titolarità prima. Nell'economia illustrativa e di indicazione di scelte, del presente piano si può dare conto solamente dei tre sottoinsiemi qui individuati rimandando ad altra sede una più dettagliata analisi anatomico-funzionale dell'intero impianto di sistema.

 

     4.4.2.1 Il Controllo di Gestione sui servizi e i flussi informativi amministrativi

     In questo ambito, nell'arco di validità del Piano, e per quel che concerne l'aspetto della raccolta di dati connessi a tali attività, si darà avvio ad una serie di aggiustamenti e di innovazioni che permettano di:

     a) allargare, sino a raggiungere la totalità, la rete dei servizi socio-assistenziali su cui attuare attività di controllo amministrativo e/o di gestione rafforzando il principio della consuntivazione annuale come indispensabile riscontro l'erogazione di contributi finanziari regionali laddove ciò sia previsto.

     Si tratta concretamente di estendere: alle Case di Riposo, Strutture Protette e Case Albergo per anziani; agli Istituti per minori; ai Centri Diurni (o aperti) per anziani; ai Centri di Pronto Intervento (tutte unità d'offerta puntualmente definite in altro capitolo del presente Piano) la pratica della richiesta informativa annuale sui fronti dell'utenza, del personale, dei costi finanziari e, con diversa scadenza temporale, delle caratteristiche architettoniche.

     Solo grazie ai risultati ottenibili dall'avvio di tale processo si potrà impostare, per talune reti di servizi, e ricalibrare, per altre reti di servizi, il meccanismo di erogazione finanziaria di supporto da parte regionale;

     b) qualificare gli strumenti di rilevazione sui servizi sin qui utilizzati per meglio rispondere all'esigenza di raccolta di dati più approfonditi su aspetti e problematiche sin qui scarsamente inchiestate. In particolare occorre recuperare un'ampia serie di informazioni su tutto il versante delle utenze dei vari servizi per poterle meglio caratterizzare biologicamente e, soprattutto, per posizionarne le connotazioni e le aspettative nel più vasto contesto delle dinamiche socio-economica, culturale e comportamentale, che si sviluppano nella complessa società lombarda così come esse vengono via via tratteggiate dai risultati conseguiti nell'ambito delle attività del Piano delle ricerche sociali e, più in generale, così come emergono dalla letteratura scientifica economica e socio-culturale.

     Per talune unità di offerta poi una conoscenza puntuale ed approfondita delle caratteristiche individuali degli utenti risulta indispensabile anche per una rinnovata gestione amministrativa di erogazione finanziaria; tipico è il caso delle persone anziane in strutture di ricovero per le quali si interviene diversamente, in termini di contributi finanziari, in relazione alle condizioni di auto o non autosufficienza.

     Per altro verso vanno maggiormente mirate le informazioni che vengono richieste sul personale operante nei servizi per ottenere tutti gli elementi necessari ad una ricostruzione puntuale e sicura di quella che è la situazione fattuale in tutti i suoi aspetti cruciali; situazione sulla quale prevedere interventi che migliorino ed estendano i livelli di «professionalità» delle varie figure presenti.

     Nell'area assai delicata dei servizi alternativi al ricovero per la popolazione anziana (Assistenza Domiciliare, Centri Diurni, ecc.), caratterizzata da particolari e mutevoli criteri di «lettura culturale», ovvero di propensione all'utilizzo di questi medesimi servizi da parte dei cittadini ultrasessantenni, si opererà un tentativo di richiesta informativa pesante che tenga sotto osservazione tutti i fattori il cui andamento ne caratterizzi le modalità, anche qualitative, di soddisfacimento dei bisogni sociali e sanitari al fine di poter valutare se e con quali soglie di prestazioni tali modelli di servizio raggiungono davvero la finalità di impedire o posporre il ricorso alla

istituzionalizzazione soprattutto di persone totalmente autosufficienti o solo parzialmente impedite.

     Ancora, si rimarca l'importanza di attivare, anche grazie all'aiuto dei responsabili dei servizi operanti, ed in stretto collegamento con l'Autorità Tutelare, una osservazione continuativa in un'altra area di estrema delicatezza quale quella della istituzionalizzazione dei minori e degli adolescenti che ha ancora una notevole consistenza anche nella nostra realtà regionale.

     c) elaborare nuovi strumenti per la rilevazione di ulteriori fenomeni attualmente non posti sotto osservazione. Si tratta di giungere ad una completa operazionalizzazione di quanto descritto dalla fig. 2) in particolare per quel che attiene ai flussi informativi primariamente operati da altri soggetti regionali, dai livelli zonali e da altri soggetti co-agenti all'interno del sistema informativo stesso. Tipico esempio di nuova esigenza di raccolta informativa è data dal bisogno di meglio comprendere le dimensioni e le peculiarità del fenomeno del volontariato nei servizi alla persona; su altro versante si pensi ad esempio all'importanza di memorizzare dati circa la «spesa sociale» di Comuni, Province ed USSL.

     d) rafforzare la capacità di elaborazione statistico-interpretativa sui dati raccolti nonché adottare e migliorare gli strumenti e le occasioni per una loro più ampia pubblicizzazione.

     Questo problema, di ordine metodologico-strumentale, riveste una importanza cruciale.

     Solo se la programmazione centrale si porrà nella condizione di poter trattare volumi consistenti di dati analizzandoli in profondità anche utilizzando i metodi statistici di volta in volta più appropriati sarà possibile dare vita a quella che è giustamente considerata una inderogabile esigenza del sistema informativo e dello stesso sistema d'azione socio- assistenziale; il ritorno puntuale e mirato, dell'informazione ai livelli istituzionali sottostanti e, più in generale, al sistema politico di governo, ai gestori ed agli operatori dei servizi, al mondo scientifico- accademico e formativo impegnato su queste tematiche, ai livelli di coordinamento statale ed interregionali, alla generalità dei cittadini.

     Perciò l'attuale elaborazione annuale delle Basi statistico- descrittive e delle Monografiche d'area (Anziani, Minori, Handicap, Formazione) dovrà caratterizzarsi ancor più per tempestività (diminuendo al massimo il ««tempo morto» tra momento della raccolta dei dati e momento della loro elaborazione e restituzione «ragionata») e per incisività (diminuendo al massimo tautologicità e prolissità per far risaltare in tutta chiarezza i nodi problematici ed i trend principali in atto).

     In quest'ottica andrà al più presto reso temporalmente fisso il momento della raccolta di informazioni sganciandolo da altre ottemperanze amministrative; ciò favorirà oltretutto il consolidarsi di un chiaro rapporto di scambio informativo tra il livello regionale e tutti gli altri attori del sistema, cadenzato su tempi che ne favoriscono l'autonomo irrobustimento.

     Certamente tutti questi obiettivi si potranno raggiungere compiutamente entro un periodo di tempo medio-lungo e solo se si effettueranno a tutti i livelli, i necessari investimenti in progettualità, in professionalità, in supporti operativi e diffusivi. E' su tale linea che già con questo Piano il livello regionale intende operare in modo decisivo.

 

     4.4.2.2 Il Piano delle ricerche sociali

     Certo è che il versante della «domanda sociale» impone, per essere conoscitivamente descritto in termini puntuali, l'utilizzo di una notevole mole di dati ecologici, economici, sociologici ecc. provenienti da varie fonti ma, in particolare frutto di un apposito e continuamente aggiornato Piano di ricerche sociali.

     Adottato l'assunto di base che alla ricerca sociale viene affidato, in prima approssimazione, il compito strategico di:

     a) «conoscere» la qualità ed il volume dei bisogni socialmente espressi e, per quanto fattibile, di quelli in formazione (accanto ai processi di formazione delle più strutturate «domande sociali») nel quadro dei principali fenomeni sociologici e culturali di cornice;

     b) «interpretarli» in chiave scientifica;

     c) «misurarli» in tutte le loro valenze ed implicanze;

     d) «proporre» possibili soluzioni di risposta, anche progettuale, validamente indirizzate a specifici gruppi sociali;

     e posto che è al «sistema politico-amministrativo» che spetta l'indicazione delle misure di politica sociale conseguenti, il presente paragrafo di Piano si propone di puntualizzare, entro il premesso quadro definitorio del Sistema Informativo socio-assistenziale, lo specifico ruolo della ricerca sociale finalizzata nel medio periodo.

 

     Aspetti metodologici

     Nell'impostare questo progetto di «Piano delle ricerche» è risaltata, in tutta la sua importanza, la necessità di porre in essere le più approfondite chiarificazioni metodologiche e di indirizzo finalizzato cui dare, da un lato, adeguata esplicitazione e, dall'altro, valenza di apporto paradigmatico con cui vagliare l'intera Costellazione delle ricerche possibili.

     Il punto di partenza da cui si è partiti è dato dall'acquisizione generalizzata che occorre darsi una visione conoscitiva d'insieme più aderente alla «complessità sociale» e più integrante i suoi diversificati aspetti di decisionalità («politica») e di conoscenza (tendenzialmente «scientifica»): appare infatti estremamente utile che, all'interno delle organizzazioni deputate al governo della società, si innervino culture e comportamenti fattivamente capaci di recepire, usare e «provocare» rapporti positivi con le opportunità conoscitive offerte da ricerche sociali empiriche.

     La rilevanza che può e deve assumere un settore «ricerca» proiettato su scansioni temporali di medio periodo è, in prima battuta, esprimibile nella sua capacità di offrire delle risposte positive a delle esigenze fondamentali. In sintesi tali esigenze fanno capo alle seguenti problematiche:

     a) completezza

     Occorre fornire alle politiche sociali un quadro sufficientemente esaustivo delle conoscenze necessarie ad una corretta programmazione dei servizi e fruibili nella conseguente gestione degli interventi.

     Secondo uno schema ormai canonico occorre conoscere, ed un livello sufficiente di conoscenza è quello che consente di cogliere le interazioni fra domanda sociale ed offerta di servizi: ciò significa sedimentare informazioni, come già si è detto, sia sul fronte della conoscenza puntuale del sistema dell'offerta dei servizi sia sul fronte della domanda sociale (per molti aspetti in continua trasformazione).

     Va certamente rammentato come i fabbisogni conoscitivi su questo versante si sono accumulati anche a causa delle oggettive difficoltà di investigazione dei bisogni sociali ma che, d'altro canto, una strategia di impianto di «Osservatori sulla domanda sociale», come risposta a tale deficit conoscitivo, appare perseguibile, nell'arco di attuazione di questo Piano, almeno in alcune aree significative.

     b) organicità

     Superando vecchie logiche settoriali ed incomunicanti (ad alta obsolescenza e a basso utilizzo operativo e programmatorio) è assolutamente necessario ricondurre tutti i vettori che garantiscono una efficace completezza dell'impianto conoscitivo ad un comune sistema di riferimento. Corollario di questo obiettivo diventa un processo di omogeneizzazione delle ricerche e delle loro «componenti costitutive»: metodologie, strumentazioni, accessibilità ecc.

     La scelta operata dal presente Piano è quella di ricondurre le strategie di investigazione dell'offerta (i «Censimenti») e quelle di analisi della domanda (gli «Osservatori») ad una Social Survey in Lombardia che viene quindi ad assumere un ruolo baricentrico e decisivo nell'economia del Piano delle Ricerche medesimo.

     c) Internalizzazione

     Per ragioni ormai evidenti, e di ordine scientifico e di ordine economico non può più essere riproposta la separazione tra prodotti dell'attività di ricerca e prassi corrente dell'amministrazione. Soprattutto e in modo assoluto nella conduzione delle indagini sul sistema d'offerta, la scelta del presente Piano di precedere al completamento dei «Censimenti» relativi a settori non ancora coperti, va letta alla luce dell'obiettivo di fare internalizzare alla normale, prassi gestionale metodologie e prodotti di tali «Censimenti».

     In concreto, sul versante della ricognizione dell'offerta, quelle che vengono commesse sono essenzialmente indagini mirate a definire procedure, modalità e strumentazioni dei futuri processi di autoproduzione dei dati relativi alle unità d'offerta medesime.

     La crescita di compatibilità e di comunicazione tra attività di gestione e ricerca finalizzata è probabilmente uno degli indicatori più significativi dei progressi che si vanno realizzando nel campo della programmazione dei servizi sociali.

     I contenuti del Piano delle ricerche

     Coerentemente agli obiettivi sovra esposti il Piano delle ricerche viene ad assumere nel concreto una struttura base, illustrata dalla tabella riassuntiva qui di seguito riportata (cfr. fig. 5).

 

Figura 5

(Omissis)

 

     Tutte queste ricerche costituiscono un «pacchetto» di esigenze conoscitive risultate da una già avvenuta selezione condotta in base al parametro dell'indispensabilità, che tiene conto dei pregressi apporti conoscitivi forniti da ricerche già eseguite nelle varie aree. Esse rappresentano perciò l'apporto della ricerca al primo Piano socio- assistenziale.

     E' ora opportuno spendere alcune parole circa l'esigenza di dare indicazione di priorità di scelta all'approfondimento di una «Social Survey» in Lombardia che verrà a definire un quadro di riferimento preciso (nel momento in cui inizierà a dare risultati) cui rapportare le altre, future, esigenze di ricerca che potrebbero porsi così entro logiche approfonditive, nel merito, di aspetti emergenti o di allargamento in campi del sociale che comunque la «Social Survey» non sarebbe in grado di scandagliare.

     Infatti i mutamenti sociali e culturali degli ultimi due decenni si sono accompagnati con mutamenti nei rapporti demografici che, nei tardi anni «'80», sembrano ormai porre in termini strutturali problemi vasti e complessi di ulteriore evoluzione culturale, sociale ed economica in molti nodi cruciali quali la famiglia, i rapporti intergenerazionali i ruoli maschili e femminili e i modelli di consumo, l'allocazione del tempo, la segmentazione socio-economica e professionale, le situazioni di vecchia e nuova povertà, i riferimenti valoriali.

     Di conseguenza, vanno anche mutando, e notevolmente, i bisogni che si richiede vengano soddisfatti da un moderno sistema di servizi sociali.

     Si tratta di fenomeni che possono essere valutati e compresi solo in modo del tutto parziale e superficiale sulla base delle informazioni istituzionali ora disponibili; oltretutto tali fenomeni attualmente vengono rilevati solo in parte dalle indagini campionarie «monografiche».

     Queste ultime sono altresì molto costose ed è prevedibile, così stando le cose, che le possibilità di analisi empirica dei fenomeni sociali prima indicati sia nel prossimo futuro frammentata ed episodica.

     D'altra parte le risorse finanziarie necessarie per poche indagini campionarie, monografiche, se opportunamente organizzate possono invece fornire una base conoscitiva per una più vasta attività di ricerca riducendo drasticamente i costi per unità di prodotto.

     Si tratta allora di dare impostazione ad una «Social Survey» finalizzata alla sistematica osservazione dei principali fenomeni sociali in evoluzione.

     Gli obiettivi della «Social Survey» sono quelli di fornire una descrizione accurata della popolazione che copra una serie di aree tematiche (in primis sui rapporti tra aree di domanda e struttura sociale) e i cui risultati abbiano un elevato affidamento statistico.

     Tale ricerca va pensata secondo appositi criteri metodologici per essere altresì ripetuta nel tempo in modo da assicurare osservazioni di trend.

     Tra le risultanze più importanti di un simile impegno di ricerca, già in parte finanziata, si possono dunque enumerare:

     - il garantire una raccolta di dati sulle principali trasformazioni, o persistenze comportamentali e culturali in atto a livello sociale complessivo, si devono cioè poter ricostruire, in relazione a criteri generali di razionalità, le forme dell'agire individuale e collettivo in raccordo ad un'analisi dei bisogni, degli interessi, dei convincimenti, dei valori presenti nelle varie articolazioni del tessuto sociale;

     - la costituzione, ed il continuo aggiornamento, di un patrimonio di informazione su una gamma assai ampia di problematiche sociali inerenti direttamente il rapporto con il sistema di welfare;

     - il darsi di un più lineare e snello modello di trasmissione delle informazioni tra il momento della produzione del dato sociologico ed il suo utilizzo operativo: ne dovrebbe anche derivare un netto incremento nella capacità programmatoria istituzionale oltreché un robusto contributo all'operatività del sistema informativo regionale stesso.

     Tutti gli altri progetti elencati in questo Piano si pongono, o possono comunque essere posti in modo funzionalmente corretto rispetto al quadro generale di riferimento ed, inoltre, si caratterizzano per una autonoma, ma non parcellare, rilevanza contenutistica che inerisce a tutte le aree d'azione del Settore Assistenziale.

     Ogni area tematica, per quel che concerne le ricerche-base viene infatti ad essere coperta sia da un progetto di ricerca di respiro complessivo sia da uno legato a rilevare settori o situazioni o comportamenti specifici sui quali le conoscenze sono al momento assai limitate.

     Per «l'area giovani/minori», accanto alla decisione di dare corso in piena collaborazione con il Settore per il Coordinamenti dei servizi sociali titolare dell'Osservazione Permanente sulla condizione giovanile, ad una ricerca di «Survey sociologica sulla condizione giovanile» nell'ambito, appunto, delle più vaste attività previste dall'Osservatorio Permanente per i problemi della gioventù.

     Per quel che concerne la Survey sociologica sulla condizione giovanile essa si dovrà caratterizzare in modo saliente per:

     - un elevato dinamismo temporale: cioè dovrà essere possibile attivare delle rapide rilevazioni ricorrenti nel tempo anche in connessione con gli outputs della Social Survey (ciò potrà permettere di impostare altresì analisi longitudinali di notevole interesse);

     - il riferirsi ad un campione appositamente definito ed assai vasto di giovani residenti nella nostra Regione, oltre che omogeneo con le esigenze di raccordo di cui si è detto, permette estrapolazioni significative e confronti con gli universi giovanili di altre Regioni ovvero con universi nazionali ed internazionali; potranno essere inoltre possibili estrazioni significative di sottocampioni per particolari zone territoriali regionali per analisi più particolareggiate;

     - articolato in sezioni fisse ed in sezioni mobili nel tempo, cioè alternabili, per la raccolta di informazioni su cui attuare letture particolari anche in dipendenza da esigenze esplicite di volta in volta poste dall'Amministrazione.

     Si immagina perciò un lavoro complesso di tipo esplorativo- approfonditivo delle tematiche che vanno a costituire tali «condizioni» e che nulla ha a che spartire con sbrigative analisi di «sondaggio» di una non ben definibile «opinione» più o meno «pubblica».

     Per l'area «handicap» ci si rivolge positivamente da un lato all'attuazione concreta di un Osservatorio regionale (come momento di rilevazione macrofenomenica) mentre, dall'altro, si imposta un lavoro di rilevazione specifica sull'efficienza ed efficacia di taluni servizi territoriali, sociali e sanitari, per valutare gli effettivi out-puts del sistema volti al recupero e all'integrazione sociale delle varie situazioni di handicap.

     Tali obiettivi conoscitivi, ed in particolare la ricerca di osservatorio handicap, sono già delineati in modo esaustivo nel capitolo illustrativo del Progetto Obiettivo Handicap cui si rimanda.

     Circa l'«area anziani» il presente Piano appronta una proposta generale («Condizione e ruolo degli anziani in Lombardia») che, già notevolmente approfondita nei suoi aspetti problematici di ricerca, deve comunque rivestire carattere di generalità di rilevazione sull'universo culturale, sociale, economico, comportamentale delle cosiddette «terza e quarta età». Tale lavoro assume, come punto di partenza, l'analisi della vecchiaia come un problema eminentemente sociale che coinvolge l'intera collettività e che necessità, per una sua comprensione, di una analisi multidisciplinare anche al fine di ottenere risultanze atte a prevedere interventi integrati e multifinalizzati.

     Ancora è già in avanzata fase di attuazione una ricerca ad hoc sui cosiddetti «servizi aperti» per anziani che fornirà un quadro di riferimento assai importante sotto vari aspetti («classificazione» dei servizi, lettura organizzativa e funzionale dei medesimi, raccordi con l'insieme dei servizi presenti sul territorio, ecc.) sino ad oggi mai scandagliati in modo sistematico e approfondito.

     Anche questa indagine sarà in grado di fornire dei risultati importanti in un breve arco di tempo.

     In definitiva le ricerche proposte nelle tre aree problematiche di popolazione, accanto a quelle di tipo trasversale, vanno dunque a confluire e ad integrarsi in modo stringente con l'ipotesi di «Social Survey» e, soprattutto concorrono ad una reale implementazione del sistema informativo socio-assistenziale.

     Questa ultima esigenza, sebbene con minore cogenza, è richiesta anche ai progetti di indagine che costituiscono il pacchetto degli approfondimenti tematici su particolari problemi e/o situazioni organizzative e/o fenomeni sociali sui quali il livello regionale necessita di flussi informativi appropriati.

     Come è sintetizzato nella Fig. 5 i titoli stessi di ricerca descrivono con accuratezza le specifiche finalità conoscitive primarie di tali ricerche di approfondimento tematico.

     Infine è importante sottolineare come, in sede di conferimento delle varie indagini, la Regione si riserverà, se il caso, di indicare ai soggetti affidatari delle corrette modalità di coinvolgimento degli Enti Responsabili dei servizi di zona al fine di organizzare le risultanze delle ricerche medesime su canoni che, tenendo conto delle specificità delle zone, possano avere una immediata utilizzabilità anche a livello locale.

     Le ricerche di tipo sociale che si intendono effettuare in via diretta, da parte dell'Ente Responsabile dei servizi di zona, vanno comunque rese note preventivamente all'affidamento nei loro termini progettuali, al Settore regionale all'Assistenza affinché sia possibile valutarne le convergenze con le linee del presente Piano anche al fine di ricercare il massimo di omogeneità (relativamente a modalità e strumenti di ricerca) ed il massimo di accumulo, oltre che di diffusione, delle informazioni nel quadro del Sistema informativo socio-assistenziale.

     Tale esigenza di valenza centripeta, che si rifà a quanto contenuto nel VI comma dell'art. 33 della L.R. 7 gennaio 1986, n. 1, si traduce operativamente nella obbligatorietà dell'espletamento di tale procedura di informativa alla Regione Lombardia e di previa, comune, valutazione positiva nel merito delle finalità conoscitive perseguite e nei modelli di memorizzazione dei risultati.

 

     4.4.2.3. «Il Piano delle Attività Sperimentali»

     In un contesto di indirizzo programmatorio non burocratico che voglia legarsi teoricamente ed empiricamente a dei «fini», ovvero che si lascia modellare dai risultati concreti e, su di essi, riorienta gli input da attivare nel sistema, assume un rilievo del tutto particolare l'ambito delle attività sperimentali da attivare entro un definito modello di sistema informativo.

     E' a motivo di tale rilevanza che il P.S.A. ne esplicita un approccio definitorio e individua perciò innanzitutto delle linee guida, o di confine, entro le quali assume significatività l'operare sperimentazioni che siano intimamente raccordate con le fondamentali esigenze conoscitive ed operative, prioritariamente individuate, da perseguire nell'arco di validità del Piano medesimo.

     Dire che la sperimentazione rappresenta una modalità dell'intervento programmatorio vuol dire assumere che questa delicata risorsa trova un utilizzo privilegiato sul fondamentale versante della verifica-valutazione delle azioni strategiche operate entro il processo programmatorio ma anche, necessariamente, sul versante della valutazione della «correttezza» e «congruenza» degli obiettivi che ci si è dati e del loro effettivo, possibile, raggiungimento.

     D'altro canto risulta scelta obbligata quella per cui le attività di sperimentazione devono contenere inderogabilmente, nelle loro specifiche modellistiche, l'obiettivo di accrescere conoscenze in un ambito cruciale che è dato dai bisogni socio-assistenziali (in specie in riferimento a particolari segmenti di popolazione) ovvero di accrescere la conoscenza della «domanda espressa» (l'utenza) incanalatasi nel sistema dei servizi attualmente operante.

     L'elevato grado di opacità che, normalmente, è presente nei sistemi operativi socio-assistenziali circa la possibilità di una costante verifica delle finalità e degli obiettivi per un verso, e, per altro verso, il generale e talvolta ormai grave ritardo nella conoscenza dei processi sociali specifici che producono «domanda» nonché le persistenti lacune nella conoscenza delle caratteristiche strutturali e socio-culturali degli utenti dei servizi, tutto ciò crea una ambigua situazione di fatto in cui si fa predominante la logica del riscontro puramente amministrativo; sulle attività erogate è allora difficilmente perseguibile una lettura retroattiva, valutativa di efficacia, del sistema di erogazione dei servizi. Al superamento, almeno parziale, di queste difficoltà è finalizzato il progetto sperimentale che viene rigorosamente assunto come una particolarissima modalità di intervento per ottenere nuovi gradi di conoscenza e inedite possibilità valutative.

     Si tratta perciò, indipendentemente dall'area contenutistica prescelta, di creare dei «laboratori sociali» empiricamente dominabili (in termini di fattori contenutistici ed organizzativi comunque «misurabili» quantitativamente e/o qualitativamente) nei quali appunto sperimentare dinamiche e modelli di intervento, anche tra loro alternativi.

     Affermare in definitiva che la sperimentazione è vista, entro la logica del Piano, come attività conoscitiva (attiene cioè più alle sfere del «sapere» e del come «saper fare» più che a quella del «fare» immediato) impone il mantenimento di forti connotati di scientificità sia nel momento progettuale iniziale sia sotto l'aspetto dei modelli di ricognizione in progressione e di valutazione finale degli obiettivi enucleati.

     Se il passaggio storicamente qualificante le politiche sociali è individuabile in un progressivo spostamento in avanti luogo il continuum che va dal «porre rimedio» (to cure) all'«aver cura» ed al «preoccuparsi di» (to care) sino al «prendersi buona cura» (to tale good care) ovvero all'essere il più possibile risolutive di nodi problematici di bisogno, allora sarà lungo questa direttrice che risulterà opportuno modellare «esperimenti» fattivi e conoscitivi di finalità da perseguire ma anche di regole e di strumenti da adottare per affrontare i diversi e socialmente sempre compresenti stadi dell'intervento di welfare pubblico e privato, stadi con evidente diversa esigenza di normatività organizzativa, alcune irrisolte questioni sociologicamente pregnanti.

     Sinteticamente si tratta di:

     a) individuare, con scelte esplicite, alcune aree problematiche da meglio conoscere rispetto a ben individuati gruppi di popolazione;

     b) contestualizzare tali scelte primarie in precisi ambiti territoriali (Regione/Zona/Comune) significativi rispetto a peculiari fattori descrittivi;

     c) individuare gli obiettivi conoscitivi ed operativi, primari e secondari della sperimentazione;

     d) individuare le metodologie e le tecniche da applicare per il raggiungimento degli obiettivi prescelti e per le relative attività di verifica;

     e) individuare compatibili modalità di valutazione complessiva (in base a precisi criteri oggettivabili o comunque misurabili) delle attività sperimentali anche al fine di porre in risalto, nel caso, le condizioni di riproducibilità del modello sperimentale adottato o il grado di generalizzazione dei suoi risultati.

     Filo logico di tutte le attività di sperimentazione è dunque l'esplorare e l'innovare: nel prospettare i problemi dai più radicati a quelli emergenti; nell'indicare modalità di azione il più possibili risolutive; nel comparare possibili soluzioni organizzativo-istituzionali.

     D'altro canto tutte queste azioni innovative, in ogni caso caratterizzate dall'essere anche «ricerche-intervento», dovranno dare vita a sperimentazioni davvero sperimentabili ovvero caratterizzate da un notevole grado di realismo operativo e propositivo e non da pure esigenze utopiche.

     Ed infine poiché la risorsa «valutazione», su cui si punta qui in modo prioritario, non è uno strumento asettico o autonomo bensì si connette a espliciti programmi di azione, ne deriva che più essi sono chiari più è facile e possibile la «valutazione» in particolare sul nucleo dei problemi più complessi e più dinamici.

     Perciò tutte le proposte di lavoro che verranno avanzate da Comuni ed USSL o, preferibilmente tramite essi, da soggetti operanti nel sistema dei servizi alla persona, insieme alle proposte di sperimentazione che la Regione autonomamente deciderà di avviare, dovranno essere assai chiare circa:

     - l'elaborazione culturale del progetto (finalità, strumenti di lavoro, validità scientifica):

     - le imputazioni di responsabilità (ruoli dei diversi livelli istituzionali);

     - i costi (finanziari, organizzativi, ecc.);

     - il grado di applicabilità (l'operazionalizzazione del progetto e la durata temporale);

     - i benefici (conoscitivi, operativi) prevedibili.

     Di conseguenza si renderanno esplicite tutte le operazioni di contesto e le precondizioni da raggiungere per il decollo del progetto: dalla condivisione dei fini del progetto medesimo tra i vari attori coinvolti alle necessità di formazione ad hoc, alla messa a punto degli strumenti metodologici di lavoro, alla costituzione di organismi operativi di controllo e valutazione, alla valutazione degli investimenti in personale e/o finanziari da attivare ecc.

     In ogni caso il Settore Assistenza e Sicurezza Sociale, cui spetta l'onere di dare un parere tecnico definitivo di merito o di metodo circa le candidature di Progetto avanzate, darà avvio solo a quei progetti di lavoro, rispondenti ai criteri generali e specifici qui enunciati, sui quali risulterà effettivamente possibile condurre proficuamente avanti da parte del livello regionale, che si avvarrà delle necessarie collaborazioni e di supporti scientifici, un proprio significativo coinvolgimento ai fini conoscitivi e valutativi dell'esperienza.

     Le scelte tematiche su cui focalizzare le attività di sperimentazione nell'arco di validità del Piano sono:

     A. Versante della sperimentazione sociologica

     I progetti potranno riguardare:

     1) l'area degli interventi alternativi all'istituzionalizzazione a taglio preventivo e socializzativo, con particolare riferimento a modelli di assistenza domiciliare a persone anziane e handicappate;

     2) approfondimenti qualitativi circa le realtà dell'affido familiare e dell'adozione, anche internazionale, e la eventuale elaborazione di innovative contestualizzazioni operative;

     3) l'area della immigrazione straniera con particolare riferimento alle possibilità all'accesso ed alla fruizione dell'intera rete dei servizi socio-sanitari da parte di questi gruppi sociali: dovranno essere evidenziate modalità organizzative, programmi formativi per operatori sociali di base, insiemi di competenze da far acquisire a figure-chiave ecc. al fine di rendere concreta tale possibilità;

     4) varie prefigurazioni empiriche dei cosiddetti centri di pronto intervento in tutti i loro aspetti organizzativi ed erogativi di prestazioni in relazione ad ampie gamme di bisogni;

     5) l'area del reinserimento sociale e lavorativo di particolari fasce deboli di popolazione quali gli ex carcerati e gli ex tossicodipendenti.

     6) approfondimenti di nuovi modelli di erogazione complessa di «servizi» rivolti alla intera gamma della popolazione adolescenziale e giovanile;

     7) approfondimenti riguardanti modalità innovative che favoriscano l'utilizzo dei servizi socio-educativi per minori da parte di soggetti handicappati ovvero anche nuove modalità favorenti l'integrazione scolastica di bambini della prima adolescenza portatori di gravi disabilità;

     8) prefigurazioni empiriche di modalità di trattamento residenziale, o semi-residenziale, di minori psicotici;

     9) delineazione di progetti integrati «lavoro part-time/utilizzo mirato di tempo libero» centrati su soggetti non gravemente disabili e con capacità lavorativa limitata.

     B. Versante della sperimentazione metodologica ed istituzionale

     I progetti potranno riguardare:

     1) la predisposizione di strumenti e metodologie quali-quantitative per l'implementazione del sistema informativo zonale (finalizzandolo alla elaborazione del Piano zonale annuale) in stretto raccordo con il costituendo sistema informativo socio-assistenziale regionale;

     2) l'approfondimento di aspetti cruciali, sia sul versante organizzativo sia sul versante comunicazionale, del Distretto socio- sanitario di base, in relazione al suo ruolo entro il modello operativo zonale al fine di favorire il concreto avvio del processo di distrettualizzazione;

     3) la predisposizione di particolari strumenti volti

all'implementazione dell'archivio-dati tecnici e conoscitivi sulle configurazioni professionali operanti nel sistema socio-assistenziale.

     C. Versante della sperimentazione nel campo delle attività di educazione sociale, di prevenzione e di informazione mirata

     I progetti potranno riguardare:

     1) interventi nell'area dell'educazione sociale, della prevenzione e dell'informazione mirata sia verso la generalità dei cittadini sia verso gruppi sociali particolari con tutte le esigenze di utilizzo, ovvero di ideazione e realizzazione, di strumenti e materiali ad alto contenuto comunicativo e metodologicamente rigorosi.

     In particolare anche a motivo dell'urgenza di ripensare le modalità stesse dell'intervento sino ad ora praticato, il livello regionale, suscitando tutte le necessarie convergenze e collaborazioni, si impegna ad avviare, nell'arco di validità del P.S.A., sperimentazioni in aree ritenute prioritarie: A1 (Assistenza domiciliare); B1 (Sistema informativo zonale); A4 (Centri di Pronto Intervento).

 

     Osservazioni finali

     Il sistema informativo socio-assistenziale, di cui si è data una sintetica delineazione e di cui si sono descritte, empiricamente, le principali componenti, è tuttora un obiettivo da perseguire ed insieme una precisa risorsa di cui avvalersi, un privilegiato modello regolatore di rapporti tra i vari attori, istituzionali e non, del sistema oltre che, fortunamente, una realtà già parzialmente operante e radicata.

     Non è sposare alcuna scorciatoia illuministica il dire che, anche nell'area incerta e problematica dei bisogni e dei servizi socio- assistenziali, esso rappresenta uno strumento unico, per portata euristica, per permettere una reale verifica degli indirizzi operativi del Piano di intervento programmatorio; dà un supporto indispensabile alla stessa attività gestionale, oltre che programmatoria, dell'amministrazione; contribuisce fortemente alla stessa applicazione concreta delle politiche regionali oltre che a dare alcuni utili strumenti per discuterne le premesse stesse, ad analizzarne gli effetti, ad identificare nuovi obiettivi possibili; rende possibile la diffusione di una cultura dei servizi (e non solo sui servizi) a tutti i gradi di responsabilità e di operatività; crea il contesto per dei rapporti meno episodici ed improduttivi delle amministrazioni con le opportunità tecnico-scientifiche esterne che collaborano alla lettura dei problemi od alla delineazione dei modelli di intervento in campo sociale.

     Con questo primo P.S.A., e a ragione della logica stessa che lo innerva, la Regione Lombardia pone le basi di un lavoro duraturo, certamente gravoso e complesso ma improcrastinabile, e lo fa ribadendo quella che è la caratteristica di fondo che sola può rendere accettato e condiviso tale impianto di lavoro: la crucialità del contributo di ognuno, in una chiarezza di ruoli e collocazioni, all'effettivo funzionamento del sistema informativo stesso ed, insieme, la consapevolezza che per ognuno vi è un «compenso», un ritorno informativo, e non solo informativo, di estrema utilità.

     Al di là dei vincoli normativi o degli adempimenti burocratici si vuole operare sulla base di veri e propri contratti informativi tra tutti i titolari di responsabilità nel campo degli interventi socio-assistenziali che, in uno sforzo sinergico, rendono evidente ad ognuno l'onere ma anche l'interesse ad essere fonte e ricettore attivo ed affidabile.

     Si sottolinea infine come una attesa di ruolo del tutto particolare viene prefissata, nel modello qui delineato, rispetto al responsabile del servizio di assistenza sociale delle USSL, cui si richiede generalmente una forte capacità di «lettura», di «valutazione», di «coordinamento», di «programmazione», poiché questa figura verrà assumendo una parte sempre più importante nella dialettica dei rapporti tra centro e periferia, proprio a partire dal suo essere attore-cardine sia nel sistema d'azione sia nel sistema informativo socio-assistenziale.

 

 

ALLEGATO N. 1

 

Progetto obiettivo la prevenzione degli handicap, la riabilitazione e la

socializzazione dei disabili fisici psichici e sensoriali

 

1. PRESUPPOSTI TEORICI DEL PROGETTO OBIETTIVO

1.1 Motivazioni e finalità generali

1.2 Delimitazione del campo d'intervento

1.3 Criteri d'analisi della realtà

2. LE STRATEGIE LE MODALITA' D'INTERVENTO

2.1 Prevenzione

2.2 Riabilitazione

2.3 Assistenza suppletiva e compensativa

2.3.1 Interventi aspecifici

2.3.2 Interventi specifici

2.3.3 Sperimentazione

3. INDIRIZZI GENERALI E DI COORDINAMENTO

3.1 Modello organizzativo di riferimento

3.2 Obiettivi e indici di piano

3.3 Risorse per il perseguimento degli obiettivi

 

 

1. PRESUPPOSTI TEORICI DEL PROGETTO OBIETTIVO

 

     1.1 Motivazioni e finalità generali

     La Legge 23 ottobre 1985, n. 595 relativa alle «norme per la programmazione sanitaria e per il piano sanitario triennale 1986-1988» all'art. 8 indica come progetto-obiettivo da realizzare nel triennio «la prevenzione degli handicap, la riabilitazione e la socializzazione dei disabili fisici, psichici e sensoriali».

     La stessa Legge definisce peraltro come progetto-obiettivo «un impegno operativo idoneo a fungere da polo di aggregazione di attività molteplici delle strutture sanitarie, integrate da servizi socio-assistenziali, al fine di perseguire la tutela socio-sanitaria dei soggetti destinatari del progetto». Secondo tale Legge «i progetti obiettivo sono finanziati in parte con risorse vincolate dal fondo sanitario nazionale, in parte con risorse aggiuntive di provenienza diversa da quelle del fondo anzidetto, incluse quelle di competenza delle regioni e degli enti locali». Peraltro, con l'approvazione del Programma Regionale di Sviluppo 1986-1988 da parte del Consiglio Regionale avvenuta il 29 aprile 1986, la promozione della visione unitaria dell'intervento socio-sanitario capace di consentire la necessaria razionalizzazione della spesa è stata affidata alla realizzazione di un «progetto di coordinamento» degli strumenti legislativi e programmatori da predisporsi contestualmente e conseguentemente alla definizione dei due piani, sanitario e assistenziale.

     Rientra pertanto a pieno titolo nell'ambito di questo coordinamento il progetto-obiettivo handicap in quanto esso di necessità si confronta con problemi e prospetta soluzioni afferenti nel contempo all'area delle competenze e delle risorse sanitarie e socio assistenziali.

     Il progetto trova le sue motivazioni fondamentali ad esistere:

     - nella rilevanza sociale che la problematica dell'handicap riveste nella realtà regionale lombarda;

     - nella situazione di emarginazione che ancora caratterizza le condizioni di vita degli handicappati;

     - nella opportunità di ricondurre ad interventi unitari e globali i problemi che sotto diversi profili riguardano questa specifica utenza;

     - nella necessità di assicurare il coordinamento sul territorio di tutti gli interventi provenienti non solo dalla regione e dagli enti locali, ma anche dagli organismi pubblici e privati operanti nell'area.

     Con il Progetto Obiettivo Handicappati la Regione Lombardia si propone, oltre e al di là dell'attuazione degli indirizzi della legislazione nazionale, di creare presupposti concreti affinché:

     - siano prevenute le cause che portano all'insorgere dell'evento morboso;

     - siano prevenute le condizioni che portano a situazioni di menomazione;

     - siano curate le menomazioni per reintegrare al possibile le condizioni di autonomia e autosufficienza della persona, evitando l'instaurarsi di situazioni di disabilità o comunque ostacolandone l'aggravamento;

     - siano riparati gli stati di disabilità, per consentire alla persona il massimo di autonomia e di autosufficienza affinché non si evolvano in handicap;

     - siano compensate le situazioni di handicap per assicurare alla persona e alla sua famiglia dignitose condizioni di vita.

     La predisposizione di un particolare progetto-obiettivo per i provvedimenti di piano nei confronti dei problemi suscitati dalle menomazioni fisiche e/o psichiche e/o sensoriali appare sostanzialmente coerente con le motivazioni che sono state e sono alla base del rinnovamento del sistema sanitario e assistenziale.

     Infatti, la menomazione produttiva di disabilità e di svantaggio esistenziale incidendo globalmente sul modo di essere e di esprimersi della persona e inducendo limitazioni o distorsioni nei contatti e nei rapporti della persona stessa con gli altri:

     - solleva problemi sanitari e sociali complessi con i quali sono chiamate a confrontarsi contemporaneamente tutte le componenti spontanee o istituzionali, tecniche o assistenziali degli apparati orientati o preposti alla tutela e al sostegno della persona umana e del suo diritto ad una soddisfacente realizzazione;

     - produce situazioni di bisogno sovente assai onerose, rimediabili o compensabili soltanto con apporti plurimi provenienti nel contempo dalla persona interessata e dai vicini ad essa per naturali legami affettivi o per obblighi diretti di aiuto, dalla comunità di cui la persona interessata fa parte per insediamento o per accentuata frequenza di rapporto sociale e, infine, dalla collettività nel suo insieme chiamata a fornire le risorse operative ed economiche che, per qualità e peso, trascendono le capacità di aiuto e di sostegno ricavabili dai prossimi e dalla comunità locale;

     - sollecita prestazioni di aiuto durevoli e, spesso assai prolungate o addirittura indefinite e quindi interventi non occasionali e sporadici ma apporti continuativi garantiti, quanto ad efficacia ed a persistenza, sia che si tratti di soggetti pubblici che privati.

     La predisposizione di un particolare progetto-obiettivo per i provvedimenti di piano nei confronti dei problemi suscitati dalle menomazioni fisiche e/o psichiche e/o sensoriali, viene peraltro incontro anche alle indifferibili esigenze di riordinamento e di razionalizzazione che sono in concreto da tempo evidenziate dalle esistenti attività sanitarie e sociali svolte a rimedio degli stati di disabilità.

     La tradizionale trattazione dei problemi inerenti alle minorazioni, nell'ambito principalmente sanitario, ha infatti circoscritto l'attenzione agli aspetti anatomo-clinici e alle manifestazioni proprie allo stato di malattia produttiva della lesione minorante. Ne è derivata una improvvisa restrizione dell'intervento di aiuto al disabile, limitata a quella fase del processo invalidante che costituisce materia di competenza biomedica, e ne è derivata una rilevante trascuratezza verso quanto seguiva a tale fase evolutiva e risultava pertanto di minor interesse per le conoscenze e di minor agibilità per le tecnologie biomediche.

     Sullo stesso terreno sanitario e all'interno della stessa competenza diagnostico curativa gli aspetti della riabilitazione e del ripristino della funzione compromessa dalla malattia hanno avuto, ed ancora hanno, posizione e spazio operativo subordinato e secondario nell'esercizio di ogni settore specialistico clinico. Ancor più riduttiva e ostativa, per una adeguata considerazione dei problemi suscitati da una minorazione fisica e/o psichica e/o sensoriale è stata ed è ovviamente la netta dicotomia che separa il momento sanitario dal momento sociale dell'intervento di aiuto al disabile. Essa ha prodotto e produce infatti discontinuità di prestazioni e intempestiva interruzione o ingiustificata rinuncia a livelli di recuperabilità che sarebbero invece raggiungibili; essa ha prodotto e produce inoltre facile induzione di passività assistenziale piuttosto che impegno e volontà di reintegrazione della autonomia personale.

     Una certa, seppur non esaustiva, inversione di tendenza sul territorio lombardo, si sta attuando attraverso un più razionale utilizzo delle strutture di riabilitazione operata secondo la normativa prevista dalla Legge 30 marzo 1971, n. 118 e convenzionate con il S.S.N. ai sensi dell'art. 26 della Legge 23 dicembre 1978, n. 833.

     La Giunta Regionale ha infatti recepito, con deliberazione del 9 settembre 1986 n. 4/12448, lo schema tipo nazionale di convenzione, nonché gli standard strutturali di funzionamento dei centri di riabilitazione. Dopo opportuno rilievo del fabbisogno regionale nel settore della riabilitazione dell'handicap, la stessa Giunta ha ridefinito, con deliberazione del 9 giugno 1987 n. 4/21469, le tipologie degli interventi (trattamenti a degenza piena, degenza diurna, ambulatoriali, domiciliari ed extramurali), nonché il volume massimo delle prestazioni erogabili per il triennio 1987/1989.

     I costi connessi a questo quadro convenzionale sono interamente spesati all'interno del F.S.N. nel capitolo 060 (assistenza sanitaria riabilitativa e protesica).

     Nello stesso campo assistenziale il progressivo riconoscimento sociale degli stati di bisogno da minorazione fisica e/o psichica e/o sensoriale e la predisposizione degli interventi atti a rimediarli e a compensarli, essendosi sviluppati prevalentemente per iniziativa spontanea benefica al di fuori di un quadro unitario organizzativo e operativo, ha dato luogo alla formazione di strutture e di opere disomogenee, ricche di dedizione altruistica ma cronicamente condizionate dalla sporadicità e dalla limitazione delle risorse e quindi incapaci di seguire quella evoluzione scientifico-tecnologica che, anche nel settore socio-assistenziale, va determinando possibilità correttive o compensative sempre più efficaci ma anche di costo continuamente crescente.

     Analogamente, la legislazione in favore dei disabili, via via stimolata dalla presa di coscienza collettiva dei problemi indotti da una menomazione e da impedita o annullata validità organica o funzionale, è venuta formandosi attraverso provvedimenti discontinui e settoriali sovente assai squilibrati rispetto all'entità e all'importanza delle situazioni di disagio da sovvenire. Si è così creata ed è tuttora vigente una normativa complessa che concede provvidenze diverse sintonizzate non sulla gravità dello stato di bisogno ma sulla caratterizzazione del momento lesivo (invalidità da eventi bellici, da lavoro, civile) o sulla sede delle lesioni minoranti (sordità, cecità, ecc.).

     Tale vigente normativa, proprio a causa del suo modo di formarsi, ha finito con il privilegiare le minori compromissioni funzionali e organiche assai più diffuse, e quindi sostenute da una pressione socio-politica più organizzata, a spese dei più rarefatti gravi e gravissimi stati di disabilità, pesantemente limitativi dell'autonomia e della realizzazione psico-sociale della persona colpita e quindi prioritariamente degni di un pieno aiuto sociale.

     Naturalmente una tutela legislativa così frammentata, confusa, incoerente era destinata a produrre ed ha infatti prodotto anche diseconomie, sprechi e progressivo incontrollabile incremento della spesa assistenziale specifica, attraverso una incentivata o spontanea mobilitazione degli aspiranti all'acquisizione del sia pur modesto privilegio, connesso ad una qualche opinabile situazione di disabilità, facilmente convalidata da superficiali verifiche più amministrative che tecniche.

 

CENTRI DI RIABILITAZIONE CONVENZIONATI

(Omissis)

 

     1.2 Delimitazione del campo d'intervento

     Lo stato di bisogno, che si forma a causa di una lesione minorante e che in sede di servizio sanitario e sociale si è chiamati a sovvenire, rappresenta la fase terminale di un processo che occorre riconoscere nelle sue componenti poiché a ciascuna di esse può e deve contrapporsi un peculiare tipo d'intervento.

     La prima tappa di questo processo è costituita dall'evento lesivo vero e proprio e dalla successione delle sue fasi fino all'instaurarsi della alterazione anatomica o funzionale attraverso il contatto con agenti o situazioni patogene (situazione di rischio); attraverso la comparsa nell'individuo di una lesione iniziale soggettivamente non percepita (stato morboso latente); attraverso l'emergenza di manifestazioni abnormi soggettivamente e oggettivamente riconoscibili e analizzabili (malattia conclamata). Anche i cosiddetti «handicaps» derivano sempre da questa fase originaria del processo lesivo e quindi anche nei confronti degli «handicaps» il primo e più proficuo momento correttivo è rappresentato dalla prevenzione.

     La seconda tappa del processo evolutivo che porta al configurarsi dello stato di bisogno è rappresentata dalla instaurazione, come reliquato morboso, di quel danno anatomico o funzionale che dà corpo alla menomazione, cioè ad uno scostamento dalla normale strutturazione e dalla fisiologica capacità funzionale dell'organo o dell'apparato già colpiti dall'evento lesivo. Tali alterazioni anatomiche o funzionali postmorbose assumono rilevanza e peso nel determinismo degli «handicaps» in misura assai differenziata, potendo esse risultare localizzate in distretti organici o avere estensioni e gravità minoranti più o meno influenti sull'efficienza globale del soggetto interessato.

     L'intervento che può e deve contrapporsi a questa fase del processo evolutivo che porta all'handicap è, nel contempo, di tipo sanitario e di tipo sociale. Per assicurare una risposta a questo reale bisogno riabilitativo occorre innanzitutto prevedere modalità che consentano il pieno utilizzo dei presidi multizonali pubblici e convenzionati, degli istituti e dei centri zonali pubblici e convenzionati (vedi tabelle allegate) nel quadro convenzionale ex art. 26 Legge 23 dicembre 1978, n. 833 nonché l'attivazione nelle zone carenti di questo servizio, secondo i criteri e i metodi che ne garantiscano efficacia tecnica, accettabilità da parte del soggetto e continuità per tutto il tempo necessario, quei trattamenti che sono detti di riabilitazione e che tendano a ripristinare la funzione compromessa dalla minorazione attraverso correttivi e compensi opportunamente e specificamente attivati all'interno dello stesso soggetto, mediante sollecitazione di organi o di funzioni alternative a quelle perdute o mediante quei trattamenti che tendano perlomeno a stabilizzare l'instaurata menomazione quando essa possieda o conservi una potenziale progessività invalidante.

     La terza tappa del processo evolutivo che si conclude nell'handicap è rappresentata da uno stato di disabilità cioè da una perdita di efficienza funzionale rispetto al modo normale di essere e di esprimersi della persona umana. Tale perdita è naturalmente più o meno rilevante e più o meno estesa a secondo della sede e della profondità della instaurata menomazione fisica e/o psichica e/o sensoriale. Lo stato di disabilità costituisce dunque il danno anatomofunzionale invalidante connesso ad una menomazione ormai stabilizzata; costituisce quindi il danno non più rimediabile o riducibile mediante recuperi ricavabili dalla persona minorata attraverso le tecniche della riabilitazione.

     L'intervento che può e deve contrapporsi a questa fase del processo evolutivo che porta all'«handicap» e che può definirsi di assistenza suppletiva deve quindi tendere a sostituire, dall'esterno del soggetto, l'organo mancante o leso e la relativa funzione compromessa o perduta mediante adeguati sostitutivi protesici, ausili funzionali o mediante prestazioni di persona aiuto.

     Connesso e conseguente allo stato di disabilità è l'ultimo aspetto del processo invalidante, quello cioè della situazione di svantaggio esistenziale più propriamente definibile come «handicap» che la persona subisce a causa della sofferta menomazione fisica e/o psichica e/o sensoriale. Questo aspetto riguarda quindi la persona non in se stessa, ma nel rapporto di convivenza con gli altri e nei confronti della sua possibilità di piena e gratificante estrinsecazione sociale secondo i livelli e i modi mediante propri membri della comunità cui essa appartiene.

     La situazione di svantaggio esistenziale indotta da una menomazione si diversifica caso per caso non solo in riferimento alla sede ed al grado della compromissione organica o funzionale, ma anche in riferimento alla originaria o ragionevolmente attesa collocazione culturale, professionale, economica, sociale della persona disabile. Gli interventi volti a rimediare alle situazioni di svantaggio, che possono venir definiti di assistenza compensativa, sono pertanto polivalenti in quanto debbono riferirsi alla particolare caratterizzazione socioculturale del soggetto handicappato, al particolare ruolo esistenziale cui il soggetto ha motivo di aspirare o che dal soggetto potrebbe essere socialmente atteso e infine ai condizionamenti ambientali fattisi impedimento per il soggetto a causa della presenza di menomazione e di disabilità.

 

     Schema n. 1

     (Omissis)

 

     1.3 Criteri d'analisi della realtà

     Quanto esposto fino a questo punto rappresenta una razionale interpretazione e una definizione generale dei fenomeni e dei problemi da handicap; essa tuttavia non potrebbe fornire indicazioni operative ove non si considerassero le variabili che ricorrono e incidono sulla qualità e sulla dimensione della minorazione invalidante e dello stato di bisogno assistenziale da essa evocato.

     Tali variabili possono essere intese come «differenziali» in quanto si collocano tra i due punti estremi di un vettore e, a seconda della posizione occupata lungo questo vettore, determinano la tipologia e la gravità dello stato di bisogno e lo tipologia e la gravosità dell'apporto assistenziale necessario per sovvenirlo.

     I differenziali sopraddetti precipuamente concernono:

     a) la sede della compromissione minorante (somatica/psichica),

     b) la prognosi della compromissione minorante

(stabilizzazione/progressività),

     c) la fase esistenziale propria al soggetto (età evolutiva/età involutiva),

     d) il tipo di trattamento sollecitato dallo stato di bisogno (sanitario/sociale).

     e) Il differenziale fisico-psichico

     La variabile fisico-psichica è forse la più intricata e deriva da una questione classica dell'antropologia (il rapporto corpo-mente). Un'analisi profonda della questione porterebbe, come è sempre avvenuto, ad una situazione di sostanziale indecidibilità. E' invece possibile limitarsi a considerare, schematizzando al massimo, quattro eventualità rilevabili nella pratica:

     1. situazione fisico-sensoriale in cui una minorazione fisica determina danni unicamente fisico e/o sensoriali, non richiedenti generalmente altri interventi che non siano quelli di natura medica, riabilitativa e suppletiva;

     2. situazione somato-psichica in cui un danno fisico e/o sensoriale comporta, direttamente o indirettamente, una compromissione psichica. Gli interventi debbono essere quindi di natura integrata medico-riabilitativi ed educativi, con una prevalenza della dimensione sanitaria;

     3. situazione psico-fisica in cui una minorazione primariamente psichica comporta danni o problemi fisici o della gestione della vita somatica quale ad esempio una sensibile riduzione dell'autonomia necessaria ad una vita dignitosa. Anche in questo caso l'intervento deve essere di tipo misto ma la priorità è della dimensione sociale, da intendersi in una accezione ampia (educativa, assistenziale ecc.);

     4. situazione psichica in cui minorazioni unicamente psichiche danno luogo a problematiche a loro volta psichiche (ad esempio comportamentali e adattive). In questo caso gli interventi devono raccordarsi con quelli previsti da altri progetti, quali ad esempio quello per la tutela dei malati di mente.

     b) Il differenziale prognostico

     Il fattore prognostico ha una grande rilevanza sul piano medico, riabilitativo ed assistenziale. In base ad esso può essere fatta una programmazione degli impegni, sia caso per caso che secondo gruppi di minorazione e disabilità.

     Nel settore in questione gli studi prognostici sono molto carenti se non addirittura assenti; ciò si spiega con la lunga storia

assistenzialistica che caratterizza questo campo.

     Quanto tuttavia importa in questa sede non è il criterio prognostico in senso altamente analitico, bensì la possibilità di operare su grandi categorie concettuali. Inoltre il principale interesse non è portato sulla prognosi nosologica, ma sulla prognosi globale della funzionalità dell'individuo intesa in un senso molto ampio al fine di:

     - stabilire se e quando ed in quale misura gli interventi riabilitativi debbano essere modificati, aumentati o diminuiti;

     - prevedere quale tipo di impegno sia ipotizzabile per singoli casi o per gruppi di patologia;

     - definire alcuni criteri quali la «stabilizzazione», la «progressività», il «rischio».

     In questa prospettiva, il differenziale è costituito dai seguenti aspetti che vengono elencati e brevemente commentati:

     1. ad un estremo si ha la progressività obiettiva che caratterizza un gran numero di affezioni capaci di portare all'handicap (ad es. malattie metaboliche, malattie genetiche, sindromi degenerative, ecc.).

     Per quanto sia lunga l'evoluzione morbosa, questi casi richiedono la prosecuzione dell'intervento sanitario al fine di limitare l'estendersi, strutturale e cronologico, della malattia. Il progetto di intervento vede quindi, in linea di massima, una prevalenza della dimensione sanitaria;

     2. in sede intermedia si ha la progressività lenta ed intervallata che caratterizza alcuni quadri morbosi di tipo metabolico, muscolare e genetico e che comprende anche la sfera psichica. In questi casi, l'andamento globale è di tipo progressivo, ma a tempi lunghi, sicché sono da prevedere interventi di natura integrata, vale a dire non solo un monitoraggio sanitario o supporti protesici ma anche provvedimenti sociali (ad esempio la scolarizzazione);

     3. in sede intermedia si ha anche la stabilizzazione dinamica caratterizzata da una situazione relativamente stabile, ma suscettibile di danni secondari sotto forma di regressioni, crolli e distorsioni (ad es. insufficienti mentali, psicotici, stati di regressione senile), se viene a mancare una serie di supporti e di monitoraggi di tipo integrato socio- sanitario;

     4. all'altro estremo si ha la stabilizzazione, ovvero una condizione che si è strutturata in una forma sostanzialmente definitiva. In questo caso non si hanno rischi regressivi o disorganizzativi, così come non si hanno più ragionevoli speranze di cambiamenti positivi nel senso del recupero strutturale, mentre possono esservi dei recuperi relativi sotto forma di ampliamento prestazionale di competenze già acquisite.

     E' evidente che gli interventi da prevedersi sono prevalentemente di natura socio-assistenziale.

     c) Il differenziale della fase esistenziale

     L'analisi di questo differenziale è fondamentale sia per l'identificazione della soluzione più opportuna rispetto alle situazioni presenti nella realtà, sia per porre in atto particolari modalità organizzative che tengano conto delle diverse età dei soggetti che accedono alla rete dei servizi e presidi istituiti per l'handicap.

     Ovviamente il differenziale per età ha un peso particolare nell'affrontare gli interventi relativi ai soggetti in età evolutiva al fine di prevedere la contestualità e la tempestività delle prestazioni di natura preventiva, medico-riabilitativa e sociale, atte a consentire il maggior recupero possibile per ogni singolo soggetto ed impedire l'aggravamento della disabilità e l'instaurarsi dello svantaggio esistenziale.

     d) Il differenziale relativo alla componente assistenziale

     Come è già stato ricordato gli stati di bisogno indotti da quella compromissione della salute che riassuntivamente viene definita «handicap», si differenziano a seconda che ci si riferisca al

danno/limitazione/anormalità realizzatosi in una struttura anatomica o in una funzione organica (menomazione), o al danno/limitazione/anormalità riscontrabile nelle capacità di estrinsecare le normali attività fisiche e psichiche della persona umana (disabilità), o al

danno/limitazione/anormalità riscontrabile nel ruolo e nel modo sociale di essere e di esprimersi della persona colpita (svantaggio).

     Queste differenziate varianti degli stati di bisogno da handicap, anche se reciprocamente connesse e condizionate, si riflettono, caratterizzandola, sull'azione assistenziale e sollecitano apporti-rimedio altrettanto differenziati che si dislocano sulle varianti operative attraverso le quali si esprime il sistema di aiuto sociale.

     I problemi da handicap stimolano pertanto ad una risposta di aiuto sia le componenti sanitarie che quelle socio-assistenziali ma, nel far ciò, pesano in modo diverso sui due settori a seconda che il fenomeno bersaglio dell'intervento sia la menomazione o la disabilità o lo svantaggio esistenziale.

Infatti di fronte a ciò che precede e produce l'handicap, e cioè di fronte all'evento lesivo orientato a produrre menomazione, si attivano in prevalenza le componenti sanitarie cui in questo caso compete di realizzare quanto possibile di prevenzione; di fronte alla instaurata menomazione si attivano prestazioni di aiuto ancora prevalentemente, anche se già non più esclusivamente, sanitarie in quanto sostanziate di interventi riabilitativi; di fronte alla disabilità si attivano nel contempo, e in dimensione abbastanza equilibrata, sia prestazioni sanitarie che socio- assistenziali di assistenza suppletiva; infine di fronte allo svantaggio prevalgono in modo deciso, anche se non in senso esclusivo le prestazioni socio-assistenziali di assistenza compensativa.

 

     Schema n. 2

     (Omissis)

 

2. LE STRATEGIE E LE MODALITA' D'INTERVENTO

 

     2.1 Prevenzione

     La menomazione fisica e/o psichica e/o sensoriale che dà luogo ad uno stato di disabilità e a una situazione di svantaggio esistenziale rappresenta, come si è visto, l'evento terminale di un processo lesivo di cui non si è saputo o potuto impedire od ostacolare l'insediamento originario e la fase evolutiva iniziale.

     Pertanto, anche nei confronti dei problemi da MDS (secondo l'Organizzazione Mondiale della Sanità si intende: Menomazione, Disabilità, Svantaggio), la prevenzione costituisce l'intervento più efficace e più conveniente tanto per l'individuo quanto per la collettività. Si tratta naturalmente, e va detto ancora una volta, anche dell'intervento di più difficile realizzazione.

     L'azione preventiva nei confronti degli handicap precede pertanto il momento in cui si realizza la menomazione e da cui prende origine il bisogno assistenziale derivante dalla compromissione anatomica e/o funzionale e dalle sue conseguenze esistenziali.

     L'azione preventiva, anche in questo caso, rientra dunque nell'ambito di competenza e di estrinsecazione operativa dei servizi sanitari e, come per qualsiasi altro problema ad essi attinente, si articola secondo opere ed interventi di prevenzione primaria, secondaria e terziaria.

     Anche nel caso degli handicap sono interventi di prevenzione primaria quelli mirati a individuare e sopprimere le situazioni e i fattori di rischio patogeno; sono interventi di prevenzione secondaria quelli volti a riconoscere e a rimediare le alterazioni latenti, che abbandonate a se stesse potrebbero concludersi in una menomazione; sono infine interventi di prevenzione terziaria quelli che di fronte ad un evento morboso potenzialmente progressivo e per ciò stesso a rischio invalidante, tendono a consolidare, per quanto possibile, lo stato di stabilizzazione raggiunto.

     Nel caso degli handicap la prevenzione è e resta pertanto compito proprio dell'azione sanitaria, la quale è chiamata a realizzarla incrementando e, ove possibile, generalizzando nelle diverse attività sanitarie, impegnate nella diagnosi e cura degli eventi patogeni e delle malattie che più frequentemente sono destinate a produrre minorazioni invalidanti, un più accentuato e calibrato comportamento anche preventivo ed una opera clinica più attenta ai problemi e ai rischi prognostici.

     Pertanto, un impegno programmato per la prevenzione delle menomazioni e conseguenti disabilità e svantaggi può essere descritto e promosso mediante:

     - la individuazione degli eventi lesivi più frequentemente e più intensamente produttivi di minorazioni invalidanti;

     - la promozione e l'attuazione di una educazione sanitaria mirata alla prevenzione primaria di tali eventi lesivi;

     - la individuazione delle occasioni, sedi, modi e strumenti per il riconoscimento, l'eliminazione e il contrasto sistematico dei fattori di rischio che facilitano l'attuarsi di tali eventi lesivi;

     - la qualificazione o riqualificazione in senso anche preventivo delle strutture e degli operatori impegnati nelle attività sanitarie influenti sulla evoluzione e il destino di tali eventi lesivi.

     Le misure sanitarie preventive particolarmente destinate a ostacolare la comparsa di lesioni stabilmente minoranti, che sono comunque attivabili in via immediata nell'ambito del progetto-obiettivo handicappati, riguardano le alterazioni congenite o i danni embrionali tossici o traumatici che si realizzano intra partum o nella fase di neonatalità o nel periodo della prima infanzia. Esse pertanto in prima istanza consistono:

     - nella informazione e nella educazione per una procreazione consapevole e responsabile;

     - nelle misure di carattere eugenetico in caso di malattie familiari trasmissibili;

     - nel controllo qualificato della gravidanza e nel tempestivo riconoscimento e trattamento della gestazione a rischio;

     - nei controlli sistematici sullo stato di salute del neonato.

     Tali misure preventive rientrano pertanto nella tematica propria al progetto-obiettivo per la salute materno-infantile e costituiscono la materia di raccordo di esso con lo specifico progetto-obiettivo handicap.

 

     2.2 Riabilitazione

     Il momento del rapporto riabilitativo subentra non appena l'evento morboso segnala il suo effetto invalidante o non appena si instaura la menomazione fisica e/o psichica e/o sensoriale.

     Gli interventi di riabilitazione consistono oltre che nella tempestiva indicazione delle menomazioni passibili di recupero e nella tempestiva applicazione delle metodologie tecniche che consentono di ottenere tale recupero, anche, in caso di danno ormai stabilizzato, ma passibile di processi involutivi della persona, di applicazione continuativa nel tempo delle metodologie tecniche atte ad arginare gli effetti lesivi del danno.

     Gli obiettivi che il Progetto intende perseguire nel triennio sono anzitutto legati ad una più razionale ed esauriente copertura del bisogno riabilitivo sull'intero territorio regionale da realizzarsi:

     1) attraverso il pieno utilizzo delle strutture sia pubbliche che convenzionate (confrontare quadro convenzionale deliberato con provvedimento del 9 giugno 1987 n. 4/21469) già operative;

     2) con l'istituzione di strutture (sia pubbliche che convenzionate) nelle zone carenti di questo servizio e che per ragioni logistiche non possono accedere a quelle già esistenti in altre zone.

     Pertanto, in linea generale, gli apporti e le disponibilità riabilitative debbono venire acquisite nell'ambito del settore medico- specialistico destinato alla diagnosi e alla cura degli eventi morbosi che sono causa ed origine della menomazione. Essi debbono essere demandati a specifiche strutture di riabilitazione per particolari problemi valutativi o di trattamento e per livelli di tecniche operative bisognevoli di una particolare e specifica qualificazione in tal senso.

     Le prestazioni riabilitative possono assumere durata diversa ed essere pertanto temporanee, periodiche secondo diversificate scadenze, continuative per lungo periodo, indefinite.

     Sono prestazioni riabilitative indefinite, quelle che pur essendo deprivate di ogni possibilità e proposito di acquisire recuperi anatomo- funzionali, tendono ad impedire la progressione evolutiva della menomazione e delle sue conseguenze in aggravamento della disabilità e dello svantaggio (mantenimento).

     Le menomazioni non sono tutte passibili di intervento riabilitativo né, quando lo sono, richiedono una uguale modalità di esercizio della prestazione. Da questo punto di vista esse debbono pertanto venire differenziate in:

     - menomazione non bisognevole di impegno riabilitativo;

     - menomazione bisognevole e passibile di impegno riabilitativo autopraticato;

     - menomazione bisognevole e passibile di impegno riabilitativo in parte espletato da struttura specialistica;

     - menomazione bisognevole e passibile di impegno riabilitativo in toto espletato da struttura specialistica.

     Dalle considerazioni fin qui svolte deriva la necessità di indicazioni operative che di queste premesse sono la logica conseguenza.

     La riunione delle competenze sociali e sanitarie in capo alle U.S.S.L. realizzata in Lombardia è sicuramente ideale per le connessioni e i collegamenti, indispensabili, tra riabilitazione medica e riabilitazione sociale, per le interazioni necessarie fra i dipartimenti.

     Emerge l'esigenza di definizione della medicina riabilitativa come specialità rivolta ad un grande numero di cittadini: essa deve essere periferizzata capillarmente, in misura compatibile con l'efficienza delle prestazioni, attraverso il completamento della rete nelle zone che ne sono ancora prive.

     Oltretutto, essendo per sua natura la riabilitazione un processo rivolto al reinserimento nel (o di non disinserimento dal) ambiente di vita e di lavoro del paziente, è impensabile che possa ottenere risultati davvero positivi se si svolge lontano da questo ambiente. Inoltre per poter essere precoce, la riabilitazione medica deve essere collegata strettamente alle strutture diagnostiche. Di qui la necessità di strutture riabilitative operanti tanto negli ospedali, dove è presente la maggior parte degli eventi morbosi potenziali generatori di disabilità, quanto nel territorio, in stretto collegamento con le altre équipes di operatori sanitari che in esso operano.

Infine, perché la lotta alla disabilità non sia fine a se stessa, ma sia integrata nell'opera di riabilitazione globale, vi è necessità di collegamenti con i servizi di assistenza sociale e con tutte le agenzie di socializzazione (scuola, organizzazione del tempo libero, lavoro) aperti all'intera comunità.

     I compiti specifici dell'intervento riabilitativo riguardano:

     a) l'impostazione del trattamento riabilitativo, una sua adeguata valutazione e la sua attuazione, secondo l'allegato schema, in reparti ospedalieri, ambulatori ospedalieri ed extra ospedalieri, strutture protette (strutture integrate socio-sanitarie per handicappati, strutture protette e case di riposo), domicilio del disabile;

     b) il controllo periodico del disabile;

     c) la fornitura di protesi ed ausili.

     L'intervento riabilitativo può essere in alcuni casi l'unico intervento richiesto per contrastare la disabilità, nella maggior parte dei casi esso rappresenta solo un momento dell'intervento globale richiesto a favore dell'handicappato.

     Pertanto tali interventi devono essere programmati e coordinarsi con le prestazioni educative e socio-assistenziali richieste per il completo sviluppo della persona handicappata.

     Ne consegue che l'organizzazione dei servizi per la medicina riabilitiva nelle U.S.S.L. deve tener conto sia delle esigenze imprescindibili di una medicina riabilitativa efficace, sia della fattibilità attuale delle proposte operative avanzate.

 

ASSETTO FUNZIONALE

(per una razionalizzazione delle risorse)

(Omissis)

 

     Il modello organizzativo deve essere progressivamente dettagliato in modo da rispondere puntualmente, nell'ampio contesto fin qui delineato, agli obiettivi del Piano tenendo altresì conto delle indicazioni contenute nella Legge 23 ottobre 1985, n. 595.

     Il modello organizzativo relativo alla riabilitazione, ormai in fase di avanzata attuazione da parte dell'Assessorato alla Sanità, individua attività riabilitative in forma residenziale e non residenziale.

 

     Attività residenziali

     L'ospedale è la struttura deputata a fornire una risposta corretta ai bisogni clinico-sanitari della popolazione disabile, in fase acuta.

     La struttura ospedaliera, dovendo rispondere anche alle esigenze di riabilitazione, deve essere dotata di divisioni e reparti di degenza per la riabilitazione, destinati a pazienti che attraverso prestazioni riabilitative psico-fisico-sensoriali possono essere restituiti alle condizioni di massima autosufficienza o di stabilizzazione.

     In ottemperanza alla Legge 23 ottobre 1985, n. 595 tali reparti devono essere acquisiti mediante la riconversione di posti letti ospedalieri nella misura dell'1% della popolazione, come da indicazione del Piano Sanitario Nazionale.

     Tali strutture devono operare in un contesto dipartimentale con servizi intra ed extra ospedalieri.

     Una divisione di degenza riabilitativa (non lungo degenza) per essere funzionale deve disporre di un numero di letti non inferiore a 50 e non superiore a 120.

     Tale divisione deve essere polivalente, in grado cioè di accogliere pazienti portatori di tutti i deficit funzionali di organi o apparati; fanno eccezione i casi di particolare impegno (paraplegici, tetraplegici, postumi gravi di traumi, ecc.) per i quali sono necessarie soluzioni specifiche.

     Condizione indispensabile per il ricovero deve essere l'accertamento delle reali possibilità (con alto grado di probabilità) di recupero in tempi relativamente brevi, in genere non superiore ai due mesi.

     L'accettazione deve essere gestita direttamente dalla divisione di riabilitazione programmando secondo la disponibilità le accettazioni, previa valutazione congiunta del medico responsabile della divisione e del servizio recupero e rieducazione funzionale.

     La divisione ha un suo organico medico e non medico, non dissimile da quello delle comuni sezioni di medicina. Il personale ha il compito di occuparsi della conduzione generale della divisione, dei trattamenti medici, dei contatti con le divisioni e gli ospedali da cui i pazienti provengono, con gli specialisti e in particolare con i servizi di recupero e rieducazione funzionale nonché con il dipartimento handicap.

     Va sottolineata anche la modalità, oggi utilizzata, di ricoveri brevi e ciclici nel tempo, per delle puntualizzazioni diagnostiche, periodiche e per l'insegnamento ai genitori di adeguate metodiche riabilitative da praticare nell'ambito domestico.

     Rientrano infine anche gli istituti convenzionati che assicurano prestazioni riabilitative in forma residenziale.

 

     Attività non residenziali

     Le strutture extra-ospedaliere di riabilitazione, pubbliche e convenzionate sono deputate alla lungo-degenza riabilitativa da realizzarsi non solo in forma residenziale ma anche con le modalità di day-hospital e ambulatoriale. Il day-hospital è una soluzione molto moderna e quanto mai idonea a mediare positivamente tra il ricovero ed il trattamento ambulatoriale che spesso non è sufficiente perché prescinde dagli aspetti educativi e socio-assistenziali.

     Gli interventi praticati nel servizio di recupero e rieducazione funzionale devono essere garantiti da una équipe costituita da medici fisiatri, terapisti della riabilitazione, massofisioterapisti.

     La realizzazione di interventi deve tener conto degli standard di personale definiti in sede ministeriale di cui alla deliberazione della Giunta del 9 giugno 1987 n. 4/21469.

     Per quanto attiene agli interventi a favore di soggetti in età evolutiva con disturbi neuropsichici per le forme che non sono già adeguatamente trattate nelle strutture di riabilitazione sia pubbliche che private convenzionate, si fa rimando alla delibera consiliare «Programma triennale straordinario per la tutela neuropsichica nell'infanzia e nell'adolescenza».

     Si richiamano qui di seguito i punti essenziali del progetto rinviando alla delibera sopracitata per gli ulteriori dettagli:

     - i presidi delle UO-NPI: i centri e il servizio ospedaliero di neuropsichiatria per l'infanzia e l'adolescenza;

     - il Centro regionale per le malattie neuromuscolari e per la patologia metabolica e tumorale del sistema nervoso;

     - le Comunità terapeutiche psico-socio-educativo per l'infanzia e l'adolescenza;

     - i Centri di riferimento per le psicosi infantili;

     - le convenzioni con Enti pubblici e privati;

     - i rapporti tra le UO-NPI e l'area dei servizi socio-assistenziali;

     - formazione e aggiornamento del personale;

     - sistema informativo;

     - ricerca finalizzata;

     - educazione e informazione sanitaria.

     Rispetto alla definizione dei reparti ospedalieri di neuropsichiatria, si fa rinvio al Piano Sanitario Regionale.

 

     2.3 Assistenza suppletiva e compensativa

     Prima di entrare nel merito di questi due momenti di intervento, è importante rilevare che se è vero che a livello di azione suppletiva il ricorso alla protesi è prioritario al fine di reintegrare la funzione compromessa o perduta, e a livello di intervento compensativo l'azione è volta a favorire la massima integrazione possibile nel sociale, è altrettanto vero che lo specifico socio-assistenziale è presente sia nell'ambito degli interventi suppletivi, quando si tratta di fornire un apporto sostitutivo da parte di persona-aiuto, sia nell'ambito degli interventi compensativi in maniera prevalente.

 

     Assistenza suppletiva

     Instauratosi lo stato di disabilità ed esperite fino al massimo rendimento ottenibile le pratiche di riabilitazione e di recupero funzionale, l'azione riparativa può e deve fare ricorso alle risorse che la tecnologia sanitaria e parasanitaria appronta per sostituire l'organo leso e mancante o per supplire alla funzione compromessa o perduta. Ciò avviene sia attraverso la fornitura al disabile di sussidi protesici o di ausili strumentali o di persona-aiuto secondo il bisogno del soggetto e sulla base dei criteri regolati, nell'ambito dei pubblici servizi sanitari e assistenziali, da specifiche norme legislative e amministrative.

     Un corretto intervento nel settore dell'assistenza suppletiva deve fondarsi necessariamente sui seguenti presupposti:

     - la prestazione di assistenza suppletiva, perseguendo la correzione e mediante sostitutivi, di deficit anatomici o funzionali per un normale sviluppo della «persona», è intervento di contenuto e competenza sia biomedica che psicosociale: essa chiama pertanto in causa sia la competenza sanitaria che assistenziale dei servizi alla persona;

     - la prestazione di assistenza suppletiva in sé e per sé si contrappone allo stato di disabilità e in tal senso in alcuni casi può anche realizzarsi come provvidenza isolata ed autonoma, ma generalmente essa rappresenta una componente dell'aiuto globale alla persona, dell'aiuto cioè espletato anche sul versante della riabilitazione e sul versante dell'assistenza compensativa;

     - la prestazione di assistenza suppletiva deve ovviamente risultare correlata alla qualità dello stato di disabilità, cioè alla capacità o funzione che nella persona è compromessa o impedita; essa può consistere pertanto nell'applicazione di sussidi protesici o ausili funzionali e nell'apporto sostitutivo da parte di una persona per atti ed esigenze essenziali cui il soggetto non è in grado di provvedere in proprio.

     Pertanto gli interventi di assistenza supplettiva, per poter risultare di rilevante valore correttivo dello stato di disabilità, esigono:

     - un competente apporto medico specialistico atto ad indicare motivatamente l'opportunità e la necessità della protesi e la scelta della stessa;

     - un competente apporto tecnico che assicuri il corretto utilizzo del sostitutivo protesico o dell'ausilio funzionale, che ne controlli l'efficienza e la corretta fabbricazione;

     - un apporto assistenziale rivolto alla preparazione psicologica del disabile ad accettare positivamente la protesi, affinché raggiunga una condizione di piena efficienza individuale;

     - un apporto educativo-assistenziale che, per i diversi livelli di disabilità, è reso disponibile come prestazione più o meno intensa e di varia durata, al fine di evitare che la condizione del soggetto disabile si evolva in stato di svantaggio esistenziale (handicap).

     Nel sistema attualmente vigente l'erogazione dei sussidi protesici e degli ausili funzionali non risulta pienamente soddisfacente, anche sé con l'istituzione del Servizio Sanitario Nazionale e con la diretta competenza delle U.S.S.L. in materia si sono sicuramente in parte ovviate le storture del sistema centralizzato in vigore in precedenza.

     L'attuale normativa prevede che le protesi sono gratuitamente concedibili alle persone minorenni e maggiorenni, solo se già riconosciute dalle apposite commissioni di accertamento medico-legale, quali invalidi civili, di guerra e categorie assimilate, del lavoro, ciechi e sordomuti.

     Tale normativa, pur avendo apportato indubbi miglioramenti rispetto alla situazione preesistente, presenta tuttavia lacune e distorsioni che devono essere corrette. Infatti, la limitazione dell'erogazione gratuita della fornitura protesica solo a soggetti riconosciuti «invalidi civili», «del lavoro», di «guerra», «ciechi» e «sordomuti» (eccezione fatta per minori) ripropone l'anacronistico privilegio di alcune categorie di cittadini rispetto ad altre ed incentiva la richiesta del riconoscimento medico-legale dello stato di invalidità da parte delle apposite commissioni, con conseguente inutile aggravio di lavoro, gonfiamento ingiustificato delle liste per il collocamento obbligatorio, aumento dell'onere economico delle pensioni o assegni di invalidità e conseguenti provvidenze di varia natura (esenzioni da ticket sanitari, agevolazioni per l'assegnazione di alloggi popolari, facilitazioni per l'ammissione a concorsi pubblici, trasporti gratuiti, ecc.).

     Si ritiene invece corretto che il diritto alla prestazione protesica, garantito dal Servizio Sanitario Nazionale, sia determinato solo dalla condizione di disabilità dell'assistito e dalle sue necessità correttamente e seriamente valutate e non dal riconoscimento medico-legale di appartenenza o meno a una certa «categoria» di invalidi.

     La corretta organizzazione dell'erogazione delle prestazioni di assistenza suppletiva deve prevedere che:

     a) il competente apporto medico specialistico venga fornito dal nucleo dipartimentale zonale all'interno del quale ci siano le competenti figure di medici specialistici che provvedono alla prescrizione protesica. Qualora tale prescrizione venga effettuata da altro medico, lo specialista del suddetto nucleo la verifica ed eventualmente la modifica ed integra;

     b) il competente apporto tecnico sia fornito da un tecnico ortopedico od audioprotesista alle dipendenze dell'U.S.S.L. o di altra struttura convenzionata;

     c) l'apporto assistenziale per la preparazione psicologica del disabile ad accettare positivamente la protesi sia fornito dalla specifica componente specialistica che ha prescritto a suo tempo la protesi;

     d) l'apporto educativo assistenziale necessario al disabile sia fornito generalmente da operatori impegnati a vario titolo nella rete complessiva dei servizi alla persona, ma sempre in collaborazione con la famiglia.

 

     Assistenza compensativa

     Le menomazioni fisiche e/o psichiche e/o sensoriali in talune forme ed a certi livelli di gravità producono impedimenti, limitazioni e disagi più o meno rilevanti, occasionali o continuativi, nei contatti interpersonali e nei rapporti di convivenza con gli altri del soggetto portatore di menomazione e/o disabilità. Questa situazione può convenientemente definirsi di svantaggio esistenziale perché ostacola e rende variamente più difficoltosa la realizzazione e la estrinsecazione del disabile come persona, come membro del gruppo e come parte sociale, può e deve essere, per quanto possibile, rimediata attraverso interventi atti ad eliminare o a ridurre il divario che il disabile incontra nelle esigenze di vita e di convivenza.

     Lo stato di bisogno che l'assistenza compensativa tende a contrastare, o almeno a contenere, non è quello dovuto alla sola compromissione anatomica o funzionale, ma scaturisce dalla collocazione ambientale, culturale, professionale ed economica del soggetto e del suo nucleo familiare.

     L'obiettivo tendenzialmente da raggiungere è pertanto quello di creare le condizioni che consentano la piena realizzazione esistenziale del soggetto, anche se tale realizzazione è da intendersi sempre in chiave relativa, in rapporto alle competenze e alle capacità del soggetto stesso.

     L'assistenza compensativa deve perciò articolarsi in una pluralità di interventi rivolti sia alla persona che all'ambiente in senso lato, tenuto conto degli atteggiamenti collettivi e della risposta sociale propria al clima culturale del luogo e del tempo nei confronti della incapacità o diversità anatomica e funzionale in favore della quale si intende operare.

     Il passaggio dallo stato di minorazione e/o disabilità allo stato di svantaggio esistenziale (handicap) è una fase molto delicata e complessa che per essere contrastata richiede una «lettura» attenta e personalizzata del bisogno di ciascun utente e una capacità di risposta complessiva del sistema in grado di attenuare o contenere lo svantaggio stesso.

     La verifica della corretta lettura del bisogno va affidata ad un unico «centro», il nucleo dipartimentale zonale, che è conseguentemente deputato a coordinare la definizione delle strategie di intervento tramite il confronto con le altre parti interessate, salvaguardando il diritto di libera scelta dell'utente e/o della sua famiglia.

     Avere come finalità il benessere sociale dell'handicappato significa operare affinché l'«inserimento» (intendendo per inserimento l'espressione di una volontà civile che si realizza in una misura politico- amministrativa) si traduca nella realtà in fatti concreti, producendo pertanto «integrazione» e cioè risultato sociale.

     Ciò implica che l'analisi dei bisogni passa obbligatoriamente attraverso un'attenta valutazione che significa capire qual è la formula funzionale di un individuo nella sua globalità intellettiva, fisica, emozionale, affettiva e culturale: in breve ciò vuol dire conoscere la «realtà» della persona. Tutto ciò presume un'osservazione estremamente fine e profonda che produca una valutazione generale (e non settoriale) sulla cui base modellare i programmi di intervento.

     La strategia per aggredire il bisogno nella sua complessità, nel rispetto dell'unitarietà della persona, implica, come più volte affermato, una convergenza di molteplici interventi: da quelli strettamente sanitari ad altri più di carattere sociale.

     Se tale strategia è correttamente attivata porta ad una reale integrazione personale e sociale dell'individuo consentendo il realizzarsi del processo di socializzazione, vale a dire l'acquisizione delle capacità necessarie ad avere un ruolo ed agirlo nella pratica della vita sociale.

     La socializzazione quindi presume la possibilità di una comunicazione, interazione, decisione e critica, ovvero quelle capacità che nella vita quotidiana siamo chiamati a mettere in opera infinite volte.

     In questa logica il Progetto Obiettivo intende, da un lato sancire il diritto che la persona disabile o handicappata ha di usufruire di tutti quei servizi rivolti alla collettività, dall'altro garantire, laddove la specificità del singolo lo richieda, risposte mirate.

     Conseguentemente a ciò, gli interventi possono essere suddivisi in due grosse categorie:

     - interventi «aspecifici» programmati e attuati per la generalità dei cittadini o per più tipologie di utenza;

     - interventi «specifici» che traggono la loro peculiarità dall'essere programmati e attuati per soddisfare i bisogni di quei soggetti handicappati per i quali le normali agenzie educative, sociali e sanitarie non sono in grado di fornire adeguate e sufficienti risposte.

     Gli interventi suindicati verranno analizzati richiamando i diritti inviolabili dell'uomo sanciti dalla Costituzione. Ciò, al di là di una maggiore chiarezza espositiva, qualifica positivamente l'approccio che questo progetto intende operare nei confronti di quest'area di bisogno, alla quale sino ad oggi si è risposto in termini settoriali e con una miriade di interventi particolari e differenziati.

     Il dettato costituzionale, invece, ha come riferimento centrale la persona considerata nella globalità della sua evoluzione e del suo sviluppo. Proprio su questa base esso non sancisce diritti diversi per le persone disabili o handicappate bensì «... i diritti inviolabili dell'uomo» la cui effettiva realizzazione, per i disabili o handicappati, richiede l'attivazione di strategie integrate d'intervento.

 

     2.3.1 Interventi aspecifici

 

     a) Diritto all'educazione

     Le agenzie educative che devono garantire questo diritto sono:

     - asilo nido

     - scuola materna

     - scuola dell'obbligo (elementare e media inferiore)

     - formazione professionale

     - scuola media superiore

     - università

     La legislazione nazionale riconosce esplicitamente questo diritto solo per la frequenza della scuola dell'obbligo e della formazione professionale, non prendendo in considerazione l'inserimento di disabili o handicappati nelle strutture educative prescolastiche (asilo-nido e scuola materna) e in quelle superiori (scuola media superiore ed università).

     Il livello regionale, dal canto suo, ha voluto esplicitare, in qualche modo a completamento della normativa nazionale, che il diritto all'educazione deve essere esteso sia alle esigenze prescolastiche, sia alla scuola media superiore (senza però individuare le modalità e gli strumenti) e l'università.

     Va ricordato che in questi ultimi dieci anni l'evoluzione culturale rispetto a questa tematica è stata notevole ed ha prodotto dei risultati, i quali però non sempre sono andati nella logica dell'integrazione, limitandosi quindi a meri inserimenti.

     Tale situazione è dovuta ad una molteplicità di fattori tra i quali si evidenziano:

     - la non attenta valutazione delle condizioni di partenza del soggetto disabile o handicappato e quindi della sua potenzialità da svilupparsi con interventi educativi individualizzati;

     - il mancato raccordo tra agenzie educative e servizi socio-sanitari del territorio (ad es. nella scuola dell'obbligo, non obbligatorietà della assi delle «intese»);

     - la carente preparazione degli «insegnanti specializzati» e il mancato inserimento del loro intervento nell'ambito di una programmazione educativa complessiva.

     Al fine di contrastare la situazione sopradescritta che realizza solo inserimento (e talvolta neanche questo) del soggetto disabile o handicappato, trasferendolo semplicemente da una realtà all'altra, è indispensabile assumere quale presupposto del processo di integrazione un coinvolgimento dell'intera realtà socio-educativa.

     In concreto, ciò significa che tutti coloro che nella «realtà» educativa entrano in rapporto con il disabile o handicappato devono porsi in una prospettiva di relazionalità, di influssi reciproci, di coinvolgimenti e responsabilizzazioni. Operare in questa logica vuol dire sancire il diritto all'educazione per questi soggetti all'interno delle agenzie educativo-formative rivolte alla generalità dei ragazzi, assumendo come precondizioni essenziali:

     - chiarezza degli obiettivi;

     - programmazione educativa realizzata in stretto raccordo tra agenzie educative (intendendo i livelli istituzionali di riferimento: ad esempio per la scuola dell'obbligo i Provveditorati agli Studi) e dipartimento handicap;

     - progetti educativi mirati e personalizzati volti alla valorizzazione delle singole personalità e all'individuazione di metodologie educative da porre in atto;

     - presenza, laddove il progetto lo preveda, di personale educativo specializzato corresponsabile insieme con il restante personale dell'attuazione del sopracitato progetto;

     - fornitura di attrezzature speciali e materiale didattico adattato;

     - coinvolgimento sia della famiglia del disabile o handicappato che delle altre famiglie dei ragazzi.

     La Regione Lombardia, nel definire i criteri, gli obiettivi e le direttive principali per rendere effettivo il diritto all'educazione dei soggetti disabili o handicappati, in attuazione anche di norme nazionali, ha esteso, attraverso atti legislativi, gli interventi di «integrazione» nelle strutture prescolastiche, d'istruzione secondaria (formazione professionale) e universitaria, agenzie non soggette all'obbligatorietà della frequenza.

     L'asilo-nido, che ha come scopo quello di rendere un servizio socio- educativo per la generalità dei bambini, rispondente al loro bisogno di socializzazione e di armonico sviluppo psico-fisico, deve favorire il più possibile l'inserimento di bambini disabili, garantendo le condizioni idonee per una effettiva integrazione.

     Negli anni che vanno dal 1981 al 1984, l'incidenza dei disabili inseriti sul totale dei bambini iscritti ha avuto un'evoluzione contenuta che negli ultimi due anni si è stabilizzata all'1,38%. Tale valore è significativo se confrontato con altri rilevati ad esempio nella scuola dell'obbligo [1983/1984 = 1,66% sul totale iscritti], ma assume ancora più rilevanza se vengono tenute presenti tutte le difficoltà che la prassi dell'inserimento-integrazione comporta.

     Da quanto finora evidenziato, l'asilo nido si identifica come un momento di prevenzione secondaria per il bimbo disabile, ma affinché questo si realizzi correttamente è indispensabile prevedere uno stretto raccordo con i servizi socio-sanitari territoriali, attraverso il nucleo dipartimentale zonale. Tale collegamento mira altresì a fornire quei supporti tecnico-specialistici che si rendono necessari agli educatori al fine di concretizzare il processo di integrazione.

     A livello di istruzione secondaria superiore, la Regione Lombardia, nei riguardi del disabile, risponde prevalentemente attraverso la Formazione Professionale, che ha come obiettivo il fornire una adeguata qualifica professionale, finalizzata all'integrazione lavorativa.

     I corsi cui accedono i ragazzi disabili sono quelli cosiddetti di «prima formazione», vale a dire quelli destinati a giovani in età compresa fra i 14 e i 16 anni.

     Il sistema di formazione professionale è costituito, per questo tipo di allievi, da corsi speciali collegati ai centri di formazione Professionale e dalla frequenza di corsi normali con una riserva di 1-2 posti per ogni corso.

     Mentre il dato regionale relativo ai corsi speciali diminuisce lievemente di anno in anno, quello relativo alla frequenza nei corsi normali è progressivamente in leggero aumento: 1.503 allievi nei corsi speciali nel 1981/1982, contro 1.315 nel 1984/1985 (suddivisi su 4 anni di formazione); 542 allievi nei corsi normali nel 1981/1982, contro 727 nel 1984/1985 (suddivisi su 2 anni di formazione).

     La richiesta di accesso alla formazione professionale è di poco inferiore al 50% dei giovani disabili che escono dalla 3a media e la formazione ne soddisfa circa il 30/32%.

     In questi anni il sistema formativo lombardo per conseguire con più efficacia l'obiettivo di dare una professionalità finalizzata all'integrazione lavorativa ha operato:

     - predisponendo collegamenti con i Provveditorati agli Studi e le scuole medie per un adeguato orientamento;

     - instaurando collegamenti con i servizi delle U.S.S.L. per programmare l'accesso ai corsi;

     - assegnando e preparando docenti capaci di guidare nel percorso formativo questi giovani all'integrazione e all'apprendimento di mansioni.

     Rispetto a quest'ultimo punto, è stato organizzato negli ultimi due anni, un primo organico intervento formativo per i docenti addetti all'integrazione dei giovani disabili nella Formazione Professionale, attraverso due progetti finanziati dal Fondo Sociale Europeo. Si è trattato di un intervento esteso su tutto il territorio regionale [10 corsi] al quale hanno partecipato 200 docenti. Le capacità da loro acquisite si possono sintetizzare intorno a tre aspetti:

     - la formulazione, all'entrata del ragazzo nella Formazione Professionale, di una «analisi della situazione» attraverso la conoscenza dei processi di maturazione emotivo/relazionali di apprendimento e operativi, al fine di progettare un piano di intervento utile al ragazzo;

     - il lavoro esterno al Centro con la famiglia, i servizi delle U.S.S.L., le aziende, gli Uffici periferici del Ministero del Lavoro per predisporre i tirocini e il passaggio al mondo del lavoro;

     - la costruzione di programmi formativi individualizzati nell'ambito del settore formativo in cui il ragazzo è inserito.

     Dalla situazione sopra descritta, si rileva quanto il livello regionale, nonostante difficoltà oggettive, si sia impegnato in quest'ambito. Affinché i livelli di efficacia raggiunti non diminuiscano, bensì vengano consolidati ed anche innalzati, occorre operare nel futuro secondo le seguenti linee operative:

     - consolidamento della rete dei corsi di prima formazione (normali e speciali) e avvio, laddove si rende necessario, di tali momenti formativi;

     - miglioramento, e in qualche caso vero e proprio cambiamento, della prima formazione affinché essa sia sempre di più strumento di politica attiva del lavoro e sia perciò più flessibile, più collegata alla realtà produttiva, più facilmente raccordabile con le esigenze quantitative e qualitative del mercato del lavoro;

     - consolidamento ed estensione della prassi del tirocinio formativo presso luoghi di lavoro esterni come strumento di concreto apprendimento attraverso il quale verificare anche quelle che sono le potenzialità e le capacità reali del giovane disabile rispetto allo svolgimento di specifiche mansioni.

     Attivare una strategia corretta in quest'ambito secondo le linee sopra evidenziate, implica una stretta collaborazione tra le diverse istituzioni operanti in questo campo (ad es. CITE, scuola, C.F.P. ecc.) e un raccordo costante con il nucleo dipartimentale zonale perché venga avviata, in maniera generalizzata la prassi di valutazione di idoneità del disabile alla formazione professionale e di predisposizione del progetto educativo- formativo mirato e personalizzato.

     Contrariamente al livello nazionale, che non ha provveduto con precise norme a garantire ai disabili il diritto all'educazione nell'università, la Regione Lombardia, invece, con una Legge specifica rende tale diritto mediante assegni o borse di studio che possono essere convertite in attrezzature specialistiche o materiale didattico differenziato, oppure assegnando accompagnatori o assistenti per lo studio, ovvero ogni altro strumento idoneo a superare le particolari difficoltà individuali.

 

     b) Diritto al lavoro

     Se, come s'è detto, il ruolo della Formazione Professionale è quello di strumento della politica attiva del lavoro, nel senso che essa non svolge solo un ruolo passivo di adeguamento agli indirizzi economici emergenti, ma tende anche a modificarli, è evidente che vi deve essere una saldatura tra F.P., collocamento lavorativo e sistema produttivo.

     Quanto sopra assume una particolare rilevanza nell'area della disabilità e dell'handicap se il raccordo tra questi tre momenti (ai quali va aggiunto il collegamento con i servizi socio sanitari territoriali) ha come fine quello dell'inserimento lavorativo mirato.

     Finora la prassi dell'inserimento lavorativo ha incontrato grosse difficoltà che l'hanno svuotata dei suoi contenuti essenziali, per cui le esperienze realizzate sono state, in alcuni casi, limitate ed episodiche.

     Tutto ciò è avvenuto per una molteplicità di fattori dei quali si andrà ad analizzare alcuni tra i più considerevoli:

     - applicazione della normativa vigente in maniera limitata o scorretta (ad esempio utilizzo dei tirocini come surrogato

dell'integrazione);

     - eccessiva burocratizzazione della prassi di avviamento al lavoro;

     - limiti della legislazione e disposizioni attuative contraddittorie (es. il problema dell'integrazione lavorativa degli psichici);

     - rigidità del mercato del lavoro rispetto all'integrazione di disabili e handicappati.

     In Regione Lombardia l'integrazione lavorativa di disabili si è concretizzata, nonostante le molteplici difficoltà già in parte evidenziate, sia attraverso la prassi del collocamento obbligatorio sia mediante opportunità propedeutiche diverse, che per la loro flessibilità hanno saputo adattarsi alle caratteristiche dei ragazzi disabili.

     Per i giovani che hanno concluso il ciclo formativo, e che posseggono potenzialità operative esprimibili in azienda, sono stati disposti interventi di sostegno al collocamento mirato attraverso incontri con le aziende e le OO.SS., modifiche organizzative o tecnologiche, verifica dell'idoneità della collocazione e delle mansioni da svolgere ecc.

     Per i ragazzi che hanno compiuto il ciclo formativo, ma non hanno raggiunto una sufficiente autonomia personale, si è utilizzata la prassi del tirocinio di formazione aziendale (da non confondersi con il tirocinio formativo della L.R. 7 giugno 1980, n. 95) che è anche occasione per il giovane per completare il proprio processo di sviluppo cognitivo, affettivo, sociale.

Date queste caratteristiche, tale intervento ha richiesto supporti educativo/formativi e supervisione continua da parte di operatori.

     In alcune realtà ove non è presente la F.P. sono stati avviati progetti di formazione/lavoro presso aziende per dare la possibilità a giovani disabili di acquisire una qualifica professionale e successivamente di ottenere una collocazione lavorativa che, in linea generale, non è avvenuta all'interno dell'azienda coinvolta nel progetto. Ciò in quanto la medesima azienda, nei riguardi di questi giovani, si rende disponibile come luogo di formazione teorico/pratica nonché di acquisizione di capacità lavorativa anche attraverso la messa a disposizione di personale tecnico necessario per la realizzazione del progetto.

     Con l'entrata in vigore della L. 19 dicembre 1984, n. 863 alcuni enti hanno assunto a tempo determinato dei giovani disabili su chiamata nominativa, usando la formula del contratto formazione/lavoro.

     A questo proposito il livello regionale e le OO.SS. hanno ritenuto opportuno raccordarsi con le aziende e gli enti sia per la selezione dei ragazzi da assumere sia per la formulazione dei progetti formativi.

     Infine si menzionano le borse-lavoro che, in situazione di crisi strutturale del mercato del lavoro, spesso sono state modalità obbligate di collocamento provvisorio che non sono poi sempre sfociate in reale inserimento lavorativo.

     Tale strumento, anche laddove ha originato inserimento, si è connotato esclusivamente come intervento di «mantenimento» della professionalità acquisita, andando pertanto più in una logica di tamponamento del bisogno, piuttosto che di effettivo soddisfacimento.

     Esperienze sia di integrazione lavorativa sia di borse di lavoro e tirocinio sono state realizzate spesso anche attraverso inserimento in cooperative. In alcuni casi vi è stata proprio una costituzione di cooperative per rispondere al bisogno di occupazione dei disabili (nel 1980 erano 8, nel 1985 sono salite a 56).

     Tali cooperative, rispetto all'attività che svolgono, si possono suddividere in tre categorie:

     - cooperative che si connotano, a tutti i fini, come imprese di lavoro e produzione, operanti in vari settori dell'economia (cooperative integrate di produzione e lavoro). I soci sono prevalentemente lavoratori normodotati e disabili, generalmente non è riscontrabile la presenza di dipendenti;

     - cooperative che si connotano come momento formativo mirato e propedeutico all'inserimento lavorativo sia all'interno delle stesse che all'esterno (cooperative di formazione in produzione). I normodotati sono, in linea generale, soci lavoratori e in qualche caso dipendenti, i disabili, dopo il periodo formativo, all'atto dell'integrazione lavorativa all'interno della cooperativa, diventano soci lavoratori;

     - cooperative che, pur essendo sorte avendo come finalità l'integrazione lavorativa, si sono connotate come momenti di addestramento protetto senza riuscire ad evolversi in imprese (cooperative assistenziali).

     Di fatto queste cooperative si configurano con risposta assistenziale e proprio per questo motivo mentre i soci normodotati sono prevalentemente volontari, i lavoratori (prevalentemente normodotati) sono dipendenti: entrambe queste due diverse presenze sono di sostegno e svolgono anche funzioni di istruttori.

     I disabili presenti in tali cooperative sono per la maggior parte «utenti» piuttosto che lavoratori a tutti gli effetti.

     Il P.O., inserendosi in una realtà così variegata come quella sopra descritta, intende innanzitutto fare alcune puntualizzazioni concettuali da cui ne discenderanno conseguentemente concrete modalità operative d'intervento.

     Analizzare che cosa significa il lavoro per il disabile (ma ciò vale anche per la generalità delle persone) implica spostare la questione dal piano del dovere a quello del diritto, ponendola sul piano dell'etica sociale e politica, svincolandola da quello della pura produttività. Data questa constatazione, si evince che il lavoro rappresenta la necessità per il disabile di realizzarsi esistenzialmente; infatti è attraverso il lavoro che egli può raggiungere il possesso di un ruolo sociale attivo, l'autonomia psicologica, la partecipazione a tutti gli effetti, la sopravvivenza economica.

     Affinché il lavoro sia veramente per il disabile strumento di realizzazione esistenziale, presupposto fondamentale è il collocamento mirato del soggetto. Punto nodale è il mettere «la persona giusta al posto giusto», attuando l'incontro tra capacità operative e caratteristiche personologiche del portatore di disabilità, da una parte, ed un'area di lavoro con caratteristiche socio-tecniche idonee, dall'altra. In breve, l'abbinamento uomo-posizione di lavoro è operazione delicata e complessa per il disabile, per il quale l'apprendimento lavorativo significa sì acquisizione di professionalità (e quindi di conoscenze-mansione-sequenze operative), ma anche, e soprattutto, maturazione relazionale e strutturazione dell'identità.

     Se si vuole avere successo nell'integrazione lavorativa è indispensabile agire con un programma mirato e personalizzato, il quale deve essere il riflesso:

     - del lavoro fatto precedentemente da altri operatori per fare acquisire autonomia e indipendenza;

     - delle potenzialità e capacità lavorative residue del disabile;

     - della conoscenza approfondita del contesto aziendale;

     - degli obiettivi dichiarati e concordati che si intendono raggiungere.

     Questo programma, poiché interessa un processo (l'integrazione lavorativa) a dimensione costante, deve prevedere anche monitoraggi senza limiti cronologici e interventi di attivazione o riattivazione non appena ve ne sia la minima necessità. Ciò non significa voler tenere il disabile sotto un eterno controllo, bensì decidere di aiutarlo durante tutte le fasi della sua esistenza: può trattarsi di un supporto specifico oppure di una costante attenzione umana che resta implicita nell'interessamento potenziale, pronto però a tradursi sollecitamente in un intervento concreto.

     Le situazioni di rischio in cui può trovarsi la persona disabile sono diverse, di queste si citano ad esempio:

     - il rischio di perdere le competenze acquisite: questo aspetto è particolarmente presente per la dimensione culturale (e le prestazioni ad essa connesse) e per quella comunicazionale;

     - il rischio di regressione, inteso nel senso più globale, ovvero come sclerosi delle strategie, della relazionalità. E' questo uno del principali fattori di «invecchiamento psicologico»;

     - il rischio di desocializzazione, evento quanto mai facile a verificarsi e che, in genere, viene contemplato con eccessiva superficialità;

     - il rischio di interruzione del rapporto di lavoro per sopravvenuti mutamenti della continuità d'impresa (es. riconversione aziendale, cassa integrazione ecc).

     Operativamente il processo di integrazione lavorativa del disabile si deve realizzare attraverso le seguenti fasi:

     1) Valutazione delle potenzialità e delle capacità lavorative residue: questa è una operazione profonda, analitica, intelligente che coglie la persona nella sua globalità per capirne quindi la formula funzionale. Tale fase vede coinvolte le risorse della formazione professionale con quelle del dipartimento H, attraverso il nucleo dipartimentale zonale.

     2) Collocamento lavorativo: è una fase estremamente delicata in quanto viene avviata una operazione complessa di «mediazione» tra due culture: la cultura dell'universo dell'handicap da un lato, la cultura del sistema produttivo dall'altro. A livello istituzionale le risorse coinvolte sono il dipartimento H, le forze imprenditoriali e sindacali, gli uffici periferici del Ministero del Lavoro che, operando in stretto raccordo, creano le condizioni favorevoli, in termini di conoscenza approfondita del problema e di superamento di conflittualità rispetto alle competenze, per un consolidamento tra realtà istituzionali diverse, precondizione questa per affrontare in maniera corresponsabile la problematica dell'integrazione lavorativa del disabile.

     A livello gestionale, l'operatore che deve monitorare il disabile fa anche egli opera di mediazione tra la «soggettività» del giovane e l'«oggettività» dell'azienda, intesa come sistema organizzativo articolato e spesso rigido. Questa attività si caratterizza:

     - nel far prendere conoscenza al disabile del mondo del lavoro, dei meccanismi e delle leggi che lo regolano;

     - nel fornire all'azienda una reale conoscenza del ragazzo in quanto persona e nel garantirle tutti i supporti tecnici necessari.

     E' qui che il nucleo dipartimentale zonale, insieme con gli operatori che svolgono le attività sopra descritte, definisce il programma personalizzato, il quale dovrà essere successivamente verificato e, se nel caso, modificato.

     3) Inserimento lavorativo: è la fase in cui il soggetto disabile, che ha raggiunto una completa maturazione relazionale e strutturazione dell'identità, nonché una acquisizione di professionalità, viene collocato in una realtà produttiva parzialmente sconosciuta.

     Questa fase ha in sé tutte le potenzialità per evolversi in integrazione lavorativa.

     Difatti l'iter burocratico è stato completato, il rapporto di lavoro con il sistema produttivo si perfeziona in termini di dipendenza a tempo indeterminato, attraverso anche adeguamento di beni strumentali. In questa fase il programma personalizzato si concretizza e gli operatori ne seguono l'attuazione, fornendo i necessari supporti sia al soggetto sia all'impresa affinché si realizzi l'integrazione.

     4) Integrazione lavorativa: è il prodotto finale al quale si perviene se le fasi precedenti sono state correttamente attuate e se il programma personalizzato si è basato sul metodo dell'integrazione, cioè ha utilizzato tutti i dati sociali, culturali, familiari, formativi, psicologici e relazionali.

     Concretamente si ottiene integrazione lavorativa non solo allorché il rapporto di lavoro assume durata indeterminata nel tempo, ma anche quando il ragazzo disabile è «pienamente inserito» nell'ambiente di lavoro, diventandone parte attiva, determinante e non casuale presenza.

     Il percorso sopra esplicitato, finalizzato all'integrazione lavorativa, è senza dubbio la modalità più corretta da attivare e che il P.O. pertanto privilegia e adotta.

     D'altro canto, oggettive difficoltà, determinate ad esempio dalla crisi strutturale del mercato del lavoro, dalla mancata approvazione della Legge di riforma del collocamento obbligatorio, ecc., obbligano a considerare altri strumenti che si possono collocare in via del tutto transitoria e limitata nel tempo tra la fase del collocamento e quella dell'inserimento.

     Tali strumenti, peraltro già citati e descritti precedentemente, sono:

     - i tirocini aziendali e i progetti di formazione-lavoro che, pur essendo modalità transitorie, possono in alcuni casi, avere un carattere propedeutico, all'inserimento lavorativo a tempo indeterminato (ad esempio per quei soggetti disabili che non hanno raggiunto una compiuta maturazione della personalità e/o acquisizione di professionalità).

     La durata massima è rispettivamente: per il tirocinio di un anno e per i progetti di formazione-lavoro di due anni. In entrambi i casi è indispensabile un adeguato supporto educativo/formativo nonché supervisione continua da parte degli operatori;

     - i contratti di formazione-lavoro che, come previsto dalla L. 19 dicembre 1984, n. 863, consistono nell'assunzione nominativa di giovani, anche disabili, di età compresa fra i 15 e i 29 anni, per un periodo non superiore a 24 mesi.

     Di fatto questa formula potrebbe risolversi in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, ma ciò dipende esclusivamente dal datore di lavoro quello ove si è svolto il contratto formazione-lavoro o un altro, che deve pronunciarsi entro i 12 mesi dalla cessazione del rapporto;

     - le borse-lavoro sono modalità del tutto provvisorie e non devono superare, in linea generale, la durata massima di un anno. I ragazzi inseriti mediante questo strumento non necessitano di costante supporto di operatori.

     Nell'ambito del sistema produttivo si collocano a pieno titolo le cooperative integrate di produzione e lavoro, sorte per rispondere al bisogno di occupazione di disabili. L'esperienza ha dimostrato che per le cooperative può esservi uno spazio enorme purché si pongano, e si sentano, come aziende con disabili certamente, con un carico sociale che deve essere valutato e considerato, ma pur sempre aziende che devono produrre beni presentabili sul mercato, ad un prezzo competitivo e che quindi devono saper sviluppare la propria professionalità ed una propria capacità imprenditoriale.

     La cooperazione deve poter dare lavoro, ma anche retribuzione adeguata ai soci, disabili e non. Ciò assume un significato rilevante se si ritiene che il disabile non può e non deve sentirsi assistito ma, al contrario, lavoratore, produttore a tutti gli effetti, gestore del proprio lavoro e, di conseguenza, partecipe, anche attraverso la retribuzione, al risultato d'impresa.

     Avere imprenditorialità significa per una cooperativa che:

     - non è aliena dal mercato e non può evitarlo, perché è solo attraverso di esso che può e deve perseguire le sue finalità;

     - nel porsi all'interno del sistema produttivo come una risposta particolare, deve costantemente avere presente le dinamiche del mercato e quindi trovare, all'interno di esso, lo sbocco più proficuo della sua attività produttiva, anche attraverso eventuali modalità di riconversione;

     - deve ricercare una specializzazione, perché non è pensabile poter fare di tutto;

     - deve avere capacità di coordinamento della propria attività produttiva, cioè riuscire a coniugare i propri tempi di produzione con i tempi della domanda di mercato;

     - i suoi soci devono possedere professionalità intesa da un lato in termini di requisiti formativi di base rispondenti al tipo di attività produttiva della cooperativa, dall'altro come aggiornamento permanente che consenta alla cooperativa nel suo complesso di affrontare eventuali momenti di crisi e a riconvertire in tempi brevi la propria offerta, adeguandosi alle richieste del mercato.

     Rispetto a questa tematica, il P.O.H. intende operare nel prossimo triennio ai fini di una corretta integrazione lavorativa, che si realizzi attraverso le fasi sopra descritte.

A sostegno di questa sua intenzionalità, il Progetto prevede anche risorse adeguate attraverso contribuzioni sugli oneri sociali, tirocini aziendali, adeguamento beni strumentali, nonché su altri oneri derivanti dalla realizzazione di progetti di integrazione lavorativa. Proprio perché il progetto-obiettivo handicap considera l'integrazione lavorativa uno degli obiettivi prioritari da perseguire, non può non ricercare anche soluzioni lavorative di tipo sperimentale per quei disabili che, pur essendo capaci di svolgere mansioni nel ciclo produttivo, (ciò implica, come già detto, strutturazione dell'identità e capacità operative) non sono tuttavia in grado di esprimere la propria operatività nei tempi e nei modi previsti e standardizzati.

     Per questi soggetti occorre provvedere a particolari soluzioni all'interno sempre del normale sistema produttivo, di orari ridotti, di modificazioni delle sequenze, di adattamento strumentale.

     Ciò significa in concreto utilizzare anche la modalità del part-time per poter estendere il diritto al lavoro ad una fascia più ampia di disabili. Questo tipo di intervento sarà parte integrante delle attività sperimentali che saranno avviate nell'area dell'handicap.

     Perché l'integrazione lavorativa dei disabili abbia un completo successo è assolutamente indispensabile che, oltre ad attivare le linee d'intervento sopra esaminate, si provveda a tempi brevi, a livello nazionale, ad una riforma del collocamento obbligatorio, mediante l'approvazione del progetto di legge tuttora giacente in Parlamento.

     I punti salienti di tale riforma possono essere così sintetizzati:

     - collocamento mirato attraverso un sistema formativo efficiente ed un sistema di mediazione messo a punto a livello locale;

     - accertamento degli aventi diritto, valutato in base alla capacità lavorativa e non all'invalidità, perché non è vero che a invalidità corrisponde sempre e comunque una diminuzione della capacità lavorativa;

     - ricomprensione, all'interno dei soggetti aventi diritto al collocamento obbligatorio, dei disabili psichici.

 

     Schema n. 3

     (Omissis)

 

     c) Diritto ad una vita dignitosa

     Tutte le risorse che vengono mobilitate per assicurare questo diritto hanno come finalità quella di garantire il mantenimento del soggetto disabile o handicappato nel proprio contesto abitativo e sociale, evitando il ricorso a soluzioni istituzionalizzanti. In questa logica le unità d'offerta e le prestazioni attuano una funzione di sostegno al nucleo familiare o di sostituzione, temporanea o permanente, dello stesso.

     Gli interventi di sostegno o di sostituzione temporanea della famiglia hanno anche la finalità di sollevare per brevi periodi la famiglia stessa dai problemi connessi con la presenza del disabile o handicappato, consentendole di ricrearsi le energie e la disponibilità psicologica necessaria per un sereno rapporto con lo stesso.

     L'analisi di tali interventi (ricompresi sì fra quelli a specifici, ma rientranti strettamente nell'ambito dei servizi socio-assistenziali e rivolti a diverse tipologie di «utenza problema») fornirà solo le linee essenziali delle unità d'offerta e delle prestazioni poiché, in altre parti del Piano (standard gestionali e strutturali ed Azioni programmate), vengono descritti più diffusamente e meglio connotati.

     Ciò non toglie che, laddove si renda necessario, si evidenzieranno le peculiarità che tali interventi assumono nel trattare specificatamente soggetti disabili e handicappati.

 

     Centro di pronto intervento

     Questa unità d'offerta è per definizione quella che assicura, in attesa dell'individuazione di soluzioni più adeguate, il soddisfacimento temporaneo di alloggio, vitto, tutela di fatto, determinati da una circostanza o eventualità imprevista che richiede interventi eccezionali ma di breve durata. Per i soggetti handicappati gravi e gravissimi, di norma, il pronto intervento deve essere garantito presso il centro residenziale che, a tal fine, riserva una quota di posti letto (v. interventi specifici; centro residenziale).

 

     Assistenza domiciliare

     Questo servizio è costituito dal complesso di prestazioni di natura socio-assistenziale (aiuto alla persona e/o educativa) e sanitaria (infermieristica e/o riabilitativa), prestate al domicilio del singoli utenti e genere di nuclei familiari comprendenti soggetti a rischio di emarginazione, al fine di consentire la permanenza nel normale ambiente di vita e di evitare il ricorso a strutture residenziali.

     Nell'ambito di questo servizio assumono particolare rilevanza, per l'handicappato in età evolutiva, le prestazioni rese al domicilio dall'educatore. Esse si connotano da un lato come intervento finalizzato a creare le condizioni di igiene mentale necessarie perché la famiglia possa non solo «contenere» il ragazzo, ma costituisca il primo fondamentale nucleo educativo e sia partecipe agli interventi attivati, dall'altro come modalità attuativa di un programma educativo teso ad ottenere l'integrazione dell'handicappato all'interno delle occasioni organizzate di incontro e di aggregazione per la generalità delle persone oppure finalizzato ad un eventuale inserimento dello stesso in struttura diurna. Le prestazioni educativo/riabilitative di assistenza domiciliare rivolte ad handicappati devono rientrare nel progetto educativo mirato e personalizzato predisposto dal nucleo del dipartimento H insieme con gli operatori del servizio di assistenza domiciliare.

 

     Affido familiare

     Per affido familiare si intende l'inserimento temporaneo di un disabile o handicappato, sia esso minore o meno, privo di un ambiente familiare idoneo per un adeguato sviluppo psicofisico, presso una famiglia diversa dalla sua di origine, al fine di garantirgli con continuità il mantenimento, l'educazione e l'istruzione nonché validi rapporti affettivi.

     Per quanto riguarda gli approfondimenti teorici e tecnici di questo intervento si rinvia all'azione programmata minori, esplicitando che nell'ambito di situazioni di difficoltà temporanee e non stabilizzate, per le quali l'affido è particolarmente idoneo, rientrano altresì situazioni di tensioni e difficoltà psicologiche della famiglia che ha al suo interno un congiunto disabile o handicappato.

     Rispetto alle modalità di gestione del servizio affidi si rimanda alla altra parte del Piano socio assistenziale, con l'avvertenza che, nel caso dei disabili o handicappati, minori o meno, a livello istituzionale deve essere attivato uno stretto raccordo con il dipartimento handicap.

 

     Comunità alloggio

     La comunità alloggio è una soluzione residenziale, da considerarsi ambiente strutturato di vita temporaneo o permanente, caratterizzato da un clima di interrelazioni che permetta la manifestazione di comportamenti differenziati o autonomi ma ancorati a motivazioni personali o di gruppo, nonché di progetti articolati e realistici riguardanti l'organizzazione della vita di ognuno. Da ciò deriva un concetto di «vita comunitaria» costituita da rapporti paritari, indipendentemente dal fatto che vi sia un operatore e un «assistito», intesi come rapporti tra persone volti al soddisfacimento di bisogni di «relazioni», di appartenenza e così via. Il modello di convivenza comunitaria costituisce pertanto la modalità educativa che viene proposta agli «utenti» e il bisogno cui si tenta di rispondere è il bisogno complessivo di riappropriazione del sé e del senso di vita.

     Fra le condizioni per la costituzione di una comunità, la più rilevante, proprio perché su di essa si modellano gli interventi e rispetto ad essi si connota il servizio medesimo, è quello che vede l'istanza di struttura comunitaria definirsi a partire dal bisogno.

     Partendo da tale assunto, questa unità di offerta può accogliere, (dopo un'attenta valutazione dei casi), una pluralità tipologica di utenti per evitare il ricrearsi di mondi culturali e di comportamenti comunque chiusi. Ad esempio, nell'area dell'handicap, non devono essere l'età o il tipo di handicap il motivo di accoglimento e di dimissione, bensì la sussistenza del bisogno e la capacità della struttura a darne adeguata risposta.

     Nel ribadire che la comunità alloggio è un modello di prestazioni sostitutive del nucleo familiare, qualora lo stesso sia inesistente, impossibilitato o incapace del tutto ad assolvere il proprio compito, o qualora il soggetto adulto rivendichi il suo diritto a rendersi autonomo da esso, preme sottolineare che altra importante condizione al suo costituirsi e connotarsi è il suo far parte dell'ambiente sociale, che significa avere rapporti stabili con altre realtà ed esperienze che essa non può ricercare solo al suo interno. L'enfasi posta sul carattere irriducibilmente alternativo della propria azione socio-assistenziale e la pretesa di costituirsi come intervento autosufficiente rischiano di rendere chiuso ed asfittico anche il servizio più innovativo e ideologicamente «più aperto», riducendolo simile a quelle istituzioni totali, in alternativa alle quali sono appunto sorte le comunità.

     Delle 160 comunità alloggio censite nel 1985, 37 accolgono prevalentemente soggetti handicappati, la maggior parte dei quali con un'età superiore ai 18 anni. Si osserva inoltre una netta prevalenza della gestione privata rispetto a quella pubblica, dovuta sia alla crisi generalizzata del sistema i Welfare, sia al passaggio da una concezione assistenzialistica passiva (secondo cui il cittadino è solo un utente di servizi predisposti dall'Ente pubblico) ad una concezione partecipativa e creativa (in base alla quale il cittadino gestisce direttamente il servizio sociale e affronta i propri bisogni in modo attivo e solidaristico).

     Da quanto fin qui esposto, ne deriva che la comunità alloggio deve essere pienamente integrata nel contesto sociale circostante e in ragione di questo assunto, gli ospiti sono attivamente partecipi non solo degli aspetti quotidiani della vita comunitaria, ma anche soprattutto di quelle opportunità educative, formative, occupazionali, di aggregazione che si ritrovano all'esterno della comunità stessa.

     Risulta pertanto evidente che sul servizio così configurato deve prevedere per i propri ospiti progetti educativi mirati e personalizzati, che devono essere periodicamente verificati (ed eventualmente riaggiustati), e, laddove vengono predisposti per disabili o handicappati, necessita uno di uno stretto raccordo tra dipartimento H e operatori della comunità.

 

     d) Diritto alla vita di relazione

     In un certo senso, tutti gli interventi rivolti a garantire uno qualsiasi dei diritti degli handicappati favoriscono indirettamente la loro vita di relazione e concorrono alla piena realizzazione della loro integrazione sociale.

     Va comunque sottolineato che il disabile o handicappato, in quanto persona, non ha solo bisogni di tipo educativo-formativo, sanitario, occupazionale, socio-assistenziale, ma ha anche bisogni di spazi non istituzionalizzati di relazioni sociali, di attività culturali e ricreative. Ne consegue che l'intervento da attivare deve mettere nelle favorevoli condizioni questi soggetti affinché anche loro, come la generalità delle persone, possono soddisfare appieno questa naturale necessità.

     Ciò implica da un lato l'eliminazione di tutte quelle barriere che sono di impedimento fisico o di ostacolo alle capacità percettive, e pertanto limitanti la «mobilità» dall'altro promuovere le condizioni favorevoli affinché anche i disabili o handicappati possano a pieno titolo fruire di tutte le opportunità, culturali, di aggregazione, ricreative e sportive, operando contemporaneamente sull'ambiente sociale perché lo stesso li accolga costruttivamente.

     Il Progetto obiettivo handicap, rispetto a tale diritto, intende:

     - agire affinché venga concretamente osservato di disposto del D.P.R. 28 aprile 1978, n. 384, anche attraverso atti legislativi che ne amplino il campo di intervento;

     - promuovere la massima fruizione di tutti gli spazi, organizzati o meno, di aggregazione e di impiego del tempo libero, anche attraverso progetti di sperimentazione (v. progetto sperimentale integrato «lavoro part-time/utilizzo mirato di tempo libero»).

 

     2.3.2 Interventi specifici

     Diritto ad una vita dignitosa

     La finalità generale che sottende alla garanzia di questo diritto, già esplicitata nel paragrafo 2.3.1. Interventi «aspecifici», vale a pieno titolo anche per il sistema degli interventi specifici Destinatari di questi ultimi sono soggetti handicappati per i quali il trattamento ha la peculiare funzione di ridurre, o comunque di contenere, lo stato di svantaggio esistenziale.

     Ciò peraltro non esclude la necessità di un raccordo con tutte le altre modalità di risposta rivolte alla generalità delle persone o a più categorie di utenza problema.

     Per le unità d'offerta che verranno esaminate si forniranno solo brevi descrizioni poiché, in altre parti del Piano (standard gestionali e strutturali), o dello stesso P.O. (sperimentazione), le stesse sono definite più puntualmente.

 

     Centro Socio Educativo

     Questa unità d'offerta è una struttura integrata non residenziale che accoglie giornalmente soggetti con notevole compromissione della autonomia nelle funzioni elementari.

     Essa costituisce una «struttura d'appoggio» alla vita familiare, fatta di spazi educativi e ricreativi diversificati, particolarmente necessaria per consentire alla famiglia di mantenere al proprio interno l'handicappato.

     Il centro socio educativo mira alla crescita evolutiva dei soggetti nella prospettiva di una progressiva e costante socializzazione con l'obiettivo da un lato, di sviluppare, pur nella consapevolezza dei limiti oggettivi, le capacità residue, dall'altro di operare per il massimo mantenimento dei livelli acquisiti.

     Le attività qui svolte sono prettamente a carattere educativo e si diversificano, ad esempio, in attività indirizzate all'autonomia personale, educative con significato prevalentemente psicomotorio, di socializzazione, ecc.

     Sono altresì garantite tutte quelle prestazioni sanitarie e riabilitative di cui gli utenti possono aver bisogno, in una logica appunto di massimo raccordo con le strutture sanitarie del territorio.

     Attualmente si può contare su una rete sostanzialmente consolidata di circa n. 134 centri che ospitano, durante il giorno, quasi n. 2340 soggetti.

     Questi ultimi sono prevalentemente psichici [55%] e pluriminorati [40%]. L'incidenza di queste due tipologie sull'utenza globale si è mantenuta costante nel tempo, confermando pertanto la caratteristica strutturale dei C.S.E. lombardi di servire prevalentemente l'handicap psichico.

     Rispetto all'età, il 58% degli utenti si colloca nella fascia 15-25 anni; questo dato fa pensare che probabilmente il servizio risponde a soggetti per i quali le altre agenzie educativo-formative e lavorative risultano essere inidonee, d'altro canto il P.O. intende però verificare se per questi soggetti siano state realmente esperite tutte le altre modalità di intervento ed il C.S.E. rappresenti pertanto l'unica risposta risolutiva.

     Tale verifica si impone poiché, anche relativamente alle prestazioni erogate, alcuni C.S.E. hanno come attività prevalente l'ergoterapia, realizzata non propriamente quale attività educativa con significato occupazionale affinché i soggetti stessi possano accrescere o raffinare le loro capacità gnoso-prassiche e percettive, bensì quale mera esecuzione di una fase lavorativa (ad esempio assemblaggio) senza alcuna finalità educativa e non inserita in una gamma di attività diversificate, nell'ambito di una programmazione complessiva del servizio, rispettosa di progettazioni mirate e personalizzate per ogni utente.

     In ultima analisi il C.S.E. non deve costituire una valvola di scarico rispetto alle contraddizioni ed alle insolvenze delle agenzie educativo/formative del sistema produttivo, altrimenti il rischio è da un alto di rispondere indiscriminatamente a bisogni molteplici di utenza non selezionata, dall'altro di saturare la rete di questi presidi che si troverebbero impossibilitati a trattare chi realmente ne ha la necessità.

     Preme ricordare che la socializzazione, cui mira questo tipo di unità d'offerta, non è quella tra soggetti con diversi livelli di compromissione, ma quella che permette di far conoscere a soggetti «con notevole compromissione dell'autonomia nelle funzioni elementari» il contesto ambientale in cui vivono, dentro e fuori dal centro, facendo attenzione alla scoperta sia delle micro-realtà che della macro-realtà del territorio.

     Al di là di questi aspetti problematici, il C.S.E. si configura quale struttura di sostegno alla famiglia, infatti il 95% dei soggetti risiede nel proprio nucleo d'origine.

     Il Progetto Obiettivo nel rispetto della sua finalità generale di migliorare le condizioni di vita degli handicappati, nonché di procedere in una logica di deistituzionalizzazione, afferma la validità di questa unità d'offerta diurna che, offrendosi a sostegno della famiglia, consente a quest'ultima di non ricorrere a meccanismi di espulsione del congiunto handicappato, ricorrendo a soluzioni residenziali che risulterebbero essere modalità d'intervento impropria, perché non risolutiva dello specifico bisogno espresso dall'handicappato ed anche dalla sua famiglia.

     Il trattamento dei soggetti viene operato dal centro socio-educativo sulla base di una progettazione mirata e personalizzata predisposta in stretto raccordo con il nucleo dipartimentale zonale.

     Rispetto a tutto quanto fin qui esposto, l'obiettivo è da un lato la razionalizzazione della rete dei Centri socio-educativi esistenti, dall'altra l'avvio di questo tipo d'unità d'offerta (previa attenta valutazione) in tutte quelle USSL che ancora ne sono prive (v. paragrafo 3.2 Obiettivi e indici di piano).

 

     Centro residenziale

     Questo centro è una residenza protetta collettiva che accoglie soggetti con gravi o gravissime limitazioni dell'autonomia funzionale, che necessitano di un supporto socio-assistenziale e sanitario specifico e sono impossibilitati a rimanere in via temporanea o permanente nel proprio nucleo familiare.

     Date queste caratteristiche, il centro residenziale non deve costituirsi come «istituzione chiusa», bensì deve configurarsi servizio aperto all'esterno, nella logica della massima integrazione con tutte le offerte presenti sul territorio.

     Presso tale struttura si appoggia il centro di pronto intervento per handicappati gravi e gravissimi, il quale assicura, in attesa dell'individuazione di soluzioni più adeguate, il soddisfacimento temporaneo di alloggio, vitto, tutela di fatto, determinati da una circostanza o eventualità imprevista, che richiede interventi eccezionali, ma di breve durata.

     I cinque centri residenziali esistenti in Lombardia ospitanti circa 100 utenti, non sono del tutto aderenti agli standard allegati al presente Piano socio-assistenziale; infatti, in linea generale, la modalità di gestione avviata è più simile a quella di un centro di pronto intervento. Durante questi pochi anni di funzionamento hanno tuttavia tentato di aumentare l'utenza e di dilatare i tempi di apertura per superare la fase d'emergenza dell'intervento e soddisfare bisogni di vera e propria residenzialità.

     Si tenga presente che il processo di deistituzionalizzazione è stato avviato in maniera consapevole con la L.R. 7 giugno 1980, n. 76 (abrogata con la L.R. 7 gennaio 1986, n. 1 la quale ne ha recepito la filosofia e i contenuti), per cui questa unità d'offerta alternativa agli Istituti, è alquanto recente e presenta, tuttora, caratteristiche sperimentali.

     Il Progetto obiettivo-handicap, avendo come finalità generale il miglioramento delle condizioni di vita dei soggetti handicappati, riafferma e fa propria la politica di deistituzionalizzazione e sostiene la validità del Centro residenziale quale risposta alternativa

all'istituzionalizzazione, poiché esso si connota positivamente nel modo seguente:

     - si inserisce in una rete complessiva di servizi con i quali è in stretto raccordo: all'interno di questa rete, esso costituisce una delle modalità d'intervento da attivare, una volta verificata l'inidoneità di altre a risolvere quel peculiare bisogno.

     Il centro residenziale è la risposta a quegli handicappati per i quali gli interventi di sostegno alla famiglia non sono risolutivi del loro stato di bisogno. Questa unità d'offerta è pertanto di sostituzione temporanea o permanente del nucleo familiare, laddove si verifichino, ad esempio, o diminuzione delle risorse psicologiche per mantenere al proprio interno il congiunto (invecchiamento dei genitori), o definizione di nuovi sistemi familiari (separazioni, morte di uno o di entrambi i genitori);

     - mantiene il soggetto handicappato nel suo contesto socio-ambientale; il centro residenziale, pur essendo in questa prima fase a bacino sovrazonale, concilia le ammissioni degli utenti con la loro provenienza. Questo, difatti, facilita il centro residenziale a mantenere una forte interazione con la realtà esterna, il che significa, innanzitutto, favorire e stimolare i rapporti con la famiglia (ciò assume rilevanza per gli ospiti temporanei al fine di facilitarne il rientro), con la rete parentale, più estesa (per gli ospiti permanenti senza più genitori, la

responsabilizzazione di altri congiunti può creare disponibilità da parte di questi ultimi ad accoglierli per brevi periodi) e con tutte le altre componenti sociali la cui partecipazione al centro è favorita;

     - ha capacità ricettiva media (non deve superare i 30 utenti), poiché il trattamento di macro-utenze non si concilia con la logica di superamento dell'istituzionalizzazione e con la necessità di garantire il dignitoso soddisfacimento dei bisogni in un ambiente organizzato in maniera tale da creare gradevoli condizioni di vita, fruibili anche da persone con autonomia ed autosufficienza notevolmente ridotte;

     - dispone di diverse figure professionali stabili: gli educatori, gli ausiliari socio-assistenziali, gli infermieri, il medico a part-time che concorrono, rispetto alle proprie competenze, a soddisfare il bisogno nella sua globalità, avendo come momento unificante delle loro specifiche prestazioni il progetto mirato e personalizzato predisposto per ciascun ospite; a questa componente stabile si aggiungono, a supporto (a secondo delle necessità), figure specialistiche di vario tipo (ad es. psichiatra, fisiatra, psicologo, ecc.);

     - prevede rapporti differenziati rispetto alle diverse professionalità coinvolte stabilmente: globalmente il rapporto è alto in considerazione delle caratteristiche dell'utenza accolta, che richiede prestazioni di alta qualità e particolarmente intense.

     Il Progetto obiettivo intende avviare nuove unità d'offerta di questo tipo in ambiti territoriali che vedono aggregate più USSL, procedendo, prioritariamente, attraverso riconversioni di istituti educativo- assistenziali per handicappati.

     Il trattamento dei soggetti deve avvenire sulla base di progetti mirati e personalizzati predisposti in stretto raccordo con il dipartimento handicap.

 

     Istituti educativo-assistenziali per handicappati

     Queste unità d'offerta residenziali sono da considerarsi, temporaneamente, facenti parte della complessiva rete integrata dei servizi socio-assistenziali. Infatti, la logica del presente Progetto è quella di andare progressivamente ad una loro riconversione in centri residenziali, previa attenta valutazione.

     A tutt'oggi sono censiti n. 23 istituti; è tuttavia in corso un'approfondita indagine per acquisire nuovi elementi di conoscenza rispetto alla consistenza della rete di tali presidi, nonché relativamente all'utenza accolta e alla tipologia delle attività svolte.

     Sono ritenuti validi, provvisoriamente, per questa unità d'offerta gli standard gestionali e strutturali predisposti per gli Istituti educativo- assistenziali per minori.

     Ad indagine ultimata, verrà valutata l'eventualità di emanare, attraverso atti successivi, una normativa tecnica edilizia e gestionale specificatamente per gli istituti per handicappati, fermo restando il concetto che anche tale successiva standardizzazione è del tutto transitoria, poiché l'obiettivo, come già esplicitato, è la loro riconversione.

 

     2.3.3 Sperimentazione

     Il Progetto Obiettivo handicap rispetto sia al grado di elaborazione esistente sulla tematica dell'handicap, sia a livello di operatività finora realizzato, non ha potuto declinare puntualmente gli interventi che devono essere attivati rispetto alle seguenti aree di bisogno:

     - area dell'educazione e socializzazione dei bambini portatori di gravi handicap;

     - area del trattamento dei bambini e degli adolescenti con disturbi neuropsichici;

     - area dei cosiddetti «medio-gravi».

     Queste aree diventano pertanto ambiti privilegiati in cui avviare valide iniziative sperimentali: il P.O.H. nell'individuare propri modelli qui di seguito esplicitati e ripresi nel capitolo III quali obiettivi specifici (n. 8, 9, 10), valuterà altresì attentamente attività sperimentali che verranno proposte dalla programmazione zonale e/o altri enti su questi filoni.

 

     Centri socio-educativi per «piccoli» in ambiente scolastico

     Questa unità d'offerta che si va a sperimentare deve rivolgersi esclusivamente a bambini portatori di gravi handicap che, nonostante per loro siano stati esperiti intensi interventi riabilitativi e psico-sociali, non potrebbero trarre vantaggio dall'inserimento in una classe neppure con un insegnante di sostegno a tempo pieno.

     Il CSE per piccoli deve trarre la propria specificità dal fatto che deve garantire:

     - una progettazione educativa mirata e personalizzata che prevede un insieme, il più differenziato possibile, di interventi pedagogici alquanto intensi, poiché agendo su soggetti in età evolutiva, per i quali i margini di recupero possono essere maggiori, lo scopo è quello di favorire al massimo l'armonico sviluppo psico-fisico;

     - l'attivazione del trattamento su un numero limitato di bambini [5/6 bimbi, gruppo ideale su cui operare];

     - la specializzazione del personale che ha in carico questi soggetti (educatori), costantemente supportato da altre figure (es. psicomotricista, terapista della riabilitazione, psicologo, pedagogista, ecc.);

     - la realizzazione di un rapporto educatori/utenti molto basso [1:1 o 1:2].

     La peculiarità di questo servizio non deve indurre però a creare situazioni avulse dal contesto sociale, bensì può essere collocata all'interno di un plesso scolastico che abbia la possibilità di ospitare, in appositi locali, una «struttura» piccola ma completa delle attrezzature indispensabili per soddisfare le necessità dei bambini. D'altro canto, tale collocazione è elemento indispensabile per poter fornire una possibilità di scambio con i bambini che frequentano la scuola.

     Così configurato, questo CSE per piccoli deve perciò, avere essenzialmente carattere educativo e sociale; lo scopo precipuo è infatti di offrire in un ambiente ideale gli strumenti atti al recupero di questi bambini e di offrire agli stessi, così come alle loro famiglie, un servizio inserito nella realtà territoriale.

     Rispetto a quanto fin qui esposto, l'organizzazione scolastica da privilegiare è la scuola a tempo pieno, poiché, per le sue caratteristiche (metodologie e tecniche educativo/formative, moduli interclasse) meglio garantisce le condizioni favorevoli al successo delle strategie mirate su questa peculiare utenza.

     Affinché questo si realizzi è indispensabile formalizzare l'accordo tra scuola e CSE piccoli attraverso lo strumento dell'«intesa» in cui vengono chiarite le specifiche responsabilità dei livelli istituzionali coinvolti (Direzione didattica ed Ente gestore del CSE) e vengono sottoscrittigli accordi relativi alle modalità di programmazione comune e di verifica delle attività.

     La sperimentazione di questa nuova modalità di intervento deve essere attuata in stretto raccordo con il Dipartimento H ed il relativo nucleo.

 

     Comunità terapeutiche psico-socio-educative per minori con disturbi neuro-psichici

     Pur rinviando per questa unità di offerta sperimentale al «Programma triennale straordinario di neuropsichiatria per l'infanzia e l'adolescenza», si richiamano qui le linee essenziali.

     Per comunità terapeutica psico-socio-educativa si intende una struttura atta alla traduzione di una diagnosi interdisciplinare in un progetto terapeutico che possa avvalersi di un ambiente idoneo alla sperimentazione ed allo sviluppo di positive situazioni di vita e di relazione.

     Tale unità d'offerta, con capienza non superiore a n. 15 posti, deve pertanto rispondere al problema dei bambini e degli adolescenti, che necessitano di interventi globali di tipo medico, psico-terapico, educativo ed assistenziale che non possono attuarsi se non con il loro allontanamento dal nucleo familiare, fermo restando che lo scopo è comunque il rientro, al termine del trattamento, in famiglia.

     Il personale previsto per tali comunità deve consentire la corretta attribuzione delle specifiche competenze di medicina generale, psicologia, pedagogia, riabilitazione ed assistenza sociale. Per quanto concerne le competenze di neuropsichiatria infantile, le CT si avvalgono della consulenza della unità operativa di neuropsichiatria infantile territorialmente corrispondente, debitamente potenziata.

     La sperimentazione di questa nuova modalità di trattamento deve essere effettuata in stretto raccordo con il dipartimento H ed il relativo nucleo.

 

     Progetto lavoro part-time/utilizzo mirato del tempo libero

     La sperimentazione in quest'ambito risponde ottimamente all'obiettivo prioritario del P.O., cioè quello dell'integrazione sociale.

     Difatti, il progetto che si vuole sperimentare ricerca nuove modalità su due versanti:

     - quello del lavoro, consentendo anche a soggetti handicappati di utilizzare, rispetto al contratto di lavoro a tempo indeterminato, la prassi del part-time;

     - quello del tempo libero, orientando tali ragazzi nella fruizione di tutte le opportunità ricreative culturali aggregative, sportive ecc., più o meno strutturate.

     Destinatari sono quei soggetti che, pur essendo capaci di svolgere mansioni nel ciclo produttivo (ciò significa, come già esplicitato strutturazione dell'identità capacità operative), non sono tuttavia in grado di esprimere la propria operatività nei tempi e nei modi previsti e standardizzati.

     La sperimentazione, per questi ragazzi, ha pertanto una duplice valenza: da un lato, garantire un'integrazione lavorativa che tenga conto delle loro capacità residue, realizzata nel normale sistema produttivo (e non in ambienti lavorativi protetti); dall'altro, far sì che arrivino a gestire autonomamente il loro tempo libero.

     La predisposizione di tale progetto di sperimentazione è fatta in stretto raccordo con il Dipartimento H ed il relativo nucleo.

     La sperimentazione in quest'area è particolarmente significativa poiché si rivolge ad una utenza cosiddetta «medio-grave», per la quale attualmente non vi sono interventi consolidati; pertanto una delle finalità del progetto qui descritto è quella di ricercare una modalità di risposta appropriata che possa poi essere estesa e ricompresa all'interno della complessiva rete dei servizi.

 

     3. INDIRIZZI GENERALI E DI COORDINAMENTO

 

     3.1 Modello organizzativo di riferimento degli interventi.

     Nello specifico settore dell'handicap, il dipartimento zonale si realizza attraverso la convergenza e il coinvolgimento di cinque unità operative: tre previste come articolazioni del servizio di medicina specialistica dell'USSL (unità operativa di neuropsichiatria infantile, per il tramite del suo nucleo zonale; unità operativa di psichiatria, per il tramite del suo nucleo zonale; unità operativa responsabile della riabilitazione e del recupero e rieducazione funzionale), nonché le due articolazioni del servizio di assistenza sociale dell'USSL (unità operativa degli interventi zonali, nella sua possibile articolazione in «area dell'handicap e della malattia mentale», e unità operativa degli interventi sociali di base).

     A tale dipartimento sono attribuite le seguenti funzioni:

     - programmazione generale degli interventi previsti nel P.O. handicap in relazione alla zona di competenza;

     - coordinamento con la programmazione generale delle agenzie esterne interagenti per gli interventi aspecifici previsti dal P.O.;

     - verifica generale dei livelli di attuazione del Progetto.

     Il dipartimento così definito assume una valenza prevalente di tipo organizzativo e programmatorio: la mancata definizione del modello organizzativo riferito al settore materno-infantile e alla medicina di base obbliga il dipartimento handicap a definirsi solo rispetto alle U.O. già normate a livello regionale, mentre è lasciata a tempi successivi l'individuazione delle modalità organizzative che consentiranno di correlarlo anche alle due articolazioni prima evidenziate.

     Il dipartimento handicap, sempre in conformità a regole di comportamento organizzativo, deve realizzarsi attraverso la diversa aggregazione di competenze e di unità di personale già presenti nell'organizzazione complessiva anche se diversamente utilizzate.

     Per la traduzione della programmazione generale in azioni e interventi nei confronti della menomazione, disabilità, handicap, ai fini della loro prevenzione e della necessaria predisposizione di prestazioni riabilitative, di assistenza suppletiva e compensativa, il dipartimento handicap esprime al suo interno il:

 

     Nucleo dipartimentale zonale

     questo modulo organizzativo si rende indispensabile per garantire agli interventi prima indicati le seguenti caratteristiche fondamentali:

     - una lettura univoca, fondata, organica dei bisogni di trattamento;

     - una definizione ed una progettazione integrata e sistemica delle strategie d'intervento;

     - una selezione «intelligente» delle quantità e delle modalità di accesso al sistema degli interventi ed alla rete delle unità d'offerta;

     La composizione del nucleo è definita dalla presenza in esso delle figure professionali del fisiatra, del neuro-psichiatra infantile, della psicologo, e dell'assistenze sociale. A tali componenti professionali stabili si aggiungono, integrando secondo necessità, gli specialisti delle unità operative e/o servizi prima indicati ivi compreso il pedagogista quando devono essere affrontati problemi di progettazione educativa specifica.

     Alla definizione per professionalità dei componenti dell'équipe deve seguire la definizione delle quantità delle stesse.

     Appare evidente che il numero dei componenti, complessivo e per singola disciplina, dipende dalla dimensione in termini di carico di lavoro, assunta dall'assolvimento delle funzioni attribuite al nucleo dipartimentale e dall'ampiezza demografica della zona.

     Le funzioni principali assegnate al nucleo dalla presente ipotesi organizzativa, in quanto derivano dall'esigenza di costruire una centralità ed una «unitarietà» per le strategie di intervento, sono quelle di:

     - garantire che vengano programmate unitariamente e raccordate operativamente le attività afferenti alle U.O. coinvolte nel dipartimento e nell'attuazione concreta del Progetto Obiettivo;

     - raccogliere e memorizzare i dati e le informazioni sui soggetti handicappati presenti nella zona (anagrafe zonale), anche in collegamento con le Commissioni di accertamento degli stati di invalidità;

     - garantire il coordinamento delle attività di progettazione e valutazione complessiva necessarie alla elaborazione dei piani di trattamento finalizzati: all'integrazione scolastica, alla formazione professionale, all'integrazione lavorativa all'accoglimento nei singoli presidi, servizi e unità di offerta socio-sanitari, responsabili dell'attuazione dei progetti specifici;

     - coordinare operativamente gli interventi delle agenzie esterne interagenti per la realizzazione dei progetti integrati;

     - verificare sistematicamente la rispondenza degli interventi attuati agli obiettivi specifici prefigurati;

     - promuovere e supportare tecnicamente le sperimentazioni concordate.

 

     3.2 Obiettivi e indici di piano

     Il progetto obiettivo handicap, definite le finalità generali, il campo di intervento e i criteri adottati nell'analisi della realtà, deve concretizzare le proprie strategie e modalità di intervento assumendo all'interno dei propri indirizzi generali e di coordinamento gli specifici obiettivi ed i relativi indici per il periodo di riferimento del piano socio-assistenziale di cui è elemento costitutivo.

     Il Progetto obiettivo handicap per il triennio 1988/1990 assume cinque ordini di finalità specifiche in relazione alle esigenze ed ai bisogni prioritari nell'area di riferimento:

     1) costituzione del modello organizzativo integrato;

     2) razionalizzazione e sviluppo della rete dei servizi socio-sanitari e formativi esistenti;

     3) miglioramento della qualità delle prestazioni erogate dalla rete dei servizi;

     4) aumento e miglioramento del grado di fruizione delle prestazioni da parte degli utenti;

     5) miglioramento del livello di conoscenza del fenomeno handicap e delle sue caratteristiche.

     All'interno dei sovraesposti ordini di finalità il Progetto obiettivo individua 16 obiettivi specifici da raggiungere entro il triennio considerato ed il cui perseguimento è reso possibile dalla conseguente definizione e messa a disposizione delle risorse necessarie.

     Lo schema n. 3 evidenzia la declinazione di ognuna delle finalità specificamente assunte nei corrispondenti puntuali.

 

     Schema n. 4

     (Omissis)

 

COSTITUZIONE DEL MODELLO ORGANIZZATIVO INTEGRATO

 

     Obiettivo n. 1: Istituzione dei dipartimenti handicap e dei relativi nuclei dipartimentali zonali

     Nell'ambito dei provvedimenti organizzativi ed operativi destinati a razionalizzare ed a integrare in un insieme significativo e coerente le qualità e la destinazione di tutti gli interventi in materia di handicap, la costituzione in ogni USSL del dipartimento e del relativo nucleo dipartimentale zonale assume una rilevanza fondamentale.

     Pertanto il P.O.H. e i Piani socio-assistenziale e sanitario operano la scelta di istituire tale modello organizzativo integrato in tutte le USSL lombarde.

     Come si è già specificato nel paragrafo 3.1 «Modello organizzativo di riferimento degli interventi», il nucleo dipartimentale zonale ha una composizione stabile data da diverse professionalità: fisiatra, neuropsichiatra, psicologo e assistente sociale, alle quali si aggregano, secondo necessità, ad esempio lo psichiatra, il pedagogista e gli specialisti per le disabilità sensoriali.

     Le risorse di personale ai fini della costituzione del nucleo dipartimentale zonale vengono reperite attraverso razionalizzazione di unità di personale già presenti nell'organizzazione complessiva anche se già diversamente utilizzate appartenenti al comparto sia sanitario che socio-assistenziale, ovvero attraverso assunzioni in deroga in caso di carenza di determinate figure professionali.

 

RAZIONALIZZARE E SVILUPPARE LA RETE DEI SERVIZI SOCIO-SANITARI E FORMATIVI

ESISTENTI

 

     Obiettivo n. 2: Riclassificazione della rete e adeguamento a standard del 25% dei C.S.E. e del 25% delle Comunità Alloggio

     La situazione della rete delle unità d'offerta specificatamente rivolta a soggetti handicappati è alquanto confusa e disorganica, poiché in questi anni, mancando una standardizzazione puntuale, l'unico riferimento è stata la L.R. 7 giugno 1980, n. 76. Questa legge, di fatto forniva degli orientamenti generali rispetto ai quali sono stati avviati i servizi che si sono poi, per certi versi, organizzati autonomamente.

     A ciò si aggiunga che, già prima dell'entrata in vigore di detta legge, erano presenti sul territorio lombardo presidi rivolti ad handicappati, i quali tutt'oggi sono funzionanti ed insieme con quelli avviati ex L.R. 7 giugno 1980, n. 76 costituiscono un ventaglio di risposte fra loro disomogenee ed ognuna con proprie peculiarità.

     Fra tali servizi vi sono gli istituti educativo-assistenziali e i centri di riabilitazione; questi ultimi possono essere a degenza domiciliare, ambulatoriale, diurna, a seminternato e ad internato.

     Il Progetto obiettivo procede prioritariamente alla riclassificazione, attraverso l'applicazione degli standard, dei presidi socio-assistenziali esistenti, fatta salva la possibilità che anche alcune strutture riabilitative sanitarie (così denominate, ma che in effetti svolgono prevalentemente attività socio-educative) rientrano in questo processo di razionalizzazione.

     Operare per una riclassificazione della rete dei centri socio- educativi esistenti significa:

     a) verificare che l'utenza accolta necessita realmente di questo tipo di risposta;

     b) ricondurre entro le soglie minime e massime di capacità ricettiva fissate i volumi d'utenza trattate;

     c) dilatare i tempi di funzionamento del servizio affinché esso sia attivato sia il mattino sia il pomeriggio;

     d) agire sulla quantità delle attività socio-educative, individuate sulla base della progettazione mirata e personalizzata.

     Per quanto concerne i centri residenziali, valgono i punti a) e b) definiti per i centri socio-educativi, ai quali vanno aggiunti:

     c) superare la fase d'emergenza, affinché il centro oltre a svolgere funzioni di pronto intervento, si connoti come intervento atto a soddisfare bisogni di vera e propria residenzialità;

     d) fornire prestazioni plurime e diversificate, a carattere socio- assistenziale, educativo e sanitario, fondate su una progettazione mirata e personalizzata.

     Per ulteriori e più dettagliate esplicazioni riguardanti le caratteristiche dei centri socio-educativi e dei centri residenziali, si rimanda agli standard gestionali e strutturali, nonché al paragrafo 2.3.2 «interventi specifici».

     Da ultimo, si evidenzia che riclassificare gli istituti educativo- assistenziali significa prioritariamente attivare modalità di riconversione.

 

     Obiettivo n. 3: apertura di n. 4 C.S.E. nelle U.S.S.L. sprovviste e realizzazione di nuovi posti da ottenere attraverso ampliamento e nuove costruzioni in U.S.S.L. carenti

     L'adeguamento all'indice di Piano (almeno 1 C.S.E. in ogni U.S.S.L.) deve essere realizzato attraverso:

     - l'avvio di tale unità d'offerta nelle U.S.S.L. tuttora scoperte (U.S.S.L. n. 5, 31, 34, 74);

     - l'avvio di nuovi centri nelle U.S.S.L. carenti ovvero aumento della capacità ricettiva dei C.S.E. esistenti.

     Nel primo caso va esplicitato che la mancata istituzione di tale presidio nelle U.S.S.L. sopracitate è riconducibile alle obiettive e particolari difficoltà di insediamento, alla difficoltà gestionale correlata alla piccola dimensione di alcune U.S.S.L., alla presenza di altri presidi che comunque sembra riescano a soddisfare l'area di bisogno.

     Nel triennio si dovrà verificare, attraverso la programmazione zonale, se tali oggettive difficoltà potranno essere superate o se continueranno a permanere.

     Nel secondo caso, la programmazione zonale prima di proporre insediamenti aggiuntivi, ovvero aumenti della capacità ricettiva, dovrà valutare attentamente i seguenti elementi con rifermento alle strutture funzionanti:

     - capacità ricettiva completamente satura;

     - provenienza dell'utenza trattata: si ricorda che tale unità d'offerta è a bacino zonale, per cui si esclude l'accoglimento di soggetti provenienti da altre U.S.S.L.;

     - verifica del fabbisogno quantitativo e qualitativo rispetto al quale emerge la necessità di avviare un nuovo presidio. Ciò passa attraverso la prassi del censimento degli handicappati e la verifica che le utenze trattate (già ospiti di C.S.E. funzionante) e potenziali (quelle per le quali vi è la richiesta di un centro aggiuntivo) siano propriamente destinatarie del C.S.E. e non di altre modalità di intervento (es. C.F.P.);

     - capacità effettiva di riuscire a sostenere l'onere complessivo derivante dalla gestione del nuovo centro (assunzione di personale, reperimento risorse ecc.).

     In mancanza di uno qualsiasi degli elementi sopracitati, il piano di zona non dovrà prevedere l'istituzione di nuovi centri.

     Il P.O.H. procederà per l'ampliamento della rete dei C.S.E. lombardi rendendo disponibili le risorse necessarie.

 

     Obiettivo n. 4: Apertura di n. 12 C.R.

     L'offerta di soluzioni residenziali ad handicappati gravi e gravissimi, impossibilitati a risiedere temporaneamente o permanentemente nel loro nucleo familiare risulta alquanto carente.

     L'obiettivo del P.O. è pertanto quello di istituire n. 12 centri Residenziali, in aggiunta a quelli già funzionanti o in fase di avvio (n. 8).

     Si ricorda che il C.R. ha un bacino d'utenza sovrazonale: tale scelta s'impone poiché ci si trova da un lato ad avviare una modalità di risposta residenziale alquanto innovativa, dall'altro a non possedere esaustivi elementi di conoscenza quantitativi e qualitativi, rispetto al bisogno.

     Stante questa situazione il P.O.H., nell'individuare l'indice di Piano, assume come riferimento l'aggregazione territoriale di più U.S.S.L. previste per le unità operative di psichiatria definite nella L.R. 7 giugno 1985, n. 72.

     I 12 C.R. verranno pertanto localizzati, sulla base delle indicazioni contenute nella programmazione zonale, con priorità per gli ambiti territoriali privi di risposte residenziali.

 

     Obiettivo n. 5: Apertura di n. 20 C.A.

     Rispetto all'obiettivo strategico di una comunità alloggio in ogni U.S.S.L., il P.O. opera la scelta di istituire n. 20 nuove comunità da localizzarsi prioritariamente in quelle U.S.S.L. che sono totalmente sguarnite di risposta residenziale.

     Ammesso che questo tipo di unità d'offerta debba accogliere una pluralità tipologica d'utenza (proveniente, in linea generale, dal territorio dell'U.S.S.L. dove ha sede la comunità) per non ricreare mondi culturali e di comportamento comunque chiusi, le nuove istituzioni possono ospitare prevalentemente soggetti handicappati.

     Il programmatore zonale nell'individuare la localizzazione dovrà operare in una logica complessiva programmatoria, raccordando pertanto gli interventi previsti dal P.O.H. con quelli dell'«Azione programmata minori» contenuta nel Piano socio-assistenziale.

 

     Obiettivo n. 6: Potenziamento nelle zone carenti di corsi di formazione professionale, siano essi normali che speciali, fruibili da disabili e handicappati

     Il perseguimento di questo obiettivo mira, da un lato a consolidare la rete esistente dei corsi di prima formazione, sia normali sia speciali, dall'altro l'istituzione di tali momenti formativi in quelle zone parzialmente o totalmente carenti.

     Tutto ciò deve essere fatto nella logica che la prima formazione, soprattutto per i soggetti disabili e handicappati, per connotarsi quale reale strumento di politica attiva del lavoro, deve necessariamente valutare quali e quante professionalità richiede il mercato e, contemporaneamente, consolidare ed estendere la prassi del tirocinio formativo presso i luoghi lavoro come strumento di concreto apprendimento.

     Per le modalità di realizzazione di questo obiettivo si rimanda al piano triennale 1986/1988 della Formazione Professionale, ex L.R. 7 giugno 1980, n. 95.

 

     Obiettivo n. 7: n. 300 Inserimenti lavorativi

     Il P.O., nel considerare il lavoro quale una delle modalità più rilevanti per il raggiungimento di una reale integrazione sociale dei soggetti disabili e handicappati, assume come obiettivo del triennio la promozione di n. 300 inserimenti lavorativi.

     Affinché tali inserimenti si connotino come integrazione lavorativa, il P.O. si dà le seguenti priorità:

     1) contribuzione per gli oneri sociali e per l'adeguamento dei beni strumentali laddove si sta concretamente instaurando un rapporto di lavoro a tempo indeterminato (inserimento). Questa contribuzione ha però durata limitata nel tempo (fino ad un massimo di due anni) e viene a cessare allorché si raggiunge lo stato di integrazione lavorativa;

     2) contribuzione per gli oneri derivanti da interventi propedeutici (es. tirocini aziendali, progetti di formazione-lavoro) all'inserimento lavorativo, limitatamente al periodo di durata di tale interventi;

     3) contribuzione per oneri derivanti da altri tipi di iniziative (es. borse lavoro) purché si trasformino in tempi brevi in inserimento lavorativo.

     Completano l'orizzonte degli obiettivi necessari alla

razionalizzazione e allo sviluppo della rete dei servizi esistenti 3 obiettivi specificatamente connessi all'esigenza di sperimentare, in tre diversi ambiti di intervento che non hanno verificato finora la presenza delle politiche socio-assistenziali regionali, nuove modalità di intervento eventualmente generalizzabili.

     Con questo tipo di realizzazioni si predispongono risposte adeguate ed efficaci ai bisogni di:

     - assistenza diurna a soggetti in età evolutiva portatori di handicap così gravi che le normali agenzie educativo-formativo, da sole, non sono in grado di rispondervi (C.S.E. per piccoli in ambiente scolastico);

     - di assistenza residenziale per soggetti in età evolutiva con handicap neuro-psichici (comunità terapeutica psico-socio-educativa per l'infanzia e l'adolescenza).

     - di integrazione lavorativa e sociale per quei soggetti non in grado di esprimere, dal punto di vista produttivo, la propria operatività nei tempi e nei modi previsti e standardizzati.

     Per quanto riguarda sia i fondamenti teorici generali che sottostanno alle attività sperimentali sia le modalità di definizione dei progetti di sperimentazione si rimanda al Piano socio-assistenziale (paragrafo 4.3: il Sistema Informativo socio-assistenziale).

     Obiettivo n. 8: Apertura di n. 6 C.S.E. in ambiente scolastico

     La collocazione di questa unità d'offerta sperimentale, sia che si organizzi come sezione per piccoli di un C.S.E. o venga istituita autonomamente, deve avvenire obbligatoriamente all'interno di un edificio scolastico, in quanto deve garantire forme particolarmente accentuate di integrazione tra le componenti scolastiche, medico-specialistiche, socio- assistenziali e le famiglie di appartenenza.

     L'organizzazione scolastica che meglio garantisce le condizioni favorevoli al successo delle strategie mirate su questa peculiare utenza è la scuola a tempo pieno. Essa di fatti si fonda su moduli, metodologie, e tecniche educativo-formative sulle quali ben si può innestare la specificità progettuale del C.S.E. per piccoli.

     Il P.O., nel prevedere l'istituzione di n. 6 C.S.E. «piccoli», intende localizzare obbligatoriamente in quelle U.S.S.L. in cui vi sia una consistente concentrazione di tale bisogno e adeguate condizioni che favoriscano il raggiungimento delle mete socio-educative individuate.

 

     Obiettivo n. 9: Apertura di n. 10 comunità terapeutiche psico-socio- educative per minori con disturbi neuropsichici

     Il P.O. individua in questo tipo di unità d'offerta la sede idonea al trattamento di bambini e adolescenti con disturbi neuropsichici che necessitano di interventi globali socio-sanitari integrati da attivare in forma residenziale.

     Per il raggiungimento di tale obiettivo si rinvia al programma triennale di neuropsichiatria, già definito e in via di approvazione.

 

     Obiettivo n. 10: n. 4 progetti lavoro part-time/utilizzo mirato di tempo libero

     Il P.O. intende realizzare questo obiettivo a favore di quei soggetti capaci di svolgere mansioni nel ciclo produttivo, ma che non sono in grado di esprimere la propria operatività nei tempi e nei modi previsti e standardizzati.

     La sperimentazione concerne pertanto l'integrazione lavorativa a tempo parziale di questi soggetti e la ricerca di opportunità d'impiego del tempo libero, non occasionali, ma inserite in una complessiva progettazione mirata.

     Nel triennio il P.O. intende sostenere n. 4 progetti in 4 U.S.S.L., nelle quali vi siano già inserimenti lavorativi in atto e esista un insieme di risorse di tipo aggregativo, ricreativo, di tempo libero in genere, strutturate o meno.

 

MIGLIORARE LA QUALITA' DELLE PRESTAZIONI

 

     Obiettivo n. 11: Miglioramento rapporto personale/utenti attraverso l'adeguamento agli standard gestionali

     Rispetto alla finalità generale «migliorare la qualità delle prestazioni», il raggiungimento di questo obiettivo riveste una indubbia rilevanza.

     Il P.O. pertanto intende realizzare migliori rapporti personale/utenti procedendo, nel triennio, attraverso fasi di adeguamento allo standard ottimale, quest'ultimo contenuto nella normativa tecnica strutturale e gestionale allegata al P.S.A.

     Per quanto riguarda le modalità di attuazione di tale obiettivo si fa rimando al paragrafo 2.5.4 «Tempi e modalità di adeguamento agli standard».

 

     Obiettivo n. 12: Aumento della quota regionale di finanziamento sanitario e socio-assistenziale per la rete dei C.S.E. e dei C.R.

     Per il perseguimento di questo obiettivo, il P.O. assume quali primi riferimenti fondamentali, facendoli propri, le indicazioni stabilite dal Consiglio Regionale in ordine al ricepimento dell'atto di indirizzo governativo emanato con D.P.C.M. 8 agosto 1985.

     Tale atto, individuando e quantificando tra le prestazioni quelle squisitamente sanitarie o socio-assistenziali, nonché quelle offerte da personale sociale ma aventi rilievo sanitario, stabilisce, in via transitoria, le quote imputabili ai fondi del Comparto Sanitario e del Comparto socio-assistenziale, rispettivamente per le prestazioni sanitarie e a rilievo sanitario e per quelle socio-assistenziali.

     Con l'entrata in vigore del Piano socio-assistenziale vengono definiti gli standard gestionali e strutturali necessari alla riclassificazione della rete delle unità d'offerta esistenti, vengono altresì individuate le strutture integrate e, al loro interno, le prestazioni a rilievo sanitario assicurate da personale socio-assistenziale, i cui oneri, in quota parte, devono gravare sul fondo sanitario regionale, così come le prestazioni e funzioni sanitarie e riabilitative. Le scelte dell'Amministrazione Regionale devono comunque essere univoche per tutte le istituzioni che trattano handicappati gravi e gravissimi.

     Non sarà però possibile, nell'immediato, realizzare questo obiettivo totalmente, poiché ciò potrà avvenire solo quando la rete dei C.S.E. e C.R. sarà completamente adeguata agli standard.

 

     Obiettivo n. 13: Piano della formazione del personale

     La rete dei servizi socio-assistenziali integrati ospitanti handicappati dovrà disporre, così come previsto negli standard, di tre diverse tipologie di personale: educatori, ausiliari socio-assistenziali e infermieri professionali (presenti prevalentemente in strutture per gravi).

     Il P.O. assume come obiettivo la formazione di nuove unità di personale nonché la riqualificazione e l'aggiornamento di quelle già in servizio.

     Per il perseguimento di tale obiettivo si rimanda al Piano socio- assistenziale (paragrafo 4.3 «Il Piano della Formazione») e a quello sanitario.

 

MIGLIORARE LA QUALITA' DELLE FRUIZIONI

 

     Obiettivo n. 14: Costituzione e utilizzo delle informazioni dell'archivio automatizzato ausili (SIVA) nonché supporto tecnico

     Il P.O. prevede di utilizzare le qualificate competenze tecniche del «Servizio Informazioni e Valutazioni Ausili» (SIVA) esistente presso la Fondazione Pro-Juventute don Gnocchi di Milano ed operante in collaborazione con il Centro Bioingegneria del Politecnico.

     Attraverso lo strumento del convenzionamento, dovranno essere resi i seguenti servizi:

     - archivio automatizzato contenente tutti gli ausili per i disabili, prodotti o commercializzati in Italia, e collegamento di tale archivio con le U.S.S.L. al fine di facilitare la scelta dell'ausilio più opportuno per ogni disabile;

     - determinazione dei criteri per l'omologazione degli ausili;

     - realizzazione di una esposizione permanente degli ausili aperta agli Enti ed agli operatori del settore;

     - supporto tecnico al personale delle U.S.S.L. che lavora nel settore.

     Per la realizzazione di tale obiettivo si rinvia alla deliberazione della G.R. 4/5291 del 29 gennaio 1986 (Programmi di utilizzazione delle quote del F.S.N. con vincolo di destinazione: art. 17 L. 22 dicembre 1984, n. 887 e diritti 6 e 8 D.M. 9 luglio 1985).

 

     Obiettivo n. 15: Eliminazione delle barriere

     Il P.O., nell'assumere tale obiettivo, intende intervenire per eliminare le barriere fisiche, anche di ostacolo alla percezione, acquisito il fatto che il progetto medesimo si fonda su un impianto concettuale finalizzato al superamento della barriere «culturali».

     Per il raggiungimento di tale obiettivo, il P.O. promuove l'eliminazione delle barriere:

     - attraverso l'attuazione della emananda Legge Regionale all'oggetto «Norme sulla eliminazione delle barriere architettoniche e localizzative», la cui finalità è quella di promuovere il pieno sviluppo della persona rimuovendo ogni ostacolo che limita di fatto l'esercizio dell'attività autonoma dei cittadini nei servizi di pubblica utilità, nell'edilizia residenziale pubblica, negli spazi ed edifici pubblici o aperti al pubblico, o di interesse sociale;

     - attraverso la programmazione zonale (art. 34, L.R. 7 gennaio 1986, n. 1) agendo sugli edifici destinati ad uso abitativo;

     - attraverso l'adeguamento a standard delle strutture specificamente socio-assistenziali (P.O. riconversione delle strutture socio- assistenziali).

 

MIGLIORARE LA QUALITA' DELLE CONOSCENZE

 

     La finalità di miglioramento della qualità delle conoscenze è propria del P.O. ma anche del Piano socio-assistenziale, il quale al paragrafo n. 4.3 «Il Sistema Informativo» dedica una parte al Piano delle ricerche di carattere sociale. Lo scopo precipuo è quello di incrementare un insieme di ricerche focalizzate alla raccolta di tutti quel dati che, fornendo conoscenze puntuali su importanti aspetti di bisogno sociale, risultino utili a livello regionale per svolgere le funzioni di pianificazione e programmazione.

     All'interno di tale piano delle ricerche si colloca significativamente fra le indagini relative all'area dell'handicap, il progetto di «Osservatorio» volto a conoscere dettagliatamente, e su scala regionale il bisogno complessivo di questa popolazione. Tale progetto prevede come prima fase il censimento dell'handicap.

 

     Obiettivo n. 16: Censimento handicap anche attraverso l'istituzione dell'anagrafe dinamica in ogni U.S.S.L.

     La predisposizione di un programma di interventi volto a sanare il disordine e le carenze esistenti nel sistema sanitario e sociale per quanto riguarda i problemi da menomazione e conseguente disabilità e/o svantaggio esistenziale, esige una adeguata conoscenza epidemiologica delle minorazioni invalidanti e cioè della frequenza secondo cui esse compaiono e sono presenti nella popolazione (tassi di incidenza e di prevalenza). Ma anche su questo terreno ci si trova attualmente di fronte ad una informazione estremamente limitata e confusa a causa:

     a) della molteplicità e della varietà delle definizioni adottate in campo biomedico nei confronti dei diversi tipi di minorazione e della confusione terminologica che grava in questo settore rispetto alle fasi evolutive del processo invalidante.

     b) della pluralità e della varietà delle sedi e delle strutture in cui si attuano il riconoscimento delle menomazioni e gli interventi suppletivi o compensativi.

     Per perseguire l'obiettivo del censimento dei soggetti handicappati, il P.O. intende prioritariamente istituire l'anagrafe dinamica di questi soggetti in ogni U.S.S.L. Per anagrafe dinamica si intende l'insieme del maggior numero possibile di informazioni riguardanti soggetti classificabili secondo le definizioni dell'O.M.S. Tali informazioni non sono però «statiche», ma vengono via via aumentate e aggiornate in continuazione, poiché segnano il percorso esistenziale del soggetto.

     Allo stato attuale, le informazioni disponibili sono reperibili attraverso:

     - le strutture sanitarie (ad es. gli ospedali, i consultori, i centri di riabilitazione, ecc.) per quanto riguarda, ad esempio: menomazioni congenite comparenti alla nascita o nei primi anni di vita, menomazioni conseguenti a lesioni di lavoro, da accidenti e da incidenti occasionali, menomazioni prodotte da interventi chirurgici demolitivi, stati di disabilità in riabilitazione funzionale, ecc.;

     - le Commissioni di accertamento dell'invalidità che provvedono al riconoscimento del grado di invalidità, ai fini, ad esempio, delle provvidenze economiche e/o protesiche;

     - la rete dei servizi socio-assistenziali integrati che ospitano e trattano soggetti disabili o handicappati;

     - la rete delle agenzie educativo-formative (ad esempio scuola, formazione professionale, ecc.) in cui sono inseriti disabili o handicappati;

     - i distretti, laddove essi esistono, e i servizi sociali dei Comuni ai quali arriva direttamente l'utenza;

     - ogni altra sede alla quale si rivolga questa tipologia d'utenza (ad esempio Amministrazioni Provinciali, Associazioni, ecc.).

     Tutte queste informazioni dovranno essere selezionate e razionalizzate, nonché debitamente archiviate (banca dati): ciò costituirà l'anagrafe dinamica. Tale istituzione sarà il primo fondamento del censimento handicap, i cui criteri verranno poi determinati dal livello regionale, sulla base di tutti i dati (e relative modalità di raccolta e organizzazione) provenienti da tutte le anagrafi dinamiche delle U.S.S.L.

     E' evidente che l'obiettivo verrà del tutto realizzato allorché sarà stato avviato e ultimato il censimento handicap, attraverso il quale si potrà disporre di informazioni completamente esaustive anche rispetto alla domanda latente di questo segmento di popolazione.

 

     3.3 Risorse per il perseguimento degli obiettivi

     Gli obiettivi e le attività previste dal presente progetto comportano tutta una serie di oneri che devono trovare i corrispondenti flussi di finanziamento per non incorrere nello scadimento del progetto a mera esortazione.

     Fermo restando che la quantificazione degli oneri non è completamente definibile e definita, preme sottolineare in questo paragrafo la struttura logica e le modalità teoriche di incrocio tra attività previste e finanziamenti possibili.

     A tal fine, nello schema seguente, vengono specificamente correlati obiettivi e flussi finanziari.

 

     Schema

     (Omissis)

 

 

ALLEGATO N. 2

 

Normativa tecnico-edilizia e gestionale per le strutture e i servizi socio-

assistenziali

 

- STRUTTURE PROTETTE:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CASE DI RIPOSO:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CENTRI DIURNI PER ANZIANI

Standard gestionali

Standard strutturali

- ASSISTENZA DOMICILIARE:

Standard gestionali

- CENTRI SOCIO EDUCATIVI PER HANDICAPPATI:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI:

Standard gestionali

Standard strutturali

- COMUNITA' ALLOGGIO:

Standard gestionali

Standard strutturali

- ISTITUTI EDUCATIVO ASSISTENZIALI PER MINORI:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CENTRI DI PRONTO INTERVENTO:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CENTRI DI AGGREGAZIONE GIOVANILE:

Standard gestionali

Standard strutturali

- CASE DI VACANZA E CAMPEGGI:

Standard gestionali

Standard strutturali (casa di vacanza)

Standard strutturali (campeggi)

- CENTRI RICREATIVI DIURNI:

Standard gestionali

Standard strutturali

- ASILI NIDO:

Standard gestionali

Standard strutturali

 

 

STRUTTURE PROTETTE

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Le strutture protette sono residenze collettive che forniscono agli ospiti anziani, in condizioni di gravi deficit o totalmente non autosufficienti, interventi di protezione assistenziale e abitativa nonché adeguati interventi sanitari e riabilitativi.

     L'assistenza e la cura hanno luogo in case protette o in reparti protetti, di ridotte dimensioni, nelle case di riposo.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari della struttura protetta persone anziane affette da grave deficit, tale da non consentire il compimento di atti di attività elementari, nei casi in cui la famiglia od altri servizi non possono adeguatamente provvedere. Possono essere destinatari delle strutture protette o dei reparti protetti anziani portatori di patologie psichiatriche di preminente interesse socio-assistenziale, che per motivi diversi non possono essere reinseriti nella famiglia o nel contesto sociale di provenienza. Essi comunque non devono superare il 10% del numero complessivo degli ospiti.

 

     3. Ammissioni

     L'invio alla struttura protetta direttamente gestita dall'U.S.S.L. o convenzionata è proposto dall'unità operativa di II livello del servizio di assistenza sociale dell'U.S.S.L. integrato da apporti specialistici provenienti dal servizio di medicina specialistica dell'U.S.S.L. (fisiatria-geriatria), previa certificazione del medico di fiducia dell'assistito, constatato che le condizioni psicofisiche del soggetto e la situazione familiare e socio-ambientale sono tali da non permettergli di permanere nel proprio domicilio temporaneamente o definitivamente.

     L'accoglimento da parte della struttura avviene sulla base delle disposizioni contenute nella convenzione e comunque previo accertamento delle condizioni dell'anziano da parte del responsabile sanitario della struttura.

     E' richiesto comunque l'assenso dell'interessato, salvo i casi di incapacità previsti dalla legge.

 

     4. Capacità ricettiva

     La struttura protetta di nuova realizzazione deve avere un minimo di 60 p.l., ma non deve superare i 150 p.l. Eventuali deroghe a tali limiti (comunque entro la soglia massima di 250/300 p.l. e minima di 30 p.l.) possono essere autorizzate per le strutture già funzionanti, solo previa verifica del fabbisogno complessivo della zona, della densità demografica e delle condizioni geomorfologiche della zona, dei possibili bacini di utenza.

     Solo nel caso in cui la struttura protetta si configuri come reparto protetto di una casa di riposo si richiede che il numero minimo dei p.l. non sia inferiore a 15.

 

     5. Funzionamento

     La struttura protetta ha funzionamento permanente nell'arco delle 24 ore, per l'intera settimana e per tutto l'anno.

 

     6. Attività

     Il personale socio-sanitario delle strutture protette garantisce primariamente il dignitoso soddisfacimento dei bisogni primari ed assistenziali, sopperendo alle difficoltà che la persona ospite incontra nel provvedere con propria iniziativa.

     La struttura e l'organizzazione dell'ambiente devono avere le caratteristiche generali e particolari che rendono lo stesso un gradevole ambiente di vita, fruibile anche da persone con autonomia e autosufficienza notevolmente ridotte.

     L'animazione della giornata deve essere tale da soddisfare il bisogno e la capacità di rapporto sociale.

     Devono essere inoltre attivati tutti gli interventi possibili, avvalendosi anche dell'insieme delle offerte presenti sul territorio, volti alla stimolazione ed alla promozione della persona.

     In particolare si possono individuare sei aree di prestazioni primarie da assicurare agli ospiti:

     - alimentazione;

     - mobilizzazione;

     - eliminazione (evacuazione);

     - igiene;

     - bisogni sanitari;

     - protezione;

     Il soddisfacimento dei bisogni sanitari viene garantito mediante l'erogazione di prestazioni sanitarie di base e specialistico/riabilitative che oltre a curare gli eventi morbosi ricorrenti prevengono la loro insorgenza e ritardano l'evoluzione degli stati morbosi cronici. Tale assistenza sanitaria viene fornita da infermieri, terapeuti della riabilitazione, personale medico-generico e specialistico. Le restanti 5 aree di prestazioni primarie, unitamente alla pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi ed attrezzature dell'ospite, costituiscono le attività di «assistenza diretta» all'anziano di natura integrata assistenziale e a rilievo sanitario e vengono fornite dall'ausiliario e/o operatore socio-assistenziale.

 

     7. Personale

     Ogni struttura protetta ha un responsabile della programmazione e della organizzazione delle attività che si svolgono all'interno della struttura nonché del loro coordinamento con gli altri servizi e della verifica e controllo di gestione dei programmi attuati.

     Nel caso di struttura protetta gestita dall'U.S.S.L. il direttore è nominato dal Comitato di gestione, sentito il Comitato di coordinamento dei sindaci, tra il personale in possesso dei requisiti manageriali tecnici e professionali coerenti con l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Nel caso in cui la struttura protetta si configuri come reparto di una casa di riposo, il responsabile di quest'ultima lo è anche per il reparto protetto.

     Nella struttura protetta si prevedono le seguenti figure professionali:

     A) Ausiliario e/o operatore socio-assistenziale: presta assistenza diretta alla persona, ivi compresa l'effettuazione della pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi ed attrezzature dell'ospite e fornisce prestazioni igienico-sanitarie di semplice attuazione, in qualche modo a confine tra l'area sanitaria e socio-assistenziale, e pertanto da definirsi a rilievo sanitario: ciò comporta attività non legate a situazioni di rischio specifico e non separabili da un'attività integrata di assistenza alla persona, in quanto essenziali all'attuazione del programma assistenziale (esempio: massaggi e frizioni per prevenire le piaghe da decubito, mobilizzazione dell'utente, collaborazione ad attività di tipo infermieristico o sanitario).

     B) Animatore: promuove attività di animazione e di ricreazione nonché di mantenimento degli interessi specifici degli ospiti e di prevenzione del decadimento psicofisico, in stretto collegamento con l'Ass. Sociale.

     C) Assistente sociale: presta interventi di natura socio-assistenziale volti alla soluzione di problemi che si evidenziano o nascono in concomitanza con il ricovero e al migliore utilizzo delle risorse presenti nella struttura e sul territorio, con particolare riferimento alla famiglia e all'ambiente di provenienza al fine di evitare l'emarginazione dell'anziano; collabora a promuovere attività partecipative degli ospiti.

     D) Esecutori, operatori ed ausiliari: addetti ai servizi generali (es. pulizie generali e straordinarie, cucina, lavanderia, stireria, guardaroba, centralino, portineria, manutenzione ecc.).

     E) Infermiere: fornisce prestazioni di assistenza diretta e le prestazioni igienico-sanitarie che comportino una precisa responsabilità in ordine a rischi specifici e che siano predeterminabili e programmabili in modo autonomo rispetto al programma socio-assistenziale globale. Può svolgere compiti di coordinamento ed organizzazione di un reparto o di una unità assistenziale.

     F) Terapista della riabilitazione: fornisce le necessarie prestazioni riabilitative secondo la patologia degli ospiti al fine di prevenire l'insorgenza di disabilità, ritardarne l'evoluzione in cronicità, migliorare la residua capacità del soggetto.

     G) Medico: responsabile dell'organizzazione delle attività sanitarie preventive, curative e riabilitative all'interno della struttura, dell'igiene ambientale, delle diagnosi e delle terapie.

     H) Personale amministrativo.

 

     8. Standard di personale

     Lo standard di personale viene espresso dal rapporto personale/anziani non autosufficienti assistiti calcolato sulla base dei seguenti parametri:

     a) ore di lavoro giornaliere mediamente una unità di personale assunta a tempo pieno presta la propria attività su 365 giorni l'anno per 4 ore al giorno. Tale dato risulta dal seguente calcolo: 36 h settimanali X 52 settimane = 1872 ore annue, convenzionalmente ridotte a n. 1460 h effettive di lavoro tenuto conto dei periodi di ferie, festività soppresse, festività infrasettimanali, recuperi, malattie, 1460 h : 365 = 4 h/giorno;

     b) tempi medi di prestazioni richieste per soddisfare le esigenze di assistenza diretta all'ospite tenuto conto dei diversi gradi di non autosufficienza degli ospiti e della loro incidenza all'interno della struttura.

     I rapporti numerici personale/anziani non autosufficienti definiti per le varie figure professionali possono ovviamente subire variazioni in relazione:

     - agli orari del rapporto di lavoro personale dipendente (personale a tempo pieno, a tempo parziale);

     - alla presenza di personale convenzionato (compreso i volontari) e di personale religioso, tenuto conto delle ore di servizio effettivamente prestate dallo stesso.

     In ogni caso devono comunque essere garantiti i minuti giornalieri di assistenza richiesti per ogni ospite non autosufficiente.

     Lo standard indicato si riferisce al personale in servizio: l'organizzazione dei turni di presenza del personale è di competenza delle singole strutture; deve comunque essere garantita l'erogazione delle necessarie prestazioni nell'arco delle 24 h nel rispetto di un ordinato ritmo di vita degli ospiti.

     Ausiliario e/o operatore socio-assistenziale

     Tenuto conto della necessità di 100 minuti al giorno di «assistenza diretta» all'anziano non autosufficiente come definito in precedenza (prestazioni relative all'alimentazione, mobilizzazione, igiene personale, eliminazione, protezione e pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi ed attrezzature dell'ospite) lo standard di tale operatore si quantifica nel rapporto 1 ausiliario ogni 2,5 ospiti non autosufficienti.

     Infermiere

     Le attività di assistenza infermieristica specifica (es. medicazioni, terapia orale/iniettiva, terapia infusionale) e di sorveglianza infermieristica degli ospiti possono essere mediamente quantificate in 20 minuti al giorno per ogni anziano non autosufficiente. Lo standard di tale operatore si quantifica nel rapporto 1 infermiere ogni 12 ospiti non autosufficienti, garantendo la copertura delle 24 ore.

     La copertura della fascia orario notturna può essere assicurata, nelle strutture di ridotte dimensioni, mediante la pronta reperibilità infermieristica o l'organizzazione all'interno della struttura del servizio di guardia medica. Qualora inoltre (a seconda delle singole modalità organizzative) la copertura della fascia oraria notturna richieda un numero di infermieri superiore allo standard indicato, alle unità di personale infermieristico eccedente potrà corrispondere una proporzionale riduzione degli ausiliari addetti all'assistenza diretta, facendo in tal modo concorrere parte dell'attività resa dall'infermiere nel calcolo dei 120 minuti di assistenza diretta da garantire ad ogni anziano non autosufficiente.

     Medico

     Prevedendo mediamente per ogni anziano non autosufficiente una visita generale al mese, una visita settimanale, ed un controllo bisettimanale unitamente all'impegno settimanale per riunioni di équipe, colloquio con i parenti, gestione farmaci e rapporti con strutture sanitarie esterne, lo standard del personale medico si quantifica in 36 ore settimanali di medico (cioè 1 medico a tempo pieno) ogni 60 ospiti non autosufficienti. La struttura deve comunque garantire la reperibilità costante di personale medico in caso di necessità.

     A seconda del bisogno dell'ospite deve essere assicurato il necessario apporto medico-specialistico di norma da parte del competente servizio di medicina specialistica dell'U.S.S.L. Si ritiene inoltre opportuna la consulenza di un dietista.

     Terapista della riabilitazione

     Prevedendo che mediamente il 10% degli ospiti non autosufficienti abbisogna di trattamenti riabilitativi individualizzati con durata media di 45 minuti, mentre in altri casi sono sufficienti sedute di piccolo gruppo, o non è richiesta specifica terapia riabilitativa, lo standard di terapisti della riabilitazione può quantificarsi in un terapista ogni 40 ospiti non autosufficienti.

     In tale area di intervento riveste essenziale importanza la formulazione di un programma riabilitativo da parte del fisiatra, alla realizzazione del quale concorrono, oltre alla specifica competenza del fisioterapista, anche gli apporti del medico, dell'infermiere e dell'ausiliario.

     Assistente sociale e animatore

     Si ritiene necessario che all'interno della struttura vengano garantite le prestazioni dell'assistente sociale, preferibilmente messa a disposizione dall'U.S.S.L. o dagli Enti locali, nonché le prestazioni dell'animatore anche mediante l'utilizzo di organizzate forme di volontariato.

     La struttura deve inoltre garantire razionali ed efficienti servizi di:

     - cucina;

     - lavanderia;

     - portineria;

     - centralino;

     - manutenzione impianti;

     - servizi amministrativi;

     utilizzando personale dipendente, convenzionato o mediante appalti a ditte esterne. Si ritiene che il costo complessivo di tali servizi (comprese le spese generali dell'acquisizione dei relativi beni e servizi) non debba di norma superare il 40-45% del costo totale della struttura.

 

STRUTTURE PROTETTE

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi Collettivi:

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     b) ambulatorio

4.2 Spazi di Collegamento:

     a) atrio di ingresso e piattaforme di distribuzione

     b) spazio per l'accoglimento ingresso e centralino telefonico

     c) corridoi e disimpegni

     d) scale

4.3 Nuclei abitativi:

     a) camere a uno, due, tre o quattro letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) servizi igienici comunitari

     d) locale biancheria sporca

     e) cucinino

     f) locale di servizio medico

     g) locale pranzo

     h) locale soggiorno

     i) ripostiglio

4.4 Servizi generali:

     a) uffici

     b) camera mortuaria

     c) spogliatoi con servizi igienici per il personale

     d) cucina

     e) lavanderia/stireria/guardaroba

     f) magazzini e depositi

     g) locali per servizi tecnici

5. IMPIANTI:

     a) anticendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) ossigeno

     e) riscaldamento

     f) citofonico o di segnalazione

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI E ATTREZZATURE

8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere più possibile varia, completa e organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - i servizi di riabilitazione;

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10, D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     [*] I vari piani della struttura non devono presentare variazioni di livello, né tanto meno gradini al loro interno. In caso contrario questi devono essere superati mediante rampe; [*] è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     4.1 Spazi collettivi

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     Deve essere aperta alla popolazione anziana e non anziana del centro di insediamento, per la prevenzione e la rieducazione funzionale e motoria.

     [*] Il locale deve avere una superficie di almeno 60 mq. [*] e la lunghezza del lato minor non deve essere inferiore a m. 6,00. In prossimità della palestra devono essere ubicati il locale spogliatoio, i servizi igienici, l'ambulatorio medico e il ripostiglio per le attrezzature.

     Le palestre devono contenere attrezzature idonee (vedi voce attrezzature).

     b) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno e in prossimità della palestra [*] deve essere previsto un ambulatorio medico [*] con superficie minima di mq. 20 per visite e medicazioni. E' da prevedere un annesso spazio di attesa e un servizio igienico.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     4.2 Spazi di collegamento

     a) ingresso e piattaforme di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere di mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (vedi art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) spazio di accoglimento ingresso e centralino telefoni

     E' opportuno prevedere un vano accanto all'ingresso per accogliere il portiere e/o centralinista.

     c) corridoi e disimpegni

     [*] Nelle nuove costruzioni la larghezza minima dei corridoi e dei passaggi deve essere di m. 2,00. Nelle ristrutturazioni, la larghezza minima deve essere di m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti, che ne diminuiscano la larghezza e siano fonti di pericolo.

     I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate possibilmente mediante rampe. (vedi art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384)

     [*] I corridoi devono avere i corrimani su ambedue i lati con le testate piegate sino al muro per non costituire pericolosi agganci. [*]

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di m. 0,90 da terra, deve essere sicuro alla presa, preferibilmente avere una sezione circolare di diametro di circa cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     d) scale

     [*] Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli altri spazi mediante una porta. [*]

     Le rampe di scale devono preferibilmente avere lunghezza uguale ovvero contenere lo stesso numero di gradini.

     I pianerottoli intermedi devono avere una profondità di almeno m. 1,60.

     Le rampe delle scale non devono avere più di dieci gradini ed è opportuno che siano staccate di cm. 30 e sfalsate di un gradino per ottenere la continuità del corrimano.

     La larghezza delle rampe deve essere di almeno m. 1,20 per permettere il contemporaneo passaggio di due persone.

     I gradini delle scale devono avere:

     pedata minima cm. 30

     alzata massima cm. 16

     Il profilo del gradino deve presentare preferibilmente un disegno continuo a spigoli arrotondati, con sottogrado inclinato rispetto al grado, e formante con esso un angolo di circa 75°-80°.

     Il primo gradino della scala deve essere arretrato di almeno cm. 60 dal filo del corridoio o dello spazio nel quale si immette per evitare il pericolo di cadute a persone e carrozzelle; inoltre non deve essere di fronte all'uscita dell'ascensore.

     [*] Non sono accettabili gradini a zampa d'oca.

     Le scale devono essere dotate di parapetto e corrimano. [*]

     Il parapetto che costituisce la difesa verso il vuoto deve avere un'altezza minima di m. 1,00.

     Il corrimano appoggiato al parapetto non deve presentare soluzioni di continuità nel passaggio tra una rampa di scale e la successiva.

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di 0,90 m., ed essere posizionato su ambedue i lati della scala.

     Deve essere sicuro alla presa, preferibilmente con sezione circolare di diametro circa di cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete.

     Il corrimano deve prolungarsi oltre il primo e l'ultimo gradino di almeno 30 cm.

     E' opportuno prevedere un cordolo o scamillo di altezza di cm. 15-20 sul quale inserire la ringhiera.

     In ogni caso non devono essere lasciati spazi liberi tra gradini e ringhiera, al fine di evitare la fuoriuscita dei piedi in caso di cadute. (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     4.3 Nuclei abitativi

     Per nucleo abitativo si intende l'insieme di spazi individuali (camere da letto e servizi igienici) e semicollettivi (servizi igienici comunitari, cucinino, locale pranzo e locale soggiorno) a carattere peculiarmente residenziale.

     [*] Ad ogni piano possono essere previsti uno o più nuclei abitativi e in nessun caso un nucleo abitativo può essere distribuito su due piani.

     Di seguito è riportata l'articolazione distributiva di detto nucleo prendendo come capacità di riferimento 30 posti letto.

     Detta capacità ricettiva del nucleo deve essere il modello di riferimento nel caso di nuove costruzioni.

     Nel caso di ristrutturazione la capacità ricettiva del nucleo è determinata in rapporto alla superficie utile di ogni piano, ma non deve essere superiore a 45 posti letto, né inferiore a 12/15 posti. [*]

     a) camere da letto

     [*] Le camere da letto devono avere due, tre o quattro posti letto; deve essere prevista una camera a 1 letto ogni 30 posti letto, da destinare solo a utenti bisognosi di isolamento o in stato terminale.

     Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     mq. 10 per la camera a 1 letto;

     mq. 16 per le camere a 2 letti;

     mq. 22 per le camere a 3 letti;

     mq. 28 per le camere a 4 letti.

     In fase di progettazione si deve tener conto anche degli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro. Detti spazi non devono essere inferiori a cm. 70. [*]

     Se nella stanza è prevista la presenza di persone in sedia a ruote, gli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro non devono essere inferiori a cm. 95. Si devono inoltre prevedere opportuni spazi di manovra.

     Per la rotazione di 360° di una sedia a ruote è necessario uno spazio la cui superficie sia pari a quella di un cerchio di diametro di m. 1,70; mentre per una rotazione di 180° è necessario uno spazio minimo di m. 1,40 X m. 1,80.

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - tavolino/i con sedia/e o poltroncina/e;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     Le misure consigliate sono:

     letto:

     - per validi altezza cm. 45;

     - per motulesi altezza cm. 60;

     tavolo:

     - altezza per validi cm. 78;

     - altezza per motulesi cm. 80/83;

     sedia:

     - altezza sedile cm. 45;

     poltroncina:

     - altezza sedile cm. 40/45. Le poltroncine devono essere munite di braccioli per facilitare l'anziano ad alzarsi e sedersi;

     armadio:

     - tubo appendiabiti per validi altezza cm. 170;

     - tubo appendiabiti per motulesi altezza cm. 150;

     - piano più alto per validi altezza cm. 170;

     - piano più alto per motulesi altezza cm. 135;

     - piano più basso altezza cm. 30.

     In tutte le camere la disposizione dei letti deve essere con la testata a muro in modo che l'ospite possa essere servito dai due lati.

     Nella camera a 4 letti è preferibile che i letti si fronteggiano due a due in modo che gli ospiti si possano vedere e parlare con facilità.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] Nelle nuove costruzioni deve essere previsto almeno un servizio igienico ogni quattro utenti, collegato con le camere da letto tramite un antibagno. In caso di ristrutturazione, ove non sia possibile, per dimostrati fattori tecnici, realizzare servizi igienici collegati direttamente con le camere, e questi vengano concentrati in alcuni punti, deve essere comunque rispettato il rapporto numerico di un servizio igienico al massimo ogni quattro utenti. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di areazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla areazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce e arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un bidet e una doccia.

     [*] Nelle nuove costruzioni le dimensioni minime dei servizi igienici devono essere di m. 1,80 X 2,20.

     In caso di ristrutturazione, le dimensioni dei servizi igienici devono essere tali da consentire agevoli movimenti anche ad utenti in carrozzina. [*]

     Il lavabo deve essere sostenuto in modo sicuro, perché l'anziano possa appoggiarsi con tutto il peso, avere l'altezza del bordo superiore a cm. 80, essere abbastanza grande per ridurre lo spargimento dell'acqua sul pavimento.

     Il rubinetto deve essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti e preferibilmente del tipo a croce o a leva; la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento all'uso e preferibilmente essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavabo.

     Il vaso deve avere un'altezza di circa cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile sia con un basamento in muratura sia con particolari assi.

     E' opportuno prevedere un maniglione a muro, montanti verticali o appoggi di comodo al fine di agevolare i movimenti all'anziano. In prossimità del vaso deve essere previsto il campanello elettrico del tipo a cordone.

     Il bidet deve avere un'altezza di cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile con un basamento in muratura. E' opportuno prevedere un maniglione a muro o un montante verticale per agevolare i movimenti dell'anziano.

     [*] Il piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la soprastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     La doccia deve essere dotata di un apposito seggiolino ribaltabile e di un erogatore d'acqua del tipo a telefono montato su una asta verticale che ne consenta il funzionamento a diverse altezze; la rubinetteria deve essere posta ad un'altezza di cm. 90.

     I servizi igienici di pertinenza delle camere da letto non devono contenere le vasche da bagno, in quanto esse possono risultare pericolose e scomode.

     In caso di ristrutturazione, le vasche già installate devono essere dotate di maniglioni, impugnature e montanti per facilitarne l'utilizzo.

     Deve essere prevista la fornitura centralizzata di acqua calda.

     c) servizi igienici comunitari

     [*] Ogni 15 posti letto deve essere previsto ad ogni piano un apposito locale per i bagni assistiti.

     Tale locale deve essere attrezzato con una vasca da bagno isolata su tre lati, appoggiata cioè solo con una delle testate corte alla parete, in modo da permettere al personale di assistere adeguatamente gli ospiti. [*]

     E' opportuno per la sicurezza e la comodità del personale che il rivestimento perimetrale della vasca rientri di almeno cm. 15 alla base e per un'altezza pari a cm. 15. Detta vasca deve essere munita di tutte le attrezzature: maniglioni, lifter, ecc.

     Nel medesimo locale è da prevedere anche un vaso e un lavabo. Annessi a tale locale vanno previsti uno spazio per l'attesa e il riposo nonché un servizio igienico con lavabo e vuotatoio.

     d) locale biancheria sporca

     Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto un piccolo locale (meglio se areato) per il deposito della biancheria sporca.

     e) cucinino

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere prevista una piccola cucinetta [*] attrezzata con fornelletto, piccolo lavello e piccolo frigorifero, ove sia possibile preparare qualche bevanda calda particolarmente nelle ore notturne. La superficie minima deve essere di circa mq. 6/7.

     f) locale di servizio medico

     Per ogni nucleo abitativo è opportuno prevedere un locale da adibire a guardia, a deposito medicinali ed eventualmente a deposito per le cartelle cliniche, le cui dimensioni minime devono essere di mq. 9,00.

     E' da prevedere un annesso servizio igienico.

     g) locale pranzo

     Il locale pranzo, viene utilizzato da tutti coloro che, in relazione alle loro condizioni psicofisiche, riescono a consumare autonomamente i pasti; l'ospite deve essere comunque stimolato a svolgere tale funzione autonomamente.

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto un locale pranzo con una superficie di almeno mq. 1,5 per ogni ospite del nucleo. [*]

     Il locale deve contenere tavoli a 4 posti e sedie con braccioli.

     Il locale pranzo, fuori dagli orari dei pasti, può essere utilizzato come sala TV, previa adeguata risistemazione delle sedie e dei tavoli.

     h) locale soggiorno

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto un locale soggiorno con una superficie di almeno mq. 1,5 per ogni ospite del nucleo. [*] Tale locale deve contenere divani e poltrone rivestiti in materiale lavabile, tavoli bassi di appoggio e scaffali ove poter riporre riviste e quotidiani.

     i) locale ripostiglio

     [*] Per ogni nucleo abitativo è necessario prevedere almeno un locale per il deposito di attrezzature e materiale vario, ivi compreso quello di pulizia dei locali. [*]

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     4.4 Servizi Generali:

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative, di segreteria e l'ufficio per l'assistente sociale è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     [*] Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè camera mortuaria, spogliatoi con servizi igienici per il personale, cucina, guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva e alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto anticendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] Deve essere prevista l'installazione di un montalettighe per il trasporto degli ospiti. [*]

     In aggiunta (ma non in sostituzione del montalettighe) può essere prevista l'installazione di un ascensore con caratteristiche conformi all'art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, e i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili e azionabili; devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     Il livello di illuminazione deve essere il più possibile uniforme in tutti gli ambienti e generalmente superiore a quello normale. Le fonti luminose non devono abbagliare.

     d) impianto ossigeno

     La tipologia degli ospiti della struttura protetta può rendere opportuna l'installazione di un impianto per l'erogazione dell'ossigeno.

     [*] In tal caso la distribuzione deve essere effettuata con impianto centralizzato e le relative tubazioni devono essere ubicate in apposite e distinte sedi, facilmente ispezionabili, realizzate con accorgimenti atti ad evitare erronei collegamenti, e senza interferenze con altre reti.

     La centrale di distribuzione deve essere idoneamente ubicata e protetta contro l'eccessivo riscaldamento e le accidentali manomissioni.

     Il deposito dei contenitori di ossigeno deve avvenire in vano apposito e protetto e soddisfare tutte le prescrizioni di legge. [*]

     e) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature. In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda, più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     La temperatura dei locali utilizzati dagli ospiti deve essere superiore a quella stabilita per legge in via ordinaria, in relazione alle particolari necessità dei soggetti non deambulanti. Pertanto la temperatura ottimale deve essere di 24° C per i bagni e di 22° C per i restanti spazi fruiti dagli ospiti.

     f) impianto citofonico o di segnalazione

     [*] Le camere da letto, i servizi igienici e gli altri locali frequentati dagli ospiti devono essere dotati di particolari attrezzature di comunicazione (citofoni, campanelli) idonee e segnalare agli operatori o a chiunque sia addetto al controllo degli utenti le richieste di aiuto e assistenza. [*] Per il posizionamento e le altezze delle prese e dei dispositivi di comando si veda quanto precedentemente specificato al punto «impianto elettrico».

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella delle porte dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     Le maniglie di apertura devono essere preferibilmente del tipo a leva, con questa ripiegata fino quasi all'anta per non offrire appiglio agli indumenti.

     Le maniglie devono essere poste ad una altezza massima di cm. 90.

     Le porte e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura.

     Sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     E' utile prevedere su ogni porta uno zoccolo alto cm. 40, eventualmente rivestito di laminato o acciaio inox oppure eseguito con lo stesso materiale del pavimento, come ad esempio gomma o legno (vedi art. 12 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) finestre

     Il tipo di finestra consigliato è quello a doppio sistema di apertura, nella parte inferiore le ante e in quella superiore il wasistas.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     I serramenti a wasistas, posti in alto e comandati da opportuni congegni o ante, possono contribuire al ricambio dell'aria senza creare fastidiose correnti.

     Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente e acusticamente, non elettroconduttori. [*] La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione.

     Sono consigliati pavimenti vinilici, con sottofondo di feltro o altro materiale elastico.

     I pavimenti di marmo, marmette e granigliati sono sconsigliabili dato che, essendo molto rigidi, possono provocare fratture in caso di caduta degli ospiti.

     Per altro i pavimenti troppo morbidi affaticano l'anziano, la cui mobilità degli arti inferiori è spesso ridotta.

     Sono da evitare passatoie e tappeti che possano essere di impedimento e provocare cadute.

     Per i bagni sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     d) rivestimenti pareti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento.

     Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro). In tutti i locali è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dagli attrezzi di pulizia.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     7. ARREDI E ATTREZZATURE

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

     Per attrezzature si intendono tutti quegli ausili fissi o mobili che servono a migliorare l'autonomia degli anziani e a facilitare il lavoro del personale.

     Di seguito viene fornito un elenco di attrezzature consigliate.

     Attrezzi nelle camere da letto:

     - letti normali con sponde;

     - letti antidecubito;

     - maniglie per alzarsi dal letto;

     - sollevatori per letto.

     Attrezzi nei servizi igienici:

     - maniglioni e montanti;

     - appoggi per water;

     - erogatori speciali d'acqua;

     - impugnature per vasche da bagno;

     - sedili per docce;

     - riduttori per vasche da bagno;

     - sollevatori per vasche da bagno.

     Attrezzi negli spazi di distribuzione:

     - piani inclinati per piccoli dislivelli interni;

     - corrimani sui due lati delle scale, delle rampe e dei corridoi;

     - maniglie speciali per porte.

     Attrezzi nelle palestre di fisioterapia:

     - pesi mobili;

     - ciclette;

     - scala a due altezze;

     - ruota per le spalle;

     - gradoni;

     - vogatori;

     - spalliere;

     - parallele per deambulazione;

     - specchi quadrettati;

     - attrezzi per la correzione dell'andatura;

     - tappeti imbottiti.

 

[*]: vedi N.B. di STRUTTURE PROTETTE

 

     8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Alla struttura è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco. Particolare attenzione deve essere data alla realizzazione dei vialetti, per i quali deve essere impiegato un materiale lisci e sicuro, in modo da facilitare la deambulazione degli anziani.

     Inoltre vanno previste numerose panchine e sedili, per la sosta e il riposo.

 

CASE DI RIPOSO

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Le case di riposo sono residenze collettive che forniscono agli ospiti anziani, parzialmente autosufficienti, prestazioni di tipo alberghiero, servizi specifici di carattere assistenziale, prestazioni di tipo culturale e ricreativo, nonché prestazioni sanitario-riabilitative, dirette a recuperare e migliorare l'autosufficienza.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari delle case di riposo anziani in condizioni psico- fisiche di parziale autosufficienza, in condizione cioè di compiere con aiuto le funzioni primarie.

     Qualora si verifichino situazioni di grave non autosufficienza per cause sopravvenute durante il ricovero presso la casa di riposo, l'assistenza e la cura possono avere luogo nella casa di riposo stessa, qualora questa sia dotata di apposito reparto protetto, salvo che prevalenti esigenze di carattere sanitario, obiettivamente accertate, non richiedano il ricorso a soluzioni diverse.

 

     3. Ammissioni

     L'invio alla casa di riposo, gestita direttamente o convenzionata con gli Enti locali è proposto su richiesta dell'interessato dal servizio sociale competente integrato da apporti specialistici, provenienti dal servizio di medicina specialistica dell'U.S.S.L. (fisiatria-geriatria), previa certificazione del medico di fiducia dell'assistito, constatato che le condizioni psico-fisiche del soggetto e la situazione familiare e socio- ambientale sono tali da non permettergli di permanere nel proprio domicilio temporaneamente o definitivamente. L'accoglimento da parte della struttura avviene sulla base delle disposizioni contenute nelle convenzioni e comunque previo accertamento delle condizioni dell'anziano da parte del responsabile sanitario delle strutture.

 

     4. Capacità ricettiva

     La casa di riposo di nuova realizzazione deve avere un minimo di 60 p.l., ma non deve superare i 150 p.l. Eventuali deroghe a tali limiti (comunque entro la soglia massima di 250/300 p.l. e minima 30 p.l.) possono essere autorizzate per le strutture già funzionanti solo previa verifica del fabbisogno complessivo della zona, della densità demografica e delle condizioni geomorfologiche della zona, dei possibili bacini di utenza. Nel caso si verifichino condizioni di necessità tali per cui la casa di riposo deve prevedere all'interno un reparto protetto, questo non deve avere un numero di posti letto inferiore a 15: in tal caso le prestazioni da garantire sono quelle già esplicitate per le strutture protette. Gli stessi limiti di capacità ricettiva minima e massima valgono anche per la struttura «mista» di nuova realizzazione (casa di riposo + struttura protetta).

 

     5. Funzionamento

     La casa di riposo ha funzionamento permanente nell'arco delle 24 ore, per l'intera settimana e per tutto l'anno.

 

     6. Attività

     La casa di riposo garantisce il dignitoso soddisfacimento dei bisogni primari ed assistenziali degli ospiti, sopperendo alle difficoltà che l'ospite incontra nel provvedere con propria iniziativa. La struttura e l'organizzazione dell'ambiente devono avere le caratteristiche generali e particolari che rendono lo stesso un gradevole ambiente di vita, fruibile anche da persona con autonomia e autosufficienza ridotta. L'animazione della giornata deve essere tale da soddisfare il bisogno e stimolare la capacità di rapporto sociale, favorire le possibilità di ricreazione, di sollecitazioni culturali e di creatività dei soggetti, organizzando momenti di interazione con il contesto sociale circostante al fine di promuovere utili occasioni di partecipazione sociale. Le prestazioni di natura assistenziale, volte a soddisfare bisogni primari ed assistenziali degli ospiti possono essere esemplificate come segue:

     - interventi rivolti all'assistenza diretta della persona (aiuto durante l'igiene personale e i pasti; pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi ed attrezzature dell'ospite);

     - interventi di protezione della persona (controllo e sorveglianza);

     - interventi generali di natura assistenziale (prestazioni di carattere assistenziale volte a seguire l'evoluzione delle condizioni dell'ospite, i rapporti con la famiglia e l'esterno, ecc.).

     La struttura deve inoltre garantire il soddisfacimento dei bisogni sanitari dell'ospite (controlli medici, terapie orali e iniettive, medicazioni, prestazioni riabilitative).

     Le prestazioni sanitarie oltre a curare gli eventi morbosi ricorrenti, sono tese sia a prevenire situazioni invalidanti sia a riportare la persona al massimo recupero possibile o stabilizzare la situazione non migliorabile.

     La casa di riposo offre inoltre i normali servizi generali di tipo alberghiero (cucina e servizio pasti, lavanderia, stireria, pulizie generali, ecc.).

     I servizi e gli impianti della casa di riposo possono essere opportunamente messi a disposizione per le attività degli altri servizi, quali l'assistenza domiciliare, i centri diurni e le attività sanitarie riabilitative. Questa operazione ha il vantaggio di aprire all'esterno la casa e di realizzare una economia sia nella sua gestione in quanto si estende ad una maggiore e diversificata utenza sia in quella dei servizi aperti e domiciliari, che vi possono trovare opportuna sede.

 

     7. Personale

     Per quanto attiene alla tipologia di personale si fa riferimento a quanto già detto per le strutture protette.

 

     8. Standard di personale

     Lo standard di personale viene espresso dal rapporto personale/anziani parzialmente autosufficienti assistiti calcolato sulla base dei seguenti parametri:

     a) ore di lavoro giornaliere, mediamente una unità di personale assunta a tempo pieno presta la propria attività su 365 giorni l'anno per 4 ore al giorno. Tale dato risulta dal seguente calcolo: 36 h settimanali X 52 settimane = 1872 ore annue, convenzionalmente ridotte a n. 1460 h effettive di lavoro tenuto conto dei periodi di ferie, festività soppresse, festività infrasettimanali, recuperi, malattie 1460 h : 365 = 4 h/giorno;

     b) tempi medi di prestazioni richieste per soddisfare le esigenze di assistenza diretta all'ospite, tenuto conto dei diversi gradi di parziale autosufficienza degli ospiti e della loro incidenza all'interno della struttura.

     I rapporti numerici personale/anziani parzialmente autosufficienti definiti per le varie figure professionali possono ovviamente subire variazioni in relazione:

     - agli orari del rapporto di lavoro personale dipendente (personale a tempo pieno, a tempo parziale);

     - alla presenza di personale convenzionato (compreso i volontari) e di personale religioso, tenuto conto delle ore di servizio effettivamente prestate dallo stesso.

     In ogni caso devono comunque essere garantiti i minuti giornalieri di assistenza richiesti per ogni ospite parzialmente autosufficiente.

     Lo standard indicato si riferisce al personale in organico: l'organizzazione dei turni di presenza del personale è di competenza delle singole strutture; deve comunque essere garantita l'erogazione delle necessarie prestazioni nell'arco delle 24 h nel rispetto di un ordinato ritmo di vita degli ospiti.

     Ausiliario e/o operatore socio assistenziale - infermiere

     Mediamente si ritiene che un anziano (tenuto conto della parziale autosufficienza e di quanto ciò implica in relazione alle prestazioni primarie assistenziali e sanitarie da assicurare) richiede 60 minuti al giorno di assistenza (comprensivi dell'assistenza diretta alla persona e delle prestazioni infermieristiche). Pertanto lo standard relativo all'ausiliario e/o operatore socio-assistenziale si quantifica nel rapporto 1 ausiliario ogni 5 anziani e lo standard del personale infermieristico si quantifica nel rapporto 1 infermiere ogni 35 anziani.

     Medico

     Deve essere garantita sia l'erogazione di prestazioni mediche pari a 18 ore settimanali [1 medico part-time] ogni 60 ospiti, sia la reperibilità di personale medico in caso di necessità.

     A secondo del bisogno dell'ospite deve essere garantito il necessario apporto medico specialistico da parte del competente servizio di medicina specialistica dell'U.S.S.L. Si ritiene inoltre necessaria la consulenza di un dietista.

     Terapista della riabilitazione

     Lo standard di terapisti della riabilitazione si quantifica in un terapista ogni 50 ospiti.

     In tale area di intervento riveste essenziale importanza la formulazione di un programma riabilitativo da parte del fisiatra: alla realizzazione di tale programma concorrono, oltre alla specifica competenza del fisioterapista, anche gli apporti del medico, dell'infermiere e dell'ausiliario.

     Assistente sociale e animatore

     Si ritiene necessario che all'interno della struttura vengano garantite le prestazioni dell'assistente sociale, preferibilmente messa a disposizione dall'U.S.S.L. o dagli enti locali, nonché le prestazioni dell'animatore anche mediante l'utilizzo di organizzate forme di volontariato.

     La struttura deve inoltre garantire razionali ed efficienti servizi di:

     - cucina;

     - lavanderia, stireria, guardaroba;

     - portineria;

     - centralino;

     - manutenzione impianti;

     - servizi amministrativi;

     utilizzando personale dipendente, convenzionato o mediante appalti a ditte esterne. Si ritiene che il costo complessivo di tali servizi (comprese le spese generali dell'acquisizione dei relativi beni e servizi) non debba di norma superare il 40-45% del costo totale della struttura.

     Ogni casa di riposo ha un responsabile della programmazione e della organizzazione delle attività che si svolgono all'interno della struttura nonché del loro coordinamento con gli altri servizi zonali e della verifica e controllo di gestione dei programmi attuati.

     Nel caso di strutture gestite dall'U.S.S.L. il direttore è nominato dal Comitato di gestione, sentito il Comitato di coordinamento dei sindaci, tra il personale in possesso dei requisiti manageriali tecnici e professionali coerenti con l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Nel caso in cui la casa di riposo abbia al proprio interno un reparto protetto il responsabile della casa di riposo lo è anche per il reparto protetto.

 

CASE DI RIPOSO

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi collettivi:

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     b) ambulatorio

     c) sala per riunioni

     d) sala da pranzo

4.2 Spazi di collegamento:

     a) atrio di ingresso e piattaforme di distribuzione

     b) spazio accoglimento ingresso e centralino telefonico

     c) corridoi e disimpegni

     d) scale

4.3 Nuclei abitativi (casa riposo):

     a) camere a uno e due letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) servizi igienici comunitari

     d) locale biancheria sporca

     e) cucinino

     f) locale di servizio medico

     g) locale soggiorno con angolo pranzo

     h) ripostiglio

4.4 Nuclei abitativi (reparti protetti):

     a) camere a uno, due tre o quattro letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) servizi igienici comunitari

     d) locale biancheria sporca

     e) cucinino

     f) locale di servizio medico

     g) locale pranzo

     h) locale soggiorno

     i) ripostiglio

4.5 Servizi generali:

     a) uffici

     b) camera mortuaria

     c) spogliatoi con servizi igienici per il personale

     d) cucina

     e) lavanderia/stireria/guardaroba

     f) magazzini e depositi

     g) locali per servizi tecnici

5. IMPIANTI:

     a) antincendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) riscaldamento

     e) citofonico o di segnalazione

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI E ATTREZZATURE

8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere più possibile varia, completa e organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - i servizi di riabilitazione;

     - tutti quel servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10, D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     [*] I vari piani della struttura non devono presentare variazioni di livello, né tantomeno gradini al loro interno. In caso contrario questi devono essere superati mediante rampe; [*] è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati.

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     4.1 Spazi collettivi

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     Deve essere aperta alla popolazione anziana e non anziana del centro di insediamento, per la prevenzione e la rieducazione funzionale e motoria.

     [*] Il locale deve avere una superficie di almeno mq. 60[*] con il lato minore non inferiore a m. 6,00. In prossimità della palestra devono essere ubicati il locale spogliatoio, i servizi igienici, l'ambulatorio medico e il ripostiglio per le attrezzature. Le palestre devono contenere attrezzature idonee (vedi voce attrezzature).

     b) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno e in prossimità della palestra [*] deve essere previsto un ambulatorio medico [*] con superficie minima di mq. 20 per visite e medicazioni. E' da prevedere un annesso spazio di attesa e un servizio igienico.

     c) sala per riunioni

     Può essere prevista una sala per riunioni, soggiorno e socializzazione. Deve poter essere utilizzabile anche dagli ospiti con ridotte o impedite capacità motorie. La stessa sala può essere utilizzata anche per riunioni del personale.

     d) sala da pranzo

     [*] Deve essere previsto un locale per il pranzo, la cui dimensione minima deve essere di almeno mq. 1,5 per utente. [*]

     Deve contenere tavoli di materiale lavabile a quattro posti e seggioline con braccioli. [*] In prossimità di tale locale deve essere previsto un gruppo di servizi igienici. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     4.2 Spazi di collegamento

     a) ingresso e piattaforme di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere di mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (vedi art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) spazio di accoglimento ingresso e centralino telefonico

     E' opportuno prevedere un vano accanto all'ingresso per accogliere il portiere e/o centralinista.

     c) corridoi e disimpegni

     [*] Nelle nuove costruzioni la larghezza minima dei corridoi e dei passaggi deve essere di m. 2,00. Nelle ristrutturazioni la larghezza minima deve essere di m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che ne diminuiscono la larghezza e siano fonti di pericolo.

     I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate possibilmente mediante rampe. (vedi art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     [*] I corridoi devono avere i corrimani su ambedue i lati con le testate piegate sino al muro per non costituire pericolosi agganci. [*]

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di m. 0,90 da terra, deve essere sicuro alla presa, preferibilmente avere una sezione circolare di diametro di circa cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     d) scale

     [*] Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli altri spazi mediante una porta. [*]

     Le rampe di scala devono preferibilmente avere lunghezza uguale, ovvero contenere lo stesso numero di gradini.

     I pianerottoli intermedi devono avere una profondità di almeno m. 1,60.

     Le rampe delle scale non devono avere più di dieci gradini ed è opportuno che siano staccate di cm. 30 e sfalsate di un gradino per ottenere la continuità del corrimano.

     La larghezza delle rampe deve essere di almeno m. 1,20 per permettere il contemporaneo passaggio di due persone.

     I gradini delle scale devono avere:

     pedata minima cm. 30

     alzata massima cm. 16

     Il profilo del gradino deve presentare preferibilmente un disegno continuo a spigoli arrotondati, con sottogrado inclinato rispetto al grado, e formante con esso un angolo di circa 75°-80°.

     Il primo gradino della scala deve essere arretrato di almeno cm. 60 dal filo del corridoio o dello spazio nel quale si immette per evitare il pericolo di cadute a persone e carrozzelle; inoltre non deve essere di fronte all'uscita dell'ascensore.

     [*] Non sono accettabili gradini a zampa d'oca.

     Le scale devono essere dotate di parapetto e corrimano. [*]

     Il parapetto che costituisce la difesa verso il vuoto deve avere un'altezza minima di m. 1,00.

     Il corrimano appoggiato al parapetto non deve presentare soluzioni di continuità nel passaggio tra una rampa di scale e la successiva.

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di 0,90 m., ed essere posizionato su ambedue i lati della scala.

     Deve essere sicuro alla presa, preferibilmente con sezione circolare di diametro circa di cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete.

     Il corrimano deve prolungarsi oltre il primo e l'ultimo gradino di almeno 30 cm.

     E' opportuno prevedere un cordolo o scamillo di altezza di cm. 15-20 sul quale inserire la ringhiera.

     In ogni caso non devono essere lasciati spazi liberi tra gradini e ringhiera, al fine di evitare la fuoriuscita dei piedi in caso di cadute. (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     4.3. Nuclei abitativi delle case di riposo

     Per nucleo abitativo si intende l'insieme di spazi individuali (camere da letto e servizi igienici) e semicollettivi (servizi igienici comunitari, cucinino, locale soggiorno con angolo pranzo) a carattere peculiarmente residenziale.

     [*] Ad ogni piano possono essere previsti uno o più nuclei abitativi e in nessun caso un nucleo abitativo può essere distribuito su due piani. Di seguito è riportata l'articolazione distributiva di detto nucleo prendendo come capacità di riferimento 30 posti letto. Detta capacità ricettiva del nucleo deve essere il modello di riferimento nel caso di nuove costruzioni. Nel caso di ristrutturazione la capacità ricettiva del nucleo è determinata in rapporto alla superficie utile di ogni piano, ma non deve essere superiore a 45 posti letto, né inferiore a 12/15 posti letto. [*]

     a) camere da letto

     [*] Nelle case di riposo di nuova costruzione le camere da letto devono essere a 1 o 2 letti. Solo in caso di ristrutturazione sono accettabili anche camere a 3 o 4 letti. Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     mq. 10 per la camera a 1 letto;

     mq. 16 per le camere a 2 letti;

     mq. 22 per le camere a 3 letti;

     mq. 28 per le camere a 4 letti.

     In fase di progettazione si deve tener conto anche degli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro. Detti spazi non devono essere inferiori a cm. 70. [*]

     Se nella stanza è prevista la presenza di persone in sedia a ruote, gli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro non devono essere inferiori a cm. 95. Si devono inoltre prevedere opportuni spazi di manovra.

     Per la rotazione di 360° di una sedia a ruote è necessario uno spazio la cui superficie sia pari a quella di un cerchio di diametro di m. 1,70; mentre per una rotazione di 180° è necessario uno spazio minimo di m. 1,40 X m. 1,80.

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - tavolino/i con sedia/e o poltroncina/e;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     Le misure consigliate sono:

     letto:

     - per validi altezza cm. 45;

     - per motulesi altezza cm. 60;

     tavolo:

     - altezza per validi cm. 78;

     - altezza per motulesi cm. 80/83;

     sedia:

     - altezza sedile cm. 45;

     poltroncina:

     - altezza sedile cm. 40/45. Le poltroncine devono essere munite di braccioli per facilitare l'anziano ad alzarsi e sedersi;

     armadio:

     - tubo appendiabiti per validi altezza cm. 170;

     - tubo appendiabiti per motulesi altezza cm. 150;

     - piano più alto per validi altezza cm. 170;

     - piano più alto per motulesi altezza cm. 135;

     - piano più basso altezza cm. 30.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] Nelle nuove costruzioni deve essere previsto almeno un servizio igienico ogni quattro utenti, collegato con le camere da letto tramite un antibagno. In caso di ristrutturazione, ove non sia possibile, per dimostrati fattori tecnici, realizzare servizi igienici collegati direttamente con le camere, e questi vengano concentrati in alcuni punti, deve essere comunque rispettato il rapporto numerico di un servizio igienico al massimo ogni quattro utenti. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di aerazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla aerazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce e arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un bidet e una doccia.

     [*] Nelle nuove costruzioni le dimensioni minime dei servizi igienici, devono essere di m. 1,80 X 2,20.

     In caso di ristrutturazione, le dimensioni dei servizi igienici devono essere tali da consentire agevoli movimenti anche ad utenti in carrozzina. [*]

     Il lavabo deve essere sostenuto in modo sicuro, perché l'anziano possa appoggiarvisi con tutto il peso, avere l'altezza del bordo superiore a cm. 80, essere abbastanza grande per ridurre lo spargimento dell'acqua sul pavimento.

     Il rubinetto deve essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti e preferibilmente del tipo a croce o a leva; la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento all'uso e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavabo.

     Il vaso deve avere un'altezza di circa cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile sia con un basamento in muratura sia con particolari assi.

     E' opportuno prevedere un maniglione a muro, montanti verticali o appoggi di comodo al fine di agevolare i movimenti dell'anziano. In prossimità del vaso deve essere previsto il campanello elettrico del tipo a cordone.

     Il bidet deve avere un'altezza di cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile con un basamento in muratura.

     E' opportuno prevedere un maniglione a muro o un montante verticale per agevolare i movimenti dell'anziano.

     [*] Il piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la soprastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     La doccia deve essere dotata di un apposito seggiolino ribaltabile e di un erogatore d'acqua del tipo a telefono montato su un'asta verticale che ne consenta il funzionamento a diverse altezze; la rubinetteria deve essere posta ad un'altezza di cm. 90.

     I servizi igienici di pertinenza delle camere da letto non devono contenere le vasche da bagno, in quanto esse possono risultare pericolose e scomode.

     In caso di ristrutturazione, le vasche già installate devono essere dotate di maniglioni, impugnature e montanti per facilitarne l'utilizzo.

     Deve essere prevista la fornitura centralizzata di acqua calda.

     c) servizi igienici comunitari

     [*] Ogni 15 posti letto deve essere previsto ad ogni piano un apposito locale per i bagni assistiti.

     Tale locale deve essere attrezzato con una vasca da bagno isolata su tre lati, appoggiata cioè solo con una delle testate corte alla parete, in modo da permettere al personale di assistere adeguatamente gli ospiti. [*] E' opportuno per la sicurezza e la comodità del personale che il rivestimento perimetrale della vasca rientri di almeno cm. 15 alla base e per un'altezza pari a cm. 15. Detta vasca deve essere munita di tutte le attrezzature: maniglioni, lifter, ecc.

     Nel medesimo locale è da prevedere almeno un vaso e un lavabo.

     Annessi a tale locale vanno previsti uno spazio per l'attesa e il riposo nonché un servizio igienico con lavabo e vuotatoio.

     d) locale biancheria sporca

     Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto un piccolo locale (meglio se aereato) per il deposito della biancheria sporca.

     e) cucinino

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere prevista una piccola cucinetta[*] attrezzata con fornelletto, piccolo lavello e piccolo frigorifero, ove sia possibile preparare qualche bevanda calda particolarmente nelle ore notturne. La superficie minima deve essere di circa mq. 6/7.

     f) locale di servizio medico

     Per ogni nucleo abitativo è opportuno prevedere un locale da adibire a guardia, a deposito medicinali ed eventualmente a deposito per le cartelle cliniche, le cui dimensioni minime devono essere di mq. 9,00.

     E' da prevedere un annesso servizio igienico.

     g) locale soggiorno con angolo pranzo

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto almeno un locale soggiorno con angolo pranzo con superficie di almeno mq. 1,5 per ogni ospite del nucleo. [*]

     Detto locale deve contenere divani rivestiti in materiale lavabile, tavoli bassi di appoggio e scaffali ove poter riporre riviste e quotidiani.

     L'angolo pranzo (costituito da 1 o 2 tavoli a quattro posti) è riservato esclusivamente a quegli ospiti che, momentaneamente indisposti, non desiderano recarsi nella sala da pranzo collettiva.

     h) locale ripostiglio

     [*] Per ogni nucleo abitativo è necessario prevedere almeno un locale per deposito di attrezzature e materiale vario, ivi compreso quello di pulizia dei locali. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     4.4 Nuclei abitativi (reparti protetti)

     All'interno di case di riposo è consentita l'attuazione di nuclei abitativi destinati ad anziani non autosufficienti. Tali nuclei devono essere completamente autonomi rispetto ai nuclei abitativi della casa di riposo, anche se ovviamente usufruiranno di tutti i servizi generali e gli impianti della struttura.

     [*] Ad ogni piano possono essere previsti uno o più nuclei abitativi e in nessun caso un nucleo abitativo può essere distribuito su due piani.

     La capacità ricettiva del nucleo è determinata in rapporto alla superficie utile di ogni piano, ma non deve essere superiore a 45 posti letto, né inferiore a 12/15 posti. [*] I nuclei devono essere così articolati:

     a) camere a uno, due, tre o quattro letti;

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto;

     c) servizi igienici comunitari;

     d) locale biancheria sporca;

     e) cucinino al piano;

     f) locale di servizio medico;

     g) locale pranzo;

     h) locale soggiorno;

     i) ripostiglio.

     [*] Tutti gli spazi sopra elencati devono rispettare le prescrizioni precedentemente esposte per i nuclei abitativi delle case di riposo (punti 4.3[*] a), b), c), d), e), f), h). Le sole differenze riguardano il numero dei posti nelle camere da letto e il locale pranzo e locale soggiorno.

     - camere da letto:

     [*] nei nuclei abitativi destinati ad anziani non autosufficienti devono essere previste camere a due, tre o quattro letti[*] (in quanto l'anziano non autosufficiente trascorre la maggioranza del proprio tempo a letto); [*] deve essere prevista una camera a 1 letto ogni 30 posti letto da destinarsi ad anziani bisognosi di isolamento o in stato terminale. [*]

     In tutte le camere la disposizione dei letti deve essere con la testata a muro in modo che l'ospite possa essere servito dai due lati.

     Nelle camere a 4 letti è preferibile che i letti si fronteggino due a due in modo che gli ospiti si possano vedere e parlare con facilità.

     Nei nuclei abitativi delle case di riposo è previsto solo un locale di soggiorno, in quanto si vuole favorire da parte dell'utenza la fruizione di quegli spazi collettivi comuni a tutta la struttura (sala da pranzo ed eventualmente sala riunioni), mentre [*]nei nuclei abitativi per ospiti non autosufficienti devono essere previsti (proprio per le ridotte capacità motorie dell'utenza) un locale pranzo e un locale soggiorno con le seguenti caratteristiche:[*]

     - locale pranzo

     Il locale pranzo viene utilizzato da tutti coloro che, in relazione alle loro condizioni psicofisiche, riescono a consumare autonomamente i pasti; l'ospite deve essere comunque stimolato a svolgere tale funzione autonomamente.

     [*] Il locale pranzo deve avere una superficie di almeno mq. 1,5 per ospite del nucleo[*] e contenere tavoli a 4 posti e sedie con braccioli. Il locale pranzo fuori dagli orari dei pasti, può essere utilizzato come sala TV, previa adeguata risistemazione delle sedie e dei tavoli.

     - locale soggiorno

     [*] Il locale soggiorno deve avere anche esso una superficie di almeno mq. 1,5 per ospite del nucleo[*] e contenere divani rivestiti in materiale lavabile, tavoli bassi di appoggio e scaffali ove poter riporre riviste e quotidiani.

 

     4.5 Servizi generali

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative, di segreteria e l'ufficio per l'assistente sociale è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     [*] Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè camera mortuaria, spogliatoi con servizi igienici per il personale, cucina, guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva e alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     5. IMPIANTI:

     a) impianto antincendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] Deve essere prevista l'installazione di un ascensore con le seguenti caratteristiche (vedi art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384):

     - larghezza m. 1,37 (interno cabina);

     - larghezza porta: m. 0,90 (posta sul lato stretto della cabina);

     - profondità del ripiano di fermata (di fronte alla porta e non in asse con la scala) m. 2,00;

     - altezza bottoniera di comando interna ed esterna (max): m. 1,20;

     - porte esterne ed interne a scorrimento laterale automatico con idoneo meccanismo per l'arresto e l'inversione della chiusura delle porte stesse;

     - meccanismo di autolivellamento ai piani;

     - corrimano sull'intero perimetro interno;

     - sedile ribaltabile sulla parete opposta all'ingresso.

     Nel caso in cui venga realizzato, all'interno della casa di riposo, un nucleo abitativo per anziani non autosufficienti deve essere prevista, in aggiunta o in sostituzione dell'ascensore, l'installazione di un montalettighe.

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, e i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili e azionabili; devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     Il livello di illuminazione deve essere il più possibile uniforme in tutti gli ambienti e generalmente superiore a quello normale. Le fonti luminose non devono abbagliare.

     d) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature.

     In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     La temperatura dei locali utilizzati dagli ospiti deve essere superiore a quella stabilita per legge in via ordinaria, in relazione alle particolari necessità dei soggetti non deambulanti.

     Pertanto la temperatura ottimale deve essere di 24° C per i bagni e di 22° C per i restanti spazi fruiti dagli ospiti.

     e) impianto citofonico o di segnalazione

     [*] Le camere da letto, i servizi igienici e gli altri locali frequentati dagli ospiti devono essere dotati di particolari attrezzature di comunicazione (citofoni, campanelli) idonee a segnalare agli operatori o a chiunque sia addetto al controllo degli utenti le richieste di aiuto e assistenza. [*] Per il posizionamento e le altezze delle prese e dei dispositivi di comando si veda quanto precedentemente specificato al punto: «impianto elettrico».

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella delle porte dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     Le maniglie di apertura devono essere preferibilmente del tipo a leva, con questa ripiegata fino quasi all'anta per non offrire appiglio agli indumenti.

     Le maniglie devono essere poste ad una altezza massima di cm. 90.

     Le porte e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura.

     Sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     E' utile prevedere su ogni porta uno zoccolo alto cm. 40 eventualmente rivestito di laminato o acciaio inox oppure eseguito con lo stesso materiale del pavimento, come ad esempio gomma o legno. (v. art. 12 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) finestre

     Il tipo di finestra consigliato è quello a doppio sistema di apertura, nella parte inferiore le ante e in quella superiore il wasistas.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste a un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     I serramenti a wasistas, posti in alto e comandati da opportuni congegni o aste, possono contribuire al ricambio dell'aria senza creare fastidiose correnti.

     Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente e acusticamente, non elettroconduttori. [*] La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione.

     Sono consigliati pavimenti vinilici, con sottofondo di feltro o altro materiale elastico.

     I pavimenti di marmo, marmette e granigliati sono sconsigliabili dato che, essendo molto rigidi, possono provocare fratture in caso di caduta degli ospiti.

     Per altro i pavimenti troppo morbidi affaticano l'anziano, la cui mobilità degli arti inferiori è spesso ridotta.

     Sono da evitare passatoie e tappeti che possano essere di impedimento e provocare cadute.

     Per i bagni sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     d) rivestimenti pareti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento. Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro).

     In tutti i locali è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dagli attrezzi di pulizia.

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     7. ARREDI E ATTREZZATURE

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

     Per attrezzature si intendono tutti quegli ausili fissi o mobili che servono a migliorare l'autonomia degli anziani e a facilitare il lavoro del personale.

     Di seguito viene fornito un elenco di attrezzature consigliate.

     Attrezzi nelle camere da letto:

     - letti normali con sponde;

     - letti antidecubito;

     - maniglie per alzarsi dal letto;

     - sollevatori per letto.

     Attrezzi nei servizi igienici:

     - maniglioni e montanti;

     - appoggi per water;

     - erogatori speciali d'acqua;

     - impugnature per vasche da bagno;

     - sedili per docce;

     - riduttori per vasche da bagno;

     - sollevatori per vasche da bagno.

     Attrezzi negli spazi di distribuzione:

     - piani inclinati per piccoli dislivelli interni;

     - corrimani sui due lati delle scale, delle rampe e dei corridoi;

     - maniglie speciali per porte.

     Attrezzi nelle palestre di fisioterapia:

     - pesi mobili;

     - ciclette;

     - scala a due altezze;

     - ruota per le spalle;

     - gradoni;

     - vogatori;

     - spalliere;

     - parallele per deambulazione;

     - specchi quadrettati;

     - attrezzi per la correzione dell'andatura;

     - tappeti imbottiti.

 

[*]: vedi N.B. di CASE DI RIPOSO

 

     8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Alla struttura è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco.

     Qualora l'area a disposizione lo consenta, è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi e fiori.

     Particolare attenzione deve essere data alla realizzazione dei vialetti, per i quali deve essere impiegato un materiale liscio e sicuro, in modo da facilitare la deambulazione degli anziani.

     Inoltre vanno previste numerose panchine e sedili, per la sosta e il riposo.

 

CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Le case albergo forniscono agli ospiti, in condizione di autosufficienza psico-fisica, servizi di tipo alberghiero.

     Le case di soggiorno forniscono servizi analoghi anche per periodi determinati in località climatiche.

     Case albergo e case di soggiorno possono essere sede di servizi sociali e sanitari e quindi collegarsi all'esterno e offrire una più ampia gamma di servizi agli ospiti.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari delle case albergo e delle case di soggiorno persone che, pur non necessitando di particolare protezione sociale e sanitaria, richiedono soluzioni alloggiative in ambienti che consentano di soddisfare esigenze di socializzazione.

 

     3. Attività

     Le case albergo forniscono:

     - servizi di carattere alberghiero (compresi i servizi di lavanderia e stireria degli effetti personali degli ospiti);

     - servizi di socializzazione (intesi nel senso di sollecitare e favorire la partecipazione degli ospiti a momenti comunitari organizzati per la generalità dell'utenza es. centri diurni);

     - rispetto della dieta necessaria ai singoli ospiti;

     - servizio di protezione inteso nel senso di collegamento della struttura a servizi di assistenza continua a carattere sanitario o assistenziale al fine di garantire un pronto intervento in caso di necessità.

     I servizi e gli impianti della casa albergo e della casa di soggiorno possono opportunamente essere messi a disposizione per le attività di altri servizi come quelli domiciliari e socio-sanitari.

     Questa operazione ha il vantaggio di aprire all'esterno la casa e di realizzare un'economia sia nella sua gestione, in quanto si estende ad una maggiore e diversificata utenza, sia in quella dei servizi aperti e domiciliari che vi possono trovare opportuna sede.

     Da ciò deriva che le esigenze di carattere sanitario o socio- assistenziale degli ospiti vengono garantite mediante i normali servizi socio-sanitari del territorio aperti alla generalità dei cittadini (ambulatorio medico e fisioterapico, servizio sociale, centro diurno per anziani), servizi che possono trovare nella casa albergo la loro collocazione privilegiata.

 

     4. Personale e standard di personale

     Poiché le case albergo e le case di soggiorno non presentano una particolare e specifica connotazione socio-assistenziale e di fatto accolgono persone autosufficienti, non si ritiene di dover fornire standard di personale, ritenendo comunque che l'organizzazione della struttura debba garantire il soddisfacimento delle prestazioni sopra elencate.

 

CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi collettivi:

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     b) ambulatorio

     c) sale per riunioni e di soggiorno

     d) sala da pranzo

     e) cucina ad uso degli ospiti

4.2 Spazi di collegamento:

     a) atrio di ingresso e piattaforme di distribuzione

     b) spazio per l'accoglimento ingresso e centralino telefonico

     c) corridoi e disimpegni

     d) scale

4.3 Spazi privati:

     a) camere a uno e due letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) ripostiglio

4.4 Servizi generali:

     a) uffici

     b) spogliatoi con servizi igienici per il personale

     c) cucina generale

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     e) magazzini e depositi

     f) locali per servizi tecnici

5. IMPIANTI:

     a) antincendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) riscaldamento

     e) citofonico o di segnalazione e telefonico

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI

8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:[*]

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere più possibile varia, completa e organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - i servizi di riabilitazione;

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree i parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10, D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati; è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

 

     4.1 Spazi collettivi

     a) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     Può essere prevista una palestra aperta alla popolazione anziana e non anziana del centro di insediamento, per la prevenzione e la rieducazione funzionale e motoria.

     [*] Il locale deve avere una superficie minima di almeno mq. 60[*] con il lato minore non inferiore a m. 6,00. In prossimità della palestra devono essere ubicati il locale spogliatoio, i servizi igienici, l'ambulatorio medico e il ripostiglio per le attrezzature.

     Le palestre devono contenere attrezzature idonee, quelle consigliate sono:

     - pesi mobili;

     - ciclette;

     - scala a due altezze;

     - ruota per le spalle;

     - gradoni;

     - vogatori;

     - spalliere;

     - parallelle per deambulazione;

     - specchi quadrettati;

     - attrezzi per la correzione dell'andatura;

     - tappeti imbottiti;

     b) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno e in prossimità della palestra [*]deve essere previsto un ambulatorio medico[*] con superficie minima di mq. 20 per visite e medicazioni. E' da prevedere un annesso spazio di attesa e un servizio igienico.

     c) sale per riunioni e di soggiorno

     [*] Devono essere previsti uno o più locali per riunioni, soggiorno e socializzazione. La superficie minima deve essere di almeno mq. 1,5 per utente. [*]

     d) sala da pranzo

     [*] Deve essere previsto un locale per il pranzo, la cui dimensione minima deve essere di almeno mq. 1,5 per utente. [*]

     Essa dovrà contenere tavoli lavabili a quattro posti e seggioline con braccioli. [*]In prossimità di tale locale deve essere previsto un gruppo di servizi igienici. [*]

     e) cucina ad uso degli ospiti

     [*] Deve essere previsto un locale cucina, dove gli ospiti possono prepararsi semplici pietanze. La superficie minima deve essere di mq. 12. [*]

     I piani di lavoro, di lavaggio e di cottura devono essere a cm. 90 di altezza.

     I rubinetti devono essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti e preferibilmente del tipo a croce o a leva, la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento all'uso e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavello.

     L'apparecchio di cottura deve essere preferibilmente elettrico ed avere una cappa di aspirazione con aeratore.

     Il pavimento non deve assorbire i grassi e deve essere antisdrucciolevole.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     4.2 Spazi di collegamento

     a) ingresso e piattaforme di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere di mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (vedi art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) spazio di accoglimento ingresso e centralino telefonico

     E' opportuno prevedere un vano accanto all'ingresso per accogliere il portiere e/o centralinista.

     c) corridoi e disimpegni

     [*] La larghezza minima dei corridoi e dei passaggi deve essere di m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che ne diminuiscono la larghezza e siano fonti di pericolo, né tantomeno è ammessa la presenza di gradini.

     I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate possibilmente mediante rampe. (vedi art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     [*] I corridoi devono avere i corrimani su ambedue i lati con le testate piegate sino al muro per non costituire pericolosi agganci. [*]

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di m. 0,90 da terra, deve essere sicuro alla presa, avere una sezione circolare di diametro di circa cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     d) scale

     [*] Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli altri spazi mediante una porta. [*]

     Le rampe di scala devono preferibilmente avere lunghezza uguale, ovvero contenere lo stesso numero di gradini.

     I pianerottoli intermedi devono avere una profondità di almeno m. 1,60.

     Le rampe delle scale non devono avere più di dieci gradini ed è opportuno che siano staccate di cm. 30 e sfalsate di un gradino per ottenere la continuità del corrimano.

     La larghezza delle rampe deve essere di almeno m. 1,20 per permettere il contemporaneo passaggio di due persone.

     I gradini delle scale devono avere:

     pedana minima cm. 30

     alzata massima cm. 16

     Il profilo del gradino deve presentare preferibilmente sul disegno continuo a spigoli arrotondati, con sottogrado inclinato rispetto al grado, e formante con esso un angolo di circa 75°-80°.

     Il primo gradino della scala deve essere arretrato di almeno cm. 60 dal filo del corridoio e dello spazio nel quale si immette per evitare il pericolo di cadute, inoltre non deve essere di fronte all'uscita dell'ascensore.

     [*] Non sono accettabili gradini a zampe d'oca.

     Le scale devono essere dotate di parapetto e corrimano. [*]

     Il parapetto che costituisce la difesa verso il vuoto deve avere un'altezza minima di m. 1,00.

     Il corrimano appoggiato al parapetto non deve presentare soluzioni di continuità nel passaggio tra una rampa di scala e la successiva.

     Il corrimano deve essere posto ad un'altezza di 0,90 m., ed essere posizionato su ambedue i lati della scala.

     Deve essere sicuro alla presa, con sezione circolare di diametro circa di cm. 4, staccato di cm. 6 dalla parete.

     Il corrimano deve prolungarsi oltre il primo e l'ultimo gradino di almeno 30 cm.

     E' opportuno prevedere un cordolo o scamillo di altezza di cm. 15-20 sul quale inserire la ringhiera.

     In ogni caso non devono essere lasciati spazi liberi tra gradini e ringhiera, al fine di evitare la fuoriuscita dei piedi in caso di cadute. (vedi art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     4.3 Spazi privati

     a) camere da letto

     [*] Nelle case albergo le camere da letto devono essere a 1 o 2 letti.

     Non sono accettabili camere con un numero superiore di letti.

     Le superfici minime delle camere sono:

     mq. 10 per le camere a 1 letto;

     mq. 16 per le camere a 2 letti.

     In fase di progettazione si deve tener conto anche degli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro. Detti spazi non devono essere inferiori a cm. 70. [*]

     Se nella stanza è prevista la presenza di persona in sedia a ruote, gli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro non devono essere inferiori a cm. 95. Si devono inoltre prevedere opportuni spazi di manovra.

     Per la rotazione di 360° è necessario uno spazio la cui superficie sia pari a quella di un cerchio di diametro di m. 1,70; mentre per una rotazione di 180° è necessario uno spazio minimo di m. 1,40 X m. 1,80.

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - tavolino/i con sedia/e o poltroncina/e;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera;

     Le misure consigliate sono:

     letto:

     - per validi altezza cm. 45;

     - per motulesi altezza cm. 60;

     tavolo:

     - altezza per validi cm. 78;

     - altezza per motulesi cm. 80/83;

     sedia:

     - altezza sedile cm. 45;

     poltroncina:

     - altezza sedile cm. 40/45. Le poltroncine devono essere munite di braccioli per facilitare l'anziano ad alzarsi e sedersi;

     armadio:

     - tubo appendiabiti per validi altezza cm. 170;

     - tubo appendiabiti per motulesi altezza cm. 150;

     - piano più alto per validi altezza cm. 170;

     - piano più alto per motulesi altezza cm. 135;

     - piano più basso altezza cm. 30.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] Tutte le camere da letto devono avere un servizio igienico collegato con la camera mediante un antibagno. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di aerazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla aerazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce e arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un bidet e una doccia.

     [*] Nelle nuove costruzioni le dimensioni minime dei servizi igienici devono essere di m. 1,80 X 2,20.

     In caso di ristrutturazione, le dimensioni dei servizi igienici devono essere tali da consentire agevoli movimenti anche ad utenti in carrozzina. [*]

     Il lavabo deve essere sostenuto in modo sicuro, perché l'anziano possa appoggiarvisi con tutto il peso, avere l'altezza del bordo superiore a cm. 80, essere abbastanza grande per ridurre lo spargimento dell'acqua sul pavimento.

     Il rubinetto deve essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti e preferibilmente del tipo a croce o a leva; la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento all'uso e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavabo.

     Il vaso deve avere un'altezza di circa cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile sia con un basamento in muratura sia con particolari assi.

     E' opportuno prevedere un maniglione a muro, montanti verticali o appoggi di comodo al fine di agevolare i movimenti dell'anziano.

     In prossimità del vaso deve essere previsto il campanello elettrico del tipo a cordone.

     Il bidet deve avere un'altezza di cm. 50 (maggiore dell'altezza usuale) ottenibile con un basamento in muratura. E' opportuno prevedere un maniglione a muro o un montante verticale per agevolare i movimenti dell'anziano.

     [*] Il piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la soprastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     La doccia deve essere dotata di un apposito seggiolino ribaltabile e di un erogatore d'acqua del tipo a telefono montato su un'asta verticale che ne consenta il funzionamento a diverse altezze; la rubinetteria deve essere posta ad un'altezza di cm. 90.

     I servizi igienici di pertinenza delle camere da letto non devono contenere le vasche da bagno, in quanto esse possono risultare pericolose e scomode.

     In caso di ristrutturazione, le vasche già installate devono essere dotate di maniglioni, impugnature e montanti per facilitarne l'utilizzo.

     Deve essere prevista la fornitura centralizzata di acqua calda.

     c) locale ripostiglio

     [*] Ad ogni piano è necessario prevedere almeno un locale per il deposito di attrezzature e materiale vario, ivi compreso quello di pulizia dei locali. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     4.4 Servizi Generali:

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative, di segreteria e l'ufficio per l'assistente sociale è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     [*] Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè spogliatoi con servizi igienici per il personale, cucina generale, guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva e alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto anticendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] Deve essere prevista l'installazione di un ascensore con le seguenti caratteristiche (vedi art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384):

     - profondità: m. 1,50 (interno cabina);

     - larghezza m. 1,37 (interno cabina);

     - larghezza porta: m. 0,90 (posta sul lato stretto della cabina);

     - profondità del ripiano di fermata (di fronte alla porta e non in asse con la scala) m. 2,00;

     - altezza bottoniera di comando interna ed esterna (max): m. 1,20;

     - porte esterne ed interne a scorrimento laterale automatico con idoneo meccanismo per l'arresto e l'inversione della chiusura delle porte stesse;

     - meccanismo di autolivellamento ai piani;

     - corrimano sull'intero perimetro interno;

     - sedile ribaltabile sulla parete opposta all'ingresso.

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, e i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili e azionabili; devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     Il livello di illuminazione deve essere il più possibile uniforme in tutti gli ambienti e generalmente superiore a quello normale. Le fonti luminose non devono abbagliare.

     d) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature.

     In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda, più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     e) impianto citofonico o di segnalazione e telefonico

     [*] Le camere da letto, i servizi igienici e gli altri locali frequentati dagli ospiti devono essere dotati di particolari attrezzature di comunicazione (citofoni, campanelli) idonee a segnalare agli operatori o a chiunque sia addetto al controllo degli utenti le richieste di aiuto e assistenza. [*]

     Per il posizionamento e le altezze delle prese e dei dispositivi di comando si veda quanto precedentemente specificato al punto: «impianto elettrico».

     In ogni camera da letto è bene sia prevista una presa telefonica.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte Ic [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella delle porte dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     Le maniglie di apertura devono essere preferibilmente del tipo a leva, con questa ripiegata fino quasi all'anta per non offrire appiglio agli indumenti.

     Le maniglie devono essere poste ad una altezza massima di cm. 90.

     Le porte e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura.

     Sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     b) finestre

     Il tipo di finestra consigliato è quello a doppio sistema di apertura, nella parte inferiore le ante e in quella superiore il wasistas.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste a un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     I serramenti a wasistas, posti in alto e comandati da opportuni congegni o aste, possono contribuire al ricambio dell'aria senza creare fastidiose correnti.

     Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente e acusticamente, non elettroconduttori. [*] La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione. Sono consigliati pavimenti vinilici, con sottofondo di feltro o altro materiale elastico.

     I pavimenti di marmo, marmette e granigliati sono sconsigliabili dato che, essendo molto rigidi, possono provocare fratture in caso di caduta degli ospiti.

     Sono da evitare passatoie e tappeti che possono essere di impedimento e provocare cadute.

     Per i bagni sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     d) rivestimenti pareti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento.

     Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro).

     In tutti i locali è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dagli attrezzi di pulizia.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     7. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

     8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Alla struttura è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco.

     Qualora l'area a disposizione lo consenta, è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi e fiori. Particolare attenzione deve essere data alla realizzazione dei vialetti, per i quali deve essere impiegato un materiale liscio e sicuro, in modo da facilitare la deambulazione degli anziani.

     Inoltre vanno previste numerose panchine e sedili, per la sosta e il riposo.

 

[*]: vedi N.B. di CASE ALBERGO E CASE DI SOGGIORNO

 

CENTRI DIURNI PER ANZIANI

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     I centri diurni per anziani forniscono un servizio di assistenza a carattere integrativo e di sostegno alla vita domestica e di relazione. Questi centri si propongono di assicurare agli anziani effettive possibilità di vita autonoma e sociale, favorendo il rapporto di comunicazione interpersonale e le attività ricreative e culturali.

 

     2. Destinatari

     I centri diurni sono destinati prioritariamente alle persone anziane anche se devono essere accessibili a tutti i cittadini senza distinzione di età.

 

     3. Attività

     Il centro diurno si caratterizza per la polifunzionalità delle sue prestazioni. Può supportare le attività di assistenza domiciliare e sanitaria alla popolazione anziana o in stato di bisogno, offrendosi come struttura di appoggio e/o come sede naturale del S.A.D.; può comprendere servizi ed attività di ristoro, di ritrovo, di segretariato sociale e di consulenza;

può essere sede di attività culturali, ricreative di socializzazione; infine può offrire prestazioni sanitarie di terapia riabilitativa per gli utenti che ne abbiano necessità.

     Nello specifico le prestazioni ed i servizi che i centri diurni possono offrire alla popolazione anziana sono:

     - attività di tempo libero, di svago, culturali (biblioteca, proiezioni, conferenze, spettacoli, concerti, mostre, attività espressive ed artigianali);

     - servizio mensa;

     - se sede del S.A.D.: prestazioni di assistenza alla persona (bagni assistiti, manicure, pedicure, lavaggio capelli, lavanderia, stireria, di preparazione pasti caldi per gli utenti dell'assistenza domiciliare);

     - se sede di servizi sanitari: prestazioni sanitario-infermieristiche, medico-riabilitative e psicologiche;

     - servizio di segretariato sociale, consulenza sulle diverse problematiche di tipo sanitario e sociale.

     La compresenza delle varie attività nel centro diurno è strettamente legata alla presenza o meno nella zona servita di strutture analoghe o complementari che assolvono ad alcune delle funzioni erogabili nel centro diurno.

     Le funzioni minime essenziali che devono essere garantite dal centro diurno sono le attività organizzate di tempo libero, svago, culturali e di incontro.

     Esse devono essere garantite per almeno 4 ore al giorno nei giorni feriali, e laddove siano autogestite, o comunque l'organizzazione lo consenta, il centro può funzionare anche nei giorni festivi.

     A tali funzioni si possono aggiungere gli altri servizi elencati a seconda delle esigenze e delle possibilità di usufruire degli stessi presso altre strutture sociali o sanitarie vicine.

     Il centro diurno si caratterizza quindi quale struttura flessibile nei suoi contenuti e può quindi nascere:

     1) quale struttura autonoma, a completamento o meno di servizi esistenti nella zona;

     2) quale emanazione di servizi per anziani di tipo residenziale già esistenti o con nascita contemporanea, che in questo modo tendono ad integrare le loro prestazioni e ad aprirsi alla comunità;

     3) quale integrazione di altre strutture a carattere sociale, che, pur fornendo prestazioni diverse, possono divenire il punto di riferimento per l'assistenza agli anziani.

     Nel primo caso, trattandosi di una struttura autonoma, per la validità e l'economicità del servizio è indispensabile fare riferimento ad una popolazione almeno di 15.000-20.000 abitanti.

     Nel secondo caso, realizzando il centro diurno nell'ambito di strutture residenziali tipo case di riposo o case albergo, si dovranno potenziare adeguatamente gli spazi per servizi collettivi, pur differenziandone chiaramente le funzioni, in modo da garantire un servizio valido sia nei confronti degli ospiti fissi che degli utenti esterni.

     Organizzazioni miste di questo tipo, oltre a garantire efficienza ed economia di gestione, consentono di ampliare le occasioni di vita di relazione, di attivizzare il gruppo anziano, e favoriscono maggiormente l'integrazione sociale.

     Si tratta di una ipotesi di intervento generalmente conveniente, che appare particolarmente opportuna.

     Nel terzo caso si tratta di organizzare alcune delle attività del centro diurno presso altre strutture a carattere sociale, che dovranno essere adeguatamente attrezzate.

 

     4. Personale

     Si ritiene indispensabile la presenza di un operatore con funzioni di organizzazione e di animazione, responsabile del progetto delle attività culturali, ricreative, di svago e tempo libero del centro. Tale operatore deve avere un impegno lavorativo settimanale di almeno 18 ore.

     Per gli altri servizi eventualmente erogati nel centro il personale dovrà avere diverse qualifiche professionali a secondo delle specifiche attività prestate.

 

CENTRI DIURNI PER ANZIANI

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi per attività culturali e di svago:

     a) locale bar

     b) locali polifunzionali

     c) sala per riunioni e conferenze

     d) servizi igienici

4.2 Spazi per distribuzione pasti:

     a) mensa

     b) cucina e dispensa

4.3 Spazi per assistenza domiciliare:

     a) ufficio per il coordinamento e la gestione amministrativa

     b) ufficio per le attività di servizio e segretariato sociale

     c) locale per i bagni assistiti

     d) locale per pedicure e manicure

     e) locale di lavanderia e stireria

4.4 Spazi per servizi sanitari e riabilitativi

     a) ambulatorio

     b) studio psicologo, dietista e fisiatra

     c) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia 5. ARREDI

6. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     b) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.), in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti Locali di Igiene.

     Il centro deve preferibilmente svilupparsi su di un'unica quota e al piano terreno. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanisti, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa e organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona, quali:

     - servizi sanitari di base;

     - le case di riposo e le case albergo;

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (mense, attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la possibilità di trasferimento degli utenti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10, D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     Il centro diurno può essere una struttura autonoma o essere integrato in strutture già esistenti (centro socio-sanitario, case di riposo, case albergo, mini alloggi protetti).

     Il centro diurno è articolato su diversi spazi e cioè: locali per attività culturali e di svago, per distribuzione pasti, per assistenza domiciliare e per servizi sanitari.

     Se alcuni dei servizi sopra esposti sono già funzionanti presso strutture facilmente raggiungibili, il centro diurno, per essere definito tale, deve avere una articolazione minima che garantisca almeno l'espletamento delle attività culturali e di svago.

     I percorsi e gli spazi devono essere facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

     [*] Il centro non deve presentare variazioni di livello né tantomeno gradini. In caso contrario questi devono essere superati mediante rampe. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     4.1 Spazi per attività culturali e di svago

     a) locale bar

     [*] La superficie minima del locale deve essere di mq. 30. [*]

     Devono essere previsti un bancone per la preparazione di bevande calde e fredde, tavoli lavabili a 4 posti e sedie con braccioli per facilitare l'anziano ad alzarsi e sedersi.

     b) locali polifunzionali

     [*] Devono essere previsti almeno due locali polifunzionali con superficie minima di mq. 15 ciascuno. [*]

     In detti locali si svolgeranno attività di gioco, svago e hobbies ed eventualmente distribuzione di libri e riviste.

     L'arredamento deve essere quindi composto da tavoli, sedie con braccioli, armadietti ove poter riporre eventuali utensili e librerie per libri e riviste.

     c) sala per riunioni e conferenze

     [*] Deve essere prevista una sala per riunioni e conferenze.

     La superficie minima deve essere di 60 mq. [*]

     Deve poter essere utilizzabile anche da ospiti con ridotte o impedite capacità motorie.

     [*] L'accesso a tale locale deve avvenire mediante un percorso continuo e senza variazioni di livello (nel caso ci siano, esse vanno superate mediante rampe). [*]

     d) servizi igienici

     [*] Devono essere previsti almeno due servizi igienici di cui uno per disabili in carrozzina.

     Quest'ultimo deve avere dimensioni minime di m. 1,80 X 1,80 e deve contenere il vaso, il lavabo e i corrimani orizzontali e verticali (vedi art. 14 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384). [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     4.2 Spazi per distribuzione pasti (facoltativi)

     Gli spazi che seguono sono facoltativi; la loro presenza definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze (per es. presso servizi residenziali per anziani) dei quali ci si possa avvalere.

     Nel caso, però che tali spazi vengano realizzati essi dovranno rispettare le indicazioni relative con particolare riguardo a quella con carattere prescrittivo.

     a) mensa

     [*] Deve essere previsto un locale mensa, la cui dimensione minima deve essere di mq. 1,5 per utente previsto. In ogni caso la superficie minima non può essere inferiore a mq. 30. [*]

     Deve contenere tavoli di materiale lavabile a 4 posti, e seggioline con braccioli.

     [*] In prossimità di tale locale deve essere previsto un gruppo di servizi igienici di cui uno per disabili in carrozzina (vedi art. 14 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384). [*]

     b) cucina e dispensa

     Se la preparazione dei pasti non avviene in altra sede, a cui il centro diurno si appoggia, [*]deve essere previsto un locale cucina con superficie minima di 12 mq. [*] La preparazione dei pasti può coinvolgere anche gli utenti, qualora ne manifestino l'intenzione.

     I piani di lavoro, di lavaggio e di cottura devono essere a cm. 90 di altezza.

     I rubinetti devono essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti e preferibilmente del tipo a croce o a leva; la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento all'uso e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavello.

     L'apparecchio di cottura deve essere preferibilmente elettrico ed avere una cappa di aspirazione con aeratore.

     Il pavimento non deve assorbire i grassi e deve essere antistrucciolevole.

     E' utile prevedere un annesso locale dispensa.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     4.3 Spazi per assistenza domiciliare (facoltativi)

     Gli spazi che seguono sono facoltativi; la loro presenza è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze (per es. presso servizi residenziali per anziani) dei quali ci si possa avvalere.

     Nel caso, però che tali spazi vengano realizzati essi dovranno rispettare le indicazioni relative con particolare riguardo a quelle con carattere prescrittivo.

     a) b) uffici per il coordinamento e la gestione amministrativa e per le attività di servizio e segretariato sociale

     Devono essere previsti uno o due uffici per svolgere tali attività dotati di servizio igienico.

     c) d) locali per i bagni assistiti, per pedicure e manicure

     Tali locali devono essere preferibilmente articolati in:

     - spazio con sedili per l'attesa e il riposo;

     [*] - locale con vasca da bagno isolata su tre lati, appoggiata cioè solo con una delle testate corte alla parete in modo da permettere al personale di assistere adeguatamente gli utenti. [*]

     E' opportuno per la sicurezza e la comodità del personale che il rivestimento perimetrale della vasca rientri di almeno cm. 15 alla base e per un'altezza pari a cm. 15. Detta vasca sarà munita di tutte le attrezzature: maniglioni lifter, ecc. Nel medesimo locale è da prevedere almeno un vaso e un lavabo.

     [*] - locale con vaso, lavabo, lavapiedi per il servizio di pedicure e manicure; [*]

     - eventuali locali con docce e antidocce per vestirsi e svestirsi.

     e) locale di lavanderia e stireria

     Volendo istituire tale servizio è bene prevedere anche un gruppo di lavatrici di uso diretto da parte degli utenti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     4.4 Spazi per servizi sanitari e riabilitativi (facoltativi)

     Gli spazi che seguono sono facoltativi; la loro presenza è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze (per es. presso servizi residenziali per anziani) dei quali ci si possa avvalere. Nel caso, però, che tali spazi vengano realizzati essi dovranno rispettare le indicazioni relative con particolare riguardo a quelle con carattere prescrittivo.

     a) ambulatorio

     [*] Deve essere previsto un ambulatorio medico[*] con superficie minima di mq. 20 per visite e medicazioni. E' da prevedere un annesso spazio di attesa e un servizio igienico.

     b) studio psicologo, dietista e fisiatra

     Deve essere previsto uno studio dove gli specialisti possono svolgere tale servizio.

     c) palestra di riabilitazione per la fisiochinesiterapia

     Deve essere aperta alla popolazione anziana e non anziana del centro di insediamento per la prevenzione e la rieducazione funzionale e motoria.

     [*] Il locale deve avere una superficie di almeno mq. 60[*] con il lato minore non inferiore a m. 6,00. In prossimità delle palestre devono essere ubicati il locale spogliatoio, i servizi igienici e il ripostiglio per le attrezzature.

     Le palestre devono contenere attrezzature idonee, quelle consigliate sono:

     - pesi mobili;

     - ciclette;

     - scala a due altezze;

     - ruota per le spalle;

     - gradoni;

     - vogatori;

     - spalliere;

     - parallele per deambulazione;

     - specchi quadrettati;

     - attrezzi per la correzione dell'andatura;

     - tappeti imbottiti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     5. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

     6. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     E' bene prevedere un numero di posti auto proporzionale al numero di utenti che frequentano il centro.

     Alcuni posti auto devono essere riservati a disabili.

     Le dimensioni di un'area di parcheggio idonea ad un veicolo che viene usato o che trasporta un disabile, devono essere le seguenti:

     larghezza minima: m. 3,00

     lunghezza minima: m. 5,00

     Eventuali dislivelli tra zona parcheggio e percorsi pedonali devono essere risolti con scivoli aventi una pendenza non superiore all'8%.

     b) aree attrezzate

     E' bene garantire al Centro uno spazio esterno destinato a parco. Qualora l'area a disposizione lo consenta, è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi o fiori. Particolare attenzione deve essere data alla realizzazione dei vialetti, per i quali deve essere impiegato un materiale liscio e sicuro, in modo da facilitare la deambulazione degli anziani. Inoltre vanno previste numerose panchine e sedili, per la sosta e il riposo.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DIURNI PER ANZIANI

 

ASSISTENZA DOMICILIARE

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     L'assistenza domiciliare è costituita dal complesso di prestazioni di natura socio-assistenziale e sanitaria prestate al domicilio di anziani, minori e handicappati e in genere di nuclei familiari comprendenti soggetti a rischio di emarginazione, al fine di consentire la permanenza nel normale ambiente di vita e di ridurre le esigenze di ricorso a strutture residenziali.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari dell'assistenza domiciliare le persone con modico grado di non autosufficienza fisica, con scarsa capacità organizzativa rispetto alla gestione della casa, in situazioni di solitudine e di isolamento psicologico, che hanno difficoltà a mantenere rapporti col mondo esterno (soprattutto i soggetti di età più avanzata e gli handicappati), i nuclei familiari comprendenti soggetti a rischio di emarginazione o handicappati in presenza di situazioni di emergenza (allontanamento per cause di forza maggiore dei genitori, periodi di ospedalizzazione degli stessi).

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     Spetta all'unità operativa degli interventi sociali di base l'individuazione degli utenti del S.A.D. Tale individuazione dovrà essere effettuata, in via prioritaria, in relazione al tipo di bisogno che configura una fascia di popolazione a più alto rischio destinato alle istituzionalizzazioni o ai ricoveri ospedalieri impropri.

     L'unità operativa degli interventi sociali di base decide pertanto delle ammissioni a fruire delle prestazioni del S.A.D., nonché dei relativi tempi di fruizione. Nel caso di soggetti disabili in situazione di emarginazione ammessi a fruire dell'assistenza domiciliare, l'équipe specialistica del dipartimento handicap definisce quali prestazioni fornite, e per quanto tempo, nell'ambito del piano di trattamento personalizzato.

 

     4. Tipologia delle prestazioni

     Le prestazioni fondamentali del servizio di assistenza domiciliare sono le seguenti:

     prestazioni di tipo domestico, erogate dall'ausiliario socio- assistenziale:

     - aiuto per il governo della casa (pulizie, commissioni e spese);

     - consulenza sulle corrette norme igieniche e alimentari;

     - aiuto per il soddisfacimento di esigenze individuali e per favorire l'autosufficienza nelle attività giornaliere (igiene personale totale o parziale, accompagnamento per il disbrigo di pratiche varie o per il mantenimento dei rapporti amicali e di vicinato, ecc.);

     prestazioni infermieristiche:

     - controllo delle terapie in atto e della situazione clinica in stretto collegamento con il medico curante;

     - educazione sanitaria rivolta all'utente ed ai familiari o vicini collaboranti;

     - interventi infermieristici tecnici;

     - assistenza in fase acuta di malattie;

     - collegamento tra l'anziano e i presidi sanitari;

     prestazioni medico-riabilitative:

     per quanto riguarda le generali prestazioni mediche di base, specialistiche e riabilitative il S.A.D. deve collegarsi con i servizi della medicina di base e specialistica dell'U.S.S.L.;

     prestazioni educative:

     le prestazioni educative a domicilio sono da prevedersi solo ed esclusivamente per minori o soggetti handicappati in età evolutiva.

     Nel caso di utenza handicappata, tali prestazioni possono essere indirizzate sia a soggetti gravissimi che non possono usufruire delle prestazioni erogate dal C.S.E. o non intendono ricorrere al centro residenziale, sia a soggetti meno compromessi già inseriti nell'ambiente scolastico.

     Nel primo caso le prestazioni sono prevalentemente rivolte a sostenere la famiglia nel rapporto con l'handicappato onde alleviare il costante impegno assistenziale ed educativo dei familiari e dei genitori, ovvero sono finalizzate all'osservazione dell'ambito familiare (dinamiche interne, comportamento del soggetto, ecc.) prima dell'eventuale inserimento dell'handicappato al C.S.E. o alla struttura residenziale.

     Nel secondo caso le prestazioni dell'educatore sono finalizzate alla realizzazione di un programma educativo tendente ad ottenere un progressivo inserimento dell'handicappato all'interno delle occasioni organizzate di incontro e di ritrovo per la generalità dei coetanei.

     prestazioni complementari:

     si tratta di interventi che integrano e completano le gamme di prestazioni del S.A.D., quali:

     - servizio di lavanderia e stireria;

     - servizio pasti;

     - chiropodia, manicure, barbiere.

     Queste prestazioni, proprio perché complementari a quelle di tipo domestico e infermieristico caratterizzanti il S.A.D., non devono essere erogate isolatamente, perché in tal caso non si tratterebbe di servizio di assistenza domiciliare, bensì di prestazioni assistenziali generiche.

     Il servizio di lavanderia e stireria, così pure quello dei pasti, devono essere di norma espletati usufruendo di servizi e impianti collettivi (es. casa di riposo, struttura protetta, ospedale...) al fine di non gravare sulle prestazioni rese dall'ausiliario socio-assistenziale.

     In particolare i pasti possono, laddove il bisogno lo richieda, essere trasportati al domicilio dell'utente; ovvero erogati presso mense di strutture collettive.

     Le prestazioni di chiropodia, manicure e parrucchiere possono essere rese al domicilio dell'utente, esclusivamente nel caso in cui la persona si trovi in uno stato di particolare bisogno che le impedisca di uscire di casa.

 

     5. Personale

     Il servizio di assistenza domiciliare è espletato dalle seguenti figure professionali fondamentali:

     - ausiliario socio-assistenziale (attualmente denominato colf o assistente domiciliare);

     - infermiere professionale;

     - educatore.

     L'ausiliario socio-assistenziale opera al domicilio dell'utente dando il proprio aiuto volto a favorire l'autosufficienza nell'attività giornaliera. Si tratta, in particolare, dei seguenti tipi di aiuto:

     - aiuto nell'attività di assistenza diretta alla persona (alzarsi dal letto; pulizie personali; vestizione; assunzione dei pasti; corretta deambulazione; movimento di arti invalidi; uso di accorgimenti per una giusta posizione degli arti in condizione di riposo; uso di accorgimenti o attrezzi per lavarsi, vestirsi, mangiare da soli, camminare; mobilizzazione della persona costretta a letto);

     - aiuto per il governo dell'alloggio e le attività domestiche (cura delle condizioni igieniche dell'alloggio;

riordino del letto e della stanza; cambio della biancheria e utilizzo del servizio di lavanderia; preparazione dei pasti e acquisti; eventuale fornitura dei pasti a domicilio e simili);

     - accompagnamento dell'utente per visite mediche, scuole, pratiche varie e altre necessità.

     Tale operatore svolge inoltre prestazioni igienico-sanitarie di semplice attuazione quando queste siano complementari alle attività assistenziali e coincidano con quelle svolte normalmente dai familiari. Si tratta di attività non legate a situazioni di rischio specifico e non separabili da un'attività integrata di assistenza alla persona (es. massaggi e frizioni per prevenire piaghe da decubito, mobilizzazione dell'utente e simili).

     L'infermiere professionale fornisce le prestazioni igienico-sanitarie che comportino una precisa responsabilità in ordine a rischi specifici e che siano predeterminabili e programmabili in modo autonomo rispetto al programma socio-assistenziale globale.

     L'educatore attua il progetto educativo, integrativo e/o sostitutivo del gruppo familiare, nell'ambito del programma mirato ed individualizzato formulato dalle competenti équipes che seguono il caso.

 

     6. Standard di personale

     Diverse variabili concorrono a rendere difficile la definizione di uno standard di personale rigido, non ultime l'erogazione delle prestazioni o distribuite omogeneamente nel corso dell'anno o concentrate nei periodi di maggior bisogno e la dispersione territoriale degli utenti.

     Ad ogni modo, pare ragionevole, prevedere i seguenti rapporti rispetto alle varie figure professionali:

     - ausiliario socio-assistenziale (colf): 1:10 assistiti a domicilio;

     - infermiere professionale: 1 ogni 5.000 abitanti come previsto per l'organizzazione del distretto, rientrando i compiti dell'assistenza domiciliare infermieristica nei compiti propri del personale infermieristico del distretto;

     - assistente sociale: 1 ogni 5.000 abitanti come previsto per l'organizzazione del distretto in quanto l'attività di organizzazione del S.A.D. rientra tra i compiti propri dell'assistente sociale del distretto;

     - educatore: tale figura è prevista esclusivamente in base a un programma di intervento mirato ed individualizzato a favore del minore o handicappato che preveda l'utilizzo di un educatore a domicilio.

     Considerata però l'istituzione relativamente recente del servizio e la difficoltà effettiva di verificare l'efficacia anche in particolare in relazione all'obiettivo di non istituzionalizzazione dell'anziano, si proporranno in tempi successivi altre possibilità di sperimentazione e verifica.

 

CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

Standard Gestionali

 

     1. Definizioni

     I centri socio educativi sono strutture integrate non residenziali che accolgono giornalmente soggetti con notevole compromissione dell'autonomia nelle funzioni elementari.

     I centri mirano alla crescita evolutiva dei soggetti nella prospettiva di una progressiva e costante socializzazione con l'obiettivo da un lato, di sviluppare, pur nella consapevolezza dei limiti oggettivi, le capacità residue, dall'altro, di operare per il massimo mantenimento dei livelli acquisiti.

     Ne consegue che tali Centri offrono ai loro utenti la specifica e continua assistenza, nonché gli interventi socio-educativi mirati e personalizzati di cui essi abbisognano.

     Nei centri socio educativi, i portatori di handicap trovano una «struttura d'appoggio» alla vita familiare, fatta di spazi educativi e ricreativi diversificati, particolarmente necessaria per consentire alla famiglia di mantenere al proprio interno l'handicappato.

 

     2. Destinatari

     Il centro socio educativo accoglie portatori di handicap operando sulla base della gravità come unica categoria di selezione: sono ammessi difatti alla rete dei C.S.E. esclusivamente i soggetti con disabilità tali da comportare una notevole compromissione dell'autonomia nelle funzioni elementari, e per i quali siano stati esperiti tutti gli interventi di tipo riabilitativo-sanitario e psico sociale atti a garantire un reale inserimento in strutture rivolte alla generalità delle persone, nonché per quelli divenuti gravi o per processi di decadimento o per mancanza di terapie adeguate.

     Coerentemente a ciò, la rete dei centri accoglie soggetti senza limiti d'età.

     Nel caso di soggetti sotto i 14 anni, l'accoglimento deve avvenire con particolari cautele, solo dopo aver esperito tutti gli interventi di cui sopra, nonché aver verificato l'inidoneità della scuola a rispondere loro in termini educativi e formativi.

     L'accettazione nella rete dei C.S.E. di questo tipo di utenti comporta la creazione di un organizzazione specifica, capace di garantire (nella collocazione, nella specificità di progetti educativi e delle didattiche, nella qualificazione e nelle tipologie degli operatori) il raggiungimento degli obiettivi della prima formazione.

     Questa unità d'offerta, la cui collocazione più opportuna appare all'interno di un edificio scolastico, deve garantire forme particolarmente accentuate d'integrazione tra le componenti scolastiche, medico- specialistiche, socio-assistenziali e le famiglie di appartenenza.

     Appare conseguente che le strutture scolastiche che possono meglio garantire le condizioni sovra citate sono le scuole a tempo pieno.

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     L'équipe specialistica di zona (composta da fisiatra, neuropsichiatra infantile, psicologo, pedagogista, assistente sociale), decide circa la ammissibilità dei soggetti, predisponendo insieme col responsabile del centro socio-educativo un piano di trattamento personalizzato e mirato, che preveda le linee generali d'intervento e fissi gli obiettivi da perseguire.

     Il responsabile e gli educatori del centro traducono operativamente tale piano in uno specifico progetto educativo, che verificano periodicamente con l'équipe per valutare il grado di efficacia degli interventi attivati per il raggiungimento delle mete e il grado di coerenza del progetto stesso rispetto al più generale piano di trattamento.

     Le dimissioni, decise dalla medesima équipe d'intesa col responsabile e gli educatori del centro, avvengono quando il progetto educativo ha esaurito la sua validità d'intervento e s'impone la necessità di predisporre un nuovo e diverso piano di trattamento.

 

     4. Capacità ricettiva

     Ogni centro socio-educativo deve avere una capacità ricettiva massima di 30 utenti. Possono essere autorizzati al funzionamento centri il cui numero medio di frequentanti non sia inferiore ai 10 utenti.

     Tali valori si legittimano non solo e non tanto per ragioni di economicità gestionale, quanto soprattutto perché utenze troppo ridotte rendono il lavoro pedagogico condotto all'interno dei centri scarsamente significativo rispetto agli obiettivi di socializzazione e di crescita evolutiva.

 

     5. Funzionamento

     Ogni centro deve garantire ai suoi utenti un minimo di 7 ore giornaliere di funzionamento, per 5 giorni alla settimana, per non meno di 10 mesi all'anno.

     Per garantire un corretto funzionamento è necessario prevedere inoltre dei momenti di incontro settimanale tra educatori e responsabile per verificare il grado di attuazione del programma generale delle attività. Il periodo di chiusura comprende il mese di ferie del personale, le festività natalizie e pasquali e deve venir inoltre utilizzato per la predisposizione del sopracitato programma.

 

     6. Attività

     Le prestazioni socio-educativo-assistenziali sono assicurate dagli educatori i quali, nel rispetto delle finalità del C.S.E. e del principio dell'individualizzazione del processo educativo, orientano i loro interventi in senso squisitamente pedagogico, aiutando gli utenti a raggiungere un più adeguato rapporto con se stessi, con gli altri e con l'ambiente, nonché a cercare di acquisire comportamenti e funzioni indispensabili per la vita di tutti i giorni. Il personale educativo deve quindi coinvolgere attivamente i soggetti nei vari momenti di vita del centro, perché ognuno di questi momenti ha una propria valenza educativa e rappresenta, nella sua specificità, una meta che l'handicappato può raggiungere in modo progressivo. Ma l'azione educativa non si esaurisce in quanto sopra delineato, essa deve infatti coinvolgere anche il nucleo familiare del soggetto; l'educatore dà completezza al proprio intervento allorché riesce a rendere compartecipi i familiari nel progetto educativo affinché gli stessi, ad esempio, correggano eventuali modalità di rapporto negative nei confronti del congiunto dovuti a iperprotettività, a rifiuto (manifesto o meno) oppure a stanchezza psicologica.

     In quest'ottica si possono individuare 6 aree in cui inserire una gamma di attività diversificate tali da soddisfare i principali bisogni espressi dai soggetti normalmente frequentanti il centro, tenendo ben in considerazione nella programmazione delle attività l'età degli utenti, al fine di operare corrette aggregazioni il più possibile omogenee fra loro.

     Attività educative indirizzate verso l'autonomia personale

     Ci si riferisce qui a tutte le attività volte a facilitare il miglior adattamento possibile ai vari momenti funzionali della giornata, facendo particolare attenzione alla organizzazione temporale-sequenziale della giornata stessa e quindi ai ritmi giornalieri, all'autonomia o al sostegno ben studiato nell'alimentazione e nell'abbigliamento, all'igiene personale, all'orientamento nello spazio-ambiente e a tutte le sollecitazioni e le stimolazioni volte a favorire e a facilitare la comunicazione tra utente e ambiente, per lo meno relativamente al soddisfacimento dei bisogni primari.

     Attività educative con significato prevalentemente psico-motorio

     Si tratta in pratica di tutta la vasta gamma delle attività cosiddette «espressive», miranti a far raggiungere ai soggetti dei traguardi sempre più significativi rispetto alla loro capacità di prendere coscienza di sé e del mondo, nonché alla loro capacità di controllare il proprio corpo ed il proprio movimento utilizzandolo a scopo esplorativo-comunicativo- relazionale. A questo proposito si segnalano i laboratori di pittura e di manipolazione, i momenti specifici di educazione psicomotoria, le attività di drammatizzazione e di espressione corporea, il gioco-teatro, l'educazione fisica con particolare riguardo alle proposte di sport e di gioco collettivo, i momenti di gioco «pedagogico», l'attività di animazione musicale, particolari proposte che utilizzino spazi ed operatori esterni, come ad es. il nuoto-attività motoria guidata in piscina, l'equitazione ed altre.

     Qualora a talune di queste attività si desideri far assumere una valenza più specificamente terapeutica (musicoterapia, ippoterapia, idroterapia, ecc.), sarà necessario garantire la presenza e la conduzione dell'attività stessa da parte di personale specializzato (interno ed esterno), sempre associando la adeguata supervisione o l'adeguato sostegno attraverso l'intervento di specialisti dell'équipe.

 

     Attività educative di socializzazione

     Ci si riferisce ad attività che permettano di far conoscere ai soggetti il contesto ambientale in cui vivono, dentro e fuori dal Centro, facendo attenzione sia alla scoperta delle microrealtà sia alla scoperta delle macrorealtà del territorio.

     Si tratta delle attività miranti a promuovere momenti socializzanti che trovano infatti realizzazione non solo all'interno del centro, ma anche, e soprattutto, all'esterno, in stretto raccordo con strutture ove siano presenti spazi di tipo aggregativo, sportivo, artistico, politico e culturale, organizzati per la generalità delle persone.

     D'altro canto si pensa a vere e proprie attività di esplorazione ambientale attraverso passeggiate, visite a mercati, centri cittadini, negozi, industrie, lavoratori artigiani, gite in luoghi significativi a livello ambientale, paesaggistico o artistico, momenti di conoscenza di ambienti diversi da quello abitualmente frequentato. Anche alcune attività di tipo espressivo e contemporaneamente educativo-occupazionale (come ad es. il laboratorio di cucina-economia domestica) possono servire a far meglio conoscere al soggetto alcune normali situazioni ambientali (in questo caso alcuni aspetti del microcosmo familiare) ed a fargli quindi sperimentare alcuni canali specifici di comunicazione e di socializzazione.

     Si ricorda infine che vanno soprattutto potenziati tutti i tentativi per favorire la socializzazione attraverso rapporti con i coetanei e pertanto con tutte le strutture e le realtà circostanti frequentate dai coetanei.

 

     Attività educative con significato prevalentemente occupazionale

     Mediante queste attività gli utenti possono sperimentare, accrescere o raffinare le loro capacità gnoso-prassiche e percettive e vivere situazioni di maggior impegno e responsabilità.

     (Si ricorda che le prassie sono sistemi di movimenti coordinati in funzione di un risultato o di un'intenzione, e che la funzione prassica è collegata alla funzione gnosica, cioè alla conoscenza dell'oggetto verso cui si rivolge l'attenzione).

     In particolare ci si riferisce alle varie attività di laboratorio, artigianali o meno, quali quelle dell'assemblaggio, delle lavorazioni con il legno, con il cuoio, del cucito e della tessitura, della cesteria, del bricolage; alle semplici attività di coltivazione di fiori e piante, di orti, di allevamento di animali; alla economia domestica e alla cucina.

 

     Attività educative mirate in maniera specifica al mantenimento del livello culturale raggiunto dal soggetto

     Fra queste attività, oltre a buona parte di quelle già in precedenza citate, devono trovare spazio precisi momenti dedicati alla conservazione del patrimonio culturale esistente, di derivazione scolastica o meno e all'allenamento al suo utilizzo funzionale.

 

     Attività sanitarie

     Esauriscono, infine, la gamma delle attività espletate dai centri socio-educativi quelle legate all'esercizio di funzioni sanitarie, costituite dalle attività riabilitative e terapeutiche mirate, che devono essere specifiche e di carattere specialistico, differenziate a seconda delle esigenze e dei bisogni dei singoli soggetti ed individuate sulla base degli esami diagnostico-prognostici e delle prescrizioni-programmi terapeutici compiuti dagli specialisti dell'équipe.

     Si tratta pertanto di prestazioni assicurate dal personale dell'USSL (generalmente appartenente al servizio di medicina specialistica extra ospedaliera) presso i servizi organizzati dall'USSL medesima o all'interno del Centro socio-educativo stesso.

     Si precisa che la somministrazione dei farmaci deve essere fatta da un infermiere professionale messo a disposizione dall'USSL per le ore necessarie.

 

     7. Personale

     Nei centri socio educativi operano stabilmente, costituendone la componente «residenziale», il responsabile, gli educatori e gli ausiliari addetti ai servizi.

     Il responsabile risponde della programmazione delle attività, della loro organizzazione interna, del loro coordinamento con l'insieme degli altri interventi zonali, nonché della verifica dei programmi attuati, coerentemente e conseguentemente al compito affidatogli, il responsabile del centro socio educativo partecipa ai processi di definizione delle strategie e delle modalità d'intervento.

     - all'interno del nucleo dipartimentale zonale, nelle fasi di elaborazione dei piani di trattamento personalizzati e mirati in base ai quali si ammettono gli utenti e nelle fasi di verifica della validità dei risultati degli stessi in base ai quali possono essere decise le dimissioni;

     - ai livelli superiori (es. dipartimento) laddove, nella definizione dei programmi zonali di azione nei confronti dell'handicap, si rende necessario precisare e coordinare i ruoli dei singoli presidi coinvolti.

     Al responsabile del centro competono, nel quadro dei regolamenti e delle disposizioni predisposte dall'Ente responsabile, i compiti derivanti dal regime di autonomia funzionale in cui opera il presidio, relativi sia alla gestione funzionale e operativa del personale, sia agli aspetti amministrativi inerenti la situazione economica e patrimoniale di sua competenza.

     Il responsabile del centro socio educativo è nominato dall'Ente gestore del servizio tra il personale con competenze educative in possesso dei requisiti tecnici e professionali necessari per l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Gli educatori sono gli operatori che partecipano alla predisposizione dei progetti educativi e ne danno concreta attuazione. Essi partecipano altresì, insieme col responsabile, all'interno del nucleo dipartimentale zonale nelle fasi di verifica della validità e dei risultati dei progetti in base ai quali possono essere decise le dimissioni.

     Gli ausiliari addetti ai servizi garantiscono con la loro presenza le quotidiane funzioni di pulizia.

     Nei centri socio-educativi sono infine garantite da parte di personale «itinerante» prestazioni di carattere sanitario, attività di tipo educativo, di completamento a quelle di diretta competenza degli educatori in relazione agli specifici programmi educativi da attuare, nonché funzioni relative alla gestione degli aspetti materiali del centro.

     Tale componente «itinerante» è costituita dalle seguenti figure:

     - operatori di estrazione sanitaria: medici specialisti, riabilitatori, terapisti, infermieri.

     - personale educativo particolare: maestri «d'arte», quali ad esempio: falegnami, ceramisti, coltivatori, musicisti. Essi svolgono attività complementari a quelle di competenza degli educatori.

     - personale ausiliario addetto ai servizi: ausiliari aggiuntivi a quelli «residenziali» preposti alle pulizie generali. Essi agiscono su una pluralità di strutture.

     Il centro socio-educativo deve inoltre garantire il servizio mensa, preferibilmente facendo riferimento a strutture esterne.

Laddove ciò sia giustificatamente impossibile, i pasti vengono garantiti dal seguente personale:

     - personale di cucina: cuoco ed eventuali ausiliari addetti ai servizi preposti alle cucine.

     Le quantità e le modalità d'impiego del personale «itinerante» reso necessario dalle strategie d'intervento, in relazione ai bisogni dell'utenza, vengono proposte dal responsabile del C.S.E. all'Ente gestore.

     Le unità di personale «itinerante» che operano all'interno del centro rientrano nella programmazione generale del servizio e fanno pertanto diretto riferimento al responsabile.

 

     8. Standard di personale

     Ogni centro socio-educativo deve avere il seguente standard di personale in organico:

     - 1 responsabile;

     - 1 educatore ogni 3 utenti.

     Si deve cioè verificare, in un C.S.E. che saturi completamente la propria ricettività massima accogliendo 30 utenti, che il numero degli educatori presenti sia pari a 10 unità.

     Una variazione di questo rapporto sarà consentita fino a 1:2, 1:1, in funzione delle caratteristiche dei portatori di handicap ospitati.

     Stabilito che il complesso dei carichi di lavoro riferibile alle funzioni ausiliarie va distribuito tra ausiliari «residenziali» e ausiliari «itineranti», e che la maggior quota di oneri può essere in modo programmato e preventivabile affidata all'esterno (come nel caso del servizio mensa e delle pulizie generali), è opportuno prevedere la presenza stabile di ausiliari addetti ai servizi, dipendenti dal centro, definibile in un massimo di 2 ausiliari per C.S.E.

 

CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi collettivi:

     a) locali polifunzionali

     b) cucina

     c) ambulatorio

     d) servizi igienici

4.2 Spazi di collegamento:

     a) atrio d'ingresso

     b) corridoi e disimpegni

     c) scale

4.3 Servizi generali:

     a) uffici

     b) locale ripostiglio

5. IMPIANTI:

     a) antincendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) gas

     e) riscaldamento

     f) citofonico o di segnalazione

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI

8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     b) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.), in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     In caso di nuove costruzioni la struttura deve avere un solo piano fuori terra; in caso di ristrutturazione il centro deve preferibilmente svilupparsi su di un'unica quota ed al piano terreno.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di Igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa ed organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi scolastici e di quelli socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - i servizi di riabilitazione;

     - il Centro residenziale (se esistente);

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVICENTRI PER HANDICAPPATI

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato degli artt. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     [*] Il Centro non deve presentare al suo interno variazioni di livello, né tantomeno gradini. In Caso contrario questi devono essere superati mediante rampe. [*]

     E' opportuno che i percorsi e gli spazi interni siano facilmente leggibili e caratterizzati da un'immagine che esprima chiaramente la loro funzione.

     Questa può essere realizzata con forme e colori a servizio di tutti coloro che, pur soffrendo di vari tipi di minorazioni, possono usare agevolmente il senso della vista, mentre per i subvedenti e i non vedenti è bene studiare messaggi tattili da applicare sulle pareti, sui corrimani, sui pavimenti nonché sulle apparecchiature ed impianti da utilizzare.

     Date le condizioni di disabilità dell'utenza, che spesso non è in condizione di percepire e comprendere agevolmente l'impianto distributivo e le funzioni dei singoli ambienti, è necessario studiare una opportuna segnaletica che, tramite semplici messaggi visivi o sonori, indichi e indirizzi. E' utile corredare le indicazioni scritte con una appropriata simbologia, che faciliti attraverso immagini semplici, la localizzazione e le attività connesse ai vari ambienti.

     Per i nonvedenti, è opportuno corredare i messaggi tattili con planimetrie e figure in rilievo unitamente a scritte in alfabeto Braille.

     Il centro deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     4.1 Spazi Collettivi:

     a) locali polifunzionali

     [*] Devono essere previsti più locali intercomunicanti o un unico locale suddiviso da pareti mobili per ottenere la massima flessibilità d'uso.

     Lo spazio deve essere suddiviso tra:

     - locali per attività di socializzazione, di recupero funzionale e di laboratori/atelier, dove svolgere le attività previste dal programma del centro;

     - locale per il pranzo e per attività di piccolo/grande gruppo.

     Per motivi d'igiene in tale locale non possono essere svolte attività di laboratorio/atelier.

     La superficie minima complessiva dei locali sopra menzionati deve essere almeno di mq. 5 per utente. [*]

     b) cucina

     La preparazione e distribuzione dei pasti deve avvenire preferibilmente facendo riferimento ad organizzazioni esterne presenti sul territorio.

     Tuttavia è utile prevedere un locale cucina da utilizzare come laboratorio per attività educativa a significato occupazionale, ove i disabili possano imparare ad usare le diverse attrezzature di cucina ed a preparare semplici pietanze.

     La superficie di tale locale deve essere di mq. 20.

     Il locale cucina deve essere dotato di un lavello a mensola con lo spazio sottostante libero per consentire un agevole e completo avvicinamento del disabile in sedia a ruote. Le tubazioni di adduzione e di scarico devono essere quindi sotto traccia in modo da evitare ogni ingombro sotto il lavello stesso. La rubinetteria deve essere preferibilmente del tipo a leva.

     c) ambulatorio

     E' necessario un locale per assicurare cure immediate in caso di piccoli incidenti e da adibire a deposito medicinali. La superficie minima deve essere di mq. 9.

     d) servizi igienici

     [*] I servizi devono avere una dislocazione opportuna per servire ogni settore del centro senza lunghi trasferimenti.

     In ogni centro deve essere previsto un servizio igienico completo di tutti gli apparecchi sanitari (in appresso specificati) ogni 5 utenti ed almeno un servizio igienico per il personale. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di areazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla areazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce ed arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     [*] I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un lavapiedi e una doccia.

     Nelle nuove costruzioni le dimensioni minime dei servizi igienici devono essere di m. 1,80 X 2,50.

     In caso di ristrutturazione, le dimensioni dei servizi igienici devono essere tali da consentire agevoli movimenti anche ad utenti in carrozzina. [*] Il rubinetto del lavabo deve essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti, preferibilmente del tipo a croce o a leva; la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavabo.

     [*] Il piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la soprastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     La doccia deve essere dotata di un apposito seggiolino ribaltabile e di un erogatore d'acqua del tipo a telefono montato su un'asta verticale che ne consenta il funzionamento a diverse altezze; la rubinetteria deve essere posta ad un'altezza di cm. 90.

     Deve essere prevista la fornitura centralizzata di acqua calda.

     I posizionamenti dei corrimani e del campanello elettrico devono rispettare le norme previste dall'art. 14 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     4.2 Spazi di collegamento:

     a) atrio d'ingresso

     [*] Deve avere una superficie minima di mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00 per permettere un movimento agevole ad una carrozzina. [*]

     L'ingresso deve essere dotato di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da esso raggiungibili (v. art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) corridoi e disimpegni

     [*] Devono avere una larghezza di m. 1,80; ove non sia possibile disporre di tale misura per tutta la lunghezza, occorre prevedere, all'inizio ed alla fine del corridoio, uno spazio per la rotazione della carrozzina di almeno m. 1,70 X 1,70.

     In ogni caso la larghezza minima dei corridoi non può essere inferiore a m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che ne diminuiscono la larghezza, e sono fonti di pericolo. I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate mediante rampe. [*]I corridoi devono avere i corrimani su ambedue i lati con le testate piegate sino al muro per non costituire pericolosi agganci. [*]

     Il corrimano deve essere posto ad una altezza di m. 0,90 da terra, deve essere molto sicuro alla presa preferibilmente, avere una sezione circolare di diametro di circa cm. 4, staccato dalla parete di cm. 6.

     I disimpegni sono relativi alla distribuzione interna fra i vari locali e devono avere una dimensione minima di m. 1,70 X 1,70 per permettere la rotazione di una carrozzina.

     c) scale

     Devono essere utilizzate esclusivamente dal personale e da visitatori estranei al centro. [*]Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli spazi ad uso del centro mediante una porta. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     4.3 Servizi generali

     a) uffici

     E' utile prevedere almeno un locale per le attività di direzione, coordinamento e per le attività amministrative, nonché per le riunioni degli operatori, i colloqui con i genitori e le altre attività di servizio sociale.

     b) locale ripostiglio

     E' utile prevedere almeno un locale per il deposito delle attrezzature, soprattutto nei casi in cui i locali per le attività siano utilizzati per più funzioni e quindi esista la necessità di modificare arredi e dotazioni a seconda della destinazione.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto antincendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] In caso di ristrutturazione di un edificio a più piani e qualora il centro non possa trovare la sua più idonea localizzazione al piano terreno per dimostrabili fattori, è indispensabile prevedere un ascensore con le seguenti dimensioni minime (v. art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384):

     - profondità: m. 1,50 (interno cabina);

     - larghezza: m. 1,37 (interno cabina);

     - larghezza porta: m. 0,90 (posta sul lato stretto della cabina);

     - profondità del ripiano di fermata (di fronte alla porta e non in asse con la scala) m. 2,00;

     - altezza bottoniera di comando interna ed esterna (max) m. 1,20;

     - porte esterne ed interne a scorrimento laterale automatico con idoneo meccanismo per l'arresto e l'inversione della chiusura delle porte stesse;

     - meccanismo di autolivellamento ai piani;

     - corrimano sull'intero perimetro interno;

     - sedile ribaltabile sulla parete opposta all'ingresso.

     In nessun caso tale ascensore può servire per il collegamento a terra di eventuali diversi servizi estranei al centro stesso e posti ai piani superiori o inferiori. Detti servizi devono perciò possedere accesso indipendente. [*]

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, ed i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti), devono essere facilmente individuabili ed azionabili, devono essere posti ad una altezza massima di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     L'illuminazione deve essere il più possibile uniforme in tutti gli ambienti.

     Particolare attenzione dovrà essere rivolta a tutte le apparecchiature elettrodomestiche e agli eventuali macchinari elettrici provvedendo ad eventuali adattamenti in funzione del tipo di disabilità degli utenti.

     d) impianto gas

     Particolare attenzione deve essere rivolta ai fornelli della cucina, all'eventuale forno e scaldabagno a gas, per i quali è consigliata l'accensione piezoelettrica. [*]Devono essere previsti accorgimenti che segnalino o impediscano fughe di gas. [*]

     e) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature.

     In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda, più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     La temperatura dei locali utilizzati dagli ospiti deve essere superiore a quella stabilita per legge in via ordinaria, in relazione alle particolari necessità dei soggetti disabili. Pertanto la temperatura ottimale deve essere di 24° C per i bagni e di 22° C per i restanti spazi fruiti dagli ospiti.

     f) impianto citofonico o di segnalazione

     [*] I servizi igienici frequentati dagli ospiti devono essere dotati di particolari attrezzature di comunicazione (citofoni, campanelli) idonee a segnalare agli operatori o a chiunque sia addetto al controllo degli utenti le richieste di aiuto ed assistenza. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella delle porte dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite ed il battente aperto a 90° in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa. [*]

     Le maniglie possono essere del tipo a pressione, che permettono l'apertura con la semplice pressione di un tasto anche usando il polso, oppure del tipo corrente a leva, ma con la leva più allungata che può essere azionata anche con l'avambraccio o il gomito.

     Le maniglie devono essere poste ad una altezza massima di 90 cm.

     Le porte e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto ed all'usura.

     Nel caso di accoglimento di alcuni tipi di disabili sono indicate le porte imbottite, mentre sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     E' utile prevedere su ogni porta uno zoccolo alto cm. 40, eventualmente rivestito in laminato o acciaio inox oppure eseguito con lo stesso materiale del pavimento (ad esempio gomma o legno), che eviti di danneggiare le porte stesse soprattutto con le predelle delle carrozzine. (v. art. 12 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) finestre

     Il tipo di finestra consigliato è quello a doppio sistema di apertura, nella parte inferiore le ante e in quella superiore il wasistas.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     I serramenti a wasistas, posti in alto e comandati da opportuni congegni o aste, possono contribuire al ricambio dell'aria, senza creare fastidiose correnti. Nelle nuove costruzioni si consiglia, per consentire la visuale verso l'esterno alle persone sedute ed ai disabili in carrozzina, che il davanzale delle finestre sia posto ad una altezza da terra di cm. 60/70 con specchiatura in vetro del serramento fino almeno a cm. 100, fissa e trasparente.

     Si può eventualmente aggiungere, per aumentare la sicurezza, una o più barre orizzontali.

     Sono consigliate porte-finestre ad ante e scorrevoli del tipo «alzante» che consentono un'ottima tenuta soprattutto in basso e che hanno una sporgenza di battuta dal pavimento limitata a cm. 2 circa e quindi facilmente superabile da disabili in carrozzina.

     Sia per le porte-finestre come per le finestre è necessario comunque, per ragioni di sicurezza, che siano montati vetri infrangibili.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente ed acusticamente, non elettroconduttori. [*]

     La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione.

     Sono consigliati pavimenti vinilici, con sottofondo di feltro o altro materiale elastico.

     I pavimenti di marmi, marmette e granigliati sono sconsigliabili dato che, essendo molto rigidi, possono provocare fratture in caso di caduta degli ospiti.

     Per i bagni sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     d) rivestimenti pareti

     Per le stesse ragioni indicate per i pavimenti e per prevenire possibili incidenti è bene che le pareti siano rivestite, almeno fino ad una certa altezza, con materiali elastici e tali da attutire gli urti. In alcuni casi potrebbe essere lo stesso materiale usato per il pavimento che riveste le pareti ad una altezza di cm. 120 circa.

     Per tutti i locali nei quali non sia già previsto un rivestimento adeguato, è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dalle predelle delle carrozzine e dagli attrezzi di pulizia.

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento. Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso), né deprimenti (intorno all'azzurro).

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     7. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI SOCIO-EDUCATIVI PER HANDICAPPATI

 

     8. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     Le dimensioni di un'area di parcheggio idonea ad un veicolo che viene usato o che trasporta un disabile, devono essere le seguenti:

     - larghezza minima: m. 3,00

     - lunghezza minima: m. 5,00

     Eventuali dislivelli tra zona parcheggio e percorsi pedonali devono essere risolti con scivoli aventi una pendenza non superiore all'8% (v. artt. 3 e 4 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) aree attrezzate per il gioco, lo sport e le coltivazioni

     Al centro socio-educativo deve essere garantito uno spazio esterno a suo uso esclusivo, con aree attrezzate per lo svolgimento di attività ludico-sportive.

     Qualora l'area a disposizione lo consenta, è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi o fiori e per altre attività come previsto dal programma del centro.

     La struttura con relativo spazio circostante deve essere protetta da un sistema di recinzione fatto in maniera tale da non costituire elemento di pericolo per gli utenti.

 

CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     I centri residenziali sono residenze protette collettive che accolgono soggetti con gravi o gravissime limitazioni dell'autonomia funzionale, che necessitano di un supporto assistenziale specifico, nonché di prestazioni sanitarie, e sono impossibilitati a rimanere in via temporanea o permanente nel proprio nucleo familiare.

     Date queste caratteristiche i centri residenziali non devono costituirsi come «istituzioni chiuse», bensì devono risultare servizi aperti all'esterno nella logica della massima integrazione con tutte le offerte presenti sul territorio.

 

     2. Destinatari

     Il centro residenziale si rivolge a persone che, a causa di menomazione fisica, psichica e sensoriale, presentano riduzioni nell'autonomia e nell'autosufficienza tali da richiedere aiuto di terzi di vario grado («io ausiliario», «io sostitutivo» ([*]), a seconda dell'entità della riduzione dell'autonomia e dell'autosufficienza) e di vario tipo (assistenziale, assistenziale e sanitario, assistenziale e sanitario riabilitativo) per il soddisfacimento dei bisogni vitali e per la sopravvivenza, allorché il nucleo familiare non sia in grado di provvedere o a causa della consistenza dell'aiuto richiesto in relazione alle forze e possibilità della famiglia, o per effetto della sua assenza.

     Pur selezionando i suoi utenti a prescindere dall'età, l'accoglimento nel CR di soggetti sotto i 14 anni ha un carattere di assoluta eccezionalità e deve avvenire con la massima cautela e solo dopo aver verificato che per questi soggetti è impossibile rispondere con modalità diverse (ad es. disponibilità all'accoglimento del minore da parte della rete parentale o possibilità di affidamento familiare).

     ([*]) «io ausiliario» indica un grado di aiuto da parte di terzi inferiore a quello denominato «io sostitutivo». Infatti, in quest'ultimo caso il soggetto è decisamente non autosufficiente per cui chi l'aiuta gli si sostituisce.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     Il nucleo dipartimentale zonale decide circa la ammissibilità dei soggetti predisponendo, insieme col responsabile del centro residenziale, un piano di trattamento personalizzato e mirato, che preveda le linee generali d'intervento e fissi gli obiettivi da perseguire.

     Il responsabile con gli educatori, gli ausiliari socio-assistenziali e gli infermieri traducono operativamente tale piano in uno specifico progetto articolato in interventi socio-educativi e in prestazioni di assistenza diretta alla persona nonché di tipo sanitario e/o riabilitativo.

     Il nucleo dipartimentale zonale insieme con il responsabile del CR e tutte quelle figure di operatori già coinvolte nella fase di progettualità operativa, verificano il grado di efficacia degli interventi attivati per il raggiungimento delle mete e il grado di coerenza del progetto stesso rispetto al più generale piano di trattamento.

     Essi decidono altresì delle dimissioni che avvengono allorché s'impone la necessità di predisporre un nuovo e diverso piano di trattamento.

 

     4. Capacità ricettiva

     Ogni centro residenziale deve avere una capacità ricettiva minima pari a 20 utenti e massima di 30.

 

     5. Funzionamento

     Il centro residenziale ha funzionamento permanente nell'arco delle 24 ore, per l'intera settimana e per tutto l'anno.

 

     6. Attività

     Il personale socio-sanitario dei centri residenziali garantisce primariamente il dignitoso soddisfacimento dei bisogni primari ed esistenziali, sopperendo alle difficoltà che la persona disabile incontra nel provvedere con la propria iniziativa.

     L'organizzazione dell'ambiente deve avere caratteristiche generali e particolari atte a creare gradevoli condizioni di vita, fruibili anche da persone con autonomia e autosufficienza notevolmente ridotte.

     Lo svolgimento della vita deve avvenire con ritmo sereno, commisurato alle condizioni ed esigenze delle persone in un non facile equilibrio fra il rispetto dei ritmi personali e gli stimoli per il miglioramento.

     Il soddisfacimento dei bisogni primari di persone, che sono parzialmente o totalmente impedite a provvedere in proprio (spesso anche ad avvertire il bisogno) rappresenta un investimento prioritario oltre che per la sopravvivenza, anche per instaurare un valido rapporto

affettivo/sociale.

     Devono essere previsti, nell'arco della giornata, momenti di animazione tali da soddisfare il bisogno di relazione e sollecitare la capacità di rapporto sociale. Vengono altresì proposte attività educative indirizzate all'autonomia personale, alla socializzazione, all'espressione di sé e al mantenimento del patrimonio culturale posseduto.

     Il centro residenziale deve garantire, laddove sia predisposto dal piano di trattamento personalizzato, la possibilità di frequentare durante il giorno il centro socio-educativo e l'intervento educativo qui attivato trova una sua naturale continuazione nell'ambito delle attività sopracitate realizzate nel centro residenziale.

     Si sottolinea, inoltre, che devono essere favoriti e stimolati i rapporti con la famiglia o con la rete parentale più estesa nonché con tutte le altre componenti sociali la cui partecipazione alla vita del centro è favorita. Questa forte interazione con la realtà esterna assume un significato rilevante sia per gli ospiti temporanei, aventi ancora la famiglia (perché serve a facilitare il loro rientro nel nucleo d'origine) sia per gli ospiti permanenti, senza più famiglia, perché è volta a promuovere la responsabilizzazione di eventuali congiunti e la disponibilità di questi ad accogliere o con frequenza settimanale o nei periodi di vacanza il parente handicappato.

     Nel centro residenziale è garantita un'assistenza sanitaria di base e specialistica che oltre a curare gli eventi morbosi ricorrenti, previene la loro insorgenza e ritarda l'evoluzione degli stati morbosi cronici.

     Le prestazioni sanitarie devono essere assicurate dal personale dell'USSL all'interno del centro, mettendo a disposizione alcune unità in modo continuativo (infermiere professionale e medico), nonché garantendo, nei casi di particolare bisogno, una disponibilità costante di altre.

     Sono inoltre assicurate dall'USSL le prestazioni riabilitative prevalentemente presso servizi organizzati dalla medesima (istituti di riabilitazione), o comunque mettendo a disposizione dei terapisti.

 

     7. Personale

     Nei centri residenziali operano stabilmente il responsabile, gli educatori, gli ausiliari socio-assistenziali, gli infermieri, il medico e gli ausiliari addetti ai servizi. Tale personale costituisce la componente «residenziale» del centro.

     Per ogni centro deve essere nominato un responsabile della programmazione delle attività, della loro organizzazione interna, del loro coordinamento con l'insieme degli altri interventi zonali, nonché della verifica dei programmi attuati.

     Coerentemente e conseguentemente al compito affidatogli, il responsabile del centro residenziale partecipa ai processi di definizione delle strategie e delle modalità d'intervento:

     - all'interno del nucleo dipartimentale zonale nelle fasi di elaborazione dei piani di trattamento personalizzati e mirati in base ai quali si ammettono gli utenti e nelle fasi di verifica della validità e dei risultati degli stessi in base ai quali possono essere decise le dimissioni;

     - ai livelli superiori (es. dipartimento) laddove, nella definizione dei programmi zonali di azione nei confronti dell'handicap, si rende necessario precisare e coordinare i ruoli dei singoli presidi coinvolti.

     A tale figura competono, nel quadro dei regolamenti e delle disposizioni predisposte dall'Ente responsabile dei servizi di zona, i compiti derivanti dal regime di autonomia funzionale in cui opera il presidio relativi sia alla gestione funzionale e operativa del personale, sia agli aspetti amministrativi inerenti la situazione economica e patrimoniale di sua competenza.

     Il responsabile del centro residenziale è nominato dall'Ente gestore tra il personale con competenze educative, in possesso dei requisiti tecnici e professionali coerenti con l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Gli educatori sono gli operatori che partecipano alla predisposizione dei progetti educativi e ne danno concreta attuazione. Essi partecipano altresì, insieme con il responsabile, all'interno del nucleo dipartimentale zonale nelle fasi di verifica della validità dei risultati dei progetti in base ai quali possono essere decise le dimissioni.

     Rispetto agli educatori di unità strutturali non residenziali, quelli dei centri residenziali si trovano a dover convivere coi soggetti ospitati e ad assumere anche una funzione di supplenza dell'organizzazione familiare, comunemente preposta alla soddisfazione dei bisogni materiali ed affettivi.

     Queste figure devono altresì promuovere momenti di interazione con il sistema familiare, sia esso la famiglia d'origine o la rete parentale più estesa, nonché con altri servizi del territorio.

     Gli ausiliari socio-assistenziali prestano un'assistenza di tipo «tutelare» che risponde in termini di assistenza diretta alla persona che si attua mediante l'erogazione di prestazioni primarie: alimentazione, mobilizzazione, eliminazione/evacuazione, igiene, protezione. A questa si aggiunge la pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi e attrezzature dell'ospite.

     All'interno delle prestazioni sopra citate se ne evidenziano alcune di tipo igienico sanitario di semplice attuazione, complementari alle attività assistenziali e coincidenti con quelle svolte normalmente dai familiari. Esse sono in qualche modo a confine tra l'area sanitaria e quella socio- assistenziale, comportano attività non legate a situazioni di rischio specifico e non sono separabili da un attività integrata di assistenza alla persona, in quanto essenziali all'attuazione del programma assistenziale (ad esempio: rilevamento della temperatura e del polso, massaggi e frizioni per prevenire piaghe da decubito ecc.).

     Naturalmente la capacità di realizzare interventi integrati non significa che l'ausiliario socio-assistenziale debba essere impiegato per svolgere attività residuali, vale a dire «scartate» da altri operatori. Parallelamente, la tipologia degli interventi rientranti nell'ambito delle sue competenze va valutata come supporto integrativo, e non sostitutivo, di interventi sia di tipo educativo sia di tipo ricreativo-culturale e psicologico. In questa logica, ad esempio, egli partecipa in collaborazione con gli educatori agli interventi volti a favorire la vita di relazione.

     Queste figure sono presenti nella fase di traduzione operativa del piano di trattamento mirato e personalizzato, nonché in quella di verifica.

     Gli infermieri professionali forniscono le prestazioni igienico- sanitarie che comportano una precisa responsabilità in ordine a rischi specifici.

     Tali prestazioni rientrano nel quadro del progetto di intervento complessivo elaborato in fase di traduzione operativa del più generale piano di trattamento.

     Il medico garantisce con la sua presenza le prestazioni sanitarie di cui possono avere bisogno gli ospiti e, mediante costanti controlli medici, ne verifica l'evoluzione delle condizioni di salute.

     Gli ausiliari addetti ai servizi garantiscono con la loro presenza le quotidiane funzioni di pulizia.

     Nei centri residenziali sono infine garantite da parte di personale «itinerante» prestazioni di carattere sanitario, in relazione agli specifici progetti da attuare, nonché funzioni relative alla gestione degli aspetti materiali del centro.

     Tale componente «itinerante» è costituita dalle seguenti figure:

     - operatori di estrazione sanitaria: medici specialisti, riabilitatori, terapisti.

     - personale ausiliario addetto ai servizi: ausiliari aggiuntivi a quelli «residenziali» preposti alle pulizie generali alla lavanderia e stireria.

     Essi agiscono su una pluralità di strutture.

 

     8. Standard di personale

     Ogni centro residenziale deve avere il seguente standard di personale in organico:

     - 1 responsabile per ogni centro;

     - 1 educatore ogni 4 utenti;

     - 1 ausiliario socio-assistenziale ogni 2,5 utenti;

     - 1 infermiere professionale ogni 4 utenti.

     Si deve cioè verificare in un C.R. che saturi completamente la propria ricettività massima accogliendo 30 utenti, che il numero di:

     - educatori sia pari a 7,5 unità;

     - ausiliari socio-assistenziali sia pari a 12 unità;

     - infermieri professionali sia pari a 7,5 unità.

     Va inoltre previsto 1 medico a 18 ore settimanali. In casi di necessità va garantita la reperibilità.

     La struttura deve inoltre garantire razionali ed efficienti servizi di:

     - cucina;

     - lavanderia, stireria, guardaroba;

     - portineria;

     - centralino;

     - manutenzione impianti;

     - servizi amministrativi utilizzando personale dipendente, convenzionato o mediante appalti a ditte esterne. Si ritiene che il costo complessivo di tali servizi (comprese le spese generali dell'acquisizione dei relativi beni e servizi) non debba di norma superare il 40-45% del costo totale della struttura.

 

CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Spazi collettivi:

     a) locale per soggiorno e animazione

     b) sala da pranzo

     c) palestra di riabilitazione per la fisiokinesiterapia

     d) ambulatorio

4.2. Spazi di collegamento:

     a) atrio d'ingresso e piattaforma di distribuzione

     b) spazio per accoglimento ingresso e centralino telefonico

     c) corridoi e disimpegni

     d) scale

4.3. Nuclei abitativi:

     a) camere a due o tre letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere

     c) servizi igienici comunitari

     d) locale biancheria sporca

     e) cucinino

     f) ripostiglio

4.4. Servizi generali:

     a) uffici

     b) spogliatoi con servizi igienici per il personale

     c) cucina

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     e) magazzini e depositi

     f) locale per servizi tecnici

5. IMPIANTI:

     a) anticendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) riscaldamento

     e) citofonico o di segnalazione e telefonico

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI

8. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     b) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni ecc.), in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di Igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanisti, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa ed organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - servizi sanitari di base;

     - i servizi di riabilitazione;

     - il Centro socio-educativo (se esistente);

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     [*] I vari piani della struttura non devono presentare variazioni di livello né tantomeno gradini al loro interno.

     In caso contrario questi devono essere superati mediante rampe. [*]

     E' opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da un'immagine che esprima chiaramente la propria funzione.

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     4.1 Spazi collettivi:

     a) locale per soggiorno e animazione

     Rappresenta il fulcro del complesso residenziale, dove si possano riunire i residenti durante la giornata e dove si possano, tramite gli operatori, mettere in atto attività di socializzazione; tale locale deve essere arredato in modo da poter essere divisibile in distinte zone funzionali.

     [*] La dimensione procapite deve essere di almeno mq. 3,00. [*]

     b) sala da pranzo

     Le dimensioni del locale variano a seconda del numero degli utenti e soprattutto della loro condizione fisica; [*]la superficie deve essere di almeno mq. 2,00 per utente. [*]

     c) palestra di riabilitazione per la fisiochinesiterapia

     Nel caso in cui non esistano palestre nelle vicinanze della struttura deve essere previsto un locale per la rieducazione funzionale e motoria con idonee attrezzature. [*]Tale locale deve avere una superficie di almeno 60 mq. [*] e la lunghezza del lato minore non deve essere inferiore a m. 6,00.

     In prossimità della palestra devono essere ubicati il locale spogliatoio, i servizi igienici, l'ambulatorio medico ed il ripostiglio per le attrezzature.

     d) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno e in prossimità della palestra [*]deve essere previsto un ambulatorio medico[*] con superficie minima di mq. 20 per visite e medicazioni. E' da prevedere un annesso spazio di attesa e un servizio igienico per disabili con dimensioni minime di m. 1,80 X m. 2,50.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     4.2 Spazi di collegamento

     a) atrio d'ingresso e piattaforme di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere di almeno mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (vedi art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) spazio di accoglimento ingresso e centralino telefonico

     E' opportuno prevedere un vano accanto all'ingresso per accogliere il portiere e/o centralinista.

     c) corridoi e disimpegni

     [*] Devono avere una larghezza minima di m. 2,00 per permettere il passaggio contemporaneo di due letti su ruote. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che ne diminuiscono la larghezza, e sono fonti di pericolo. I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate mediante rampe (v. art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384). [*]I corridoi devono avere i corrimani su ambedue i lati con le testate piegate sino al muro per non costituire pericolosi agganci. [*]

     Il corrimano deve essere posto ad una altezza di m. 0,90 da terra, deve essere molto sicuro alla presa, preferibilmente avere una sezione circolare di diametro di circa cm. 4, staccato dalla parete di cm. 6 (v. art. 9 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     [*] I disimpegni sono relativi alla distribuzione interna fra i vari locali e devono avere una dimensione minima di m. 2,00 X 2,00 per permettere la rotazione di un letto su ruote. [*]

     d) scale

     Devono essere utilizzate esclusivamente dal personale e da visitatori estranei al centro.

     [*] Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli spazi ad uso del centro mediante una porta. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     4.3 Nuclei abitativi

     Ogni nucleo abitativo è dimensionato per 10 ospiti ed è costituito da camere a due o tre letti con servizio igienico, servizi igienici comunitari, cucinino, locale per il personale locale per la biancheria sporca e ripostiglio.

     [*] Ad ogni piano possono essere previsti uno o più nuclei abitativi e in nessun caso un nucleo abitativo può essere distribuito su due piani. [*]

     a) camere da letto

     [*] Le camere devono avere due o tre posti letto.

     Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     - mq. 19 per la camera a 2 letti,

     - mq. 25 per la camera a 3 letti.

     Gli spazi tra mobile e mobile e tra mobile e muro non devono essere inferiori a cm. 95, si devono inoltre prevedere opportuni spazi di manovra. [*]

     Per la rotazione di 360° di una sedia a ruote è necessario uno spazio la cui superficie sia pari a quella di un cerchio di diametro di m. 1,70; mentre per una rotazione di 180° è necessario uno spazio minimo di m. 1,40 X m. 1,80.

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - tavolino/i con sedia/e o poltroncina/e;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     In tutte le camere la disposizione dei letti deve essere con la testata a muro in modo che l'ospite possa essere servito dai due letti.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] Deve essere previsto almeno un servizio igienico completo di tutte le apparecchiature (in appresso specificate) ogni 4 utenti.

     Qualora si realizzino camere a 2 posti letto, il servizio igienico deve essere localizzato ogni 2 camere e con esse collegato tramite un antibagno.

     Qualora, invece, si realizzino camere a 3 posti letto, ogni camera dovrà essere dotata di un servizio igienico proprio e di relativo antibagno. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di areazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla areazione forzata. Il questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce ed arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     [*] I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un lavapiedi ed una doccia, ed avere una dimensione minima di m. 1,80 X m. 2,50. [*]

     Il rubinetto del lavabo deve essere di agevole utilizzo da parte degli ospiti, preferibilmente del tipo a croce o a leva, la bocca di erogazione dell'acqua non deve costituire impedimento e preferibilmente deve essere posta ad almeno cm. 40 dal fondo del lavabo.

     [*] Il piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la soprastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     La doccia deve essere dotata di un apposito seggiolino ribaltabile e di un erogatore d'acqua del tipo a telefono montato su un'asta verticale che ne consenta il funzionamento a diverse altezze; la rubinetteria deve essere posta ad un'altezza di cm. 90.

     Deve essere prevista la fornitura centralizzata di acqua calda.

     I posizionamenti dei corrimani e del campanello elettrico devono rispettare le norme previste dall'art. 14 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     c) servizi igienici comunitari

     [*] Ogni 10 posti letto deve essere previsto ad ogni piano un apposito locale per i bagni assistiti. Tale locale deve essere attrezzato con una vasca da bagno isolata su tre lati, appoggiata cioè solo con una delle testate corte alla parete, in modo da permettere al personale di assistere adeguatamente gli ospiti. [*]

     E' opportuno per la sicurezza e la comodità del personale che il rivestimento perimetrale della vasca rientri di almeno cm. 15 alla base e per un'altezza pari a cm. 15. Detta vasca sarà munita di tutte le attrezzature: maniglioni, lifter, ecc.

     Nel medesimo locale deve essere previsto anche un vaso un lavabo.

     Annessi a tale locale vanno previsti uno spazio per l'attesa ed il riposo, nonché un servizio igienico con lavabo e vuotatoio.

     d) locale biancheria sporca

     Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto un piccolo locale (meglio se areato) per il deposito della biancheria sporca.

     e) cucinino

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere prevista una piccola cucinetta[*] attrezzata con fornelletto, piccolo lavello e piccolo frigorifero ove sia possibile preparare qualche bevanda calda particolarmente nelle ore notturne. La superficie minima deve essere di circa mq. 6/7.

     f) locale ripostiglio

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto almeno un locale per il deposito di attrezzature e materiale vario, ivi compreso quello di pulizia dei locali. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     4.4 Servizi generali:

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative di servizio sociale, di coordinamento, nonché per le riunioni degli operatori e i colloqui con i genitori, è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     [*] Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè spogliatoi con servizi igienici per il personale, cucina, guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva ed alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto antincendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] Deve essere prevista l'installazione di un montalettighe per il trasporto degli ospiti. [*] In aggiunta (ma non in sostituzione del montalettighe) può essere prevista l'installazione di un ascensore con caratteristiche conformi all'art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza.

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, ed i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti), devono essere facilmente individuabili ed azionabili, devono essere posti ad una altezza massima di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio. L'illuminazione deve essere il più possibile uniforme in tutti gli ambienti. [*]

     d) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature.

     In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda, più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     La temperatura dei locali utilizzati dagli ospiti deve essere superiore a quella stabilita per legge in via ordinaria, in relazione alle particolari necessità dei soggetti disabili. Pertanto la temperatura ottimale deve essere di 24° C per i bagni e di 22° C per i restanti spazi fruiti dagli ospiti.

     e) impianto citofonico o di segnalazione

     [*] Le camere da letto, i servizi igienici e gli altri locali frequentati degli ospiti devono essere dotati di particolari attrezzature di comunicazione (citofoni, campanelli) idonee a segnalare agli operatori o a chiunque sia addetto al controllo degli utenti le richieste di aiuto ed assistenza. [*]

     Per il posizionamento e le altezze delle prese e dei dispositivi di comando si veda quanto precedentemente specificato al punto: «impianto elettrico».

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella delle porte dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     Le maniglie possono essere del tipo a pressione, che permettono l'apertura con la semplice pressione di un tasto anche usando il polso, oppure del tipo corrente a leva ma con la leva allungata che può essere azionata anche con l'avambraccio o il gomito.

     Le maniglie devono essere poste ad una altezza massima di 90 cm.

     Le porte e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura.

     Nel caso di accoglimento di alcuni tipi di disabili sono indicate le porte imbottite, mentre sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     E' utile prevedere su ogni porta uno zoccolo alto cm. 40, eventualmente rivestito in laminato o acciaio inox oppure eseguito con lo stesso materiale del pavimento (ad es. gomma o legno), che eviti di danneggiare le porte stesse soprattutto con le predelle delle carrozzine (v. art. 12 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) finestre

     Il tipo di finestra consigliato è quello a doppio sistema di apertura, nella parte inferiore le ante e in quella superiore il wasistas.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento. I serramenti a wasistas, posti in alto e comandati da opportuni congegni o aste, possono contribuire al ricambio dell'aria, senza creare fastidiose correnti. Nelle nuove costruzioni si consiglia, per consentire la visuale verso l'esterno alle persone sedute ed ai disabili in carrozzina, che il davanzale delle finestre sia posto ad una altezza da terra di cm. 60/70 con specchiatura in vetro del serramento fino almeno a cm. 100, fissa e trasparente.

     Si può eventualmente aggiungere, per aumentare la sicurezza, una o più barre orizzontali.

     Sono consigliate porte-finestre ad ante e scorrevoli del tipo «alzante» che consentono un'ottima tenuta soprattutto in basso e che hanno una sporgenza di battuta dal pavimento limitata a cm. 2 circa e quindi facilmente superabile da disabili in carrozzina. Sia per le porte-finestre come per le finestre è necessario comunque, per ragioni di sicurezza, che siano montati vetri infrangibili.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente e acusticamente, non elettroconduttori. [*] La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione.

     Sono consigliati pavimenti vinilici, con sottofondo di feltro o altro materiale elastico.

     I pavimenti di marmo, marmette e granigliati sono sconsigliabili dato che, essendo molto rigidi, possono provocare fratture in caso di caduta degli ospiti.

     Per i bagni sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     d) rivestimenti pareti

     Per le stesse ragioni indicate per i pavimenti e per prevenire possibili incidenti è bene che le pareti siano rivestite, almeno fino ad una certa altezza, con materiali elastici e tali da attutire gli urti.

     In alcuni casi potrebbe essere lo stesso materiale usato per il pavimento che riveste le pareti ad un'altezza di cm. 120 circa.

     Per tutti i locali nei quali non sia già previsto un rivestimento adeguato, è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dalle predelle delle carrozzine e dagli attrezzi di pulizia.

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento. Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere ne particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso), né deprimenti (intorno all'azzurro).

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     7. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RESIDENZIALI PER HANDICAPPATI

 

     8. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) parcheggi

     Le dimensioni di un'area di parcheggio idonea ad un veicolo che viene usato o che trasporta un disabile, devono essere le seguenti:

     - larghezza minima: m. 3.00

     - lunghezza minima: m. 5,00

     Eventuali dislivelli tra zona parcheggio e percorsi pedonali devono essere risolti con scivoli aventi una pendenza non superiore all'8% (v. art. 3 e 4 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) aree attrezzate

     Al centro residenziale deve essere garantito uno spazio esterno a suo uso esclusivo, con aree attrezzate per la realizzazione di elementari attività all'aperto.

     La struttura con relativo spazio circostante deve essere protetta da un sistema di recinzione fatto in maniera tale da non costituire elemento di pericolo per gli utenti.

 

COMUNITA' ALLOGGIO

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     La comunità alloggio è la soluzione residenziale alla quale si ricorre quando, per persone in particolari condizioni esistenziali, sia impraticabile o improponibile l'ambiente familiare di appartenenza o l'affido familiare, nel caso di minori o di handicappati, e non sia necessario il ricorso a soluzioni residenziali particolarmente protette. In positivo, la comunità alloggio è da considerarsi ambiente strutturato di vita, temporaneo, caratterizzato da un clima di interrelazioni che permetta la manifestazione di comportamenti differenziati o autonomi, ma ancorati a motivazioni personali o di gruppo, nonché di progetti articolati e realistici riguardanti l'organizzazione della vita di ognuno.

     In tale ambiente strutturato è necessaria la presenza efficace di un certo numero di «operatori su cui contare», che condividano necessità e bisogni, sia all'interno della comunità che, soprattutto, nei rapporti col territorio senza per questo voler riproporre modelli culturali precostituiti.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari della comunità alloggio minori e persone in difficoltà, soggette o meno a provvedimenti civili e amministrativi dell'autorità giudiziaria, persone in situazioni di devianza e di disadattamento, persone portatrici di handicap.

     La comunità alloggio può accogliere, dopo un'attenta valutazione dei casi, una pluralità tipologica di utenti (N.B.), tuttavia non si esclude che tale presidio possa organizzarsi per rispondere ad una utenza prevalente fermo restando la necessità di evitare il ricrearsi di mondi culturali e di comportamenti comunque chiusi.

     Ad esempio, non devono essere l'età o il tipo di «patologia» il motivo di accoglimento o di dimissione, bensì la sussistenza del bisogno e la capacità della struttura a darne adeguata risposta.

     (N.B.) E' bene evidenziare che i soggetti handicappati accolti devono avere un grado di disabilità tale da consentire una certa autonomia. E' comunque indispensabile che tali persone siano supportate da specifici ausili e che l'alloggio preveda tutti gli accorgimenti necessari.

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     Il ricorso alla comunità alloggio, le ammissioni, le verifiche e le dimissioni vengono decise dall'unità operativa distrettuale e/o di secondo livello, di intesa con il responsabile della comunità.

     La decisione per soggetti portatori di handicap è rinviata al competente nucleo dipartimentale zonale.

 

     4. Capacità ricettiva

     Ogni comunità alloggio deve ospitare un numero complessivo di soggetti di ambo i sessi, oscillante da un minimo di 5 a un massimo di 10, in rapporto alle diverse tipologie di bisogno, alla strutturazione delle relazioni interpersonali in una visione di vita comunitaria, alle risorse educative del servizio e alle dimensioni dell'alloggio.

 

     5. Funzionamento

     La comunità alloggio ha funzionamento permanente nell'arco delle 24 ore, per l'intera settimana e per tutto l'anno.

 

     6. Attività

     Quella che si conduce all'interno di questa unità d'offerta è una esperienza di vita comunitaria in un ambiente affettivamente ricco e in grado di consentire legami duraturi e validi.

     La gestione della dinamica del processo educativo avviene su due versanti:

     - all'interno del nucleo comunitario, offrendo quotidianamente agli ospiti stimoli a maturare in senso psicologico, relazionale e sociale;

     - all'esterno della comunità, mantenendo rapporti con l'ambiente in generale, compresa la famiglia d'origine (ove non esistano

controindicazioni), per promuovere concretamente l'integrazione della comunità nel contesto sociale e poter fruire di tutti i servizi e gli spazi organizzati.

     Questa è infatti precondizione che evita una chiusura della comunità in sé e consente l'interscambio tra la realtà sociale del quartiere e gli ospiti della comunità stessa.

 

     7. Personale

     Per ogni comunità deve essere nominato un responsabile che si occupi delle attività, della loro programmazione, della loro organizzazione interna, del loro coordinamento con l'insieme degli altri interventi zonali, della verifica e del controllo dei programmi attuati.

     Coerentemente e conseguentemente al compito affidatogli, il responsabile partecipa ai processi di definizione delle strategie e delle modalità di intervento della comunità alloggio.

     Al responsabile competono altresì, nel quadro dei regolamenti e delle disposizioni predisposte dall'Ente gestore, i compiti relativi sia alla gestione del personale sia agli aspetti amministrativi inerenti la conduzione economica e patrimoniale della comunità.

     Il responsabile della comunità alloggio è nominato dall'Ente gestore tra il personale con competenze educative e operante nella Comunità, in possesso dei requisiti tecnici e professionali necessari per l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Gli educatori, fondamentale componente «residenziale» della comunità, sono gli operatori che, nell'ambito della programmazione generale, danno concreta attuazione ai progetti educativi stabiliti per ciascun utente, partecipando altresì con il responsabile ai momenti di progettazione e verifica.

     Essi inoltre gestiscono insieme con gli ospiti, per quanto questi ultimi possano contribuire, gli aspetti materiali della vita della comunità (spese, preparazione dei pasti, ecc.).

     Efficaci servizi generali (lavanderia, stireria, pulizie generali, ecc) devono essere assicurati mediante l'utilizzo di personale dipendente dall'Ente gestore, convenzionato o mediante appalto a ditte esterne.

     Possono prestare altresì la loro opera altre figure professionali della USSL o dei Comuni in relazione agli specifici programmi educativi da attuare.

 

     8. Standard di personale

     Ogni comunità alloggio deve avere il seguente standard di personale in organico:

     - 1 responsabile per ogni comunità che con gli educatori concorre al rapporto di 1 unità di personale ogni 5 utenti.

     Si deve cioè verificare in una C.A. che saturi complessivamente la propria ricettività massima accogliendo 10 utenti che il numero delle unità di personale sia pari a 2.

 

ALTRI SERVIZI DI COMUNITA'

 

     Sono comprese in questa tipologia tutte quelle ipotesi di intervento che in termini generici possano essere definite «di convivenza facilitata».

     In tale termine si intende comprendere ogni tipo di servizio che possa dare un supporto logistico, organizzativo e gestionale a persone con non ancora totale autonomia o limitata autonomia, con problemi di risocializzazione.

 

     Gruppo famiglia:

     ospita fino ad un massimo di 3 soggetti, risponde agli stessi bisogni individuati per la Comunità alloggio e vi si differenzia solo perché l'asse educativo ruota attorno alla presenza stabile di una coppia.

 

     Comunità autogestita:

     costituisce una scelta di vita di un gruppo di persone che si organizza autogestendosi per offrire un servizio sociale a chi vive uno stato di emarginazione.

     L'asse educativo ruota attorno ad un tessuto di relazioni che si instaura fra i membri della comunità.

 

     Comunità di risocializzazione/reinserimento:

     queste comunità operano nella logica di ricerca con gli ospiti delle opportunità di inserimento (ad esempio scuola, lavoro, alloggio, ecc.) per il raggiungimento di una reale integrazione sociale.

     Alcune di queste comunità hanno come destinatari persone che precedentemente sono state ospiti di comunità ad alto grado di protezione, ma che una volta terminato il «trattamento», necessitano di una fase intermedia di adattamento, quindi di risocializzazione, per raggiungere la completa autonomia personale: identità, senso critico, capacità di relazione.

     Vi sono altre comunità che rispondono al bisogno immediato di ospitalità che per la sua peculiarità (tempi di risoluzione) non può trovare idonea risposta in un centro di pronto intervento.

Si pensa quindi a persone che vivono situazioni di disagio sociale (ad esempio: dimessi dal carcere, immigrati stranieri, ragazze madri, ecc.).

 

     Standard:

     ognuna delle comunità sopra definite deve avere:

     - 1 responsabile dell'organizzazione del servizio;

     - la capacità ricettiva non superiore ai 20 posti. Fa eccezione il gruppo famiglia che accoglie un massimo di 3 soggetti.

     Nelle comunità di risocializzazione-reinserimento deve essere prevista la presenza di educatori.

     Tutte le tipologie di comunità basano il loro intervento sulla progettazione individuale, raccordandosi con la rete complessiva dei servizi di zona per le ammissioni e dimissioni vale quanto definito per le comunità alloggio.

 

COMUNITA' ALLOGGIO

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Spazi di collegamento comuni

5. ARTICOLAZIONE DELLA CELLULA ABITATIVA

5.1. Spazi privati:

     a) camere da letto

     b) servizi igienici

5.2. Spazi di collegamento:

     a) ingresso

     b) corridoi e disimpegni

5.3. Spazi collettivi:

     a) locale soggiorno

     b) locale pranzo

     c) cucina

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     e) ripostiglio

6. IMPIANTI

     a) impianto elettrico

     b) impianto gas

7. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

8. ARREDI

9. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     La Comunità alloggio può essere attivata mediante ristrutturazione di:

     - un alloggio situato in un edificio destinato ad abitazione;

     - un'ala di Istituto assistenziale.

     [*] La struttura edilizia in cui viene inserita la Comunità alloggio deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizione di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene.

     Se nella comunità alloggio è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina, la struttura edilizia nella quale è inserita la comunità deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura edilizia in cui viene inserita la comunità alloggio deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa ed organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - i servizi scolastici;

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] Se nella comunità è prevista la presenza di disabili in carrozzina, la larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     4.1. Spazi di collegamento comuni:

     [*] Se nella comunità è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina, gli spazi di collegamento comuni della struttura edilizia non devono presentare alcuna barriera architettonica.

     In particolare l'atrio, le piattaforme di distribuzione ed i corridoi non devono presentare variazioni di livello e devono rispettare le norme contenute negli artt. 8 e 11 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     Le scale e l'ascensore devono rispettare le norme contenute negli artt. 9 e 15 del citato Decreto. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     5. ARTICOLAZIONE DELLA CELLULA ABITATIVA

     La cellula abitativa deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati; è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da un'immagine che esprima chiaramente la propria funzione.

 

     5.1. Spazi privati:

     a) camere da letto

     [*] Le camere da letto devono avere due o tre posti letto.

     Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     mq. 12 per le camere a 2 letti

     mq. 18 per le camere a 3 letti

     Se nella comunità è prevista la presenza di disabili in carrozzina le superfici minime delle camere da letto sono elevate a:

     mq. 19 per le camere a 2 letti

     mq. 25 per le camere a 3 letti. [*]

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     b) servizi igienici

     [*] Deve essere previsto un servizio igienico completo di tutti gli apparecchi sanitari ogni 3 utenti. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di aerazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla aerazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce ed arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     [*] I servizi igienici devono contenere un vaso, un lavabo, un bidet e una doccia.

     Se nella comunità è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina devono essere previsti servizi igienici con dimensioni tali da consentire agevoli movimenti a questo tipo di utenza.

     II piatto doccia deve essere incassato nel pavimento e la sovrastante griglia calpestabile deve essere a filo pavimento. [*]

     I posizionamenti dei corrimani e del campanello elettrico devono rispettare le norme previste dall'art. 14 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     5.2. Spazi di collegamento:

     a) ingresso

     [*] La porta d'ingresso deve avere larghezza non inferiore a cm. 90 e lo zerbino deve essere opportunamente incassato per facilitare l'accesso ad eventuali disabili in carrozzina.

     Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina l'ingresso della cellula abitativa deve avere una superficie minima di metri 1,70 X 1,70 per permettere la rotazione di una carrozzina. [*]

     b) corridoi e disimpegni

     [*] Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina i corridoi e i disimpegni devono avere una larghezza tale da permettere loro il passaggio e devono essere previsti opportuni spazi di manovra per permettere la rotazione e conseguente inversione di marcia delle carrozzine. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     5.3. Spazi collettivi:

     a) soggiorno

     [*] Deve essere previsto un locale per vedere la televisione, leggere, ascoltare musica, scrivere, ecc. con una superficie procapite di mq. 2,5 per utenti normodotati e di mq. 3,00 per utenti disabili in carrozzina; la superficie minima complessiva non può comunque essere inferiore a mq. 16. [*]

     b) pranzo

     E' bene sia comunicante con il soggiorno per poter diventare, in determinate ore della giornata, parte integrante di questo.

     [*] La superficie procapite deve essere di mq. 2,5 per utenti normodotati e di mq. 3,00 per utenti disabili in carrozzina; la superficie minima complessiva non può comunque essere inferiore a mq. 16. [*]

     c) cucina

     [*] Deve essere previsto un locale cucina con superficie minima di mq. 12 e attrezzato adeguatamente per le esigenze della comunità. [*]

     Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina il locale cucina deve essere dotato di un lavello a mensola con lo spazio sottostante libero per consentire un agevole e completo avvicinamento dell'utente.

     Inoltre le tubazioni di adduzione e di scarico devono essere sotto traccia e la rubinetteria deve essere del tipo a leva.

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     Se la comunità viene attivata mediante ristrutturazione di un'ala di un Istituto, è bene che la comunità usufruisca del servizio di lavanderia, stireria e guardaroba dell'Istituto.

     In tal caso può essere comunque utile disporre di una lavatrice di tipo domestico per soddisfare esigenze immediate.

     Se invece la comunità viene attivata mediante ristrutturazione di un alloggio situato in un edificio destinato ad abitazione deve essere previsto un apposito locale per detti servizi.

     e) ripostiglio

     [*] Deve essere previsto almeno un ripostiglio per gli accessori e le attrezzature della comunità. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     6. IMPIANTI

     a) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40; i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili e azionabili, devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina i quadri elettrici, i contatori, i citofoni, i comandi per l'accensione e la regolazione di scaldabagni a gas o elettrici, devono essere posti in opera ad una altezza non superiore a cm. 120 per renderli accessibili anche a tali utenti.

     b) impianto gas

     Particolare attenzione deve essere rivolta ai fornelli della cucina, all'eventuale forno e scaldabagno a gas, per i quali è consigliata l'accensione piezoelettrica.

     [*] Devono essere previsti accorgimenti che segnalino o impediscano fughe di gas. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     7. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     Le porte, le maniglie e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura; sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     [*] Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina la larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella della porta dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     b) finestre

     Sia per le finestre che per le porte finestre è consigliabile l'adozione di vetri infrangibili.

     Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza.

     Se è prevista la presenza di disabili in carrozzina le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano

pavimento.

     c) pavimenti

     Per bagni e cucine sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     Sono da evitare passatoie e tappeti che possono essere di impedimento e provocare cadute.

     d) rivestimenti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento. Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro).

     Se è prevista la presenza di disabili in carrozzina, è necessario installare in tutti i locali, zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dalle predelle delle carrozzine.

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     8. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia, da parte del personale e degli utenti, e garantire adeguate condizioni di sicurezza. [*]

 

[*]: vedi N.B. di COMUNITA' ALLOGGIO

 

     9. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Alla comunità è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco con piantumazione forte e non pericolosa.

     Vanno previste panchine e tavoli per la sosta e il gioco.

     Qualora l'area a disposizione lo consenta è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi e fiori.

 

ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Gli Istituti educativo-assistenziali per minori provvedono alla ospitalità e all'educazione di minori privi di famiglia, o allontanati dalla famiglia per disposizione all'Autorità Giudiziaria, o a cui comunque la famiglia medesima non possa adeguatamente provvedere, limitatamente al tempo in cui permane tale impossibilità. L'Istituto è un'unità di offerta, integrata in un sistema di servizi, che provvede all'educazione dei minori a rischio. Pertanto la soluzione transitoria per situazioni per le quali nell'immediato non è possibile l'inserimento in comunità alloggio o non è praticabile l'affido familiare.

     A seconda della tipologia del bisogno, l'Istituto risponde con le modalità del convitto o del semiconvitto.

 

     2. Destinatari

     L'Istituto accoglie minori provenienti da famiglie in temporanea difficoltà, sottoposti o meno a provvedimenti civili o amministrativi dell'Autorità Giudiziaria, minori orfani ovvero, qualunque altro minore che viva situazioni di devianza o disadattamento.

     Possono essere inseriti in Istituto soggetti portatori di handicap quando non necessitino di specifica o qualificata assistenza.

     Ove non sussistano particolari controindicazioni, l'Istituto deve poter accogliere fratelli e sorelle, o soggetti con vincoli di parentela.

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     L'ammissione in Istituto deve essere decisa dall'apposita unità operativa di distretto e/o zonale di residenza del minore dopo attenta valutazione e attraverso incontri con gli operatori sociali che hanno istruito il caso, con la famiglia, (se esistente) e con la competente autorità Giudiziaria Minorile per gli aspetti di competenza, in accordo con l'équipe dell'Istituto.

     Nel disporre l'ammissione del minore in Istituto deve essere indicata la presumibile durata della permanenza, in rapporto alle esigenze dei cicli formativi relativi al singolo.

     Per quanto riguarda le dimissioni, il ritorno nell'ambiente di provenienza, o in quello che è disponibile ed idoneo ad accogliere il minore, deve essere adeguatamente preparato e seguito dall'apposita unità operativa della zona di provenienza del minore in collaborazione con gli operatori dell'istituto, con le famiglie, ove esistenti, e, se del caso, con le competenti autorità giudiziarie minorili.

 

     4. Capacità ricettiva

     L'Istituto deve essere in grado di dare una adeguata risposta alle necessità degli utenti, deve ospitare un numero di soggetti non superiore a 50 unità a convitto.

 

     5. Funzionamento

     L'Istituto educativo assistenziale a convitto ha funzionamento permanente nell'arco delle 24 ore, per tutta la settimana e per l'intero anno.

 

     6. Attività

     Gli Istituti per minori offrono prestazioni educativo-assistenziali e formative tese a contrastare i rischi derivanti da situazioni in cui sia necessaria la sostituzione o la integrazione del nucleo familiare perché inesistente, impossibilitato o incapace di assolvere il proprio ruolo. L'organizzazione interna è opportuno venga articolata in sottogruppi autonomi.

     A tal fine le prestazioni fornite sono finalizzate a:

     - stimolare una maturazione psicologica relazionale e socializzante del minore in vista di un autonomo inserimento nel mondo della scuola, nel lavoro e nel tessuto sociale, attraverso una caratterizzazione della propria attività da effettuare sulla base di specifici e finalizzati progetti educativi;

     - promuovere e mantenere i contatti con le famiglie di origine, ove non espressamente esclusi dall'Autorità Giudiziaria Minorile;

     - curare l'integrazione con l'ambiente sociale circostante: proprio ad evitare l'isolamento o l'esclusione dalla partecipazione alla vita sociale, il minore deve poter utilizzare le strutture scolastiche, sportive, ricreative e tutti gli altri servizi esistenti all'interno, e parimenti tutti gli altri servizi esistenti all'interno dell'Istituto dovranno poter essere utilizzati dalla generalità degli altri ragazzi.

     Il servizio medico infermieristico e l'équipe psico-sociale di appoggio, devono essere di norma quelli che operano sul territorio alle dipendenze dell'USSL e dell'Ente locale.

     L'istituto deve altresì farsi carico, oltre che dei bisogni materiali degli ospiti, anche di tutti quegli adempimenti connessi al loro particolare stato giuridico.

     Per ciascun soggetto presente dovrà essere predisposta una cartella personale psico-medico-sociale da aggiornare costantemente a cura di tutti gli operatori interessati all'azione educativa.

     L'Istituto deve provvedere alla trasmissione annuale e semestrale egli elenchi degli eventuali ospiti in stato di abbandono al Giudice Tutelare competente ed in copia al Tribunale per i minorenni (Art. 9 legge 4 maggio 1983, n. 184).

     Ove possibile, occorre evitare ogni spostamento del minore ad altra struttura, sia essa comunità o Istituto, determinato unicamente dal raggiungimento di una determinata età.

 

     7. Personale

     Ogni Istituto ha un responsabile della programmazione e della organizzazione della attività che si svolgono all'interno della struttura, nonché del loro coordinamento con gli altri servizi zonali e della verifica dei programmi attuati.

     Nell'istituto si prevedono le seguenti figure professionali:

     a) Educatore: in questa unità d'offerta tale figura ha una forte valenza pedagogica perché opera per promuovere la crescita evolutiva degli ospiti, per aiutarli a raggiungere un più adeguato rapporto con se stessi, con gli altri e con l'ambiente.

     Rispetto all'educatore di unità strutturali non residenziali, quello dell'istituto si trova a dover convivere con i soggetti ospitati, ragioni per cui le sue funzioni sono anche di supplenza dell'organizzazione familiare comunemente preposta alla soddisfazione di bisogni materiali e affettivi. Ciò significa che l'educatore, proprio perché opera con intenzionalità educativa [= non in maniera estemporanea], deve saper utilizzare la condivisione degli eventi quotidiani in vista di un progetto educativo chiaramente finalizzato. Inoltre egli deve stabilire momenti di interazione con il sistema familiare (sia esso la famiglia d'origine o la rete parentale più estesa) e con altri servizi del territorio (es.: centri di aggregazione e di socializzazione).

     b) Esecutori, operatori ed ausiliari addetti ai servizi generali: (es. pulizie generali e straordinarie, cucina, lavanderia, stireria, guardaroba, centralino, portineria, manutenzione, ecc.).

     Le prestazioni sanitarie e/o riabilitative vengono garantite mediante l'accesso degli ospiti ai normali servizi del territorio.

     Deve essere garantita anche la reperibilità di un medico in caso di necessità.

 

     8. Standard di personale

     Ogni istituto deve avere il seguente standard di personale in organico:

     - 1 responsabile per ogni istituto;

     - 1 educatore ogni 5 ospiti.

     Si deve cioè verificare in un istituto che saturi completamente la propria ricettività massima accogliendo 50 utenti, che il numero degli educatori sia pari a 10 unità.

     La struttura deve inoltre garantire razionali ed efficienti servizi di:

     - cucina

     - lavanderia, stireria, guardaroba

     - portineria

     - centralino

     - manutenzione impianti

     - servizi amministrativi

     utilizzando personale dipendente, convenzionato o mediante appalti a ditte esterne. Si ritiene che il costo complessivo di tali servizi (comprese le spese generali dell'acquisizione dei relativi beni e servizi) non debba di norma superare il 40-45% del costo totale della struttura.

 

ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Spazi collettivi:

     a) sala da pranzo

     b) ambulatorio

     c) infermeria

4.2. Spazi di collegamento:

     a) atrio di ingresso e piattaforme di distribuzione

     b) spazio per l'accoglimento ingresso

     c) corridoi e disimpegni

     d) scale

4.3. Nuclei abitativi:

     a) camere a due, tre e quattro letti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) locali per attività varie

     d) locale pranzo

     e) locale cucina

     f) locale ripostiglio

4.4. Servizi generali:

     a) uffici

     b) spogliatoi con servizi igienici per il personale

     c) cucina generale

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     e) magazzini e depositi

     f) locali per servizi tecnici

5. IMPIANTI:

     a) antincendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) riscaldamento

     e) gas

6. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

7. ARREDI

8. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE:

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere più possibile varia, completa ed organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi scolastici e di quelli socio-sanitari di zona quali:

     - i servizi sanitari di base;

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante, (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli artt. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati; è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

 

     4.1. Spazi collettivi

     a) sala da pranzo

     [*] Se l'organizzazione del servizio non prevede una divisione funzionale in sottogruppi autonomi, deve essere previsto un locale per il pranzo, la cui dimensione minima deve essere di almeno mq. 1,5 per utente. [*]

     Deve contenere tavoli di materiale lavabile ed a quattro posti.

     [*] In prossimità di tale locale deve essere previsto un gruppo di servizi igienici. [*]

     b) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno [*]deve essere previsto un locale per visita e medicazioni con attrezzature di pronto soccorso. [*]

     La superficie minima deve essere di mq. 9.

     c) infermeria

     [*] In prossimità dell'ambulatorio è da prevedere una stanza con annesso servizio igienico da riservare a coloro i quali abbiano in corso malattie infettive o comunque necessitino di isolamento. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     4.2. Spazi di collegamento

     a) ingresso e piattaforme di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere di mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (v. art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) spazio di accoglimento ingresso

     E' opportuno prevedere un vano accanto all'ingresso per accogliere il portiere.

     c) corridoi e disimpegni

     [*] La larghezza minima dei corridoi e dei passaggi deve essere di m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che ne diminuiscano la larghezza e siano fonti di pericolo, né tantomeno è ammessa la presenza di gradini.

     I corridoi o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate possibilmente mediante rampe. (v. art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     d) scale

     [*] Il vano scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli altri spazi mediante una porta.

     Le scale devono essere dotate di parapetto e corrimano. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     4.3. Nuclei abitativi

     Per nucleo abitativo si intende l'insieme di spazi individuali (camere da letto e servizi igienici) e semicollettivi (locali per attività di studio o di socializzazione ed eventualmente anche locale cucina e sala da pranzo se il servizio è organizzato in sottogruppi autonomi).

     Di seguito è riportata l'articolazione distributiva di detto nucleo prendendo come capacità di riferimento 10 posti letto.

     Detta capacità ricettiva non é vincolante ma è un modello di riferimento.

     a) camere da letto

     [*] Le camere da letto devono avere due, tre o quattro posti letto.

     Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     - mq. 14 per le camere a 2 letti

     - mq. 20 per le camere a 3 letti

     - mq. 26 per le camere a 4 letti

     Se nella stanza è prevista la presenza di disabili in carrozzina si devono prevedere opportuni spazi di manovra. [*]

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti,

     - comodini,

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] Deve essere previsto almeno un servizio igienico completo di tutti gli apparecchi sanitari ogni 4 ospiti del centro. Ad ogni piano almeno uno dei servizi igienici deve poter essere utilizzabile anche da eventuali utenti disabili in carrozzina ed essere perciò conforme all'art. 14 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

     E' consigliabile che ogni servizio igienico sia dotato di aerazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla aerazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce ed arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

     c) locali per attività varie

     [*] Per ogni nucleo abitativo deve essere previsto almeno un locale per attività di studio, tempo libero, socializzazione e per ogni altra attività finalizzata ad un progetto educativo.

     La superficie minima deve essere almeno di mq. 3,00 per utente. [*]

     d) locale pranzo

     [*] Se il servizio è organizzato in sottogruppi autonomi deve essere previsto un locale pranzo per ogni nucleo abitativo. La superficie procapite deve essere di mq. 150 per utente. [*]

     e) cucina

     [*] Se il servizio è organizzato in sottogruppi autonomi deve essere previsto un locale cucina con superficie minima di mq. 12 ed attrezzato adeguatamente per soddisfare autonomamente le esigenze del nucleo abitativo. [*]

     f) locale ripostiglio

     [*] Deve essere previsto almeno un ripostiglio per gli accessori e le attrezzature del nucleo abitativo. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     4.4. Servizi generali:

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative e di segreteria, è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     [*] Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè spogliatoi con servizi igienici per il personale, guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva ed alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente.

     La cucina generale deve essere prevista solo se l'organizzazione del servizio non prevede una divisione funzionale in sottogruppi autonomi. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto antincendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] Deve essere prevista l'installazione di un ascensore con caratteristiche conformi all'art. 15 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40, ed i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili ed azionabili; devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio.

     d) impianto di riscaldamento

     I radiatori devono possedere caratteristiche tali da non provocare traumi o scottature.

     In caso di rifacimento totale o di nuovo impianto, è bene prevedere un sistema di riscaldamento ad aria calda, più idoneo sotto il profilo della sicurezza, della possibilità di rinnovo e di umidificazione dell'aria dei locali.

     e) impianto gas

     Particolare attenzione deve essere rivolta ai fornelli della cucina, all'eventuale forno e scaldabagno a gas, per i quali è consigliata l'accensione piezoelettrica.

     [*] Devono essere previsti accorgimenti che segnalino o impediscano fughe di gas. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     6. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     Le porte, le maniglie e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura; sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella della porta dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     b) finestre

     Sia per le finestre che per le porte finestre è consigliabile l'adozione di vetri infrangibili.

     Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza.

     Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     c) pavimenti

     [*] I pavimenti devono essere robusti, antisdrucciolevoli, isolanti termicamente e acusticamente, non elettroconduttori. [*]

     La superficie calpestabile non deve presentare pieghe e fessure, mantenere queste caratteristiche nel tempo, ed essere di facile pulizia e manutenzione.

     Sono consigliati pavimenti vinilici con sottofondo di feltro od altro materiale elastico.

     Per bagni e cucina sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata.

     Sono da evitare passatoie e tappeti che possano essere di impedimento e provocare cadute.

     d) rivestimenti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento.

     Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro). In tutti i locali è necessaria l'installazione di zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dagli attrezzi di pulizia.

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     7. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia da parte del personale e degli utenti, e garantire adeguate condizioni di sicurezza per gli utenti. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ISTITUTI EDUCATIVO-ASSISTENZIALI PER MINORI

 

     8. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Alla struttura è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco con piantumazione forte e non pericolosa.

     Vanno previste panchine e tavoli per la sosta e il gioco. Qualora l'area a disposizione lo consenta è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi e fiori.

 

CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     I centri di pronto intervento assicurano, in attesa

dell'individuazione di soluzioni più adeguate, il soddisfacimento temporaneo di alloggio, vitto, tutela di fatto, determinati da una circostanza o eventualità imprevista, che richiede interventi eccezionali ma di breve durata.

     Il pronto intervento può essere garantito da un presidio organizzato in modo autonomo oppure può essere una funzione svolta da unità d'offerta esistenti quali le comunità alloggio, i centri residenziali per handicappati, gli istituti, le case di riposo per anziani (per ulteriori esplicitazioni si rinvia alle aree specifiche).

     Le strutture che decidono di svolgere questa funzione devono rispettare i criteri fissati dai presenti standard.

 

     2. Destinatari

     Sono destinatari dei centri di pronto intervento tutte le persone in difficoltà e a rischio di emarginazione. A puro titolo esemplificativo, e non esaustivo, si citano: minori e/o handicappati rimasti privi di assistenza e tutela per impossibilità dei genitori (malattia, morte, crisi della famiglia); dimessi dal carcere che abbisognino di una soluzione immediata per il periodo necessario a reperire soluzioni alternative; altri utenti in difficoltà.

 

     3. Ammissioni e dimissioni

     L'invio di soggetti al centro di pronto intervento può essere disposto da qualunque operatore territoriale, dall'autorità di pubblica sicurezza, dalla Magistratura Minorile.

     Il responsabile del centro accoglie l'utente e provvede immediatamente a segnalarne l'ammissione all'équipe residenziale di distretto ovvero alle unità operative della zona di residenza degli utenti e tenuto conto delle modalità organizzative che verranno poste in essere anche con riferimento al bacino sovrazonale di utenza del centro stesso.

     La definizione dei possibili interventi risolutivi spetta all'équipe di distretto e/o unità operative di secondo livello di cui sopra, oppure al nucleo dipartimentale zonale di cui sopra.

     A questa fase partecipa altresì il responsabile del centro di pronto intervento o della struttura che svolge la funzione di pronto intervento.

 

     4. Capacità ricettiva

     Il centro di pronto intervento deve essere realizzato come modulo organizzativo autonomo preferibilmente all'interno di preesistenti strutture comunitarie residenziali, ciò anche al fine di evitare strutture ad hoc la cui gestione risulterebbe ampiamente diseconomica.

     La capacità ricettiva non deve essere superiore ai 20 posti letto.

 

     5. Funzionamento

     Il centro di pronto intervento funziona permanentemente nell'arco delle 24 ore, per l'intera settimana e per tutto l'anno.

     La permanenza presso il centro deve assolutamente limitarsi a periodo strettamente necessario alla ricerca di una soluzione idonea al caso da parte della competente équipe di distretto e/o unità operativa di secondo livello, oppure al nucleo dipartimentale handicap della zona di residenza dell'utente.

     Indicativamente si ritiene che tale permanenza non debba superare i 30/60 giorni.

 

     6. Attività

     Poiché il centro di pronto intervento sopperisce ad un bisogno temporaneo di alloggio, vitto e tutela, le prestazioni da garantire agli utenti sono di fatto di tipo tutelare, in quanto gli interventi specifici più idonei per la soluzione del caso dovranno essere definiti nel progetto individuale.

     Gli utenti del centro di pronto intervento sono soggetti a rischio di emarginazione, spesso con difficoltà di relazione e con esperienze di disgregazione familiare e sociale; gli educatori pertanto si impegneranno a proporre momenti di socializzazione, di impiego del tempo libero e attività che favoriscano il crearsi di un clima positivo di vita comunitaria in cui sia stimolata la capacità di relazione interpersonale.

 

     7. Personale

     Nei centri di pronto intervento, operano stabilmente, costituendone la componente «residenziale» il responsabile, gli educatori e gli ausiliari socio-assistenziali.

     Il responsabile si occupa dell'organizzazione interna, definisce in collaborazione con gli operatori del centro i programmi delle attività e partecipa ai processi di definizione del possibile intervento risolutivo, di competenza del servizio sociale.

     Qualora il pronto intervento sia appoggiato ad un'altra struttura, il responsabile di quest'ultima lo è anche del centro di pronto intervento. Al responsabile competono altresì, nel quadro dei regolamenti e delle disposizioni predisposte dall'ente gestore, i compiti relativi sia alla gestione del personale sia agli aspetti amministrativi inerenti la conduzione economica e patrimoniale del centro di pronto intervento.

     Il responsabile del centro è nominato dall'Ente gestore tra il personale con competenze educative in possesso dei requisiti tecnici e professionali necessari per l'assolvimento delle funzioni da attribuire. Gli educatori dall'osservazione dell'utenza, traggono elementi utili da produrre al momento della loro partecipazione con il responsabile ai processi di definizione degli interventi risolutivi.

     Essi altresì coinvolgono gli utenti per organizzare l'insieme delle attività da svolgere.

     Gli ausiliari socio assistenziali effettuano prestazioni di assistenza diretta alla persona, ivi compresa (in collaborazione per quanto possibile con gli utenti) la pulizia ordinaria degli ambienti di vita, arredi ed attrezzature degli ospiti.

     Qualora il centro sia aggregato ad altra struttura, oltre l'utilizzo in comune dei servizi generali (cucina, lavanderia, pulizia, ecc.) può essere messo a disposizione dalla struttura stessa il restante personale. In ogni caso, efficaci servizi generali (cucina, lavanderia, stireria, pulizie generali ecc.) devono essere assicurati mediante l'utilizzo di personale dipendente dall'Ente gestore convenzionato o mediante appalto a ditte esterne.

     Le prestazioni di assistenza sociale e psicologiche sono garantite dal personale del distretto ove ha sede il centro. Eventuali prestazioni sanitarie sono garantite dai competenti servizi dell'USSL.

 

     8. Standard di personale

     Ogni centro deve avere il seguente standard di personale in organico:

     - 1 responsabile per ogni centro;

     - 1 educatore ogni 10 utenti (nel caso di utenza indifferenziata);

     - 1 educatore ogni 5 utenti (nel caso di utenti minori e adolescenti);

     - 1 ausiliario socio-assistenziale ogni 10 utenti.

     Cioè si deve verificare in un centro di pronto intervento che saturi completamente la propria ricettività massima accogliendo 20 utenti che il numero di:

     - educatori sia pari a 2 unità nel caso di utenza indifferenziata e sia pari a 4 unità nel caso di utenti minori e adolescenti;

     - ausiliari socio-assistenziali sia pari a 2 unità.

 

CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Spazi di collegamento comuni

5. ARTICOLAZIONE DEL CENTRO

5.1. Spazi privati:

     a) camere da letto

     b) servizi igienici

5.2. Spazi di collegamento:

     a) ingresso

     b) corridoi e disimpegni

5.3. Spazi collettivi:

     a) locale soggiorno

     b) locale pranzo

     c) cucina

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     e) ripostiglio

6. IMPIANTI

     a) impianto elettrico

     b) impianto gas

7. ELEMENTI COSTRUTTIVI:

     a) porte

     b) finestre

     c) pavimenti

     d) rivestimenti

8. ARREDI

9. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     Il Centro di Pronto Intervento deve essere attivato preferibilmente mediante ristrutturazione di un'ala di un Istituto assistenziale.

     [*] La struttura edilizia in cui sarà inserito il Centro di Pronto Intervento deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali od eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti.

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La struttura edilizia in cui sarà inserito il Centro di Pronto Intervento deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanistici, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa ed organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi socio-sanitari di zona quali:

     - servizi sanitari di base

     - tutti quei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti, al fine di favorire la continuità dei rapporti familiari e sociali.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato degli artt. 3, 4, 7 e 10 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     4.1. Spazi di collegamento comuni:

     [*] Gli spazi di collegamento comuni della struttura edilizia non devono presentare alcuna barriera architettonica.

     In particolare l'atrio, le piattaforme di distribuzione ed i corridoi non devono presentare variazioni di livello e devono rispettare le norme contenute negli artt. 8 e 11 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384.

     Le scale e l'ascensore devono rispettare le norme contenute negli artt. 9 e 15 del citato Decreto. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     5. ARTICOLAZIONE DEL CENTRO

     La cellula abitativa deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati; è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da un'immagine che esprima chiaramente la propria funzione.

 

     5.1. Spazi privati:

     a) camere da letto

     [*] Data la possibile diversità di età degli utenti e le loro specifiche problematiche devono essere previste camere a uno o due letti.

     Le superfici minime delle camere da letto sono rispettivamente di:

     - mq. 10 per le camere a 1 letto

     - mq. 16 per le camere a 2 letti. [*]

     Se nella stanza è prevista la presenza di disabili in carrozzina si devono prevedere opportuni spazi di manovra.

     Tutte le camere devono essere dotate di:

     - letti;

     - comodini;

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     b) servizi igienici

     [*] Deve essere previsto un servizio igienico completo di tutti gli apparecchi sanitari ogni 3 ospiti del centro.

     Almeno uno dei servizi igienici deve poter essere utilizzabile anche da eventuali utenti disabili in carrozzina ed essere perciò conforme all'art. 4 del D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

     I servizi igienici è bene siano dotati di aerazione naturale; in caso di ristrutturazione, ove ciò non sia possibile, si può ricorrere alla aerazione forzata. In questo caso l'apparecchio deve essere messo in moto automaticamente con l'accensione della luce ed arrestarsi dopo un congruo periodo di tempo dallo spegnimento.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     5.2. Spazi di collegamento

     a) ingresso

     [*] La porta d'ingresso deve avere larghezza non inferiore a cm. 90 e lo zerbino deve essere opportunamente incassato per facilitare l'accesso ad eventuali disabili in carrozzina.

L'ingresso del centro di pronto intervento deve avere una superficie minima di m. 1,70 X 1,70 per permettere la rotazione di una carrozzina. [*]

     b) corridoi e disimpegni

     [*] I corridoi e i disimpegni devono avere una larghezza tale da permettere il passaggio anche ad eventuali utenti in carrozzina, devono essere inoltre previsti opportuni spazi di manovra per permettere la rotazione e conseguente inversione di marcia delle carrozzine. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     5.3. Spazi collettivi:

     a) soggiorno

     [*] Deve essere previsto un locale per vedere la televisione, leggere, ascoltare musica, scrivere, ecc. con una superficie procapite di mq. 2,5 per utente; la superficie minima complessiva non può comunque essere inferiore a mq. 16. [*]

     b) locale pranzo

     E' bene sia comunicante con il soggiorno per poter diventare, in determinate ore della giornata, parte integrante di questo.

     [*] La superficie procapite deve essere di mq. 2,5 per utente; la superficie minima complessiva non può essere inferiore a mq. 16. [*]

     c) cucina

     [*] Deve essere previsto un locale cucina con superficie minima di mq. 12 e attrezzato adeguatamente per le esigenze del centro. [*]

     Il locale cucina deve essere dotato di un lavello a mensola con lo spazio sottostante libero per consentire un agevole e completo avvicinamento anche da parte di utenti disabili in carrozzina.

     Inoltre le tubazioni di adduzione e di scarico devono essere sotto traccia e la rubinetteria deve essere del tipo a leva.

     d) lavanderia/stireria/guardaroba

     Se il centro viene attivato mediante ristrutturazione di un'ala di Istituto, è bene che usufruisca del servizio di lavanderia, stireria e guardaroba dell'Istituto. In tal caso può essere comunque utile disporre di una lavatrice di tipo domestico per soddisfare esigenze immediate. Se invece il centro viene attivato mediante ristrutturazione di un alloggio situato in un edificio destinato ad abitazione deve essere previsto un apposito locale per detti servizi.

     e) locale ripostiglio

     [*] Deve essere previsto almeno un ripostiglio per gli accessori e le attrezzature del centro. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     6. IMPIANTI

     a) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     Le prese devono essere installate ad un'altezza non inferiore a cm. 40; i dispositivi di comando (interruttori, pulsanti) devono essere facilmente individuabili ed azionabili, devono essere posti ad una altezza di cm. 90 dal pavimento ed è bene che siano luminescenti per la loro individuazione anche al buio. Se è prevista la presenza di utenti disabili in carrozzina i quadri elettrici, i contatori, i citofoni, i comandi per l'accensione e la regolazione di scaldabagni a gas o elettrici, devono essere posti in opera ad una altezza non superiore a cm. 120 per renderli accessibili anche a tali utenti.

     b) impianto gas

     Particolare attenzione deve essere rivolta ai fornelli della cucina, all'eventuale forno e scaldabagno a gas, per i quali è consigliata l'accensione piezoelettrica.

     [*] Devono essere previsti accorgimenti che segnalino o impediscano fughe di gas. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     7. ELEMENTI COSTRUTTIVI

     a) porte

     Le porte, le maniglie e gli stipiti devono essere realizzati con materiali resistenti all'urto e all'usura; sono sconsigliate le porte con specchiature a vetri.

     [*] La larghezza minima (luce netta) di ogni porta (compresa quella della porta dei bagni) deve essere di almeno cm. 85; per luce netta si intende la distanza tra lo stipite e il battente aperto a 90° (in modo da considerare anche lo spessore della porta stessa). [*]

     b) finestre

     Sia per le finestre che per la porte finestre è consigliabile l'adozione di vetri infrangibili. Le tapparelle devono essere di facile uso; quelle in materiale plastico sono consigliabili data la loro leggerezza. Le maniglie che comandano il sistema di apertura delle ante devono essere poste ad un'altezza massima di cm. 130 dal piano pavimento.

     c) pavimenti

     Per bagni e cucine sono consigliate piastrelle antisdrucciolevoli anche con superficie bagnata. Sono da evitare passatoie e tappeti che possano essere di impedimento e provocare cadute.

     d) rivestimenti

     Le tinteggiature delle pareti devono essere lavabili e di facile ed economico rifacimento.

     Particolare attenzione deve essere data alla scelta dei colori per le pareti, che non devono essere né particolarmente eccitanti (intorno al giallo o al rosso) né deprimenti (intorno all'azzurro).

     E' necessario installare, in tutti i locali, zoccolini protettivi di cm. 40 di altezza per evitare il danneggiamento delle pareti soprattutto causato dalle predelle delle carrozzine.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     8. ARREDI

     [*] Tutti gli arredi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia, da parte del personale e degli utenti, e garantire adeguate condizioni di sicurezza. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     9. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Al centro è bene sia garantito uno spazio esterno destinato a parco con piantumazione forte e non pericolosa. Vanno previste panchine e tavoli per la sosta e il gioco. Qualora l'area a disposizione lo consenta è utile prevedere appezzamenti di terreno per la coltivazione di ortaggi e fiori.

 

CENTRI DI AGGREGAZIONE E DI SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Il centro di aggregazione giovanile è una unità di offerta per la generalità dei giovani. Esso ha lo scopo di offrire un'ampia gamma di opportunità di impegno e di utilizzo del tempo libero, la possibilità di usufruire di iniziative aventi contenuti formativi e socializzanti allo scopo di favorire un corretto sviluppo psico-fisico e di attuare un intervento di prevenzione nei confronti della devianza giovanile.

 

     2. Destinatari

     I destinatari dei centri di aggregazione giovanile sono tutti i giovani e gli adolescenti; tali centri si rivolgono in particolare a soggetti in condizioni di emarginazione e a ragazzi per i quali, dopo l'orario scolastico, non esistono opportunità aggregative e ricreative né familiari né collettive. I soggetti in condizioni di emarginazione non devono prevalere numericamente sul flusso complessivo degli utenti: essi, di fatto, rappresentano una «presenza» all'interno di una consistente utenza indifferenziata.

 

     3. Funzionamento

     Il centro di aggregazione giovanile funziona tutti i pomeriggi dei giorni feriali per tutto l'anno, e, a seconda dell'organizzazione, anche la sera, per tutta la settimana.

     Può essere utile inoltre prevederne il funzionamento durante la mattina anche permettendo il suo utilizzo da parte di agenzie educative (ad es. da parte della scuola per attività culturali e ricreative).

 

     4. Capacità recettiva

     Pare opportuno non determinare la capacità ricettiva di questo tipo di servizio, data la variabilità dei flussi di utenza.

 

     5. Attività

     Le attività svolte sono polifunzionali e organizzate secondo il modulo del «laboratorio» inteso come momento di tempo libero programmato in cui il momento del «fare» si congiunge con il soddisfacimento di un bisogno di socializzazione. Questa organizzazione che favorisce un processo di integrazione sociale, si presenta come insieme di momenti differenziati sia per contenuti sia per obiettivi.

     Sono da prevedersi momenti di libera e spontanea aggregazione e momenti programmati di diverse attività, quali ad esempio: atelier di tessitura, di falegnameria, di fotografia, di pittura, di musica e teatro, escludendo la finalità veramente commerciale di tali attività.

     Il centro di aggregazione deve altresì garantire attività di pratica sportiva, al servizio della collettività, attuando stretti legami con l'Ente locale, le scuole, il quartiere.

     Il centro deve inoltre prevedere attività organizzative di documentazione e informazione.

 

     6. Personale

     Per ogni centro di aggregazione giovanile deve essere nominato un responsabile che si occupi delle attività, della loro programmazione, della loro organizzazione interna, del loro coordinamento con l'insieme degli altri interventi zonali, della verifica e del controllo dei programmi attuati.

     La figura fulcro del centro di aggregazione giovanile è l'educatore che imposta la propria attività attraverso:

     - l'analisi: attuata mediante la ricerca e l'individuazione delle capacità possedute dal soggetto, del livello di maturazione raggiunto, delle difficoltà emotive, intellettive e di socializzazione avendo come riferimento le attitudini e le potenzialità del singolo;

     - la programmazione: secondo obiettivi e non per contenuti; infatti si individuano i fini da perseguire che si concretizzano in abilità che sia possibile raggiungere;

     - la verifica: è un momento, più che di giudizio del lavoro fatto, di valutazione circa i risultati formativi raggiunti nell'evoluzione comportamentale.

     L'educatore attraverso l'uso di tecniche di animazione deve saper costruire una significativa atmosfera comunitaria favorendo l'autogestione del progetto educativo allo scopo di permettere ai giovani ampia autonomia di programmazione, gestione e verifica delle attività per lo sviluppo del senso di responsabilità, critica e autocritica.

 

     7. Standard di personale

     Lo standard di personale necessario data la diversificazione delle attività, ha loro diversa possibile incidenza temporale nei periodi di apertura e la variabile difficilmente programmabile dei flussi di utenza è fissato in relazione al tipo di attività programmate dal Centro e al numero degli utenti presenti, tale da garantire la realizzazione di una significativa atmosfera comunitaria e per favorire l'autogestione da parte degli utenti del progetto educativo.

     Il responsabile del centro di aggregazione giovanile è nominato dall'Ente gestore tra il personale con competenze educative in possesso dei requisiti tecnici e professionali necessari per l'assolvimento delle funzioni da attribuire.

     Lo standard di personale dovrà rispettare i seguenti valori a seconda delle figure professionali:

     - Responsabile: 1 unità di personale in servizio;

     - Educatori: 1 unità di personale in servizio ogni 15 utenti presenti.

     A tali figure possono essere affiancati consulenti tecnici per le varie attività di laboratorio.

 

CENTRI DI AGGREGAZIONE E DI SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1 Spazi per attività culturali e di svago:

     a) locali polifunzionali

     b) sala per riunioni

     c) ufficio per il personale

     d) servizi igienici

5. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni Struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.), in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti Locali d'igiene. [*]

     Il centro deve preferibilmente svilupparsi su di una unica quota ed al piano terreno.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI AGGREGAZIONE E DI SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     [*] La Struttura deve essere localizzata in ambiti urbani a destinazione residenziale, o nelle aree all'uopo riservate dagli strumenti urbanisti, [*] purché tali aree siano inserite in contesti urbani già consolidati o in zone in fase di sviluppo programmato, in modo da essere inserite in centri di vita attiva, dotate cioè di elementi essenziali per rendere il più possibile varia, completa e organizzata la vita degli utenti.

     Tale localizzazione deve essere individuata anche in funzione della necessità di raccordo con l'organizzazione dei servizi rientranti nell'area degli interventi a carattere socializzante (attività culturali, ricreative, sportive, del tempo libero).

     La struttura deve preferibilmente trovarsi all'interno di una rete di pubblici trasporti.

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI AGGREGAZIONE E DI SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato dagli art. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI PRONTO INTERVENTO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     Il centro di aggregazione giovanile può essere una struttura autonoma o utilizzare parte di una struttura già adibita a servizi per minori (quali ad es. istituti per minori e comunità alloggio). Il centro di aggregazione giovanile è articolato in diversi spazi a seconda del tipo di attività svolte, e comunque deve avere una articolazione minima che garantisca almeno l'espletamento delle attività culturali e di svago.

     I percorsi e gli spazi devono essere facilmente leggibili e caratterizzati da un'immagine che esprima chiaramente la propria funzione.

     [*] Il centro non deve presentare variazioni di livello né tantomeno gradini. In caso contrario questi devono essere superati mediante rampe. [*]

 

     4.1 Spazi per attività culturali e di svago

     a) locali polifunzionali

     [*] Devono essere previsti almeno due locali polifunzionali con superficie minima di 20 mq ciascuno. [*]

     In detti locali si svolgeranno attività di «laboratorio» quali ad esempio: tessitura, falegnameria, fotografia, pittura, musica e teatro.

     b) sala per riunioni

     [*] Deve essere prevista una sala per riunioni con superficie minima di mq. 60. [*]

     Deve poter essere utilizzabile anche da ospiti con ridotte o impedite capacità motorie.

     [*] L'accesso a tale locale deve avvenire mediante un percorso continuo e senza variazioni di livello (nel caso ci siano, esse vanno superate mediante rampe). [*]

     c) ufficio per il personale

     Deve essere previsto un locale per il personale ove si possano svolgere anche eventuali colloqui con i genitori degli utenti.

     d) servizi igienici

     [*] Devono essere previsti almeno due servizi igienici di cui uno per disabili in carrozzina.

     Quest'ultimo deve avere dimensioni minime di m. 1,80 X 1,80 e deve contenere il vaso, il lavabo e i corrimani orizzontali e verticali (vedi art. 14 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384). [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI DI AGGREGAZIONE E DI SOCIALIZZAZIONE GIOVANILE

 

     5. SPAZI E ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     E' bene garantire al centro uno spazio esterno destinato a verde. Qualora l'area a disposizione lo consenta, è utile prevedere appezzamenti di terreno per eventuali attività di tipo agricolo. Particolare attenzione deve essere data alla realizzazione di vialetti, per i quali deve essere impiegato un materiale liscio e sicuro, in modo da facilitare la deambulazione di eventuali utenti in carrozzina.

 

CASE DI VACANZA E CAMPEGGI

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Sono considerati Soggiorni climatici le case di vacanza e i campeggi, che offrono un servizio residenziale temporaneo per il tempo libero.

 

     2. Destinatari

     Le case di vacanza ospitano di norma minori in età compresa tra i 5 e i 18 anni; i campeggi ospitano minori in età compresa tra i 13 e i 18 anni.

     Le case di vacanza possono accogliere anche bambini di età inferiore a 5 anni, purché provviste di idonea attrezzatura e personale.

     Eventuali menomazioni psichiche, fisiche e/o sensoriali del minore non possono costituire causa di esclusione.

     Quando si tratta di iniziative rivolte a soggetti affetti da menomazione fisico-psichica e/o sensoriale il limite di età di anni 18 può essere aumentato fino a 25 anni.

 

     3. Ammissioni

     L'invio ai soggiorni climatici viene disposto, a seguito di richiesta della famiglia, dal Servizio Sociale locale.

     I minori devono essere sottoposti, da parte del competente servizio delle USSL, a controllo sanitario preventivo per accertare l'assenza di malattie infettive e diffusive.

     All'atto dell'ammissione i minori dovranno presentare al responsabile del centro la documentazione sanitaria attestante le avvenute vaccinazioni ed eventuali altri adempimenti.

     Tale procedura deve essere usata anche per l'ammissione di tutto il personale.

     Gli ospiti e il personale dei soggiorni devono essere assicurati contro gli infortuni.

 

     4. Attività

     I soggiorni climatici sono strutture che per l'insieme di attrezzature e di attività, in particolare quella di animazione, costituiscono lo spazio deputato per iniziative culturali, ricreative e sportive che favoriscono l'aggregazione e la socializzazione, un miglior rapporto con la natura, l'educazione ad una autogestione del proprio tempo libero.

     I programmi di attività e i regolamenti interni devono riflettere le finalità succitate, prevedendo adeguate forme di svago, anche attraverso la formazione di gruppi di base e progetti educativi articolati per fasce di età.

     Qualora, il soggiorno climatico sia strutturato come campeggio, nell'organizzazione delle attività deve essere privilegiato il momento dell'autogestione di particolari contenuti e momenti della giornata, nonché favorita ogni possibile forma di integrazione con la realtà esterna.

     Gli enti gestori convocano riunioni con la partecipazione delle famiglie e delle organizzazioni sociali del territorio per discutere i programmi di attività.

     L'apertura dei soggiorni climatici deve essere preceduta da un periodo preparatorio durante il quale la direzione e il personale devono concordare le modalità di attuazione del programma di attività.

 

     5. Funzionamento

     I soggiorni climatici funzionano di norma con turni di due settimane.

     I regolamenti possono prevedere che, in una giornata per ciascun turno di vacanza, con modalità da stabilirsi nei regolamenti stessi, sia consentita la presenza di familiari, anche per favorirne gli opportuni incontri con il personale.

 

     6. Capacità ricettiva

     Le strutture non possono ospitare più di 150 minori per turno.

     Sono consentite più sezioni autonome di 150 minori nell'ambito dello stesso complesso.

 

     7. Personale

     Ogni struttura deve avere un direttore responsabile, con esperienza di lavoro nel campo educativo oltreché capacità amministrativa, in possesso di titolo di studio di scuola media superiore. Dovrà uniformarsi a metodi di lavoro di gruppo che assicurino la partecipazione del personale alla organizzazione del servizio.

     La figura portante è l'educatore, il quale deve essere in possesso del diploma di scuola media superiore e, di norma, con precedenti e positive esperienze nel settore.

     L'educatore svolge la propria attività mediante la formulazione e l'attuazione del progetto educativo, caratterizzato da intenzionalità e continuità, volto a promuovere il pieno sviluppo e l'espressione delle capacità creative e di apprendimento, agendo sulla relazione interpersonale e sulle dinamiche di gruppo.

     Deve essere prevista la presenza di animatori e/o istruttori sportivi per l'organizzazione delle attività di tempo libero.

 

     8. Standard di personale

     L'organico del personale educativo dovrà essere tale da assicurare la presenza, nell'arco delle 24 ore di almeno 1 educatore ogni 15 bambini e/o ragazzi.

     Tale rapporto dovrà essere adeguatamente modificato in presenza di minori portatori di handicap o di età inferiore a 5 anni.

     Qualora il soggiorno climatico sia strutturato come campeggio, il rapporto educatore/utenti deve essere di almeno 1 educatore ogni 10 bambini/ragazzi.

     Inoltre l'organico del personale addetto ai servizi per ogni sezione (max 150 utenti) dovrà essere tale da assicurare la presenza di almeno:

     - 1 cuoco

     - 1 aiuto cuoco e 1 inserviente di cucina

     - 1 addetto alle pulizie ogni 20 ospiti

     - 1 bagnino per le strutture di vacanza ubicate in centri marini, lacustri o fluviali.

     L'organico del personale addetto ai servizi dei campeggi può essere diminuito in relazione alla sua capienza e anche in relazione alle esperienze di autogestione.

     Il servizio pasti e pulizie può essere assicurato anche mediante convenzione e appalti esterni.

     In ogni soggiorno climatico l'assistenza sanitaria è affidata ad 1 medico il quale, ove non risieda presso la struttura, deve impegnarsi ad effettuare un controllo giornaliero, nonché ad assicurare la pronta reperibilità in qualunque momento dell'intera giornata.

     La struttura deve assicurare la presenza di 1 infermiere anche nelle ore notturne.

 

CASA DI VACANZA E CAMPEGGI

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Spazi collettivi:

     a) sala da pranzo

     b) ambulatorio

4.2. Spazi di collegamento

     a) atrio di ingresso e piattaforme di distribuzione

     b) corridoi e disimpegni

     c) scale

4.3. Spazi alloggiativi

     a) camere da letto per gli utenti

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     c) camere da letto per il personale

4.4 Servizi generali

     a) uffici

     b) cucina e dispensa

     c) lavanderia/stireria/guardaroba

     d) ripostigli, magazzini e depositi

     e) locali per servizi tecnici

5. IMPIANTI

     a) antincendio

     b) sollevamento verticale

     c) elettrico

     d) riscaldamento

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASA DI VACANZA E CAMPEGGI

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     La struttura deve essere localizzata in centri fluviali, lacustri o montani, in zone ben soleggiate, prive di fonti di inquinamento atmosferico, lontana da fonti di rumori molesti, discosta da sedi stradali di grande traffico, e opportunamente dotata di spazi a verde pubblico.

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e le pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura 7edilizia devono rispettare quanto normato dagli art. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASA DI VACANZA E CAMPEGGI

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     E' opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimono chiaramente la loro funzione. La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico, con i requisiti in appresso indicati.

 

     4.1 Spazi collettivi

     a) sala da pranzo

     [*] Deve avere una superficie pari ad almeno mq. 1,20 per utente. [*]

     Deve contenere tavoli e sedie di materiale lavabile.

     In prossimità della sala da pranzo deve essere previsto un gruppo di servizi igienici.

     b) ambulatorio

     Preferibilmente al piano terreno [*]deve essere previsto un locale per visite e medicazioni con attrezzature di pronto soccorso. [*]

     La superficie minima deve essere di mq. 9.

 

     4.2 Spazi di collegamento

     a) ingresso e piattaforma di distribuzione

     [*] La superficie minima dell'ingresso e di tutte le piattaforme di distribuzione deve essere mq. 6 con il lato minore non inferiore a m. 2,00. [*]

     La funzione delle piattaforme di distribuzione è quella di collegare i percorsi orizzontali con quelli verticali. Ogni piattaforma di distribuzione deve essere dotata di tabella segnaletica dei percorsi e degli ambienti da essa raggiungibili (v. art. 8 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     b) corridoi e disimpegni

     [*] La larghezza minima dei corridoi e dei passaggi deve essere di m. 1,50. [*]

     Lungo i corridoi non devono esserci pilastri e lesene sporgenti che diminuiscono la larghezza e sono fonti di pericolo.

     Il corridoio o i passaggi non devono presentare variazioni di livello. In caso contrario queste devono essere superate possibilmente mediante rampe (v. art. 11 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384).

     c) scale

     [*] Il vano della scala deve essere immediatamente individuabile dalle piattaforme di distribuzione e separato dagli altri spazi mediante una porta.

     Le scale devono essere dotate di parapetto e corrimano. [*]

 

     4.3 Spazi alloggiativi

     a) camere da letto per utenti

     [*] Nei locali adibiti a camera da letto deve essere assicurata la superficie minima di mq. 5 per posto letto; in ciascuna camera da letto non possono essere contenuti più di 15 posti letto. In nessun locale adibito a camera da letto la superficie minima può essere inferiore a mq. 10. [*]

     Tutte le camere da letto devono essere dotate di:

     - letti

     - comodini

     - armadi in numero uguale al numero degli ospiti della camera.

     b) servizi igienici di pertinenza delle camere da letto

     [*] I servizi igienici devono constare di almeno:

     - 1 gabinetto ogni 8 ospiti

     - 1 lavabo ogni 8 ospiti

     - 1 doccia ogni 10 ospiti[*]

     c) camere da letto per il personale

     Deve essere previsto un numero idoneo di camere da letto per il personale con relativi servizi igienici.

 

     4.4 Servizi generali:

     a) uffici

     Per quanto riguarda gli uffici per attività di direzione, amministrative e di segreteria è consigliabile siano localizzati in prossimità dell'atrio e dotati di servizi igienici.

     b) cucina e dispensa

     [*] Nelle case di vacanza deve essere previsto un locale cucina, [*] con separazione funzionale tra la zona per la preparazione e la cottura dei cibi e la zona per il lavaggio delle stoviglie.

     [*] La dispensa deve essere dotata di adeguato impianto di refrigerazione.

     Gli altri locali destinati a servizi generali e cioè guardaroba, magazzini, depositi e locali per servizi tecnici, devono essere comunque previsti; le loro dimensioni vanno rapportate alla capacità ricettiva e alle modalità gestionali della struttura, fermi restando i generali requisiti di abitabilità richiesti dalla normativa vigente. [*]

     La presenza della lavanderia e della stireria è definita in relazione all'esistenza di servizi analoghi nelle vicinanze, dei quali ci si possa avvalere tramite convenzioni o appalti.

 

[*]: vedi N.B. di CASA DI VACANZA E CAMPEGGI

 

     5. IMPIANTI

     a) impianto antincendio

     [*] L'impianto deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     b) impianto di sollevamento verticale

     [*] L'impianto di sollevamento deve essere previsto sulla base dei requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

     c) impianto elettrico

     [*] L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza. [*]

     d) impianto di riscaldamento

     [*] Nelle case di vacanza situate in località montane o comunque funzionanti al di fuori del periodo estivo deve essere previsto un impianto di riscaldamento con i requisiti richiesti dalla normativa vigente. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CASA DI VACANZA E CAMPEGGI

 

CAMPEGGI

Standard Strutturali

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

     I campeggi possono essere funzionalmente integrati con le strutture adibite a soggiorno di vacanza.

     In questo caso i servizi generali dei soggiorni di vacanza vanno adeguatamente potenziati.

     Il terreno adibito a campeggio deve essere sistemato ed attrezzato in modo da favorire lo smaltimento delle acque meteoriche.

     [*] In ogni caso i gruppi di servizi igienici devono essere il più possibile distribuiti sul terreno garantendo una distanza massima di percorrimento per raggiungerli di m. 100/150.

     I servizi igienici devono constare di almeno:

     - 1 gabinetto ogni 15 ospiti;

     - 1 lavabo ogni 10 ospiti;

     - 1 doccia ogni 10 ospiti;

     - 1 lavapiedi ogni 50 ospiti.

     Devono essere inoltre previsti lavelli per stoviglie e lavatoi per biancheria.

     I campeggi devono essere dotati di un ambulatorio ed attrezzature di pronto soccorso. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CAMPEGGI

 

CENTRI RICREATIVI DIURNI

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     I centri ricreativi per minori svolgono attività ricreative e di tempo libero per una concreta politica di prevenzione e socializzazione per i minori che nel periodo di vacanza rimangono nel luogo di residenza.

 

     2. Destinatari

     I destinatari dei centri ricreativi diurni sono i minori dai 5 ai 14 anni. Possono essere accolti anche bambini di età inferiore ai 5 anni laddove vi sia una idonea dotazione di attrezzature e di personale; possono essere altresì accolti minori dai 14 ai 16 anni, purché il programma di attività, il personale e le attrezzature lo consentano.

     Eventuali menomazioni psichiche e fisiche del minore non possono costituire causa di esclusione.

 

     3. Ammissioni

     L'ammissione alla frequenza del centro diurno, viene consentita, a seguito di richiesta della famiglia, dal servizio sociale locale. I minori devono essere sottoposti a controllo sanitario preventivo per accertare l'assenza di malattie infettive e diffusive, da parte del competente servizio della USSL.

     All'atto dell'ammissione i minori dovranno presentare al Responsabile del centro la documentazione sanitaria attestante le avvenute vaccinazioni ed eventuali altri adempimenti.

     Tale procedura deve essere usata anche per l'ammissione di tutto il personale.

     Gli ospiti e il personale dei centri ricreativi diurni devono essere assicurati contro gli infortuni.

 

     4. Attività

     E' compito dei centri ricreativi diurni, oltreché svolgere funzioni di assistenza custodialistica, educare il minore alla vita di comunità e favorire lo sviluppo e l'espressione delle sue capacità creative e la sua formazione culturale integrando il ruolo della famiglia e della scuola.

     I programmi di attività ed i regolamenti interni devono prevedere adeguate forme di svago, impostando l'organizzazione al principio dell'autodisciplina comunitaria anche attraverso la formazione di piccoli gruppi di base omogenei per fasce di età. L'apertura dei centri ricreativi diurni deve essere preceduta da un periodo preparatorio durante il quale la direzione e il personale devono concordare le modalità di attuazione del programma di attività. I programmi di attività devono essere formulati tenendo presente in particolare le esigenze dei minori di anni 5 e della presenza di bambini handicappati.

 

     5. Funzionamento

     I centri ricreativi diurni funzionano durante i giorni feriali per almeno 7 ore, possibilmente garantendo il pasto, almeno per un mese nel periodo estivo. Il centro ricreativo diurno deve essere dotato di stabilità nel tempo per quanto riguarda gli aspetti organizzativi, inoltre è preferibile che esso si appoggi a strutture già esistenti per usufruirne opportunamente (si pensi agli spazi, ai servizi quali la mensa ecc.). E' comunque ovvio che, nella misura del possibile, si localizzino le attività ricreative in ambienti esterni e all'aria aperta.

 

     6. Capacità ricettiva

     Stante la natura del servizio e la sua localizzazione preferibilmente presso strutture già esistenti e normalmente nel corso dell'anno adibite ad altri servizi (es. scuole), non è agevole prefissare limiti di capacità ricettiva, tuttavia, anche per motivi di economicità di gestione, si ritiene necessaria la presenza di un numero minimo di 20 utenti per turno.

 

     7. Personale

     La figura portante del centro ricreativo diurno è

l'operatore/animatore, di norma scelto tra diplomati di scuola media

superiore preferibilmente ad indirizzo educativo, il quale svolge la

propria attività mediante l'attuazione del progetto educativo

caratterizzato da intenzionalità e continuità volto a promuovere il pieno

sviluppo delle capacità creative e di apprendimento.

     L'ente gestore deve assicurare un periodo preparatorio di formazione agli operatori con particolare attenzione al coordinatore, il quale è responsabile del programma del centro e del coordinamento degli altri operatori; tale coordinatore deve essere particolarmente formato sugli aspetti organizzativi e di impostazione del progetto, sulle problematiche dei minori e degli adolescenti, sulle relazioni interpersonali e sulle dinamiche di gruppo.

 

     8. Standard di personale

     Dato che è l'animatore la figura fulcro delle attività del centro, lo standard fissa un rapporto di almeno di un animatore ogni 20 ragazzi. Il rapporto animatori/utenti deve essere adeguato qualora il centro ricreativo diurno accolga soggetti handicappati o minori di anni 5. Il personale di cucina e quello addetto alle pulizie deve essere messo a disposizione dalla struttura presso la quale il centro ricreativo diurno si appoggia. Pur non rientrando dunque nell'organico del centro, si danno tuttavia i valori standard, e quindi le unità di personale che devono essere messe a disposizione della struttura di appoggio qualora il centro garantisca il servizio pasti:

     - un cuoco

     - un aiuto cuoco ed almeno un inserviente di cucina

     - un addetto alle pulizie ogni 30 ragazzi.

     Il servizio pasti e pulizia può essere assicurato anche mediante convenzione e appalti esterni.

     Deve essere inoltre garantita la reperibilità di personale sanitario, mentre per i casi di sopravvenuta necessità si fa riferimento al pronto soccorso ospedaliero.

 

CENTRI RICREATIVI DIURNI

Standard Strutturali

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

     Il centro ricreativo diurno, generalmente articolato in una serie di spazi all'aperto attrezzati, è preferibile si appoggi a strutture già funzionanti per quanto riguarda i servizi generali (quali ad esempio la mensa).

     [*] In questo caso la superficie adibita a sala pranzo deve essere almeno di mq. 1,20 per utente e i servizi igienici devono constare di almeno:

     - 1 gabinetto ogni 10 ospiti;

     - 1 lavabo ogni 10 ospiti;

     - 1 doccia ogni 20 ospiti.

     Il numero di servizi igienici sopra indicato deve essere garantito anche nel caso in cui il centro ricreativo diurno non si appoggi ad altre strutture già funzionanti.

     I centri ricreativi diurni devono essere dotati di un ambulatorio ed attrezzature di pronto soccorso. [*]

 

[*]: vedi N.B. di CENTRI RICREATIVI DIURNI

 

ASILI NIDO

Standard Gestionali

 

     1. Definizione

     Gli asili nido pubblici e privati, attuano un servizio socio-educativo per la collettività, rispondente al bisogno di socializzazione del bambino ed al suo armonico sviluppo psico-fisico.

     Essi offrono, altresì, occasioni di formazione socio-pedagogica, di integrazione all'azione educativa della famiglia e, contemporaneamente, sono strutture aperte ai problemi ed alle esperienze di tutta la popolazione ed alla integrazione con altre strutture e servizi del territorio.

     Sono da considerare strutture similari quelle che possono ospitare almeno 5 bambini per un numero limitato di ore comunque non superiore a 4 ore giornaliere, offrendo un servizio temporaneo di assistenza educativa con esclusione della preparazione dei pasti principali.

 

     2. Destinatari

     Utenti specifici della rete degli asili nido sono i bambini in età da 0 fino a 3 anni. Ove possibile può essere garantita la frequenza, fino al termine del ciclo scolastico, anche a quegli utenti che abbiano compiuto il terzo anno di età.

     Senza che il nido assuma una specifica configurazione a scuola materna può ospitare anche bambini di età dai 3 a 6 anni a condizione che il numero non superi il 10% della capienza massima autorizzata.

     Eventuali menomazioni fisico-psico-sensoriali non possono costituire causa di esclusione dei bimbi dagli asili-nido; al contrario, la rete dei servizi per la prima infanzia dovrà favorire il più possibile l'inserimento di bimbi portatori di disabilità, garantendo le condizioni idonee per tale inserimento.

 

     3. Ammissioni e iscrizioni

     L'accoglimento dei bimbi nei nidi avviene sulla base dei criteri determinati dai regolamenti gestionali degli asili nido, deliberati dagli Enti gestori del servizio e per i privati approvati dall'ente autorizzante.

     In situazioni di basso indice di presenza (frequentanti su iscritti) il numero dei bambini iscritti può essere superiore alla capienza potenziale della struttura in percentuale pari alle assenze mediamente registrate.

 

     4. Capacità ricettiva

     Ogni asilo nido deve avere una capacità ricettiva vincolata dalle proprie caratteristiche strutturali, e può oscillare tra un valore minimo di 30 posti ed un valore massimo di 60 posti.

     Nel caso in cui l'asilo nido intenda ospitare nell'ambito della propria organizzazione anche bambini di età dai 3 ai 6 anni, senza una specifica configurazione a scuola materna, ciò può essere consentito a condizione che il numero di tali bambini non superi il 10% della capienza massima autorizzata e che si applichino anche nei loro confronti integralmente gli standard ed i requisiti richiesti per gli asili nido.

     Nelle situazioni in cui risultasse impossibile raggiungere la capienza minima di 30 posti, può essere istituito il micro-nido; tale micro-nido non può avere una capienza inferiore a 8; può essere realizzato purché insieme alla condizione di utenza ridotta, si realizzi l'altra condizione che lo legittima, cioè la sua aggregazione ad un'altra unità di servizi per l'infanzia (scuola materna, primaria, ecc.) con la quale realizzare significative economie gestionali.

     In deroga a quanto previsto, i nidi gestiti da soggetti privati possono essere autorizzati al funzionamento di un micro-nido non aggregato ad altre unità di servizi per l'infanzia.

 

     5. Funzionamento

     L'asilo nido deve funzionare almeno 9 ore ogni giorno, per almeno 5 giorni alla settimana, per tutto l'anno, escluso, ovviamente, un mese di ferie ed eventuali periodi pasquali e natalizi.

     Gli utenti possono frequentare il nido anche per un lasso di tempo inferiore alle ore di funzionamento della struttura sulla base delle indicazioni contenute nel regolamento interno, fatta esclusione per gli utenti che frequentano strutture similari per un numero di ore non superiore a 4.

 

     6. Attività

     L'età dei bambini che frequentano l'asilo nido è indubbiamente un'età molto delicata, infatti i progressi compiuti nei primi 2-3 anni di vita sono di estrema importanza sia per lo sviluppo cognitivo che per lo sviluppo affettivo.

     Le attività proposte da parte degli educatori sono dunque mirate a creare condizioni favorevoli per una crescita armonica dei piccoli e in funzione di un progetto individuale più complesso.

     Il nido è un servizio che opera in una rete di servizi con i quali entra in relazione. Tale rapporto andrebbe così a configurare attività di promozione culturale di programmazione, di consulenza educativa. L'utilizzo di figure professionali quali il pediatra e l'Assistente sanitaria visitatrice da parte degli altri servizi e l'ingresso nel nido di altre figure professionali, garantirebbe la possibilità di progetti di lavoro comune, per particolari aspetti.

     Le attività e l'organizzazione interna debbono essere improntate a modalità di coordinamento del personale. Qualora il nido ospiti minori di età superiore a 3 anni deve essere assicurata tuttavia una separata attività pedagogico-ricreativa laddove il loro numero superi le 5 unità, fatti salvi i momenti di refezione.

 

     7. Personale

     Negli asili nido operano stabilmente il personale educativo ed il personale ausiliare addetto ai servizi.

     Gli educatori sono operatori che nei nidi rispondono agli obiettivi di armonico sviluppo psico-fisico, di socializzazione del bambino, nonché d'integrazione dell'azione educativa della famiglia. Ad essi competono altresì le operazioni di igiene e pulizia del bambino, nonché la somministrazione del pasto.

     Gli ausiliari addetti ai servizi garantiscono l'assolvimento delle funzioni di pulizia generale degli ambienti e di aiuto in cucina.

     Ogni nido ha un coordinatore nominato anche a turno fra il personale educativo con compiti di:

     - organizzazione per le attività socio-pedagogiche e ludiche che si realizzano nel nido;

     - di raccordo con l'ente gestore per la parte amministrativa e per gli aspetti organizzativi generali del servizio;

     - rapporto con le famiglie, con le istanze di partecipazione sociale e territoriale con gli altri servizi socio-sanitari-assistenziali.

     L'assistenza medica nell'asilo nido è affidata ad uno specialista in pediatria e va assicurata dall'USSL; nelle strutture gestite da soggetti privati va assicurata mediante convenzioni a rapporto libero professionale.

     La sua attività deve essere diretta non solo alla tutela della salute del bambino, ma rivolgersi anche ad una prevenzione collettiva.

 

     8. Standard di personale

     Lo standard di personale in organico dovrà rispettare i seguenti valori a seconda delle figure professionali:

     - educatori: 1 unità di personale ogni 8 iscritti di età superiore ad 1 anno; 1 unità di personale ogni 5 iscritti di età inferiore ad 1 anno;

     - ausiliari addetti ai servizi: 1 unità di personale ogni 15 iscritti;

     - personale di cucina: 1 cuoco.

     Il personale addetto ai servizi può variare in relazione alla razionalizzazione dei servizi (es. lavanderia, stireria, guardaroba, pulizia) ed ai caratteri tecnologici delle attrezzature.

     Per quanto riguarda le prestazioni sanitarie deve essere messo a disposizione dalle USSL un medico pediatra per almeno 4 ore alla settimana e nelle strutture gestite da soggetti privati mediante convenzioni a rapporto libero professionale, fermo restando la sua reperibilità in caso di necessità.

     Analoga soluzione è da individuarsi per le prestazioni riabilitative, che si rendessero indispensabili per bambini portatori di disabilità.

     Per il personale educativo dei micronidi e delle strutture similari vale lo standard previsto per gli asili nido.

     I rapporti globali 1:5 e 1:8, calcolati rispetto al personale in servizio su bambini iscritti, sono stati poi praticati sui bambini frequentanti. Da ciò emerge che:

     - il carico di lavoro personale presente su bambini presenti non è maggiore degli stessi valori 1:5 e 1:8 per almeno 7 ore al giorno, lasso di tempo che è da considerarsi come periodo durante il quale viene svolta una reale attività educativa;

     - il carico di lavoro personale/utenti risulta più pesante nelle rimanenti 2 ore (entrata ed uscita dei bambini).

     Ciò tuttavia sembra accettabile se si ammette che per almeno 2 ore al giorno il nido possa rispondere prevalentemente ad esigenze custodialistiche. Si tenga inoltre presente che nelle prime e nelle ultime ore di apertura e chiusura dei nidi l'arrivo e l'uscita dei bambini avviene in modo progressivo.

     - l'adozione dell'orario spezzato per almeno alcuni educatori all'interno di ogni nido consentirebbe una più razionale presenza di questi, che entrerebbero così a coprire meglio la fascia custodialistica.

     Per il personale ausiliario dei micro-nidi, va utilizzato di norma il personale della struttura di appoggio. Il rapporto 1/15 deve essere inteso come limite per il personale da assumere per i nidi. Nel caso in cui l'asilo nido sia aggregato o abbinato ad una scuola materna debitamente autorizzata, fatto salvo l'utilizzo in comune dei servizi generali, gli spazi riservati ai minori ed il relativo personale necessario devono essere distinti e separati per ciascuna delle due istituzioni.

 

ASILI NIDO

Standard Strutturali

 

1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

2. LOCALIZZAZIONE

3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

4.1. Unità divezzi

     a) servizi igienici

     b) locale/i pranzo e per attività didattica

     c) locale/i per spogliatoio attività di movimento e

comunicazione

     d) locale riposo e relax

4.2. Unità lattanti

     a) locale cucinetta, cambio e pulizia

     b) locale soggiorno e pranzo

     c) locale riposo

4.3. Servizi generali

     a) sala medica e attesa

     b) cucina e dispensa

     c) spogliatoio e servizio personale

     d) lavanderia

     e) spazio connettivo

5. ARREDI E GIOCHI

6. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

 

     NOTA BENE: La normativa di seguito riportata è da ritenersi prescrittiva, quindi a carattere vincolante, solo per le parti delimitate dal simbolo [*] e riferite o discendenti da norme nazionali e da regolamenti locali. Tutte le altre parti sono da ritenersi raccomandazioni.

 

     1. REQUISITI GENERALI DELLA STRUTTURA

     [*] Ogni struttura deve garantire le seguenti condizioni di sicurezza:

     a) condizioni di stabilità in situazioni normali o eccezionali (terremoti, alluvioni, ecc.) in conformità a quanto previsto dalle norme vigenti;

     b) condizioni di sicurezza degli impianti;

     c) difesa dagli incendi, secondo le disposizioni generali e locali vigenti.

     L'impianto elettrico deve rispettare le norme vigenti in materia di sicurezza; in particolare il numero delle prese di corrente deve essere limitato al massimo e quelle indispensabili devono essere opportunamente schermate onde evitare incidenti.

     La struttura deve essere conforme al D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384 in materia di eliminazione delle barriere architettoniche e deve inoltre rispettare tutte le norme contenute nei Regolamenti locali di igiene. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     2. LOCALIZZAZIONE

     La localizzazione dell'asilo nido deve essere individuata in funzione della necessità di integrazione con altri servizi, come per esempio:

     - scuola materna

     - consultorio pediatrico e familiare

     - servizi di medicina preventiva, primaria e riabilitativa

     - servizi prescolastici e parascolastici.

     [*] I servizi di nuova attivazione devono essere ubicati al piano terreno in diretta comunicazione con aree all'aperto esclusivamente utilizzabili per attività ricreative del nido.

Tale prescrizione può essere derogata solo per servizi già funzionanti e ubicati in centri storici ad alta densità demografica.

     Nelle località a bassa densità demografica possono costituirsi micronidi di capienza non inferiore agli otto posti, solo a condizione che essi siano aggregati a scuole materne o primarie oppure ad altre strutture già esistenti, idonee a consentire la creazione o l'utilizzo in comune dei servizi generali, eventualmente potenziati. I requisiti sottoindicati si applicano a tutti gli asili nido (pubblici e privati) e ai micro-nidi la cui superficie utile complessiva destinata ai bambini non può comunque essere inferiore ai 60 mq.

     Vengono assoggettate alla presente normativa anche strutture similari all'asilo nido, comunque denominate, (centro giochi, baby parking, ecc.) ove il numero di bambini ospitati non sia inferiore a cinque, anche se il servizio offre una assistenza educativa temporanea con un orario di frequenza giornaliera inferiore a quello degli asili nido. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     3. ACCESSIBILITA' ALLA STRUTTURA

     [*] La larghezza e la pendenza dei percorsi pedonali, i raccordi tra questi e il livello stradale, i materiali e le caratteristiche costruttive ad essi connessi, le eventuali aree di parcheggio e gli accessi alla struttura edilizia devono rispettare quanto normato degli artt. 3, 4, 7 e 10 D.P.R. 27 aprile 1978, n. 384. [*]

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     4. ARTICOLAZIONE DELLA STRUTTURA

     La struttura deve articolarsi sui seguenti elementi in modo organico con i requisiti in appresso indicati; è opportuno che i percorsi e gli spazi siano facilmente leggibili e caratterizzati da immagini e colori che esprimano chiaramente la loro funzione.

Tutti i pavimenti e le pareti devono essere rivestiti di materiali lavabili.

     Anche se l'asilo nido è aggregato ad un altro servizio, sito nella medesima struttura deve possedere un ingresso indipendente.

     Per le diverse esigenze che hanno i bambini di età inferiore all'anno dai bambini di età superiore si ritiene utile distinguere gli spazi dei lattanti da quelli dei divezzi.

 

     4.1. Unità divezzi

     Gli spazi interni dell'unità divezzi vanno articolati, secondo criteri che consentono l'utilizzo polifunzionale dei locali, accorpando cioè più funzioni nel medesimo spazio, quando tali attività si svolgono in momenti diversi della giornata e non diano luogo ad interferenze.

     [*] L'unità si articola negli spazi sottodescritti [*] con l'avvertenza che le superfici dei singoli spazi possono subire lievi variazioni in rapporto alle soluzioni distributive adottate, ma che [*] la superficie complessiva dell'unità divezzi deve garantire almeno una superficie utile netta di mq. 6 per bambino. [*]

     a) servizi igienici

     [*] I servizi igienici per i bambini devono almeno comprendere:

     - 1 wc piccolo ogni 8 bambini;

     - 1 lavabo piccolo ogni 8 bambini;

     - 1 bagno con doccetta e miscelatore termostatico di acqua calda e fredda. [*]

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 0,75

     b) locale/i pranzo e per attività didattica

     Può essere arredato con sedie e tavoli componibili e mobili contenitori bassi per poter suddividere, all'occorrenza, lo spazio in più zone di lavoro.

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 2.

     Lo spazio per il pranzo e attività didattica e quello per attività di movimento e comunicazione (v. punto successivo) possono essere anche in un unico locale ad uso polivalente.

     c) locale/i per spogliatoio, attività di movimento e comunicazione

     La zona spogliatoio può essere strutturata con fasciatoi e mobiletti- spogliatoio da chiudere, accostare a pareti o comunque tali da consentire una facile riconversione di questo spazio in altre attività.

     Per svolgere attività di movimento e di comunicazione occorrono attrezzature idonee come per esempio: cuscini, tappeti, materiali strutturati per giochi di costruzione.

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 1,75.

     d) locale riposo e relax

     La zona riposo deve essere arredata con lettini, la zona libera dai letti è utile per le attività tranquille ed è bene sia costituita da una superficie morbida.

     L'ambiente deve essere oscurabile.

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 1,50

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     4.2. Unità lattanti

     L'unità lattanti è una unità pedagogica ben diversificata dalle altre in quanto la sua articolazione rispecchia il bisogno di soddisfare esigenze primarie, preponderanti nei bambini di questa età.

     [*] L'unità si articola negli spazi sottodescritti[*] con l'avvertenza che le superfici dei singoli spazi possono subire lievi variazioni in rapporto alle soluzioni distributive adottate, [*] ma che la superficie complessiva dell'unità lattanti deve garantire almeno una superficie utile netta di mq. 6 per bambino [*].

     a) locale cucinetta, cambio, pulizia

     Nello spazio adibito a cucinetta devono essere previsti scalda- biberon, mentre nello spazio per il cambio e la pulizia devono essere previsti un numero adeguato di fasciatoi e recipienti di tipo sanitario per la biancheria sporca.

     La superficie minima procapite complessiva dei suddetti locali deve essere di circa mq. 1,50.

     b) locale soggiorno e pranzo

     Può essere arredato con tavoli bassi per la distribuzione delle pappe, cuscini ecc.

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 3,20.

     c) locale riposo

     La zona riposo deve essere arredata con lettini forniti di sponde.

     L'ambiente deve essere oscurabile.

     La superficie minima procapite deve essere di circa mq. 1,30.

 

     4.3. Servizi generali:

     [*] La superficie complessiva degli spazi adibiti ai servizi generali non deve superare il 35% dell'intera superficie utile interna [*].

     Se l'asilo nido è aggregato o abbinato ad un altro servizio, lo spazio adibito a servizi generali può essere comune ad entrambi i servizi.

     I locali devono rispettare i seguenti requisiti:

     a) sala medica e attesa

     [*] La dimensione minima del locale deve essere di mq. 9 a cui va aggiunto un piccolo spazio arredato con sedie o poltroncine per l'attesa ed un servizio igienico.

     Il locale per le visite deve contenere l'adeguata attrezzatura medica e viene utilizzato anche come ufficio. La sala medica con relativo spazio di attesa è obbligatoria solo per asili nido di capacità ricettiva superiore a 10 bambini.

     Nei nidi di capacità ricettiva inferiore a 10 bambini deve comunque essere garantito il servizio sanitario [*].

     b) cucina e dispensa

     Se l'asilo nido è aggregato o abbinato ad un altro servizio la cucina può essere in comune ad entrambi i servizi. [*]In caso contrario deve essere prevista una cucina, con superficie minima di mq. 9, con annessa una dispensa [*].

     c) spogliatoio e servizio personale

     [*] Devono essere previsti almeno uno spogliatoio ed un servizio igienico di uso esclusivo del personale [*]. I servizi igienici devono avere una superficie minima di mq. 2.

     d) lavanderia

     Se l'asilo nido è aggregato o abbinato ad un altro servizio la lavanderia può essere in comune ad entrambi i servizi. [*] In caso contrario deve essere previsto un locale lavanderia [*].

     e) spazio connettivo

     Gli spazi di distribuzione sono da limitare al massimo; si prevede, infatti, che i collegamenti avvengano direttamente da ambiente ad ambiente, con esclusione della zona riposo che non deve essere attraversata da percorsi.

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     5. ARREDI E GIOCHI

     [*] Tutti gli arredi ed i giochi devono possedere caratteristiche tali da consentire agevoli operazioni di pulizia, da parte del personale e garantire adeguate condizioni di sicurezza agli utenti[*].

 

[*]: vedi N.B. di ASILI NIDO

 

     6. SPAZI ED ATTREZZATURE ESTERNE

     a) aree attrezzate

     Sono necessari spazi esterni contigui alla struttura. Gli spazi esterni devono prevedere una adeguata copertura parziale (ad es. pergolati) per consentire attività didattiche anche all'esterno; la piantumazione deve essere forte e non pericolosa.

     Devono inoltre essere previste zone lastricate per consentire l'uscita dei bambini anche dopo che è piovuto.

     Tutte le attrezzature ed i giochi devono essere collaudati e verificati periodicamente dall'organo competente.

     La struttura con relativo spazio circostante deve essere protetta da un sistema di recinzione fatto in maniera tale da non costituire elemento di pericolo per i bambini.

 

 


[1] Vedi Del. C.R. 19 giugno 1996, n. 279 per parziali modifiche alla presente deliberazione.