§ 5.2.26 - Legge regionale 20 luglio 1989, n. 22.
Piano sociale regionale per il triennio 1989-1991.


Settore:Codici regionali
Regione:Veneto
Materia:5. sviluppo sociale
Capitolo:5.2 assistenza sociale
Data:20/07/1989
Numero:22


Sommario
Art. 1.  Oggetto.
Art. 2.  Durata e validità.
Art. 3.  Finalità generali.
Art. 4.  Aspetti organizzativi.
Art. 5.  Obiettivi specifici.
Art. 6.  Soggetti.
Art. 7.  Destinatari.
Art. 8.  Forme di garanzie degli utenti.
Art. 9.  Ruolo della Regione.
Art. 10.  Ruolo dei comuni e delle Unità locali socio-sanitarie (uu.ll.ss.ss.).
Art. 11.  Piante organiche dell'area sociale delle Unità locali socio- sanitarie.
Art. 12.  Ruolo delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (ii.pp.aa.bb.).
Art. 13.  Ruolo dell'assistenza privata e del volontariato.
Art. 14.  Contributi agli enti di cui alla tabella B del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.
Art. 14 bis.  Contributi per il Centro Feltrino del Libro Parlato.
Art. 15.  Vigilanza e verifiche.
Art. 16.  Convenzioni.
Art. 17.  Fonti di finanziamento.
Art. 18.  Criteri di finanziamento e riparto.
Art. 19.  Redazione annuale dello stato dei servizi.
Art. 20.  Attività complessa di studio e ricerca.
Art. 21.  Apertura di colonie o case di vacanza: delega di funzioni.
Art. 22.  Modifica e abrogazione di norme.


§ 5.2.26 - Legge regionale 20 luglio 1989, n. 22.

Piano sociale regionale per il triennio 1989-1991.

(B.U. n. 40 del 25-7-1989).

 

Capo I

DISPOSIZIONI GENERALI

 

Art. 1. Oggetto.

     1. E' approvato il Piano sociale regionale per il triennio 1989-1991, che costituisce parte integrante della presente legge.

     2. La presente legge e il Piano sociale regionale individuano le finalità generali e gli obiettivi specifici dell'azione regionale, formulano le direttive per il loro perseguimento, disciplinano le azioni di settore specificando le tipologie di intervento, gli utenti nonché gli strumenti e i mezzi e le modalità per il raggiungimento delle predette finalità e obiettivi.

     3. Il Piano stabilisce altresì le modalità di verifica e di valutazione del conseguimento degli obiettivi.

     4. Il Piano è formulato in armonia con le specifiche leggi regionali riguardanti i diversi settori di intervento e in particolare con la Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55, contenente le norme per l'esercizio delle funzioni in materia di assistenza sociale. L'espressione «Programma triennale» contenuta nella legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55 è sostituita dall'espressione «Piano sociale».

 

     Art. 2. Durata e validità.

     1. Il Piano ha validità nel triennio 1989-1991 salvo il suo adeguamento a nuove disposizioni nazionali in materia.

     2. Il Piano mantiene validità fino alla approvazione del nuovo Piano.

 

     Art. 3. Finalità generali.

     1. Il Piano mira al coordinamento delle diverse funzioni previste dalle norme vigenti in materia di assistenza e servizi sociali, per promuovere e garantire il benessere psico-fisico e relazionale dell'individuo colto nei suoi ambiti di vita.

     2. Il Piano persegue le seguenti finalità generali:

     a) valorizzazione e tutela della famiglia come sistema organizzatore di status, ruoli ed età differenti;

     b) contenimenti del disagio e promozione di opportunità di benessere individuale e collettivo;

     c) ricerca di nuove frontiere di progettualità e solidarietà sociale per affrontare la complessità del cambiamento.

 

     Art. 4. Aspetti organizzativi.

     1. Sotto il profilo organizzativo il Piano persegue:

     a) il completamento nelle Unità locali socio-sanitarie, dell'impianto organizzativo-istituzionale dell'area sociale avviato con legge regionale 11 marzo 1986, n. 8. A tale fine i termini di cui all'articolo 10 della citata legge regionale sono prorogati al 31 dicembre 1990;

     b) l'adeguamento dei servizi socio-assistenziali agli standard regionali in conformità al regolamento regionale 17 dicembre 1984, n. 8 e successive disposizioni;

     c) la formazione e l'aggiornamento del personale dei servizi e la qualificazione di quello privo di idonea qualifica professionale;

     d) l'attivazione del sistema informativo regionale socio- assistenziale.

 

     Art. 5. Obiettivi specifici.

     1. Il Piano, nel quadro delle finalità generali individuate, è rivolto al raggiungimento dei seguenti obiettivi specifici:

     a) organizzare e riequilibrare il sistema servizi, secondo la logica di produttività sociale, dell'efficienza e dell'efficacia;

     b) incentivare e promuovere l'interazione fra enti pubblici e privati, associazioni, istituzioni e movimenti spontanei con una programmazione comune;

     c) individuare le soggettività emergenti attivando nei loro confronti adeguate strategie di comunicazione per sviluppare le risorse del sociale.

 

     Art. 6. Soggetti.

     1. All'attuazione del Piano concorrono:

     a) i comuni, singoli o associati, le Comunità montane, le Unità locali socio-sanitarie, le Province;

     b) le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza;

     c) le associazioni e le fondazioni, le cooperative e ogni altro soggetto privato che eroghi servizi e prestazioni socio-assistenziali;

     d) i cittadini che anche in forme libere associative si attivino in tale campo volontariamente e senza fine di lucro per il perseguimento degli obiettivi del Piano.

     2. Gli enti pubblici e i soggetti privati, come ogni altro organismo pubblico o privato, dotato o meno di personalità giuridica, partecipando all'attuazione del Piano alle condizioni e con le modalità previste dalla normativa regionale in materia.

 

     Art. 7. Destinatari.

     1. Tutti i cittadini, nonché gli apolidi residenti nel Veneto possono fruire dei servizi, delle prestazioni e degli interventi socio- assistenziali.

     2. Sono altresì ammessi a fruire dei suddetti servizi gli stranieri e gli apolidi che si trovino nel territorio regionale e fino al possibile rientro nella comunità di provenienza anche se non siano assimilati ai cittadini e non risultino appartenenti a Stati per i quali sussista trattamento di reciprocità.

     3. Agli utenti e alle persone tenute al mantenimento e alla corresponsione degli alimenti può essere richiesto di concorrere al costo di determinate prestazioni, secondo criteri stabiliti dalle normative e dalle direttive regionali in relazione alle condizioni economiche dei soggetti e alla rilevanza sociale delle prestazioni. Deve comunque essere garantita agli utenti la conservazione di una quota delle pensioni e dei redditi che permetta loro di far fronte in modo adeguato alle esigenze personali e familiari.

 

     Art. 8. Forme di garanzie degli utenti.

     1. Le modalità organizzative dei servizi e le prestazioni devono essere regolamentate dagli enti erogatori conformandosi ai seguenti criteri:

     a) salvaguardare la dignità, l'autonomia e la personalità degli utenti, nonché assicurare loro idonee forme di informazione;

     b) assicurare il diritto degli utenti alla riservatezza;

     c) promuovere idonee forme di partecipazione o di consultazione agli utenti e loro familiari negli organismi di gestione dei servizi.

 

Capo II

ASSETTO ISTITUZIONALE: FUNZIONI PROGRAMMATORIE E GESTIONALI

 

     Art. 9. Ruolo della Regione.

     1. La Regione, oltre alle attività previste dall'articolo 12 della Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55, svolge i seguenti compiti:

     a) segue l'elaborazione degli strumenti di programmazione nazionale, curando gli opportuni rapporti con i competenti organi centrali;

     b) definisce gli ambiti territoriali per la gestione dei servizi, salvaguardando il raccordo con il momento sanitario e promuovendo forme di collaborazione fra gli enti locali, nonché, con specifica normativa, individua forme di associazione obbligatoria per i comuni il cui dato demografico non consenta l'attuazione di servizi sociali;

     c) stabilisce indirizzi, criteri e modalità per l'organizzazione dei servizi e delle attività;

     d) stabilisce i requisiti e gli standards delle strutture, anche ai fini delle autorizzazioni al funzionamento e dell'accertamento dei requisiti per il convenzionamento;

     e) promuove la formazione, l'aggiornamento e la qualificazione del personale;

     f) ripartisce i fondi previsti dal Piano sociale e promuove l'uso coordinato di tutte le risorse finanziarie impiegate nel settore;

     g) promuove e attua forme di vigilanza, di verifica e di controllo dell'efficienza e dell'efficacia dei servizi;

     h) organizza il sistema informativo dell'assistenza sociale, coordinato con quello sanitario e con il più generale sistema informativo regionale.

     2. Le predette competenze, salvo quelle riservate al Consiglio regionale o al Presidente della Giunta regionale dallo Statuto regionale e da leggi statali e regionali, sono esercitate dalla Giunta regionale.

     3. La Giunta regionale è autorizzata altresì ad apportare annualmente, sentita la competente commissione consiliare, le modifiche necessarie per adeguare il presente Piano alle nuove esigenze insorte.

 

     Art. 10. Ruolo dei comuni e delle Unità locali socio-sanitarie (uu.ll.ss.ss.).

     1. I comuni e le Unità locali socio-sanitarie esercitano le competenze loro affidate dalle leggi statali e regionali in materia, nonché le competenze ulteriori attribuite dal Piano.

     2. I comuni e le Unità locali socio-sanitarie possono anche concordare particolari modalità di esercizio delle funzioni e dei servizi loro spettanti stabilendo la conseguente ripartizione degli oneri rispettivi.

 

     Art. 11. Piante organiche dell'area sociale delle Unità locali socio- sanitarie.

     1. Le proposte di modifica delle piante organiche dell'area sociale delle Unità locali socio-sanitarie, di cui alla Legge regionale 11 marzo 1986, n. 8, sono sottoposte a preventiva autorizzazione della Giunta regionale.

     2. A tal fine sono individuabili i seguenti criteri e parametri di riferimento:

     a) ambito territoriale dell'Unità locale socio-sanitaria;

     b) popolazione;

     c) servizi già attivati dai comuni;

     d) organizzazione amministrativa dei servizi;

     e) delega delle funzioni da parte dei comuni;

     f) servizi gestiti in convenzione;

     g) presenza di altri enti assistenziali;

     h) spesa storica consolidata;

     i) risorse messe a disposizione dei comuni.

 

     Art. 12. Ruolo delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (ii.pp.aa.bb.).

     1. Le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza nel rispetto della loro autonomia, concorrono con i loro patrimoni, strutture e servizi alla realizzazione del presente Piano.

     2. La Giunta regionale, sentiti gli organismi associativi più rappresentativi, promuove, avvalendosi anche di consulenti esterni all'amministrazione regionale, studi che approfondiscono il tema del coinvolgimento degli enti nella politica di Piano, nonché le forme di un più adeguato utilizzo delle risorse patrimoniali.

 

     Art. 13. Ruolo dell'assistenza privata e del volontariato.

     1. Le associazioni, le fondazioni e gli altri organismi dotati o meno di personalità giuridica che perseguono, senza fini di lucro, finalità di assistenza e di servizio sociale concorrono all'attuazione dei servizi sociali di assistenza, alle condizioni e con le modalità indicate dalla normativa regionale in materia e in specie dagli articoli 20, 21 e 22 della Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55.

     2. Per gli enti di cui al precedente comma già operanti al momento di entrata in vigore del presente Piano è prevista la riqualificazione e l'aggiornamento del personale educativo, attraverso specifici progetti formativi.

 

     Art. 14. Contributi agli enti di cui alla tabella B del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616.

     1. Una quota massima dell'1% del fondo regionale dei servizi sociali di cui all articolo 15 della Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55, è riservata agli enti di cui alla tabella B del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 che abbiano struttura associativa e personalità giuridica di diritto privato ai sensi dell'articolo 12 del Codice civile, alla data di entrata in vigore della presente legge.

     2. Le domande per ottenere il contributo devono essere presentate, a pena di decadenza, entro il 31 marzo di ciascun anno al Presidente della Giunta regionale corredate:

     a) dal programma delle iniziative da attuare nell'anno;

     b) dalla relazione morale e finanziaria dell'attività svolta nell'anno precedente.

     3. I comuni singoli o associati con riferimento all'articolo 6 della Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55, dovranno prevedere nella loro programmazione anche le attività e gli interventi erogati dagli enti di cui sopra.

     4. La Giunta regionale adotta il provvedimento di assegnazione del fondo sentita la competente commissione consiliare, avuto riguardo alla personalità dell'ente e alla compatibilità del programma di attività con le finalità del Piano allegato alla presente legge.

 

     Art. 14 bis. Contributi per il Centro Feltrino del Libro Parlato. [1]

     1. Il Centro internazionale del Libro parlato “Adriano Sernagiotto” ONLUS di Feltre partecipa al riparto della quota di cui all’articolo 14, comma 1 [2].

     2. La domanda per ottenere il contributo dovrà essere presentata ai sensi dello stesso articolo 14, comma 2.

 

     Art. 15. Vigilanza e verifiche.

     1. La Regione esercita la vigilanza sugli enti e sulle istituzioni pubbliche e private di assistenza e beneficienza, sull'attività dei soggetti pubblici e privati che partecipano all'attuazione del Piano, per il tramite delle Unità locali socio-sanitarie e dei comuni.

     L'attività di vigilanza è svolta secondo le modalità e le direttive specificate dalla Giunta regionale.

     2. Il perseguimento degli obiettivi del Piano è oggetto di verifica da parte della Regione con le modalità stabilite nel Piano.

 

     Art. 16. Convenzioni.

     1. La Giunta regionale predispone lo schema-tipo delle convenzioni che dovrà essere adottato dai comuni e dalle Unità locali socio-sanitarie per la disciplina dei rapporti con i soggetti, pubblici e privati, attuatori del Piano.

 

Capo III

FINANZIAMENTO DEL PIANO E POLITICA DELLA SPESA

 

     Art. 17. Fonti di finanziamento.

     1. Agli oneri derivanti dall'attuazione del Piano si provvede mediante l'utilizzo dei fondi previsti dall'articolo 15 della Legge regionale 15 dicembre 1982, n. 55 e dei fondi sanitari interagenti con il fondo regionale per le spese sociali e indicati nel Piano stesso.

 

     Art. 18. Criteri di finanziamento e riparto.

     1. Lo stanziamento del fondo regionale per le spese sociali è ripartito in conformità alle indicazioni e ai criteri fissati dal Piano sociale.

     2. La Giunta regionale, entro il 31 maggio di ogni anno, sulla base dei criteri stabiliti dal Piano sociale determina le assegnazioni ai comuni singoli o associati e alle Unità locali socio-sanitarie.

 

     Art. 19. Redazione annuale dello stato dei servizi.

     1. La Giunta regionale ai fini della redazione annuale dello Stato dei servizi promuove il censimento dei flussi finanziari impegnati da varie fonti - comuni, Province, ministeri, enti pubblici e privati - finalizzati al funzionamento di servizi sociali.

 

CAPO IV

DISPOSIZIONI TRANSITORIE E FINALI

 

     Art. 20. Attività complessa di studio e ricerca.

     1. La Giunta regionale individua le attività complesse di studio e ricerca, con particolare riferimento al sistema informativo e ai profili professionali, la cui natura interdisciplinare necessita di una gestione unitaria.

     2. Per l'attuazione di tali attività la Giunta regionale può avvalersi della collaborazione di istituti, enti, società, associazioni culturali e professionali, nonché di esperti dotati di specifica competenza in base ai criteri di cui all'articolo 3 della Legge regionale 3 agosto 1978, n. 40, anche in deroga al limite numerico previsto dalla succitata legge.

 

     Art. 21. Apertura di colonie o case di vacanza: delega di funzioni.

     1. Alle Unità locali socio-sanitarie è delegata l'istruttoria e il rilascio dell'autorizzazione all'apertura di colonie o case di vacanza, campeggi e centri ricreativi a carattere stagionale e diurno.

 

     Art. 22. Modifica e abrogazione di norme.

     1. Dopo il penultimo comma dell'articolo 1 della Legge regionale 11 marzo 1986, n. 8 è inserito il seguente comma:

     (omissis).

     2. E' abrogata la Legge regionale 3 gennaio 1984, n. 3.

     3. E' abrogato l'ultimo comma dell'articolo 8 della Legge regionale 21 giugno 1979, n. 45, modificato dalla Legge regionale 7 settembre 1982, n. 36.

 

Allegato alla legge regionale 20 luglio 1989, n. 22 relativa a:

«PIANO SOCIALE REGIONALE PER IL TRIENNIO 1989-1991»

 

INDICE

 

1. Premessa

1.1. L'azione regionale nel processo che va dal programma al piano

1.2. Memoria storica: problemi ed aspetti evolutivi

1.2.1. Effetti del programma socio-assistenziale

 

2. Politica di piano

2.1. Strategia

2.1.1. Le idee guida

2.2. Finalità generali e specifiche

2.2.1. Gli obiettivi

2.3. Dalla sperimentazione alla valutazione

 

3. Gli interventi

3.1. Piano operativo degli interventi

3.2. Gli strumenti operativi

 

4. L'organizzazione

4.1. Il modulo organizzativo territoriale

4.2. Personale area sociale

4.3. Enti locali territoriali ed enti locali non territoriali

4.3.1. Modalità di partecipazione degli utenti

4.3.2. Pubblico e privato sociale

4.3.3. Integrazione sociale-sanitaria

 

5. Attività di gestione e loro modalità

5.1. Indicatori di verifica

5.2. Sistema informativo

5.3. La formazione

5.4. Attività di informazione

 

6. Politica della spesa

6.1. Riparto del fondo - criteri di finanziamento

6.2. Parametri obiettivi

 

 

1. PREMESSA

 

Il riordino delle funzioni

     La Regione del Veneto nel dicembre del 1982 attraverso la Legge regionale n. 55: «Norme per l'esercizio delle funzioni in materia di assistenza sociale» disciplinava, nell'ambito del proprio territorio, l'intervento nel settore dell'assistenza e dell'organizzazione dei servizi sociali, diretto a garantire al cittadino il libero sviluppo della personalità e la sua partecipazione alla vita della comunità.

 

Il programma socio-assistenziale

     Strumento di tale volontà è stato il programma pluriennale - 83/88, il quale, pur con i vincoli di natura amministrativa e finanziaria, ha superato la storica separazione tra sociale e sanitario individuando forme di integrazione nell'esercizio delle funzioni, definite attraverso azioni programmatiche prioritarie espresse dai progetti-obiettivo.

 

Il momento associativo

     Tale programma inizialmente promosso per il triennio 1983-85, ma riconfermato poi per gli anni 1987-88 in virtù di una temporalizzazione collegata alla programmazione sanitaria Piano Regionale Socio-Sanitario ha portato alla ribalta l'impegno della Regione Veneto nel recepire, interpretare e concretizzare quanto richiesto ai soggetti istituzionali dalla normativa del D.P.R. 616.

     L'attenzione, nell'attuare tali indicazioni, è stata in particolare nel non intervenire con formule coattive richiedendo il rispetto della norma, ma esaltando al massimo i momenti associativi di partecipazione degli Enti locali territoriali, nel rispetto della loro determinazione e autonomia.

 

Il sanitario

     Successive legittimazioni di tale scelta metodologica operata dalla Regione per il comparto sociale, si sono riscontrate tanto nella stessa sede regionale, per quanto riguarda il comparto sanitario - L. R. 13/84 - quanto in ambito nazionale nel decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri dell'8 agosto 1985 «Atto di indirizzo e di coordinamento alle Regioni e alle Province autonome in materia di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali, ai sensi dell'art. 5 della legge 23-12-78 n. 833».

 

Il lavoro per obiettivi

     Quale perno di questa scelta metodologica si è indicato il progetto- obiettivo, strumento sì di attuazione della L.R. 55/82, ma soprattutto «agente» del programma triennale socio-assistenziale. Nelle sue realizzazioni esso si è dimostrato però anche:

-  strumento di analisi dei bisogni di una complessa realtà sociale in mutamento quale quella veneta

-  strumento di riconversione e riqualificazione della spesa pubblica;

-  indicatore delle esigenze di cambiamento organizzativo nel più generale

quadro dei servizi sociali nella Regione;

-  fautore di una più corretta regolamentazione nella erogazione degli

interventi attraverso l'introduzione di alcuni «regolatori», primi fra

tutti gli standards.

     L'insieme dei nuovi elementi prodottisi in questo arco di tempo, quali effetti della normativa regionale ricordata, ha richiesto una prima ridefinizione del pur recente bagaglio di norme e indicazioni che si è tradotta nella L.R. 11 marzo 1986 n. 8 «Modifiche ed integrazioni alla L.R. 15-12-82 n. 55».

 

Le piante organiche

     L'aggiunta della successiva Circolare n. 51, 17-9-86, «Criteri e direttive per la predisposizione delle UU.LL.SS. della pianta organica del personale per l'esercizio delle funzioni di sicurezza e assistenza sociale (art. 5 L.R. n. 8/86)» richiede ora un ulteriore sforzo di adeguamento e attualizzazione.

 

1.1. L'azione regionale nel processo che va dal programma al piano

 

Un percorso per fasi

     Volendo sintetizzare il percorso fino ad oggi realizzato si possono individuare tre fasi, che corrispondono ad altrettanti periodi, di cui è possibile cogliere alcune caratteristiche salienti.

 

Esse sono:

 

I fase

-  Quella anteriore alla L.R. 55/82

     Corrisponde al tempo compreso tra il 1978 e il 1982 e coincide con una produzione normativa in materia di assistenza e servizi sociali legata a leggi di settore, ad iniziative cioè particolari e parziali riferite all'allestimento di interventi in favore di quelle categorie di cittadini denominate: anziani, handicappati, tossicodipendenti.

     Di tale fase sono rilevanti tre aspetti:

a) la costruzione dei nuovi servizi che cominciano ad esistere in virtù dei flussi finanziari di provenienza regionale;

b) la loro caratterizzazione territoriale quali servizi nuovi, aperti e fortemente orientati alla prevenzione per ricomporre e integrare attività fino a quel momento separate: la cura, la riabilitazione,

l'istituzionalizzazione, l'assistenzialismo ecc. In questo recente contesto organizzativo di servizi nuovi il Consultorio Familiare forse rappresenta il momento più compiuto e sicuramente più vicino a quanto richiederà subito dopo la legge 833 (cui seguono in ambito veneto la L.R. 78/79 e L.R. 13/80);

c) la delineazione della dimensione associativa da parte dei soggetti istituzionali locali che, prima attraverso l'esperienza dei Consorzi socio- sanitari, poi con le U L S S vedono nell'associazionismo una modalità per perseguire gli obiettivi e le finalità raccomandate.

 

La legge 55

     Sulla scorta di queste acquisizioni alla fine del 1982 la Regione, avverte la necessità di un primo momento di riordino ed omogeneizzazione delle funzioni di natura assistenziale. La L.R. 55/82 assume come obiettivo prioritario la necessità di superare le diverse pratiche assistenziali preesistenti, per configurare un quadro più unitario e definito dei «servizi sociali coordinati ed integrati sul territorio con i servizi sanitari e formativi di base e in armonia con gli altri servizi finalizzati allo sviluppo sociale, nonché attraverso prestazioni economiche» (art. 1).

 

II fase

- Quella del primo triennio di realizzazione del programma socio-

assistenziale

     Corrisponde ad un arco temporale compreso tra l'83 e il 1985 e alle modificazioni di cui alla legge 55 si è fatta interprete e promotrice.

     Tre sono essenzialmente le caratteristiche salienti di questa seconda fase inaugurata dalla legge di riordino:

a) l'introduzione di una logica programmatoria per realizzare a livello locale l'azione di riordino delle funzioni socio-assistenziali e di modifica delle strutture dei servizi già esistenti. Il programma triennale socio-assistenziale diventa lo strumento conseguente che la Regione elabora per fornire alle realtà operative gli indirizzi e le modalità coerenti al quadro degli obiettivi espressi;

 

I progetti obiettivo

b) l'individuazione di alcuni «impegni operativi definiti nei modi, strumenti e tempi idonei a fungere da polo di aggregazione di attività molteplici per conseguire le finalità prioritarie di piano: i progetti obiettivo»;

c) l'integrazione nel più ampio contesto organizzativo dell'U. L.S.S., degli ambiti sanitari e sociali.

 

III fase

- Quella dell'aggiornamento del programma socio-assistenziale

     Corrisponde al tempo compreso tra il 1986 e il 1988 e al consolidamento organizzativo degli interventi preesistenti nonché al delinearsi di significativi momenti di aggregazione orizzontale di più funzioni svolte da alcuni servizi che si sono nel frattempo accreditati sul territorio.

     In quest'ultima e più recente fase è venuto consolidandosi il livello delle molteplici attività sociali, sanitarie e assistenziali attraverso azioni programmatiche che hanno ulteriormente riaggregato sul territorio: a) interventi articolati per fasce d'età ed agganciati al contrasto di alcuni rischi specifici in esse individuate;

 

La ricomposizione

b) ricomposto a livello orizzontale, cioè per territorio e fasce d'età, funzioni precedentemente espletate da servizi e strutture operative separati e presenti nei diversi contesti organizzativi delle U.L.S.S.

     All'interno di questa terza ed ultima delle fasi descritte diventa quindi rilevante che le singole UU.LL.SS., in virtù della loro specificità, esprimano una capacità programmatoria propria, attivando conseguenti momenti di riformulazione degli interventi fino ad oggi sperimentati.

 

1.2. Memoria storica: problemi ed aspetti evolutivi

 

Promozione

     Per le considerazioni spese in premessa, si può con cognizione di causa affermare che il programma triennale socio-assistenziale 1983-1985 nella sua estensione agli anni 1986-1987-1988, ha assunto il ruolo fondamentale di promozione, di mutamento e di trasformazione del «sociale» in molte delle espressioni che lo distinguono in terra veneta.

 

Intensificazione

     Il complesso di dati, di elementi informativi e di segnali emessi dal territorio negli anni di attività del programma, confermano infatti l'intensità e l'ampiezza di un processo in atto che, attraverso l'introduzione di nuovi orizzonti culturali, l'adozione di appropriate strategie e l'attuazione di specifici interventi, vuole continuare ad incidere in termini positivi nella qualità della vita degli individui e della collettività della Regione Veneto.

 

Valutazione

     Occorre tuttavia rilevare che, nonostante i risultati ottenuti ed i positivi effetti prodottisi a più livelli, sussistono evidenti tratti di incompiutezza nel processo di sviluppo e di raggiungimento degli obiettivi allora fissati. Ciò richiede un'appropriata considerazione valutativa poiché lo svolgersi della vita sociale, considerata nella sua complessità ed intesa come un continuo e progressivo proporre e tendere a mete successive, costituisce la premessa per una coscienza nuova e l'esplicitazione di esigenze ed aspettative maggiormente definibili.

 

Efficacia programmatoria

     Può apparire paradossale ma, in questa prospettiva, l'incompiutezza del processo che si è voluto fin qui riproporre insieme all'apertura di nuove prospettive, sono il risultato dell'efficacia dell'azione compiuta dai servizi sociali nel quadro della generale attività di programmazione inaugurata dalla L. R. 55/82 e dal programma socio-assistenziale. Esso inoltre, non va dimenticato, ha svolto un ruolo prezioso per la conoscenza dei processi di cambiamento e trasformazione sociale in atto. Attraverso la sua lente di ingrandimento, la realtà territoriale regionale si è resa più leggibile nelle sue articolazioni culturali, strutturali ed assetto istituzionale, nelle sue potenzialità e capacità di reazione ai mutamenti, nonché infine nei problemi e nelle difficoltà che ne sono derivati.

     In sostanza il Programma socio-assistenziale ha rappresentato lo strumento con cui la Regione ha potuto sostanziare il dialogo con il territorio per superare le disomogeneità esistenti e proporre nuovi ed appropriati percorsi di salute e sicurezza ai suoi cittadini.

 

1.2.1.Effetti del Programma socio-assistenziale

 

Il delinearsi del sistema servizi

     Indicazioni significative emergono analizzando nel dettaglio alcuni aspetti salienti in cui si è sostanziata l'azione del piano triennale socio-assistenziale: la programmazione, il sistema servizi, la presenza del privato sociale, gli standards e la formazione degli operatori.

     La programmazione si è sostanziata nei progetti obiettivo elaborati dall'UU.LL.SS. e dai Comuni in riferimento alle rispettive competenze definite dalla L.R. 55/82.

     Nell'economia dell'azione dei soggetti istituzionali, il progetto obiettivo è divenuto:

-  strumento attuatore del programma regionale per il raggiungimento di obiettivi e di funzioni specifici;

-  mezzo di evoluzione e di crescita del quadro culturale complessivo;

-  agente attivatore di processi di evoluzione e di trasformazione del

sistema dei servizi territoriali;

-  opportunità di conoscenza di nuovi fenomeni e di nuovi problemi.

 

Il superamento della categorizzazione

     Permane però la difficoltà a superare, a livello programmatorio ed operativo locale, rigidi schematismi delle competenze istituzionali e ad affrontare la dimensione delle problematiche sociali con prospettive e logiche diverse da quelle della sola categorizzazione dell'utenza.

     Il sistema servizi: la dotazione di un complesso organico di servizi ha rappresentato l'impegno prioritario delle scelte politiche dei Comuni e delle Unità locali socio-sanitarie.

 

Della mancanza di flessibilità

     Su questo versante i risultati in termini quantitativi appaiono significativi. E' difficile tuttavia limitare la portata di alcuni fattori che ritardano la trasformazione dell'insieme dei servizi di un sistema organico, capace di offrire risposte longitudinali, tempestive, flessibili ed appropriate alle istanze dei cittadini.

     Alla persistenza di sperequazioni tra aree territoriali diverse in riferimento alla distribuzione dei servizi, corrisponde infatti una notevole disomogeneità nell'assetto all'interno dei

medesimi bacini di utenza (U.L.S.S. o Comune).

     Nonostante le ricorrenti sollecitazioni normative e di indirizzo della Regione, permangono quindi resistenze alla realizzazione di una completa integrazione tra i Servizi Sociali ed i Servizi Sanitari.

 

Consultorio familiare

     In particolare, il Consultorio Familiare si configura come un servizio la cui collocazione funzionale all'interno del sistema e degli ambiti territoriali designati non risulta compiuta.

 

Assistenza domiciliare

     Il servizio di Assistenza domiciliare si è imposto come lo strumento privilegiato ed efficace nella complessiva azione di contrastare l'emarginazione elevando la qualità della vita delle persone anziane. E ciò tanto sul piano del modello organizzativo dei servizi, per la proposizione di risposte integrate e flessibili, quanto sul piano culturale sollecitando il cittadino e la collettività sui temi della solidarietà.

     La diffusione e la dimensione quantitativa da esso assunta suggeriscono l'opportunità di estendere l'intervento con moduli e forme organizzative appropriate anche ad altre forme di bisogno sociale. In questa prospettiva però vanno ulteriormente sperimentate:

 

Il rapporto U.L.S.S.-Comune

-  modalità di «dialogo» e di collaborazione tra Comuni e Unità locali socio-sanitarie;

-  forme di omogeneizzazione delle prestazioni del servizio con le iniziative di altri soggetti;

-  (parenti, vicinato, volontariato) convergenti operativamente sul caso;

-  modelli organizzativi e parametri comuni di spesa, validi per l'intera

Regione, attesa la grande diversità di situazioni soggettive, ambientali e

culturali esistenti.

 

Nuove forme di risposta

     Il privato sociale: le indicazioni politiche della L.R. 55/82 e le successive normative della Regione (L.R. 20/87) hanno prodotto un rilevante effetto di incremento della presenza operativa di organizzazioni private (Associazioni ex artt. 12 e 36 del C.C.-Cooperative) nella gestione dei servizi, nella determinazione di scelte e di interventi. In taluni ambiti territoriali la rilevanza quantitativa di enti e associazioni che gestiscono servizi è largamente prevalente rispetto alla parte pubblica. Il recente sviluppo del fenomeno non consente di formulare valutazioni sicure circa l'assunzione di ruolo e la definizione di specifici ambiti di operatività. Il «privato» si muove ancora alla ricerca di una propria identità e di una propria collocazione sia nei confronti dell'interlocutore privilegiato - l'ente pubblico - sia nei confronti di tutti gli altri soggetti operanti per le medesime finalità.

     Significativo appare, nel complesso, il ruolo del «privato» sul piano propositivo e promozionale e sul piano della gestione concreta di iniziative e di servizi socio-assistenziali anche se, spesso, una indisponibilità di mezzi e strutture proprie ne riduce in modo consistente le potenzialità.

     Il considerevole incremento di servizi e di attività posti in essere, in regime di convenzione da enti, associazioni ed organizzazioni private, evidenzia un limite oggettivo, rappresentato dalla non capacità dell'ente pubblico a sostenere la spesa crescente, ed una esigenza che è quella di armonizzare in un'unica cornice culturale e di finalità il consistente ma variegato «patrimonio» di idealità, valori e risorse del privato stesso.

 

Elementi regolatori

     Inoltre, le finalità e le motivazioni che sono alla base dell'aggregazione associativa e le tensioni ideali che sostengono l'azione di questi enti non sono sempre facilmente armonizzabili con le generali scelte politiche ed operative assunte dalla Regione e dagli Enti locali. Questo fatto comporta evidenti riflessi di problematicità sia nell'adesione agli standards sia nella definizione di rapporti convenzionali con gli enti pubblici.

 

Standard

     Standards ed autorizzazioni al funzionamento: gli standards hanno rappresentato nella fase di attuazione del primo programma triennale della Regione, il punto di riferimento concreto e certo per la programmazione, la realizzazione e la gestione di servizi e di strutture destinati a funzioni tutelari, educative e di recupero.

     Permangono ancora oggi alcuni nodi problematici sui quali è necessario rivolgere specifica attenzione nella prospettiva di un loro superamento:

-  il raccordo non sempre realizzato tra il livello istituzionale e quello

degli interventi

-  attuatori per affrontare e gestire in modo conforme agli obiettivi di

rinnovamento del servizio nella sua globalità secondo una logica per cui

l'operatore sociale è il «sensore» dei mutamenti sociali in atto.

     In una prospettiva di approfondimento del progetto della formazione, le esperienze sinora maturate consentono di enucleare alcune indicazioni di orientamento.

     E' necessario innanzitutto consolidare la consapevolezza che l'operatore sia partecipe di momenti decisionali e di programmazione dei servizi sociali.

     Per questo le iniziative di formazione a livello locale vanno più puntualmente collegate al quadro programmatorio generale. In questa prospettiva le attività di aggiornamento vanno quindi programmate come processo dinamico e sinergico, ricercando il superamento di situazioni di individualità professionale attraverso la definizione di modalità operative comuni tra i vari operatori.

 

Nuovi soggetti di politica sociale

     Iniziative a favore dei giovani: pur in assenza di precisi orientamenti normativi da parte dello Stato, la Regione Veneto ha promosso un'articolata serie di iniziative e di interventi normativi e operativi - per la realizzazione di una mirata azione a favore dei giovani. Tale azione si è essenzialmente espressa per:

-  acquisire conoscenze e informazioni del fenomeno giovanile, nell'attuale contingenza culturale, sociale ed economica;

-  individuare fattori inibenti il processo di sviluppo soggettivo e di integrazione sociale dei giovani;

-  orientare gli enti locali verso l'attuazione di interventi che favoriscano la loro crescita globale.

 

La sperimentazione

     L'impegno della Regione si è conseguentemente concretizzato nell'adozione di norme specifiche (Legge sul diritto allo studio, sull'occupazione giovanile, sulla cooperazione, sugli scambi socio- culturali e sulla tossicodipendenza) e nell'assunzione di speciali progetti pilota.

     Questi ultimi, in particolare, attuati con il coinvolgimento e la collaborazione di Comuni, di Unità locali socio-sanitarie e di enti di ricerca hanno consentito di delineare modelli di servizio e di intervento per i giovani, generalizzabili in tutto il territorio regionale individuandone nel contempo indicatori di valutazione. La crescente diffusione di forme di aggregazione educativa (centri di interesse, centri ricreativi e centri giovanili), l'avvio di servizi di supporto e di orientamento professionale per i giovani (Informa-giovani) costituiscono il segno dell'interesse e dell'importanza che la questione giovanile sta assumendo nelle scelte politiche e programmatorie degli Enti locali.

 

 

2. POLITICA DI PIANO

 

Carenze dello Stato

     Il primo piano sociale 1989/91 della Regione Veneto si colloca a distanza di ormai sei anni dal precedente programma socio-assistenziale, sullo sfondo di un contesto legislativo nazionale sostanzialmente immutato.

 

Risposta del territorio

     Manca a tutt'oggi infatti la tanto auspicata legge-quadro dello Stato di riforma dell'assistenza, che consentirebbe di far assumere una connotazione ed un ruolo più definito al settore sociale, ormai sviluppatosi secondo la logica innovativa di una politica di servizi.

     Ma nello specifico contesto veneto, proprio questa situazione di permanente incertezza normativa potrebbe costituire l'opportunità per un'ulteriore crescita nella programmazione sociale.

     La Legge regionale 55/82 di riordino delle norme in materia di assistenza sociale ha introdotto, infatti, nella realtà veneta - caratterizzata da un coacervo di interlocutori, risorse ed interventi in campo assistenziale - il metodo della programmazione e della verifica dei risultati ottenuti rispetto a quelli attesi.

     In questa logica il processo programmatorio delineatosi in questi anni si è, dunque, rivelato uno strumento valido e significativo di conoscenza della complessità del sociale.

     Sono soprattutto tre gli elementi che emergono dalla lettura degli effetti-risposta del territorio:

 

Nuovi processi sociali

-  il delinearsi di una molteplicità di attori istituzionali e non, guidati da principi diversi, spesso in contraddizione rispetto al conseguimento di obiettivi comuni, e non facilmente riconducibili ad un assetto unitario e coerente;

-  la consapevolezza che il cambiamento sociale procede in tempi così contratti da rendere problematica la proiezione di trends evolutivi per il lungo periodo tendenti a «ridisegnare» una nuova mappa che li ricomponga;

-  il profilarsi di una nuova tipologia di soggettività che sfugge ad una

logica restrittiva di semplificazione e categorizzazione;

-  una nuova tipologia di utenza, i cui bisogni non sono più

generalizzabili, ma «relativi» al mutare della situazione, che esprime

istanze differenziate non sempre decifrabili, a volte contraddittorie.

-  un tessuto sociale, quello che si presenta all'attenzione sia del

legislatore che dell'operatore, determinato dal venir meno dei criteri più

tradizionali ed oggettivi di classificazione, quali il reddito,

l'occupazione, l'abitazione, la fame, l'analfabetismo. E' un tessuto che

rivela confini incerti tra «benessere» e «malessere», tra «povertà» e

«ricchezza», e rivela processi nuovi di marginalità è di esclusione

sociale.

 

Nuovo ordine di priorità

     In quest'ottica gli stessi strumenti di attuazione del precedente Programma quali il progetto obiettivo, i meccanismi di gestione regionale, i finanziamenti, le piante organiche del personale, il sistema informativo, consentono di stabilire almeno due livelli di necessità:

-  il miglioramento delle strutture esistenti, secondo il principio di efficienza/efficacia, per irrobustire il «consolidato» rispetto allo specifico veneto;

-  l'esigenza di risolvere gli elementi di separatezza e le «discrasie» esistenti nel sociale con un atteggiamento nuovo e più duttile verso quelle che si definiscono variabili socio culturali del cambiamento.

     Il nuovo Piano pertanto intende:

a) intervenire sul cambiamento e sui processi di trasformazione presenti

nel contesto regionale veneto riconfermando la politica e le scelte

operative delineate dal precedente Programma;

b) rispondere alle richieste formulate dal sociale, sostenendo quelle nuove

attraverso una logica di tipo promozionale;

c) raccogliere le indicazioni scaturite dal precedente Programma;

d) confermare la linea di intervento sui processi e sulle interazioni tra

soggetti ed attori sul territorio più che sulle strutture;

e) riconfermare la validità dei dispositivi, progetto pilota e progetto

obiettivo, attuatori;

f) aggiornare, a sei anni di distanza, obiettivi, funzioni e strumenti;

g) individuare infine una strategia per il governo del processo

programmatorio, che consenta contemporaneamente un'apertura a tutto campo

sul sociale e un'organizzazione degli scarti differenziali a partire dalla

loro articolazione ed interazione.

 

2.1.La strategia

 

Prevenzione

     La politica sociale della Regione Veneto è caratterizzata in tutti gli anni 80, dalla volontà di rendere complementari i comparti sanitario e sociale, perseguendo in campo sanitario obiettivi di salute e di prevenzione e in campo sociale obiettivi di sicurezza e solidarietà.

 

Sicurezza

     La convergenza di sociale e sanitario, la loro ripetuta e più volte riaffermata necessità di integrazione, hanno fornito una strategia che ha contrastato in ambito sociale l'assistenzialismo e il custodialismo, e in ambito sanitario una pratica medicalizzante centrata sui soli momenti curativi.

     In questa prospettiva strategica il sociale avrebbe dovuto fornire i concetti e gli strumenti idonei a sviluppare una cultura ed una pratica della prevenzione.

 

Solidarietà

     Il sanitario, centrato sulla salute - «la salute per tutti» - avrebbe dovuto, parallelamente, potenziare mondi vitali in cui il benessere si estendesse dal livello economico, da condizioni materiali ed oggettive a quello psicofisico, a condizioni cioè di miglioramento qualitativo e soggettivo.

     Il consuntivo di questi anni di realizzazione dei programmi e degli interventi socio-sanitari, propone un bilancio positivo confortato da miglioramento della qualità della salute e dal riconoscimento di un diritto della persona ai servizi sociali.

     Le mutate condizioni di esistenza, determinate dal soddisfacimento dei bisogni primari e da una cultura sociale che riconosce legittimità a tale soddisfacimento, hanno fatto emergere nuove problematiche, nuovi bisogni e nuove domande di soddisfacimento.

 

La complessità

     La società tende ad una sempre maggiore complessità e necessità di condizioni e di strumenti di azione consoni alle trasformazioni che sta vivendo.

 

I servizi ponte tra...

     I servizi sociali sono chiamati pertanto ad un compito più complicato dovendo allo stesso tempo continuare a fornire risposte ai bisogni consolidati - che potrebbero essere definiti tradizionali - inventare modalità di risposta ai problemi nuovi - che potrebbero essere definiti emergenti - e individuare le forme di disagio che ancora non hanno un riconoscimento ed uno status sociale -; problemi che potrebbero essere definiti alternativi -.

 

...vecchio

     Tanto per i bisogni consolidati e tradizionali, quanto per quelli nuovi e non ancora manifesti, i servizi devono sviluppare una capacità di intervento che sia insieme curativa, riabilitativa e preventiva.

 

...e nuovo

     Lo spettro delle componenti che contraddistinguono la complessità del sociale è assai ampio: i servizi sociali si misurano con una utenza che, per esemplificazione, comprende l'anziano disabile e il portatore di handicap fisico e psichico - soggetto tradizionale il tossicodipendente e il malato di AIDS - soggetto emergente il bambino cardiopatico che le conquiste della medicina mantengono in vita ponendo al sociale in prospettiva problemi di inserimento e di integrazione, o i figli di nuovi immigrati che dovranno essere inseriti negli ambiti comunitari senza dover rinunciare alle loro tradizioni culturali - soggetti questi ultimi, che accanto ai tradizionali ed emergenti, potremo definire alternativi.

     Il piano per affrontare il problema della complessità deve articolare due logiche parallele:

«quella «programmatoria» e quella «strategica».

 

La logica programmatoria

     La logica programmatoria individua azioni predeterminate per intervenire in quelle circostanze e situazioni che raccolgono l'eredità di quanto finora fatto per svilupparlo e potenziarlo ulteriormente.

 

La logica strategica

     La logica strategica deve elaborare più scenari di intervento per modificare e predisporre la sua azione di fronte al nuovo, all'incerto, all'inatteso, neutralizzando le situazioni sfavorevoli e sfruttando quelle favorevoli.

     Il programma interviene sul disagio per migliorare la qualità della vita, la strategia invece attiva condizioni di agio per evitare future situazioni di devianza e di marginalità.

     L'unico modo di risolvere il problema della complessità è di accettarla. Esso deve quindi articolare i suoi interventi secondo principi e strumenti diversi e differenziati, valorizzando di volta in volta il policentrismo delle amministrazioni comunali, il centralismo delle strutture gestionali afferenti alle U.L.S.S. o addirittura l'acentrismo e la frammentazione delle iniziative di volontariato e di cooperazione.

     Il precedente programma ha quindi sperimentato la produttività delle azioni convergenti tra sociale e sanitario che nella loro combinazione si sono dimostrate capaci di produrre risultati maggiori di quelli che, separatamente, avrebbero potuto ottenere. La sinergia ha esaltato le caratteristiche positive dei due comparti.

 

Il primato del sociale

     Il piano deve capitalizzare i risultati e le sperimentazioni di sei anni di programma. Per questo deve dimostrare la capacità di superare gli effetti positivi ottenuti proponendo il primato del Sociale come nuovo traguardo da raggiungere. Primato oltre che logico anche temporale perché l'intervento sociale non ricada nella logica medicalizzante e terapeutica delle condizioni patologiche e dei fattori di rischio sui quali intervenire per correggerli.

 

2.1.1. Le idee guida

 

     La strategia del sociale, la sua missione, si articola nella combinazione di due idee «guida»:

1. la prevenzione può effettivamente realizzarsi solo sviluppando situazioni favorevoli, azioni propositive, condizioni di agio, scelte di vita.

 

Dai problemi...

     Quando il comparto sociale interviene su condizioni di disagio, di marginalità, di nuova povertà, potrà produrre risultati positivi, ma l'emergenza della patologia sociale ci dà la misura della scarsa efficacia della prevenzione (i risultati positivi e talvolta brillanti delle comunità terapeutiche non riducono l'incidenza del fenomeno, per esempio, della tossicodipendenza che ha bisogno invece di essere affrontato creando nuovi mondi vitali per i giovani);

2. il passaggio dal dominio del «semplice» a quello del «complesso», dal 1800 al 2000, avviene attraverso una diversa considerazione dei fattori organizzativi di un sistema.

     L'organizzazione dei servizi sociali non si potenzia e migliora massimizzando solo i livelli produttivi, o razionalizzando solo la logica della prestazione.

 

...alle opportunità

     Il sistema servizi è esso stesso una nuova complessità organizzativa che deve:

-  considerare un servizio nei suoi rapporti con le altre realtà;

-  sviluppare approcci interorganizzativi;

-  analizzare la rete delle relazioni, connessioni e conflitti con le altre

organizzazioni.

     In questa direzione va quindi perseguito e ricercato da parte del sistema servizi, il collegamento con le azioni di politica sociale degli Enti locali per realizzare forme integrate di intervento nei contesti territoriali e comunitari tra la politica del tempo libero dello sport, della cultura, della casa, dei trasporti.

     La nuova organizzazione del sistema servizi ha perciò la necessità di potenziare la comunicazione sociale con gli utenti, le collettività, con l'intero territorio: uscire dal servizio per diffondersi nel tessuto sociale.

 

La comunicazione

     Solo lo sviluppo di una strategia di comunicazione, che a partire dall'informazione, posizioni a un livello di soggettività l'utenza e a un livello di partecipazione la collettività, può garantire un potenziamento del sistema servizi in termini tanto di efficienza, quanto di efficacia.

     La capacità comunicativa dei servizi e dei loro operatori potrà costituire il parametro su cui condurre un'analisi dei costi-benefici.

 

2.2. Finalità generali e specifiche

 

Ambiti di azione

     In relazione alle esperienze già realizzate e sperimentate sul territorio dal precedente processo di programmazione, il piano individua, quali ambiti di azione, la proposta di un modello operativo per indirizzare i servizi verso nuove frontiere di progettualità, e l'adozione di una logica politica di assunzione della complessità del sociale e di intervento sui fenomeni di trasformazione ed innovazione in atto.

     Si tratta di superare la gestione del quotidiano, che parcellizza i problemi e le loro soluzioni, predisponendo programmi e progetti a medio e a lungo termine, nonché piani operativi verificabili nella loro attuazione secondo parametri di efficenza e di efficacia.

 

Vincoli

     Gli interventi previsti dovranno essere commisurati:

-  alle risorse disponibili;

-  alle procedure di attuazione e di verifica;

-  ai criteri per la valutazione dei risultati;

-  al ruolo della formazione professionale;

-  all'erogazione di incentivi e alla predisposizione di idonei supporti per continuare il processo di sperimentazione, e di adeguamento alla normativa vigente;

-  allo sviluppo di forme di partecipazione solidaristica della collettività.

     Tali interventi, individuati sulla scorta degli effetti maggiormente produttivi del precedente programma socio-assistenziale, definiscono l'ambito di azione che il piano si propone di privilegiare.

     Per passare dalle intenzioni alle azioni, è necessario che sull'ambito disegnato dalle priorità espresse, si attivino e si coinvolgano il maggior numero dei differenti soggetti che il piano individua come interlocutori in quanto già agenti di trasformazioni sociali:

 

Risorse

-  gli Enti locali, territoriali e non;

-  le risorse tecnico-professionali del sistema servizi;

-  le associazioni, le cooperative, i gruppi sociali organizzati, la chiesa e le associazioni religiose;

-  il mondo imprenditoriale e delle organizzazioni politiche, le forze sindacali;

-  il mondo della scuola, della ricerca scientifica e dell'Università.

 

Finalità complementari

     Accanto agli interlocutori ora nominati, necessario coinvolgere e far partecipare soprattutto gli stessi utenti dei servizi e la collettività entro la quale essi vivono e agiscono.

     Quale finalità complementari, il piano individua inoltre il miglioramento della qualità della vita per alcuni settori del sociale presuppone, preliminarmente, il contenimento delle nuove espressioni del disagio e della marginalità, che proprio il ritmo e la qualità stessa del cambiamento palesano.

     Per combattere il malessere sociale e avviare un processo di rinnovamento qualitativo delle condizioni di vita, l'intervento regionale prosegue l'azione programmatica intrapresa perché le strutture e i servizi, sempre più, operino superando la logica riparatoria e assumendo quella preventiva.

 

Finalità specifiche

     Il perseguimento di queste finalità generali richiede nello specifico:

-  la flessibilità e la personalizzazione degli interventi, per rispondere

ai bisogni, tanto a quelli consolidati, quanto a quelli emergenti;

-  l'efficienza organizzativa dei servizi e delle strutture perché si

configurino sempre più come sistema;

-  l'efficacia operativa del sistema servizi per corrispondere alla

complessità del sociale;

-  una cultura e una prassi d'integrazione territoriale per realizzare e

gestire programmi comuni;

-  una capacità di valorizzare le risorse esistenti e di attivarne di

nuove.

 

Liberare il potere sinergico

     In sostanza il piano sociale sollecita e orienta i rapporti di scambio e di collaborazione fra il «pubblico» e il «privato», fra gli organismi gestionali - UU.LL.SS.SS. Comuni, IPAB - e le strutture operative-sociali, educativo-assistenziali, sanitarie, non per operare una modifica dell'assetto istituzionale delle competenze degli enti, ma per offrire una strategia in grado di avviare processi organizzativi ed interorganizzativi finalizzati alla massimizzazione della produttività sociale dei servizi.

 

2.2.1. Gli obiettivi

 

     La legge 55/82 ha compiuto un'azione di riordino nella polverizzazione e parcellizzazione delle competenze, proponendo con il programma socio- assistenziale un criterio di semplificazione classificatoria dei servizi e degli interventi per ricondurli all'interno di due grandi classi: l'età evolutiva e l'età adulta.

 

La missione preventiva

     Effetto principale di questa ricomposizione è stato il sostanziare la missione preventiva dei servizi sociali, affidando loro il compito complementare di rispondere alle condizioni di necessità e disagio ormai croniche nell'età adulta, ma di intervenire allo stesso tempo sull'età evolutiva per correggere, al loro insorgere, future condizioni di disabilità e svantaggio.

 

Partecipazione e solidarietà

     Il piano contando su questo processo di razionalizzazione degli interventi, può oggi proporsi di adeguare il sistema servizi alla complessità sociale, attivando le forze istituzionali, associative e individuali in una sinergia delle risorse mirata alla partecipazione e alla solidarietà.

 

Modalità di attuazione

     Per rendere concreto ed attuale questo collegamento il piano adotta come proprie modalità il superamento della divisione binaria per classi d'età - evolutiva ed adulta - e la riformulazione dell'assetto del sociale attraverso la scansione di tre tipologie dei servizi che la ricerca scientifica suggerisce di nominare: tradizionali, alternativi ed emergenti.

     Tale classificazione tipologica dei servizi corrisponde a quella individuata tanto per i bisogni, quanto per i soggetti che li esprimono.

     In questa prospettiva il Piano intende raggiungere, nel tempo della sua realizzazione, tre obiettivi:

 

La produttività sociale

a) organizzare e riequilibrare il sistema servizi secondo la logica di produttività sociale dell'efficienza e dell'efficacia.

 

L'interazione pubblico/privato

b) incentivare e promuovere l'interazione tra enti pubblici e privati, istituzioni, associazioni e movimenti spontanei per una programmazione comune;

 

I soggetti emergenti

c) individuare i soggetti emergenti attivando nei loro confronti adeguate strategie di comunicazione per sviluppare le risorse del sociale.

     Tali obiettivi raccolgono le raccomandazioni espresse anche in sede di programmazione nazionale, mirate alla ridefinizione del sistema servizi perché esso sia in grado di coniugarsi sempre più al circuito delle esperienze di partecipazione da potenziare e promuovere.

 

I servizi tradizionali

     Il primo obiettivo del piano dovrà pertanto razionalizzare i servizi tradizionali (l'esistente già consolidato) in termini di efficienza e di efficacia.

 

Efficienza

     L'efficienza del servizio è commisurata alla sua elasticità e alla capacità di trasformarsi, adattandosi ai cambiamenti sociali che la sua stessa azione produce nel contesto.

 

Efficacia

     La sua efficacia è commisurata alla sua capacità di modificare il rapporto con l'utenza, attuale e potenziale, sviluppando l'autonomia dei cittadini, la loro soggettività contrattuale ed operativa.

 

I servizi alternativi:

     Il secondo obiettivo del piano è mirato alla programmazione degli interventi esistenti integrandoli con le azioni dei soggetti alternativi (mondo della cooperazione, dell'associazionismo e del volontariato), pubblici e privati operanti nel comparto, inducendoli ad esplicitare i loro intenti e ad avanzare richieste conformi agli standards regionali.

 

Organizzazione delle differenze

     L'integrazione e il coordinamento di tali azioni non dovrà però produrre un piatto uniformismo, ma al contrario organizzare le differenze e valorizzare le risorse e le competenze.

 

Servizi emergenti

     Il terzo obiettivo sarà mirato ad esaltare le risorse del sociale sottoutilizzate e abbandonate, sviluppandone la natura di «azienda» di riproduzione sociale (i servizi emergenti).

 

La «cifra oscura» del disagio

     Si tratta di attivare un processo di promozione delle «azioni quotidiane», delle microsolidarietà già presenti ed operanti nelle collettività locali, ma troppo spesso dimenticate e sottovalutate. Per questo obiettivo prioritariamente sono da coinvolgere le unità territoriali minori, quelle piccole e medio-piccole, i quartieri urbani periferici e i comuni sotto i 5000 abitanti. Va inoltre dilatata l'azione preventiva del disagio sociale potenziando le forme di self-help socializzato e individuando nel quotidiano la «cifra oscura» del disagio accanto a quelle più note per la drammatizzazione prodotta dai media di comunicazione di massa (ad esempio: l'AIDS e la tossicodipendenza).

 

2.3. Dalla sperimentazione alla valutazione

 

     L'esperienza acquisita negli ultimi anni dal sistema socio- assistenziale dei servizi e dalla sinergia sviluppatasi con quello sanitario, rappresenta una formidabile risorsa per gli operatori che hanno agito sul territorio, per i singoli servizi e per il sistema che li integra, per le strutture delle amministrazioni comunali e delle UU.LL.SS.SS. alle quali i servizi afferiscono.

     Il presente piano si impernia su questo patrimonio di esperienza e di idee, di risorse umane e di organizzazione, che la Regione considera come una sperimentazione ante litteram, su cui le azioni e gli interventi del futuro triennio potranno trovare fondamento.

 

Regolamentare la sperimentazione

     Tale risorsa però può costituire anche un limite per la programmazione e la strategia del piano in quanto rappresenta in termini oggettivi un impegno di spesa, e in termini soggettivi un ordine di aspettative tanto degli operatori, quanto dell'utenza di cui il Governo regionale non può non tener conto.

     Durante i sei anni del programma sono stati attivati numerosi e differenti progetti, alcuni dei quali sono tuttora in corso di realizzazione.

     Non tutti hanno dato gli stessi esiti positivi, né quelli che presentano risultati meno soddisfacenti possono per essere giudicati tout court come negativi risultando impossibile adottare, nelle numerose variabili che concorrono al giudizio di positività e non, parametri unici e validi in assoluto.

     L'88 insomma non rappresenta l'anno zero della pianificazione dei servizi sociali.

     Come intervenire con una sanatoria per progettare e sperimentare il nuovo o per potenziare e sviluppare già l'esistente ?

     Come fornire un parametro scientificamente oggettivo e rispettoso della certezza del diritto per cui il giudizio venga accettato al di là dell'autorità e del potere di chi lo emana ?

 

Verificare le attività

     D'altronde è certo che senza strumenti di verifica e parametri di valutazione definiti e generalizzabili, il piano risulterebbe inefficace alla sua nascita, e sempre più inefficiente nel corso del triennio della sua attuazione.

     E' necessario allora che la Regione, rispetto ai Servizi Sociali, sviluppi una nuova funzione di verifica e valutazione, e organizzi una corrispondente struttura in grado di raccogliere, misurare e interpretare la differente articolazione del territorio, le sue trasformazioni sociali, la capacità di rispondere al problema della complessità.

     Cos'è il Veneto, come sta cambiando, in quali direzioni si muovono le nuove soggettività, attraverso quali canali esprimono i loro bisogni e qual è il livello di soddisfacimento che dichiarano per le risposte che ottengono dal sistema servizi ?

     Come ogni piano, anche questo, socio-assistenziale, si giustifica e si articola nella prospettiva degli interventi che attiva per modificare situazioni negative, per promuoverne di positive, per utilizzare risorse, per attuare potenzialità.

 

Valutare i risultati

     Il criterio di valutazione su cui verranno giudicati i progetti in corso di realizzazione voluti dal programma 1989/91, verrà fornito dalle linee strategiche e programmatorie del piano stesso, e dell'aderenza dei vari progetti nel realizzare sul territorio, nell'arco del triennio, le finalità e gli obiettivi tracciati che si imperniano sulla ricerca di nuove e migliori opportunità di vita per gli individui, i gruppi, le collettività.

     Il piano stabilisce quindi che l'attuazione dei progetti e la conseguente attività dei servizi e degli operatori, vengano verificate e i risultati valutati.

     La vera novità del piano rispetto al programma è l'individuazione di questa funzione valutativa e la determinazione di questa struttura di verifica, senza le quali ogni intervento programmatorio e strategico della Regione e dell'Assessorato dei Servizi Sociali, rischia l'intasamento, la confusione e la dispersione delle risorse economiche, umane e tecniche su cui conta o che intende attivare.

 

 

3. GLI INTERVENTI

 

Potenzialità del sociale

     Il presente Piano intende promuovere, attraverso progettualità specifiche e rinnovata formazione per gli operatori, un approccio più attento all'emergere dei nuovi bisogni e di nuove soggettività, prodotti della complessità e turbolenza sociale.

     In tale prospettiva vengono individuati:

-  gli interventi di tipo sperimentale;

-  i progetti ed azioni specifiche;

-  la formazione per gli operatori;

-  la rete di servizi e strutture, più rispondenti alla esigenza di programmare nel territorio;

-  le modalità di valutazione ed autovalutazione.

     Se la logica operativa del precedente programma era indirizzata alle situazioni di disagio e di rischio, quella attuale viene ampliata a sviluppare tendenzialmente processi di identità collettiva e a promuovere condizioni di benessere, con l'obiettivo di perseguire un'appropriata educazione al bisogno.

     All'interno delle indicazioni sopra enunciate, al singolo è riconosciuta la capacità di esprimere le proprie situazioni soggettive ed oggettive (il bambino, la donna, l'anziano, il malato) che, nell'attuale logica programmatoria, guidano come categorie logico/empiriche l'azione politica e pratica del Piano (a fronte sia di un disagio consolidato che di espressione di nuovi bisogni) per consentire la realizzazione concreta e completa dell'individuo.

 

La famiglia

 

Indice del cambiamento

     La scelta della «famiglia» come uno degli ambiti di operatività del presente Piano non obbedisce solo alla logica di recupero di un valore tradizionale da riaffermare; la famiglia che nel P.R.S. 1989/1991, viene definita «prima agenzia sociale», non può più essere considerata osservatorio privilegiato dei grandi cambiamenti storici, ma essa stessa indice di cambiamento non più rappresentabile mediante grandi linee evolutive.

 

Sistema che organizza differenze

     La famiglia, come sistema che organizza status e ruoli differenti, adempie a scopi sociali impliciti ed espliciti e realizza funzioni socio- economiche, educative, assistenziali e psicoculturali; essa vive costantemente e continuamente il passare del tempo, il susseguirsi di momenti di sviluppo.

     Il Piano, pertanto, la assume come espressione di una realtà in continuo cambiamento all'interno di un arco temporale che comprende più generazioni, nelle quali si ripropongono problematiche e specificità tipiche delle varie fasi dei cicli vitali (nascita di un figlio, ma anche matrimonio di un figlio).

     Essa è un sistema aperto, che produce cambiamenti e richiede, quindi, una riorganizzazione della propria struttura di vincoli e relazioni, interne ed esterne, conseguente proprio all'evoluzione dei suoi compiti sociali.

     A partire dalle diverse tipologie di famiglie oggi esistenti, diventa possibile, individuare bisogni connessi alla specifica organizzazione famigliare ed esaminare il mondo in cui il soddisfacimento di questi bisogni agisce, reagisce o interagisce con le trasformazioni sociali.

     Il Piano, perciò, propone nei confronti della famiglia, livelli differenziati di intervento:

 

Livelli dì intervento

-  supporta e sostiene l'accertato sovraccarico assistenziale che grava sulle famiglie e sulle situazioni segnalate «a rischio»;

-  promuove indagini conoscitive, per la riformulazione innovativa di servizi e strutture, nei confronti dell'incalzare di istanze differenziate formulate dai nuovi tipi di soggettività e fenomeni, che emergono all'interno della famiglia;

-  valorizza soggettività emergenti quali:

   a) la donna, colta nelle prospettiva di un proprio inserimento nella globalità dai rapporti sociali e non solo in quelli meramente lavorativi o esclusivamente familiari;

   b) l'anziano, la cui condizione non è più unicamente legata a stereotipi di disagio economico e/o sanitario e/o di emarginazione sociale e lavorativa e nei cui confronti occorre proporre una nuova immagine;

   c) l'età evolutiva su cui è necessario intervenire con nuova sensibilità

educativa coinvolgendo enti, istituzionali e non, associazioni, operatori

per affrontare la complessità e la differenziazione delle problematiche.

 

Il disagio sociale

 

Aspetti tradizionali e innovativi del disagio sociale

     L'evoluzione della società verso forme organizzative sempre più complesse e caratterizzate da una intensa processualità di sviluppo e la contestuale azione politica volta alla trasformazione del «sociale» verso più elevati livelli di benessere complessivo della persona sono fattori «induttivi» di nuovi bisogni ed istanze sia in soggetti tradizionalmente esposti alla marginalità sociale (disabili, anziani non autosufficienti, depsichiatrizzati, tossicodipendenti, ecc.) sia in soggetti (dimessi dal carcere, nomadi, nuovi immigrati) che per mancanza di strumenti sul piano soggettivo e per effetto di particolari condizioni culturali e socio- economico-ambientali, incontrano rilevanti difficoltà ad esprimere se stessi ed a partecipare alle dinamiche della vita sociale.

     L'analisi di specifici fenomeni sociali in termini di «disagio sociale» comporta, innanzitutto, l'esigenza di superare concezioni ed approcci settoriali ai problemi sociali e un conseguente ripensamento sia delle modalità di programmazione da parte della Regione e degli Enti locali, sia di taluni aspetti organizzativi ed operativi dei servizi territoriali.

     In questa prospettiva l'azione politica della Regione si sostanzia nell'orientare Comuni e UU.LL.SS.SS. ad una conoscenza approfondita del fenomeno adottando appropriate iniziative ed interventi coerenti con le finalità del presente piano. In particolare l'interesse e l'impegno espresso negli ultimi anni da Comuni, UU.LL.SS.SS. ed organizzazioni pubbliche e private per le azioni di recupero ed integrazioni di portatori di handicap e tossicodipendenti - e l'importanza dei risultati conseguiti inducono ad attribuire alle problematiche proprie di queste specifiche aree del disagio sociale un valore prioritario.

 

I portatori di handicap

 

Dal recupero della partecipazione

     La Regione considera necessario approfondire l'impegno volto al recupero ed alla integrazione sociale dei disabili nella scuola, nella collettività in risposta ai particolari aspetti di tutela e di sicurezza sociale che i risultati finora conseguiti richiedono.

 

Azioni per l'integrazione

     L'inserimento nella scuola dell'obbligo e la formazione professionale non possono essere disgiunti dal «dialogo» costante e convergente tra i servizi territoriali e l'istituzione scolastica. Esso si sostanzia sì nella creazione di condizioni soggettive ed ambientali favorevoli allo sviluppo globale dell'alunno con handicap, ma soprattutto nella costante verifica dell'efficacia delle azioni intraprese nel conseguimento di tali obiettivi. In particolare è necessario orientare ogni sforzo verso il superamento di rigidi schematismi concettuali ed operativi e la proposizione di nuovi modelli organizzativi nella vita della scuola tali da contemperare apprendimento scolastico, esigenze di crescita sociale e rispetto globale dell'alunno con handicap.

     In questa prospettiva i Comuni e le UU.LL.SS.SS. opereranno d'intesa per l'attuazione di comuni programmi di integrazione degli handicappati in tutte le realizzazioni aggregative della comunità.

 

I tossicodipendenti

     Le articolate esperienze compiute sul territorio e l'analisi della situazione in atto consentono di delineare le direttrici su cui esprimere e sostanziare l'impegno della Regione e degli Enti locali nei confronti del fenomeno della tossicodipendenza.

 

La prevenzione

     Innanzitutto, la prevenzione continua a rappresentare il percorso più efficace per contrastare l'estendersi dell'uso di sostanze stupefacenti. Essa si caratterizza per precise strategie (coinvolgimento generalizzato dei servizi territoriali e degli operatori di tutte le agenzie educative e sociali del territorio: scuole, centri sportivi, centri educativi e ricreativi, ecc.) per appropriati contenuti (l'educazione alla salute come stimolo per responsabilizzare il comportamento del singolo e della collettività nel conseguimento di livelli più elevati della qualità della vita e di una positiva integrazione sociale) per la tempestività e la flessibilità dell'azione.

 

Strategie per la prevenzione

     L'elevazione della professionalità e della specializzazione degli operatori per l'adozione di appropriate misure di prevenzione e per l'avvio e la realizzazione di positivi processi di terapia costituisce un essenziale presupposto strategico di tali azioni. Inoltre, l'accertata connessione tra la tossicodipendenza e l'AIDS nonché gli spazi aperti alla riforma carceraria ampliano il fronte dell'intervento e sollecitano l'adozione di più appropriate risposte. In questa prospettiva diviene essenziale, oltre alla concreta integrazione dei servizi socio- assistenziali, l'avvio di una stretta collaborazione tra la Magistratura, le Forze dell'ordine e gli Enti locali.

 

Strumenti programmatori

     La mutevolezza del fenomeno e la complessità delle forme di comportamento deviante dei soggetti tossicodipendenti orientano l'Ente locale e l'ULSS all'adozione di strumenti programmatori strutturati ed organici, finalizzati ad attivare le risorse dell'intera comunità locale nelle componenti culturali, istituzionali e nel mondo del lavoro per la costruzione di strategie di prevenzione e di intervento commisurate alle singole realtà locali.

 

3.1. Piano operativo degli interventi

 

Mappa

     Per consentire una efficace ed immediata lettura dell'intero sviluppo del piano sociale le schede seguenti rappresentano la mappa operativa dell'attuale sistema di servizi, attività e strutture inerenti l'area socio-assistenziale e la sua potenziale progettualità.

     L'approccio adottato dal Piano è indirizzato al superamento della tradizionale classificazione dell'utenza per categorie di bisogno, a favore di una più ampia considerazione della complessità sociale. Tuttavia dal punto di vista operativo è stato necessario attivare la medesima serie di elementi ordinatori, afferenti sia alla specificità dei bisogni connessi alle varie tappe dell'esistenza - infanzia, età adulta, vecchiaia - sia al mantenimento delle tipologie più usuali di soggetti in situazione di riconosciuto disagio.

     La visualizzazione degli elementi ordinatori, attraverso una lettura processuali, consente pertanto di rilevare il collegamento di interventi, utenti, enti competenti, soggetti attuatori degli interventi e risorse operative per il raggiungimento di un obiettivo specifico delineato.

 

Lettura processuale

     La lettura processuale di ogni singolo intervento comporta la semplificazione grafica e descrittiva del criterio di «trasversalità» che caratterizza determinate attività: è il caso dei servizi domiciliari, dell'aggiornamento degli operatori ed ancora del modulo organizzativo territoriale. E' stato dunque inevitabile riposizionare la medesima tipologia di intervento secondo le diverse finalità.

     A differenza delle schede elaborate per l'attuazione del programma precedente, che collocavano obiettivi e funzioni secondo la scansione temporale degli utenti in età evolutiva ed età adulta, nell'attuale mappa si è proceduto all'adozione delle tre finalità generali verso le quali concorre, a sua volta, la medesima serie di obiettivi specifici, riconducibili a bisogni individuati come tradizionali, emergenti ed alternativi.

     Per ognuna delle finalità generali, intese anche come ambiti prioritari di intervento, si ripetono i tre obiettivi specifici individuati.

     Essi hanno il compito di delineare lo scenario del sociale nel Veneto. Con il primo obiettivo

- organizzare e riequilibrare il sistema servizi, secondo la logica di produttività sociale:

dell'efficienza e dell'efficacia - vediamo rappresentata l'organizzazione dei servizi istituzionali, a livello centrale (Regione) e territoriale (ULSS, Comuni e altri Enti), prospettata dal presente Piano.

     Il primo obiettivo, rispetto alla famiglia, al disagio ed ai soggetti emergenti, dovrà pertanto razionalizzare l'esistente già consolidato nei servizi - l'aspetto tradizionale - secondo i criteri dell'efficienza e dell'efficacia.

     Il secondo obiettivo - incentivare e promuovere l'interazione tra Enti pubblici e privati, associazioni - è mirato alla programmazione degli interventi esistenti integrandoli con le azioni dei soggetti alternativi (mondo della cooperazione, dell'associazionismo e del volontariato) inducendoli ad una organizzazione delle loro differenze ed a valorizzare le risorse e le competenze. Se con il primo obiettivo è delineato il quadro dell'attività ordinaria e dei meccanismi di gestione dei servizi, con il secondo ritroviamo la loro potenziale progettualità e la possibilità di una programmazione comune, attraverso l'esplicitazione dei progetti obiettivo e pilota per il triennio.

     Il terzo ed ultimo obiettivo, infine - individuare i soggetti emergenti attivando nei loro confronti adeguate strategie di comunicazione per sviluppare le risorse del sociale - sarà mirato ad indagare ed esaltare soggetti e bisogni emergenti del nostro sociale, attraverso l'adozione e l'attuazione di azioni specifiche di intervento.

     Con l'attuazione di una logica di ricomposizione della complessità sociale, gli obiettivi posizionano, rispetto alle finalità o ambiti prioritari di intervento, soggetti, servizi, e bisogni rispetto alla scansione delle tipologie tradizionale, alternativo ed emergente.

     Ad esempio, l'anziano è considerato rispetto alla sua dimensione tradizionale se consideriamo, con il primo obiettivo della prima finalità, l'organizzazione dei servizi esistenti prevista dal Piano; ma è contemporaneamente posizionato nell'ambito alternativo se protagonista di progettualità comune tra i vari ed attori sociali che agiscono sul territorio (secondo obiettivo); è infine considerato nel suo aspetto di soggetto emergente se, con il terzo obiettivo, sarà possibile conoscere e far emergere, appunto, i suoi bisogni latenti.

     Il suggerimento di utilizzo delle schede che seguono non è pertanto, indirizzato ad una lettura consequenziale di finalità ed obiettivi.

     Gli elementi ordinatori - interventi, utenti, enti competenti, ecc. - che compongono la mappa operativa degli interventi in ambito sociale possono essere considerati, per un'efficace ed agevole lettura, come «parole chiave» attraverso le quali scorrere le schede e ritrovare posizionati, secondo le varie finalità ed obiettivi, gli elementi - soggetti, servizi, enti attuatori - che interessano il lettore.

     Esemplificazione grafica del posizionamento dei tre obiettivi specifici relativamente alle tre finalità generali individuate:

 

 

  FINALITA' GENERALI                 OBIETTIVI SPECIFICI

 

Valorizzazione e tutela  1. Organizzare e riequilibrare il sistema

della famiglia, come        servizi, secondo la logica di

sistema organizzatore       produttività sociale:

di status, ruoli ed età     dell'efficienza e dell'efficacia.

differenti.              2. Incentivare e riequilibrare

                            l'interazione fra Enti pubblici e

                            privati, associazioni, istituzioni, e

                            movimenti spontanei con una

                            programmazione comune

                         3. Individuare le soggettività emergenti

                            attivando nei loro confronti adeguate

                            strategie di comunicazione per

                            sviluppare le risorse del sociale.

 

Dal contenimento del     1. Organizzare e riequilibrare il sistema

disagio alla promozione     servizi, secondo la logica di

di opportunità di           produttività sociale:

benessere individuale       dell'efficienza e dell'efficacia.

e collettivo.            2. Incentivare e riequilibrare

                            l'iterazione fra Enti pubblici e

                            privati, associazioni, istituzioni, e

                            movimenti spontanei con una

                            programmazione comune

                         3. Individuare le soggettività emergenti

                            attivando nei loro confronti adeguate

                            strategie di comunicazione per

                            sviluppare le risorse del sociale.

 

Ricerca di nuove         1. Organizzare e riequilibrare il sistema

frontiere di proget-        servizi, secondo la logica di

tualità e solidarietà       produttività sociale:

sociale per affrontare      dell'efficienza e dell'efficacia.

la complessità del       2. Incentivare e riequilibrare

cambiamento                 l'interazione fra Enti pubblici e

                            privati, associazioni, istituzioni, e

                            movimenti spontanei con una

                            programmazione comune

                         3. Individuare le soggettività emergenti

                            attivando nei loro confronti adeguate

                            strategie di comunicazione per

                            sviluppare le risorse del sociale.

 

 

3.2. Gli strumenti operativi

 

     n relazione alle esperienze già in fase di realizzazione sul territorio regionale, il piano propone un modello operativo composto da più strumenti collegati alla pianificazione, anche pluriennale, che gli Enti vorranno attivare. Essi vengono individuati in:

 

Piani operativi (attività ordinaria)

 

     Interessano tutte le strutture e i servizi, tenuto conto delle loro precipue articolazioni interne, e tutti gli operatori in esse impiegati.

 

Regolamentare l'esistente

     Vengono predisposti per la razionalizzazione e riqualificazione dell'attività finora svolta dalle strutture presenti nel sistema servizi socio-assistenziale, nonché per quella da sviluppare in ragione del piano.

     I piani operativi vengono pertanto previsti e proposti quali strumenti ordinari di regolamentazione dell'esistente, per la ricomposizione degli interventi e delle attività finora espletate non sempre in modo collegato e unitario. Dovranno quindi fornire la conoscenza dell'azione complessiva degli Enti e soggetti gestori della funzione di assistenza sociale, nonché attuatori dei servizi sociali.

     Ogni piano operativo avrà durata annuale e sarà predisposto nei tempi utili perché le Amministrazioni li assumano secondo le procedure in uso. I finanziamenti per i Piani operativi sono assicurati in base alle modalità definite al Capitolo 6 «Politica della spesa» par. 6.2. «Parametri obiettivi»;

     Particolare rilievo dovrà essere dato alle attività per l'assistenza domiciliare diretta alle persone o alle famiglie che non siano in grado di soddisfare le proprie esigenze personali, relazionali e domestiche.

     L'attività si articola in diversi interventi: governo della casa, lavaggio e stiratura della biancheria, preparazione dei pasti, sostegno per l'attività relazionale con i familiari e la comunità, accesso ai servizi territoriali, cura dell'igiene della persona.

     Detti interventi possono essere integrati da prestazioni sanitarie: terapie iniettive, medicazioni, prelievi, misurazione della pressione, controllo dell'assunzione di farmaci, controllo dietologico.

 

Progetti-obiettivo (integrazione tra servizi)

 

     I progetti previsti ed individuati nel Piano socio-sanitario sono:

-  potenziare la tutela materno-infantile;

-  tutelare la salute delle persone anziane;

-  prevenire le tossicomanie, assistere e reinserire i tossicodipendenti;

-  perseguire la salute e la sicurezza sociale nelle persone disabili.

     Detti progetti hanno come scopo il raggiungimento di finalità specifiche riferite e collegate all'attuazione dei piani operativi predisposti dai soggetti interlocutori del piano.

 

Risolvere i problemi gestionali

     In particolare possono mirare, anche «strumentalmente», all'adozione di metodologie, tecniche e strutture idonee alla soluzione delle problematiche gestionali che impegnano il sistema servizi. Nella prima fase di realizzazione del piano quindi i progetti obiettivo potranno essere prioritariamente diretti ai punti «critici» delle attività che vengono svolte, tanto quelle già in corso quanto quelle previste.

     Visto l'attuale stadio della sperimentazione espressa dal territorio in ragione del precedente programma, i piani operativi e i progetti- obiettivo potranno essere realizzati da tutti i soggetti interlocutori del piano.

 

Piani e progetti

     Il piano infatti affida loro l'imprescindibile compito di riequilibrare, e comporre unitariamente, i differenti livelli di intervento esistenti e la sperimentazione del nuovo, diventando in prospettiva modalità ordinaria per la gestione delle attività previo giudizio favorevole della competente struttura regionale di valutazione che viene istituita dal presente piano.

     L'elaborazione degli interventi in essi previsti è prerogativa dei responsabili dei settori, servizi, strutture interessate fatte salve le competenze dei Segretari Comunali. I responsabili presenteranno per ogni piano e progetto un rapporto sul consuntivo degli interventi e ne indicheranno con precisione i risultati.

     La Giunta regionale approva i progetti obiettivo avvalendosi delle indicazioni di valutazione formulate dalla struttura regionale prevista.

     E' previsto altresì il loro inserimento nelle pianificazioni pluriennali; in tal caso la loro assunzione sarà di anno in anno confermata con apposita procedura che li aggancia agli esercizi finanziari. Gli operatori interessati dagli interventi dei piani e progetti verranno chiamati a partecipare ai momenti di programmazione e verifica degli stessi.

 

Azioni specifiche (ricerca intervento)

 

     Le azioni specifiche costituiscono lo strumento di cui si dota l'organo di Governo regionale, su proposta propria o degli Enti istituzionali del territorio, per ricostituire su nuove frontiere progettuali la complessità del sociale, che appare oggi frammentato in una gamma di soggettività ancora non emerse o appena emergenti.

     Le azioni specifiche sono:

-  moduli polivalenti e polifunzionali di intervento, promozione e

verifica;

-  indagini esplorative, di ricerca conoscitiva e di intervento risolutore.

     Per la logica sinergetica caratterizzante il piano, ogni azione programmata deve concatenarsi ed interagire con le altre.

     Le azioni specifiche sono dirette allo studio dei soggetti e fenomeni emergenti:

 

Fenomeni emergenti

 

-  l'ambiente umano come ecosistema di servizi sociali pubblici e privati e ambito di azione innovativa della società a terziario avanzato con un miglioramento generalizzato della qualità della vita;

-  la donna e la sua partecipazione attiva, con pari opportunità, nel processo di trasformazione del sociale, di formazione di nuovi stili di vita, di comportamento e di crescita;

-  i fenomeni di nuova mobilità sociale (ivi comprese l'emigrazione e l'immigrazione)

-  Portatori di «diverso» e «differenziato» - tradizioni, costumi, comportamenti - da coordinare lungo un tracciato di sviluppo che impedisca false omologazioni ed eviti appiattimenti e cancellazioni;

-  i problemi etnici attuali dell'area veneta, colta nella proiezione storica nel Veneto, allo scopo di promuovere il potenziale linguistico, culturale, di valori ed atteggiamenti sviluppando sinergie di civiltà;

-  i fenomeni di nuova marginalità, devianza e disagio su cui intervenire

con obiettivi di prevenzione e risocializzazione.

     La procedura di approvazione delle azioni specifiche è analoga a quella prevista per i Progetti pilota.

 

Progetti pilota (sperimentazione)

 

Sperimentazione organizzativa

     I Progetti pilota sono strumenti che la Giunta regionale adotta per attuare gli interventi ritenuti prioritari o urgenti e per realizzare modelli organizzativo-gestionali di riferimento.

     Essi costituiscono, al di là del loro scopo particolare, la funzione di sperimentazione del modello operativo, fondato sull'interazione fra le singole parti del sistema servizi che il presente piano persegue.

 

 

4. L'ORGANIZZAZIONE

 

     L'organizzazione diventa il cuore della strategia e dei programmi per il sistema dei servizi nel momento in cui assistenza e custodia perdono la loro centralità nel legittimare le azioni di politica sociale.

 

La cultura organizzativa del sociale

     L'interesse per l'organizzazione investe quindi differenti realtà sin qui refrattarie ad una moderna cultura organizzativa: si sposta dalle strutture amministrativo-burocratiche centrali per investire le unità amministrative periferiche, piccole e medie, le organizzazioni di volontariato, il privato sociale di cooperative ed associazioni, le aggregazioni spontanee delle comunità.

     Gli intrecci e le connessioni tra centro e periferia, tra locale e regionale, tra dimensioni micro e macroorganizzative, hanno realizzato un mosaico del comparto sociale in cui ogni realtà svolge un suo preciso ruolo, una funzione necessaria e determinata.

     Affiorano così nuove necessità strategiche espresse dai servizi per una ridefinizione e del rapporto con la loro utenza, e della realtà interna a strutture, funzioni e professionalità.

     Pervenire ad un alto grado di coerenza dell'attività operativa richiede interventi nel tessuto organizzativo per predisporlo a regolare i sistemi di lavoro. E ciò in considerazione del fatto che mentre alcune regole sono date dall'autorità istituzionale, altre sono prodotte dagli operatori, altre ancora dalla strutturazione del servizio in rapporto al suo grado di autonomia organizzativa.

     L'esigenza di organizzazione deve perciò essere perseguita attraverso modelli coerenti con la complessità del lavoro sociale; pregiudiziale è, a tal fine, l'indicazione del posizionamento strategico dei vari servizi con la definizione dei propri confini in rapporto agli altri: gli attuali servizi non operano ancora in un contesto istituzionale consolidato ed assestato.

 

4.1. Il modulo organizzativo territoriale

 

     Al fine di comprendere le caratteristiche dell'organizzazione locale (distrettuale - comunale - di quartiere - di circoscrizione ecc.) è necessario, partendo dalla legislazione vigente, costruire attraverso il presente piano, e per gradi, un disegno di organizzazione complessiva.

     L'art. 6 della legge 55/82 attribuisce ai Comuni singoli o associati competenze in materia di servizi sociali. La struttura ULSS ha pertanto valenza sociale e sanitaria e gli organi di governo dell'ULSS hanno competenza su entrambe le materie come funzioni da amministrare sviluppando il massimo delle sinergie.

 

Primo livello

     L'ambito primario, in cui avviene il contatto con la vita quotidiana dei cittadini, in grado di farsi carico delle situazioni dei singoli, è quell'area territoriale che ogni ULSS o Comune avrà individuato come ottimale per il sistema organizzativo di primo livello, dotato di autonomia tecnico-funzionale che attraversa in modo orizzontale il territorio interessato.

     Si tratta di un «modulo organizzativo» - e non di struttura periferica dell'ULSS o del Comune - che è riferito ad un contesto «spaziale» solo per identificarne il bacino d'utenza. All'interno di questo modulo gioca un ruolo importante il lavoro in èquipe e il grado di sinergia che riesce ad attivare l'operatore responsabile di detta modalità organizzativa, nel rapporto con gli altri servizi.

     L'organizzazione del Modulo organizzativo territoriale (M.O.T.), in quanto unità operativa dell'ULSS, si posiziona a livello di distretto di base all'interno dell'area funzionale per le attività sociali ed assistenziali. L'unità territoriale di riferimento è l'area di uno o più Comuni del distretto.

     L'organizzazione del M.O.T., in quanto unità operativa del Comune, si posiziona come unità operativa del servizio od ufficio responsabile delle attività socio-assistenziali del Comune.

 

Sperimentazione di modelli organizzativi

     Nel triennio potranno essere sperimentati nei singoli Enti i seguenti modelli organizzativi:

 

1.  Interorganizzativo:

     l'organizzazione dei servizi sociali come coordinamento di aree e servizi appartenenti a distinti Enti gestionali;

 

2.  progettuale:

     l'organizzazione dei servizi sociali tramite la formulazione e la realizzazione di progetti operativi.

     La struttura gestionale può essere stabile o variabile a seconda del progetto e delle risorse attuate;

 

3.  unitario:

     l'organizzazione dei servizi sociali è attuata e gestita da un unico Ente gestore o da un'unica struttura organizzativa anche se articolata al suo interno in più livelli operativi;

 

4.  la Giunta Regionale potrà, altresì, autorizzare la sperimentazione di altri modelli organizzativi proposti da Comuni singoli o associati.

 

4.2. Personale area sociale

 

Comune

     Il fabbisogno di figure professionali, previsto per l'organizzazione e la gestione dei servizi territoriali di base in rapporto alle indicazioni contenute nel presente piano - Modulo organizzativo territoriale - può essere articolato seguendo i criteri:

 

 

(Rapporto operatori/abitanti)

- Assistente sociale:                1 ogni 6.000 abitanti

- Educatore professionale:           1 ogni 6.000 abitanti

- Addetto assistenza:                1 ogni 3.000 abitanti

                                     (ovvero 1 ogni 10 utenti)

- Personale amministrativo:          1 ogni 15.000 abitanti

                                     (per i Comuni al di sotto dei

                                      15.000 abitanti è

                                      utilizzabile il part-time).

 

 

UU.LL.SS.SS.

     In attuazione della L.R. 8/86 art. 5 le UU.LL.SS.SS. deliberano le piante organiche ed il relativo regolamento del personale dell'area sociale

- Settore centrale e Servizi territoriali -.

 

Settore centrale

     Sono confermati i criteri e gli indirizzi già adottati dalla Giunta regionale con provvedimenti di attuazione della succitata normativa.

     Tuttavia, a parziale modifica della vigente normativa, la Giunta regionale può autorizzare, su motivata richiesta attinente la specificità della programmazione territoriale, deroghe alle figure professionali già previste.

 

Servizi territoriali

     Gli organici dei consultori, dei servizi di psichiatria, per la tossicodipendenza, di neuropsichiatria infantile e per l'età evolutiva, afferiscono agli standards di professionalità, già individuati dalle normative di settore vigenti.

     Per quanto attiene al rapporto figure professionali/utenti nella gestione delle strutture socio-educativo-assistenziali di tipo residenziale, contemplate nel Regolamento regionale n. 8/1984, si fa rinvio alla successiva tabella n. 3, contenuta nel presente Piano.

     Per le attività socio-assistenziali a carattere diurno, a favore dei portatori di handicap, i parametri di riferimento per la determinazione del fabbisogno di professionalità sono così modificati:

-  Educatore professionale: 1 ogni 5.000 abitanti

-  Addetto assistenza: 1 ogni 6.000 abitanti

     Per l'espletamento delle funzioni a gestione associata, di cui alla L.R. 55/82, art. 6, secondo comma, le UU.LL.SS.SS. e i Comuni concordano, secondo i criteri e le modalità di utilizzo, figure professionali individuate.

     Infine, con riferimento alle risorse disponibili, ed ai servizi attivati da almeno un biennio, la Giunta regionale, previa assicurazione di copertura finanziaria, potrà autorizzare per ciascuna U.L.S.S. ampliamenti di pianta organica.

 

Requisiti per i profili professionali di addetto all'assistenza ed educatore professionale animatore

 

La formazione regionale

     Per quanto riguarda l'addetto all'assistenza e l'educatore professionale animatore (corrispondenti per gli Enti pubblici al quarto e al sesto livello) il titolo professionale per l'accesso al lavoro è l'attestato di qualifica rilasciato da un Istituto professionale di Stato o titolo rilasciato da una Scuola di formazione ai sensi della legge regionale 8/86 conseguito dopo non meno di un biennio di corso per gli addetti all'assistenza e di un triennio, per gli educatori professionali animatori.

     Per quanto attiene l'addetto all'assistenza, in conformità dell'art. 16 della legge 56/87 e delle indicazioni contenute nelle direttive del Ministero della Funzione Pubblica, l'attestato di qualifica conseguito con la frequenza a corsi di formazione biennale è inteso come titolo professionale necessario per l'accesso alla qualifica; pertanto, l'assunzione avviene per concorso.

     La professionalità degli operatori è parametro guida per il riconoscimento dell'idoneità professionale delle strutture e servizi da parte della Regione.

     Per il personale che opera nelle strutture gruppo-famiglia o comunità alloggio, quando siano applicabili le norme previste per l'affido familiare, è possibile derogare dal requisito del possesso della qualifica prevista: addetto all'assistenza o educatore professionale-animatore.

 

L'aggiornamento

     Resta confermato che il personale in servizio nelle qualifiche e profili professionali di cui sopra dovrà frequentare i corsi di aggiornamento previsti dal progetto obiettivo regionale.

     Per le persone che documentano alla data di entrata in vigore del presente piano, attività di lavoro alle dipendenze di Enti pubblici o privati per almeno un biennio e un triennio rispettivamente riconducibili ai profili professionali di addetto all'assistenza o educatore professionale-animatore, saranno organizzati corsi di aggiornamento di 150 ore. Al termine dei corsi sarà rilasciato attestato di idoneità professionale per lo svolgimento dei compiti di addetto all'assistenza e di educatore professionale-animatore.

 

Fabbisogno di professionalità: operatori appartenenti ai ruoli sanitari ed interagenti con l'area sociale

 

     L'organizzazione dei servizi sociali e sanitari, territoriali e non, farà riferimento alle seguenti figure professionali dei ruoli nominativi regionali del personale sanitario:

a) psicologo: con i parametri previsti dal P.S.S.R. 1989-91; b) infermiere professionale, fisiokinesiterapista, fisioterapista, logopedista, psicomotricista: dette professionalità sono assicurate, tramite convenzione, dall'U.L.S.S.

     Qualora, con proprio atto formale, l'U.L.S.S. comunichi l'impossibilità di assicurare l'attività degli operatori di cui al punto b), gli enti interessati possono prevedere, nel rispetto della normativa vigente, nelle proprie piante organiche, i relativi profili professionali (fig. 3).

     A tale proposito, laddove non sia possibile reperire personale paramedico nell'entità prevista dai posti in organico e necessari, si potrà ricorrere, in via transitoria, all'instaurazione di rapporti convenzionali con istituti pubblici di assistenza e beneficienza o con cooperative di servizi.

 

Modifica degli standards

     La Giunta regionale, con apposito formale provvedimento, potrà modificare gli standards in relazione ai nuovi indirizzi governativi in rapporto ad oggettivi elementi di valutazione desunti dal funzionamento dei servizi.

 

L'adeguamento temporale

     Durante il periodo di vigenza del presente piano di Giunta regionale, inoltre, determinerà la cadenza temporale per l'adeguamento agli standards da parte degli enti interessati.

     Per le strutture che ospitano minori compresi tra gli 0 e i 5 anni lo standard del servizio sarà approvato, per singola struttura, dalla Giunta regionale, con riferimento alla tipologia dei minori ospiti e alle caratteristiche del servizio.

 

Il decreto di autorizzazione al funzionamento

     Nel periodo di vigenza del piano tutte le strutture socio- assistenziali devono aver ottenuto dalla Regione il decreto di autorizzazione al funzionamento, e quelle che già ne sono in possesso dovranno procedere alla verifica biennale prevista dalla normativa vigente.

 

4.3. Enti locali territoriali ed enti locali non territoriali

 

     Con il presente piano si conferma il ruolo degli Enti locali territoriali e degli Enti locali non territoriali con finalità sociali presenti nella realtà veneta.

     La loro ragione d'essere, la loro originalità, la professionalità acquisita ne fanno uno strumento qualificato di risposta ai bisogni.

 

I Comuni

 

Coordinamento delle funzioni

     Con riferimento all'articolo 25 del D.P.R. 616/1977 i Comuni dovranno ricercare tutte le formule (convenzioni, protocolli, ecc.) per una gestione coordinata e programmata delle attività con tutti gli attori, istituzionali e non, presenti sul territorio.

 

Le Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficienza (II.PP.AA.BB.)

 

Commissione

     Le II.PP.AA.BB. nel rispetto della loro autonomia concorrono alla redazione degli obiettivi del presente Piano con i loro patrimoni, strutture e servizi, alla realizzazione del presente Piano. Ai fini del più adeguato utilizzo delle risorse patrimoniali delle stesse, la Giunta regionale costituisce una Commissione di esperti che fornisca pareri in ordine a:

-  migliore e più proficuo utilizzo delle risorse patrimoniali;

-  modelli organizzativo-gestionali;

-  razionalizzazione e/o centralizzazione dei momenti di approvvigionamento

ed erogazione.

     Per la valutazione e l'assunzione degli impegni correlativi alle proposte deliberate dalla Giunta regionale, la stessa instaura indagini conoscitive avvalendosi della propria organizzazione o di consulenza esterna.

 

4.3.1. Modalità di partecipazione degli utenti [3]

 

     [Gli organismi di gestione degli Enti devono ricercare il coinvolgimento degli utenti attraverso la previsione, nel regolamento dei servizi, di modalità di partecipazione; partecipazione che va distinta dalla gestione politico-amministrativa.

 

Organizzazione della partecipazione

     Gli obiettivi della partecipazione si realizzano quando gli utenti possono intervenire, nei confronti degli organismi di gestione, con proposte, critiche, problemi e possono esercitare una effettiva azione di «pressione».

     L'organizzazione della partecipazione richiede di definire: a) il concorso nelle spese di gestione dei servizi;

b) la presenza di rappresentanze di utenti attraverso modalità istituzionali all'interno dell'organizzazione degli Enti.

     Per la determinazione del concorso di cui alla lettera a) vengono stabiliti i seguenti criteri:

1) all'utente, ospite in strutture residenziali, va assicurata la conservazione di una quota di reddito non inferiore alla somma corrispondente al 20% del trattamento minimo di pensione INPS in vigore per i lavoratori dipendenti;

2) per l'ospite, con reddito al di sotto di tale quota e senza persone tenute a fornire un sostegno economico, i servizi di assistenza sono gratuiti ed a carico del Comune di residenza o di domicilio di soccorso; 3) per le persone ospiti in strutture residenziali o in centri diurni, il concorso alla copertura della spesa è determinato dall'Ente locale di residenza dell'utente in servizio.

     I Comuni, singoli o associati, provvedono a stabilire le modalità organizzative e le procedure per l'accertamento delle condizioni e dei requisiti per l'accesso alle prestazioni.]

 

4.3.2. Pubblico e privato-sociale

 

     La Regione, in questa fase di ulteriore «crescita» dei rapporti con Enti locali e di responsabile compartecipazione, nel settore socio- assistenziale, delle forze del privato-sociale (identificabile in quei gruppi, Associazioni od Istituti che operano con propria organizzazione autonoma, senza fini di lucro, con concreti interventi di solidarietà, su bisogni «pubblicamente» identificati e definiti, o su bisogni latenti, per i quali si sollecita l'impegno del «pubblico»), dà sempre più ampia attenzione alle linee previste dalla Legge regionale 55/1982.

 

Processo di coinvolgimento

     La Regione, con il piano, attua un ulteriore graduale processo di coinvolgimento favorendo il lavoro preventivo e propositivo, e le convergenze delle diverse attività, soprattutto al fine di meglio focalizzare i finanziamenti e le energie sociali emergenti dal territorio. Il punto focale è dato dall'incontro tra il Comune e gli altri Enti sulla base di programmi coordinati e finalizzati in un processo sinergico avente per oggetto l'aumento dello stato di benessere della popolazione.

 

Volontariato, associazionismo e cooperazione con finalità socio-

assistenziale

 

     L'indirizzo regionale è di favorire una sempre più chiara azione di qualificazione dei gruppi, delle Associazioni, delle Istituzioni di privato-sociale che già da tempo operano in rapporto con l'Ente locale, nonché di promuovere un'azione di qualificazione per quelle strutture di privato-sociale che chiedono il riconoscimento ad operare con servizi socio-assistenziali.

     a. Per le strutture di privato-sociale già operanti con interventi professionalmente definiti (quindi, per esempio, con attribuzioni di ruoli e di remunerazione per gli operatori) al momento di entrata in vigore del presente piano, è prevista la riqualificazione e l'aggiornamento del personale socio-assistenziale in esse operante, attraverso progetti formativi da organizzare in modo da tener conto sia del fabbisogno formativo degli operatori, sia dell'esigenza di continuità dei servizi.

     Tali percorsi formativi saranno programmati secondo le procedure previste nel progetto obiettivo regionale «Formazione, aggiornamento e riqualificazione del personale».

     b. Per le strutture di privato-sociale organizzate con servizi su base volontaria, operanti specialmente nella prevenzione del disagio sociale, attraverso forme di condivisione, di accoglienza, di solidarietà (Associazioni di famiglie ed adulti per l'accoglienza, comunità di accoglienza, cooperative di solidarietà sociale, gruppi di animazione l'idoneità e la competenza dell'intervento, nella sua valenza sociale, va individuata nell'organizzazione del gruppo di volontariato che gestisce l'intervento, più che nel singolo volontario.

     c. La Regione può autorizzare le strutture di privato-sociale a gestire iniziative di qualificazione ed aggiornamento del personale sia volontario che professionale, secondo i criteri fissati nel progetto obiettivo regionale di cui sopra.

     Il rilascio degli attestati avverrà secondo le modalità previste dal progetto obiettivo regionale.

     d. Le cooperative con finalità socio-assistenziali possono organizzare, in forma singola o associata, corsi, seminari e stages attinenti all'area di attività ed usufruire dei contributi della L.R. 20/86.

     Per quanto attiene il volontariato nel settore dei servizi socio- sanitari e assistenziali (L.R. 46/85), nel periodo di validità del presente piano, vengono individuate le seguenti priorità da:

1) attività di aggiornamento e di formazione di base, svolte dalle Associazioni;

2) attività di ricerca;

3) progetti innovativi;

4) spese per gli oneri assicurativi del rischio di infortunio o dei danni verso terzi durante l'espletamento dell'attività;

5) costi di funzionamento.

     Le attività di cui al punto 1, al fine del contributo regionale, devono essere esaminate dall'osservatorio sul volontariato al fine del coordinamento e diffusione a livello regionale.

 

4.3.3.Integrazione sociale-sanitario

 

     Data la struttura organizzativa delle ULSS del Veneto si ritiene che sussistano le condizioni per un sistema strutturato ed integrato di gestione di attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio- assistenziali.

     Lo strumento attuativo ed operativo è riconducibile al lavoro integrato, pluriprofessionale, attraverso il seguente percorso: a) scelta di obiettivi comuni tra il sociale ed il sanitario; b) individuazione del modello organizzativo in grado di perseguire gli obiettivi;

c) scelta della metodologie di lavoro;

d) scelta degli strumenti: èquipe interprofessionale;

e) formazione degli operatori coinvolti nella realizzazione dei progetti; f) verifica del lavoro e valutazione dei risultati.

 

Interconnessione gestionale

     L'integrazione del sociale col sanitario ha come suo strumento privilegiato il progetto obiettivo che deve trovare validazione, in primo luogo, nella volontà politica dell'Amministrazione dell'ULSS ad attuare l'integrazione come metodo di governo e quindi come strumento di gestione.

     Progetti obiettivo sanitari possono diventare così socio-sanitari e, viceversa, progetti socio-sanitari possono diventare progetti sanitari.

     Il tutto va verificato dalla lettura attenta degli obiettivi e dalla loro trasformazione correlata alla trasformazione delle professionalità degli operatori in rapporto alle metodologie di lavoro.

     Pertanto nella realizzazione dei progetti obiettivo previsti dal piano sanitario sarà seguito il percorso programmatorio indicato.

     Le ULSS ed i Comuni nel proporre i progetti obiettivo dovranno individuare gli obiettivi, i modelli organizzativi, le metodologie, gli strumenti, i costi e le modalità di verifica e di valutazione dei risultati raggiunti.

 

 

5. ATTIVITA' DI GESTIONE E LORO MODALITA'

 

Vigilanza

     I Comuni esercitano in forma singola o associata per il tramite delle UU.LL.SS.SS, le funzioni concernenti la vigilanza sul funzionamento di Enti ed Istituzioni pubbliche e private nonché sulle associazioni ed istituzioni di volontariato, di cui agli artt. 20, 22, 23 del L.R. 1512-1982 n. 55. Alle UU.LL.SS.SS, è delegato il rilascio dell'autorizzazione all'apertura di colonie o case di vacanza, campeggi, centri ricreativi a carattere stagionale e diurno con riferimento alle direttive regionali.

 

Verifica e controllo dei servizi

     L'esercizio dell'attività di vigilanza relativa all'area sociale viene indicata nei seguenti punti:

a) accertare l'andamento dei servizi e strutture con riferimento alla politica programmatica regionale;

b) verificare il rispetto degli aspetti sanitari ed educativi- assistenziali, strutturali;

c) perseguire il raggiungimento e l'adeguamento delle strutture o servizi agli standards regionali.

     Con riferimento agli artt. 5 e 10 della L.R. 7-3-1980 n. 13, i singoli responsabili di settore sociale, relativamente all'area di rispettiva competenza, svolgono l'attività di vigilanza con il metodo del lavoro integrato.

 

Convenzioni e protocolli

     La gestione dei servizi sociali richiede l'incontro su questioni di comune interesse che prevedono rapporti finanziari conseguenti tra volontà di soggetti diversi, tali volontà pertanto devono essere regolate da rapporti convenzionali.

     Le attività sociali, la cui realizzazione comporti il coordinamento dell'attività di più enti, aventi finalità e presupposti giuridici diversi, ma non preveda rapporti finanziari, sono regolate da protocolli d'intesa.

 

Regolazione dei rapporti tra soggetti diversi

     Con appositi provvedimenti la Giunta regionale emanerà disposizioni di indirizzo circa le modalità, i tempi e le condizioni per l'applicazione dei rapporti convenzionali nella gestione dei servizi socio-assistenziali.

 

5.1. Indicatori di verifica

 

     Costruzione della base informativa e definizione degli indicatori di verifica per la misurazione e valutazione dell'impatto del piano

     L'adozione del piano implica l'individuazione e l'esplicitazione del sistema degli obiettivi e delle azioni necessarie per il loro perseguimento, ma di per sé non garantisce, da una parte, che il sistema stesso si muova realmente in tale direzione e, dall'altra, che le modificazioni che interverranno siano effetti del processo di piano.

     A tale ordine di problemi afferiscono gli strumenti e le metodologie di supporto ai «momenti decisionali», inerenti in particolare la funzione di misurazione e verifica dell'impatto del piano, quale sintesi specifica delle attività ordinarie di sorveglianza e monitoraggio che devono essere attivate nell'ambito della funzione più generale di governo del sistema.

 

Base informativa al «tempo zero»

     Vi sono diverse esigenze convergenti sull'obiettivo della costruzione di una base informativa al «tempo zero» di entrata in vigore del piano: a)  individuazione degli obiettivi quantificati del piano;

b)  costruzione degli indicatori di verifica del grado di raggiungimento degli obiettivi (efficacia) e quindi dello scostamento tra i medesimi ed i risultati ottenuti a fine triennio;

c)  costruzione degli indicatori di verifica del razionale impiego delle risorse (efficienza);

d)  sorveglianza del sistema attraverso la rilevazione delle divergenze rispetto agli obiettivi;

e)  misurazione e valutazione di processo dell'impatto del piano; f)  consolidamento a fine triennio della situazione del sistema, che rappresenta il t0 (tempo zero), in rapporto alla definizione degli obiettivi del triennio successivo.

 

Risultati attesi

     I risultati attesi nel triennio di piano sono rappresentati dalla predisposizione e dalla «messa a regime» dell'insieme di strumenti informativi, metodologici ed eventualmente informatici, appartenenti all'area dei «Dss» (Decision support system), a partire dalla costituzione della base informativa del sistema al t0 del processo di piano.

 

5.2. Sistema informativo

 

Lo sviluppo del sistema informativo socio-assistenziale (SISA)

     L'intervento della Regione in questo campo ha come obiettivi:

-  la realizzazione di un idoneo sistema informativo socio-assistenziale

(SISAR) per il governo regionale;

-  lo sviluppo del sistema informativo socio-assistenziale locale (SISAL);

-  l'integrazione del SISAR col Sistema Informativo Sanitario Regionale

(SISR) e col più generale Sistema Informativo Regionale (SIR).

 

Il sistema informativo socio-assistenziale per il governo regionale

     La realizzazione di un idoneo sistema informativo di governo costituisce una premessa indispensabile allo sviluppo di un corretto processo programmatorio e decisionale.

     In una prima fase la Regione intende procedere allo sviluppo di un sistema informativo a supporto delle proprie funzioni di programmazione, aggiornamento e controllo, con l'obiettivo di fornire successivamente il proprio supporto allo sviluppo del SISA di governo agli altri livelli istituzionali.

 

Conoscere la domanda e l'offerta

     Il SISAR avrà quale obiettivo iniziale la rilevazione, l'elaborazione, l'utilizzo e la trasmissione di dati ed informazioni attinenti la domanda espressa da parte dell'utenza e l'offerta di servizi in ambiti organizzativi che comunque ricevono finanziamenti da enti pubblici.

     In un secondo tempo si provvederà gradualmente ad estendere l'ambito di influenza del SISAR, in particolare per quanto concerne l'individuazione e l'analisi dei bisogni ed il grado di soddisfacimento determinato dall'offerta dei servizi.

     Si parte quindi dal versante più consolidato delle informazioni concernenti la domanda espressa, le strutture preposte a soddisfarla, gli interventi e le prestazioni poste in essere dalle stesse, per passare, attraverso successivi ampliamenti ed affinamenti, all'individuazione dei bisogni della popolazione di riferimento effettuata attraverso una disamina integrata socio-assistenziale-sanitaria, al fine di arrivare a costruire un sistema che fornisca la base informativa per consentire alla Regione di governare «per obiettivi».

     Per realizzare un sistema informativo a supporto delle proprie esigenze di governo la Regione ha avviato un progetto articolato nelle seguenti fasi:

 

Fasi del progetto

1. l'analisi dell'attuale S.I. del Dipartimento dovrà in particolare rilevare le informazioni attualmente disponibili, le loro fonti e destinazioni, le attuali esigenze di elaborazione ed archiviazione; 2. analisi delle esigenze informative attualmente scoperte derivanti:

-  da fabbisogni dei singoli uffici, e/o aree funzionali del Dipartimento;

-  da esigenze di valutazione delle indicazioni contenute nell'attuale

piano;

-  da esigenze a supporto e per la valutazione delle indicazioni

programmatiche che si intendono fornire col nuovo piano;

-  da esigenze derivanti dal dibattito politico e culturale attuale;

3. ricomposizione delle informazioni e razionalizzazione e sviluppo delle

procedure, individuate con le analisi di cui ai due punti precedenti, in

«sottosistemi» e «moduli informativi» che:

-  abbiano una intrinseca coerenza logica ed operativa per quanto riguarda

i contenuti;

-  siano coerenti con l'attuale assetto organizzativo del Dipartimento (o

con le sue previste riorganizzazioni) per un rapporto tra sistema

organizzativo e sistema informativo ed una identificazione degli uffici del

Dipartimento utenti e gestori di «moduli» del sistema informativo;

4. definizione per ciascuno dei sottosistemi e moduli individuati dei:

soggetti coinvolti, informazioni interessate, procedure necessarie e

indicatori da ottenere;

5. studio di fattibilità per la realizzazione del sistema informativo

progettato e per la sua automazione.

     Quanto progettato con lo studio attualmente in corso, verrà realizzato con appositi interventi nel corso degli anni di validità del presente piano.

     Contemporaneamente la Regione intende promuovere iniziative volte a consolidare le esperienze già da tempo avviate nei flussi informativi tra i vari livelli di governo del settore socio-assistenziale; ciò sia nei confronti del livello locale, sia nei riguardi di quello centrale.

     Per quanto riguarda il livello locale, si intende consolidare il rapporto con i «referenti» al fine di promuovere particolari conoscenze del sistema informativo locale e competenze nella gestione dei rapporti informativi con i vari livelli istituzionali.

     Nei confronti dei livelli superiori (Stato) la Regione intende collaborare con le iniziative promosse dal livello centrale ai fini della realizzazione del SISA nazionale, salvaguardando, ovviamente, la propria autonomia e le proprie competenze nei confronti degli enti regionali.

 

Sistema informativo socio-assistenziale locale

 

Integrazione sistematica

     La disponibilità a livello locale di idonee procedure informative (automatizzate o manuali) di supporti alla quotidiana gestione delle attività (sistema informativo di esercizio) costituisce una condizione necessaria per migliorare la qualità dei servizi fornita per facilitare l'elaborazione di quelle informazioni di sintesi che costituiscono sia il punto di partenza di un idoneo sistema informativo di governo nonché la base informativa per soddisfare le esigenze informative regionali.

     Per lo sviluppo del SISAL la Regione intende:

-  fornire interventi di consulenza diretta su specifici temi e/o

all'interno di specifici progetti;

-  promuovere iniziative di formazione.

     La tecnologia informativa e la telematica costituiscono un valido supporto alla realizzazione di sistemi informativi idonei alle funzioni di esercizio e di governo nel campo socio-assistenziale locale.

 

Integrazione del S.I.S.A.R. col S.I.S.R. (Sistema informativo sanitario

regionale) e col S.I.R. (Sistema informativo regionale)

     Anche per quanto riguarda lo sviluppo del sistema informativo, emerge evidente l'esigenza di una stretta integrazione col sistema informativo sanitario.

     Momenti fondamentali di tale integrazione sono:

-  l'utilizzo della stessa unità organizzativa di livello locale (ULSS) individuata dai piani regionali come responsabile del coordinamento delle attività connesse al S.I.S.R. e al S.I.S.A.R.;

-  l'interscambio di informazioni tra il Dipartimento Sanità ed il Dipartimento Servizi Sociali per l'attivazione di comuni flussi.

 

5.3. La formazione

 

     Nel periodo di validità del piano, il progetto obiettivo, per la formazione professionale di operatori sociali e, in via prioritaria, diretto alle due figure di base per l'organizzazione dei nuovi servizi: l'educatore professionale-animatore e l'operatore addetto all'assistenza. La Giunta regionale annualmente determina il numero di nuovi corsi di formazione da attivare, le attività di aggiornamento da programmare e le altre attività di formazione.

     Il Dipartimento Servizi Sociali, per l'attività di cui sopra, si raccorda con il competente Dipartimento Servizi Formativi.

 

Valutare efficienza/efficacia della formazione

     Durante il periodo di vigenza del piano viene effettuata la valutazione sull'efficacia e sull'efficienza del progetto-obiettivo «Formazione e aggiornamento del personale» e sulle capacità professionali acquisite dagli operatori per intervenire sulla modificazione dei bisogni sociali e dell'utenza, nel contesto dei mutamenti e della complessità del sociale. In concomitanza con le scadenze di realizzazioni del progetto formativo saranno, inoltre, acquisiti gli elementi di valutazione per la previsione delle condizioni necessarie all'inserimento nel mercato del lavoro del nuovo qualificato contingente di operatori sociali.

     Sarà, perciò, rilevata l'articolazione del sistema servizi esistenti per evidenziare, sia a livello soggettivo che oggettivo, le trasformazioni del ruolo degli operatori, dell'organizzazione delle strutture e dei servizi, l'emergere di nuove soggettività portatrici di nuovi bisogni.

     Attraverso il predisposto piano di valutazione saranno individuati i possibili scenari del Veneto anni `90 in cui i tre elementi, utenza- servizi-operatori, aggregandosi o componendosi in modo differenziale rispetto ai modelli oggi esistenti, rappresenteranno nuovi valori, nuove strutture e nuove funzioni.

     Il piano di valutazione si articolerà per fasi corrispondenti alla successione di temi riguardanti:

-  i soggetti;

-  le azioni;

-  gli scenari.

     Nella prima fase già si è individuato l'articolarsi multiforme della soggettività nelle tre classi degli utenti, servizi, operatori, rispetto ai tre modelli di stili di vita individuali e definiti in tradizionale, alternativo ed emergente.

     Le soggettività enuncleate agiscono ed interagiscono in modo differenziato e nelle rispettive azioni propongono mutamenti rispetto alle esigenze, interne ed esterne, che si concretano di volta in volta.

     Nella prima fase, l'attenzione si è centrata sui soggetti che attualmente esistono ed operano all'interno del modello tradizionale la cui presenza ed attività è comparata con i soggetti che operano secondo il modello alternativo, cui è stata dedicata l'attenzione nella seconda fase della ricerca valutativa conclusasi al dicembre 1988.

     L'individuazione e la designazione dei soggetti agenti secondo il modello emergente costituirà, nella prosecuzione della ricerca, il momento di raccordo tra il lavoro delle fasi già realizzate e quelle programmate. La ricerca in atto fornisce un modello originale di valutazione per lo specifico veneto e potrà costituire la base per la raccolta e l'interpretazione in senso longitudinale dei mutamenti nel territorio.

 

5.4. Attività di informazione.

 

Analisi di intervento

     L'attività di informazione si sviluppa attraverso:

1. materiale bibliografico ed emerografico, nonché altra documentazione che

interessi l'attività sociale, assistenziale ed educativa;

2. strategie di comunicazione sociale;

3. l'utilizzazione, la consultazione e lo scambio del materiale prodotto;

4. studi, indagini e ricerche sulle strutture formative della regione e sui

bisogni sociali emergenti;

5. il progetto obiettivo di formazione degli operatori sociali;

6. la pubblicazione di studi e ricerche di maggiore rilievo in riferimento

alla complessità sociale e alla dinamica delle trasformazioni;

7. l'attuazione e la valutazione di progetti obiettivo e pilota;

8. collaborazione con esperti del settore, criteri oggettivi di valutazione

della sperimentazione di cui verifica gli esiti, favorendone

l'applicazione;

9. ricerche motivazionali sull'espressione del bisogno e sul

soddisfacimento da parte dell'utenza;

10. ricerche motivazionali sul «privato sociale», i movimenti emergenti,

l'associazionismo e la cooperazione.

     Con proprio atto la Giunta regionale individua le modalità organizzative dell'attività di cui al presente punto.

 

 

6. POLITICA DELLA SPESA

 

     L'esame dei dati in possesso della Regione e le risultanze di specifiche indagini hanno evidenziato nel Veneto:

a) forti sproporzioni nei livelli di spesa sia all'interno delle singole categorie che tra diverse categorie;

b) frequenza degli interventi tradizionali;

c) scarso peso sulla spesa degli interventi con maggior significato innovativo.

 

Riequilibrio

     La situazione è indicativa di una modalità di distribuzione e uso delle risorse da parte dei Comuni, mentre si rileva una certa omogeneità da parte del livello regionale.

     Le cause sono attribuibili:

a) alle deleghe tra Comuni e ULSS non omogenee e/o non ancora realizzate; b) ai diversi modelli di integrazione esistenti tra sociale e sanitario; c) alla «cultura» sociale troppo diversa tra gli Enti locali.

     Attraverso un'attenta politica della spesa regionale nel settore socio-assistenziale dovranno essere perseguite le seguenti finalità generali:

-  efficienza: riguardo l'utilizzo delle risorse pubbliche, private, presenti sul territorio regionale;

-  logicità: riguardo la possibilità di gestire in materia omogenea l'intera domanda sociale senza privilegi per determinate categorie di assistiti, vecchie e nuove.

 

Flussi finanziari

     Il corretto utilizzo dei flussi finanziari prevede che i soggetti attuatori della programmazione regionale forniscano alla Regione schede, notizie e dati informativi per la rilevazione o la riclassificazione delle attività, nonché dati sulla spesa generale e per centri di costo.

     All'interno della politica della spesa sono comprese:

-  le spese di gestione di carattere ricorrente, ivi comprese le spese di

adeguamento degli obiettivi e a nuove situazioni di bisogno sociale;

-  le spese di investimento e sviluppo destinate a potenziare i servizi

esistenti o a realizzare nuovi servizi.

 

Riferimenti normativi

     Alla realizzazione dei progetti delle azioni specifiche e al finanziamento delle spese per parametro è destinato il fondo regionale, previsto dall'art. 15 della L.R. 55/82, nel quale confluiscono risorse di provenienza statale e regionale.

     Tra le prime vi è il fondo sociale di cui alla legge 392/78. Tale fondo, qualora non utilizzato per mancanza di soggetti aventi titolo, sarà ripartito come fondo per le attività sociali dei Comuni a favore della popolazione.

     Per il finanziamento delle spese di gestione e di sviluppo è destinata una quota del fondo da assegnarsi sulla base di indicatori e standards significativi per area di intervento.

     Per quanto attiene al servizio di assistenza domiciliare l'erogazione del concorso regionale per parametro sarà subordinata all'avvio da parte del Comune degli interventi tendenti al «Minimo vitale familiare».

 

Fondi interagenti con il sistema socio-assistenziale

     Accanto alle risorse di cui al fondo sociale devono essere annoverati i finanziamenti a carico del fondo sanitario destinati al pagamento delle prestazioni sociali di rilievo sanitario rese in strutture o servizi socio- assistenziali (art. 30, legge 730/1983 DPCM 8 agosto 1985).

     Dette risorse sono utilizzate prioritariamente per le attività di rilievo sanitario erogate nelle strutture per non autosufficienti.

     Con Legge regionale 8/86, sono state comprese tra le attività di rilievo sanitario erogate a favore di tutti i non autosufficienti, anche quelle rivolte agli handicappati ospiti in strutture assistenziali.

     Sono da comprendere tra i non autosufficienti anche i soggetti con bisogni connessi allo stato di non autosufficienza, di malato terminale, dializzato, handicappato ecc., ancorché assistiti in famiglia o in centri diurni.

     La Giunta regionale, annualmente, determina le quote da assegnare a ciascun non autosufficiente.

     A tal fine sarà estesa la scheda informativa relativa allo stato di non autosufficienza ai soggetti non autosufficienti presenti in: a) strutture residenziali;

b) centri diurni;

c) famiglie.

     Le quote, differenziate per struttura, per centro diurno, per persona assistita in famiglia, sono finalizzate al pagamento delle attività sociali di rilievo sanitario.

     Per le strutture sarà considerato come variabile l'adeguamento agli standards regionali.

 

6.1. Riparto del fondo - criteri di finanziamento

 

     Le risorse per il finanziamento degli interventi previsti dal programma sono costituite dal fondo regionale di cui all'art. 15 Legge regionale 55/82.

     Il fondo viene ripartito in quote destinate al finanziamento degli interventi sulla base delle diverse modalità di gestione: parametri obiettivi, progetti-obiettivo, azioni specifiche, progetti pilota. La Giunta regionale con il provvedimento di cui al quinto comma dell'art. 3 della legge 55/82 determina annualmente le singole quote di riparto per le diverse tipologie di intervento e per le varie aree funzionali, ferma restando la quota del 7% prevista dall'art. 1 della legge regionale 11 marzo 1986, n. 8 per il finanziamento dei progetti pilota, degli interventi economici straordinari od eccezionali e di quelli diretti al superamento delle barriere architettoniche (Legge regionale 30 aprile 1985, n. 45).

     Gli importi e le quote risultanti dalla ripartizione del fondo sono aggiornati nel corso del triennio in proporzione all'aumento dello stanziamento del fondo medesimo ed in relazione alle oggettive modifiche nelle grandezze di ciascun elemento assunto a riferimento per la ripartizione.

     Eventuali maggiori disponibilità dipendenti da variazioni di bilancio nel corso dell'esercizio finanziario sono assegnate dalla Giunta regionale per i servizi rivolti all'età evolutiva.

 

Flessibilità di gestione

     I criteri per l'assegnazione del fondo regionale vengono aggiornati rispetto al Programma triennale:

-  per adeguare la direzione dei flussi finanziari al quadro dei servizi sociali realizzati sul territorio;

-  per assicurare la necessaria flessibilità alla gestione delle risorse e la maggiore aderenza ai caratteri attuali del fabbisogno sociale, in particolare in seguito all'attuazione della pianta organica del personale dell'area sociale delle U.L.S.S.

 

Progetti-obiettivo

 

Verifica

     La quota destinata a finanziare le spese relative ai progetti- obiettivo presuppone una specifica verifica, nei diversi momenti dell'attuazione del piano, sull'attivazione dello stesso e del perseguimento delle priorità in esso previste.

     Le modalità di finanziamento prevedono un'assegnazione annuale con un'anticipazione commisurata alla spesa ammessa a preventivo.

     Per evitare vincoli contabili che possono irrigidire il bilancio e determinare la formazione dei residui le erogazioni hanno corso: 1. secondo lo stato di avanzamento dei progetti;

2. sulla base della rendicontazione di spesa e della verifica delle attività realizzate.

     Delle somme erogate per il finanziamento dei progetti-obiettivo e delle spese complessivamente sostenute per gli stessi deve essere fornita la rendicontazione entro il 31 gennaio di ciascun anno. Le somme eventualmente anticipate dalla Regione e non rendicontate saranno trattenute per compensazione sulle erogazioni spettanti sulla competenza del nuovo esercizio.

     La Regione concorre al finanziamento dei progetti-obiettivo, in rapporto alla valutazione degli obiettivi e delle priorità del piano, con un contributo non superiore al 50%.

 

Azioni specifiche

     Gli interventi destinati alla realizzazione di particolari iniziative sul territorio, nell'ambito delle finalità del programma, vanno finanziate con procedure analoghe a quelle in vigore per i progetti-pilota; l'arco temporale di riferimento per la gestione della spesa è un anno. Conseguentemente, per gli interventi mirati con proiezione biennale o triennale, sarà prevista per ogni annualità la quota che verrà a maturazione.

     La Regione concorre al finanziamento delle azioni specifiche, in rapporto alla valutazione degli obiettivi e delle priorità del piano con un contributo non superiore al 70%.

 

Progetti pilota

     Nel rispetto delle finalità previste dall'ultimo comma dell'art. 3 della Legge regionale 55/82 e successive variazioni, i criteri di assegnazione vengono fissati, caso per caso, con riferimento alla durata ed all'effettiva attuazione dei progetti.

     La Regione concorre al finanziamento dei progetti pilota in rapporto alla valutazione degli obiettivi e delle priorità del piano con un contributo non superiore all'85%.

 

Informazione-ricerca-valutazione

     Una quota del fondo, fino a un massimo del 3%, è riservata alla realizzazione delle seguenti attività:

a) sistema informativo servizi sociali;

b) relazioni ed indagini sui servizi sociali;

c) attività di ricerca e valutazione sui servizi sociali proprie della struttura regionale competente;

d) individuazione di momenti di associazionismo degli utenti (con particolare riferimento alla terza età);

e) promozione di attività lavorative in cooperazione degli utenti (con particolare riferimento alla terza età).

 

6.2. Parametri-obiettivi

 

Attività sociali dei Comuni

     Per l'erogazione delle risorse da ripartire tra i Comuni per le attività sociali di cui al D.P.R. 616/77 e alla legge 641/78, sarà presa a riferimento la spesa riferita alle seguenti attività:

-  assistenza economica;

-  assistenza domiciliare;

-  affidi familiari;

-  affidi assistenziali;

-  rette di ricovero per minori;

-  rette di ricovero per handicappati;

-  rette di ricovero per adulti ed anziani;

-  quota trasferita alle UU.LL.SS.SS.;

-  quota per le spese del personale:

   a. assistenti sociali;

   b. educatori professionali;

   c. addetti all'assistenza;

-  altre attività sociali.

     Fermo restando il trasferimento diretto delle risorse dalla Regione agli Enti interessati, dette risorse saranno erogate solo a seguito della trasmissione alla Regione, da parte delle UU.LL.SS.SS., dei dati previsti dal presente Piano.

     A tal fine sarà attivato un costante e sistematico flusso di dati dai Comuni alle UU.LL.SS.SS. competenti e da queste alla Regione.

     Durante il primo triennio di validità del Piano potrà essere attivato per i sette Comuni capoluogo di provincia un doppio flusso dati: uno verso le UU.LL.SS.SS. e l'altro verso la Regione.

     Con l'avvio del sistema informativo è prevista nell'U.L.S.S. l'unità organizzativa di livello locale responsabile del coordinamento delle attività connesse al SISAR (Sistema Informativo Socio-Assistenziale Regionale).

     La Giunta Regionale, annualmente determina, con riferimento agli obiettivi e priorità del piano e sulla base dei piani operativi (vedi cap. 3., par. 3.2.) predisposti dalle singole Amministrazioni, le percentuali del fondo da riservare ai singoli parametri, nonché le valutazioni ponderali degli stessi. La Giunta regionale individua annualmente una quota massima dell'1% del fondo sociale per:

a) risolvere il contenzioso in atto in relazione al domicilio di soccorso, tra Comuni e Comuni e tra Comuni ed Enti di assistenza in ordine al pagamento delle rette di ricovero in Istituto;

b) concorrere alle spese sociali dei Comuni situati in aree depresse e con popolazione inferiore a 3 mila abitanti.

     Per il riparto della quota di cui al punto b) saranno presi in esame i seguenti parametri:

-  spesa per affidi;

-  spesa per rette di ricovero.

 

Equo canone

6. Fondo sociale equo-canone (legge 392/1978):

- popolazione in affitto, 50%

- popolazione con età oltre i 60 anni, 20%

- popolazione residente, 30%

(L'assegnazione del fondo avviene solo in rapporto ai trasferimenti statali).

 

Asili nido

3. Gestione asili-nido pubblici e privati:

-  quota rapportata alla capacità ricettiva, 30%

-  quota rapportata al numero di iscritti

al 31 dicembre dell'anno precedente, 60%

-  quota da ripartire agli asili-nido dei

Comuni con popolazione inferiore a

20.000 abitanti e tra Comuni consorziati, 10%

 

Scuole materne

4. Gestione scuole materne

-  quota per scuola con riferimento al numero di sezioni.

 

Attività delle UU.LL.SS.SS.

5. Assegnazione alle ULSS:

a) gestione dei servizi:

-  fondo per il finanziamento della pianta organica dei servizi sociali (settori centrali);

-  quota fissata per operatore in servizio nell'anno precedente, con riferimento ad un onere annuo medio di lire 30.000.000;

-  fondo per il finanziamento dei servizi territoriali (primo comma art. 6 legge regionale 55/82);

-  quota rapportata alla spesa per operatori ULSS in servizio sul territorio sostenuta nell'anno precedente con onere a carico del bilancio sociale, 50%

- quota rapportata alla superficie dell'ULSS, 10%

- quota rapportata alla popolazione residente ULSS, 20%

- quota rapportata alle spese per convenzioni e contributi ad Enti, di cui al cap. 121, cat. 4a, titolo I della spesa del bilancio sociale dell'ULSS, 20%

 

     Tutti i dati presi a parametro sono accertati alla data del 31 dicembre dell'anno precedente. Il riscontro di tali dati sul conto consuntivo delle ULSS relativo allo stesso anno e la verifica della situazione finanziaria finale risultante dal medesimo documento può comportare la correzione delle somme attribuite agli Enti, da far valere sulle future assegnazioni.

     La Giunta regionale con il provvedimento di riparto annuale della quota su parametri obiettivi determinerà i criteri di correzione: b) Consultori familiari pubblici

-  quota fissa per Consultorio: lire 5.000.000;

-  quota rapportata alla spesa sostenuta nell'anno precedente per attività sociali e spese di gestione.

 

Consultori privati

6. Consultori familiari privati

     Il contributo fissato dalla legge regionale 25/84 per i Consultori privati riconosciuti viene rideterminato in lire 12.000.000.

     Per detta assegnazione sarà richiesta rendicontazione. Gli Enti gestori dovranno far pervenire alla Regione tutti i dati e le informazioni sulla gestione e sulle modalità di attuazione del servizio, nonché sulla quantificazione della spesa effettivamente sostenuta. Per spese inferiori al contributo determinato sarà erogata solo una quota pari alla spesa esposta.

 

7. Altre attività a parametro

     Fra gli interventi finanziati con parametrazione obiettiva vanno considerati anche:

-  eventuali rimborsi alle Province per le attività ex ONMI (1/3 spese illegittimi riconosciuti dalla sola madre);

-  le spese sostenute da Enti di assistenza per ricoveri di donne con figli minorenni prive di cittadinanza italiana o di domicilio di soccorso presenti nel Veneto e non assistite da Enti locali;

-  le spese sostenute da Enti di assistenza per ricoveri di minori figli di genitori privi di cittadinanza italiana o di domicilio di soccorso.

     La Regione può concorrere altresì alle spese per seminari, convegni, conferenze, tavole rotonde, organizzate da Enti pubblici e privati ed aventi finalità di aggiornamento per gli operatori.

 

8. Procedure amministrative

     Il finanziamento a parametri, se pure basato su indicatori e criteri fissati preventivamente, non può prescindere da un sistema di verifiche e di controlli. Eventuali modifiche degli elementi presi a riferimento per la parametrazione obiettiva (Contratto nazionale del personale che opera nei servizi sociali) potranno richiedere l'aggiornamento dei parametri stessi. I fondi di cui ai punti 1), 2), 3), 4) e 6) vengono erogati in un'unica soluzione e sono determinati annualmente dalla Giunta regionale in relazione alle disponibilità finanziarie. Il fondo assegnato su parametri alle Ulss viene erogato annualmente in tre rate.

     La Giunta regionale, per assicurare la disponibilità di cassa delle Ulss (settori sociali), necessaria ad assicurare la continuità dei servizi in atto può, all'inizio dell'anno, erogare una quota pari al 30% dei trasferimenti effettuati l'anno precedente per lo stesso titolo.

 

 

Fondi Previsti per le attività sociali

(cifre in milioni di lire)

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                                          1989     1990     1991

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Area sociale............................89.725   89.725   89.725

realizzazione strutture residenziali

per anziani.............................10.000    6.000     __

Eliminazione barriere architettoniche....1.000     __       __

P.O. «Le salute delle persone anziane»..15.000   16.000   17.000

P.O. «Prevenire le tossicodipendenze,

assistere i tossicodipendenti»..........20.000   21.000   22.000

Attività sociali a rilievo sanitario

(fondo sanitario)......................135.000  139.000  143.000*

Telesoccorso (fondo sanitario)...........5.000    5.500    5.500

                                     _____________________________

                            Totali     284.725  287.225  285.225

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Le assegnazioni di cui all'articolo 20 (legge finanziaria 1988, n. 67) ipotizzabili in c.a. 600 miliardi, saranno iscritte a bilancio non appena conosciuto l'esatto ammontare.

 

* Da aggiornarsi con riferimento alle scelte politiche della Regione Veneto.

 

 


[1] Articolo aggiunto dall'art. 49 della L.R. 1 febbraio 1995, n. 6.

[2] Comma così sostituito dall'art. 10 della L.R. 16 agosto 2007, n. 23.

[3] Paragrafo abrogato dall'art. 9 della L.R. 18 dicembre 2009, n. 30.