§ 4.4.56 - L.R. 21 febbraio 2005, n. 10.
Istituzione del parco regionale della vena del gesso romagnola.


Settore:Codici regionali
Regione:Emilia Romagna
Materia:4. assetto del territorio
Capitolo:4.4 tutela dell'ambiente
Data:21/02/2005
Numero:10


Sommario
Art. 1.  Istituzione del Parco regionale, finalità e obiettivi gestionali.
Art. 2.  Strumenti di pianificazione.
Art. 3.  Strumenti di attuazione.
Art. 4.  Ente di gestione.
Art. 5.  Zonizzazione.
Art. 6.  Norme di salvaguardia.
Art. 7.  Sorveglianza territoriale e sanzioni.
Art. 8.  Norme transitorie e finali.
Art. 9.  Modificazioni all’articolo 11 della legge regionale n. 6 del 2005.


§ 4.4.56 - L.R. 21 febbraio 2005, n. 10.

Istituzione del parco regionale della vena del gesso romagnola.

(B.U. 22 febbraio 2005, n. 35).

 

TITOLO I

ISTITUZIONE DEL PARCO REGIONALE DELLA VENA DEL GESSO ROMAGNOLA

 

Art. 1. Istituzione del Parco regionale, finalità e obiettivi gestionali.

     1. Con la presente legge è istituito il Parco regionale della Vena del Gesso Romagnola. Il perimetro del Parco ricade nell’ambito territoriale dei Comuni di Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Borgo Tossignano, Fontanelice, Casalfiumanese ed è individuato dalla carta in scala 1:25.000 allegata alla presente legge. Alla zonizzazione e perimetrazione definitiva si procederà in sede di approvazione del Piano territoriale del Parco.

     2. Le finalità istitutive del Parco sono:

     a) la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione dell’ambiente naturale e del paesaggio, delle specie floristiche e faunistiche, delle associazioni vegetali, delle zoocenosi e dei loro habitat, dei biotopi e delle formazioni ed emergenze geologiche e geomorfologiche di interesse scientifico, didattico e paesaggistico, con particolare riferimento agli elementi tutelati dalle direttive comunitarie 79/409/CEE del Consiglio, del 2 aprile 1979, relativa alla conservazione degli uccelli selvatici e 92/43/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e fauna selvatiche e ai fenomeni carsici, alle grotte e ai sistemi di cavità sotterranee della Vena del Gesso Romagnola;

     b) la tutela, il risanamento, il restauro, la valorizzazione delle preesistenze edilizie storiche, delle emergenze architettoniche, dei manufatti e degli assetti storici del paesaggio;

     c) il recupero di aree degradate nonché la ricostituzione e la difesa degli equilibri ecologici;

     d) la promozione e la realizzazione di programmi di studio, di ricerca e di educazione ambientale, di percorsi didattici naturalistici e storici;

     e) l’incentivazione di attività culturali e del tempo libero collegate alla fruizione ambientale;

     f) la promozione della agricoltura biologica, di quella legata a modalità colturali tradizionali ed ecosostenibili e delle produzioni agroalimentari tipiche dell’area;

     g) la qualificazione e la promozione delle attività economiche compatibili con le finalità istitutive del Parco e dell’occupazione locale, secondo criteri di sviluppo sostenibile;

     h) la valorizzazione della cultura, della storia, delle tradizioni e delle identità locali più significative.

     3. Costituiscono obiettivi gestionali del Parco:

     a) il monitoraggio continuo delle componenti naturali presenti nell’area con particolare riferimento alle dinamiche vegetazionali ed allo status di conservazione delle specie animali e vegetali;

     b) la gestione e la tutela dei beni silvo-pastorali appartenenti al patrimonio indisponibile della Regione situati all’interno del perimetro del Parco;

     c) la gestione dei siti della Rete natura 2000 ricadenti all’interno del territorio del Parco;

     d) il censimento delle popolazioni faunistiche e, se necessario, il loro controllo al fine di assicurare la funzionalità ecologica del territorio;

     e) la realizzazione di strutture per la divulgazione, l’informazione e l’educazione ambientale rivolte ai cittadini residenti ed ai visitatori;

     f) la realizzazione e la manutenzione di percorsi per la fruizione responsabile e sostenibile;

     g) il monitoraggio, la prevenzione ed il risarcimento dei danni prodotti alle colture agricole ed agli allevamenti da parte della fauna selvatica;

     h) il coinvolgimento diretto delle aziende agricole operanti nel territorio dell’area protetta e delle loro organizzazioni professionali, alle scelte di programmazione, di pianificazione e di gestione del Parco nelle forme e nei modi definiti dallo statuto dell’Ente di gestione.

     4. Gli obiettivi di cui al comma 3 possono essere integrati con il primo Programma regionale per le Aree protette e i siti della Rete natura 2000 previsto all’articolo 64 della legge regionale 17 febbraio 2005, n. 6 (Disciplina della formazione e della gestione del sistema regionale delle Aree naturali protette e dei siti della Rete natura 2000).

 

     Art. 2. Strumenti di pianificazione. [1]

     1. Il Piano territoriale del Parco è disciplinato dagli articoli 24, 25, 26, 28, 30 e 31 della legge regionale n. 6 del 2005.

 

     Art. 3. Strumenti di attuazione. [2]

     1. Costituiscono strumenti attuativi del Parco, ai sensi degli articoli 27, 32 e 34 della legge regionale n. 6 del 2005:

     a) gli eventuali progetti di intervento particolareggiato;

     b) il Regolamento del Parco;

     c) il Programma triennale di tutela e valorizzazione.

 

     Art. 4. Ente di gestione. [3]

     1. L’Ente di gestione del Parco è un Consorzio obbligatorio costituito tra le Province di Ravenna e Bologna, i Comuni di Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme, Borgo Tossignano, Fontanelice, Casalfiumanese e le Comunità montane dell’Appennino Faentino e Valle del Santerno. Al Consorzio possono aderire eventuali altri Comuni che abbiano interesse alla gestione del Parco medesimo ai sensi dell’articolo 18, comma 2, della legge regionale n. 6 del 2005.

     2. La Giunta regionale approva l’atto di costituzione dell’Ente di gestione sulla base di una proposta formulata dalla Provincia di Ravenna, d’intesa con la Provincia di Bologna e con gli altri Enti di cui al comma 1. La proposta è formulata entro trenta giorni dall’entrata in vigore della presente legge.

     3. Per quanto concerne la costituzione, il funzionamento e l’attività dell’Ente di gestione si applicano le norme degli articoli 18, 19, 20, 21, 22 e 23 della legge regionale n. 6 del 2005.

 

     Art. 5. Zonizzazione.

     1. L’area del Parco, individuata nella carta in scala 1:25.000 allegata alla presente legge, viene suddivisa in quattro zone:

     a) zona A, di protezione integrale: rupe della riva di San Biagio; risorgente del rio Basino; rupi di monte Mauro; risorgente del rio Cavinale. Rappresentano le aree superficiali del Parco che possiedono il maggior grado di naturalità ed equilibrio, grazie anche alla presenza di siti difficilmente accessibili; ospitano alcune delle specie di prioritaria importanza conservazionistica locale (Cheilanthes persica, Staphylea pinnata, Galanthus nivalis, Monticola solitarius) e comunitaria (Bubo bubo) e alcuni habitat di importanza comunitaria (formazioni erbose calcicole rupicole o basofile dell’Alysso-Sedion albi, pareti rocciose calcaree con vegetazione casmofitica, foreste di Quercus ilex et Quercus rotundifolia);

     b) zona B, di protezione generale: rupi ed emergenze gessose; aree a vegetazione naturale (aree boscate, arbustate o a gariga); ingressi delle grotte e doline. Rappresentano aree superficiali ad elevata naturalità, ma non sempre in equilibrio, e gli accessi ai sistemi sotterranei della Vena del Gesso Romagnola; ospitano molte delle specie di prioritaria importanza locale (Phyllitis scolopendrium, Helianthemum jonium, Speleomantes italicus, Bombina pachypus, Nyctalus noctula, Plecotus austriacus, Hystrix cristata) e comunitaria (Callimorpha quadripunctaria, Lucanus cervus, Osmoderma eremita, Cerambix cerdo, Pernis apivorus, Caprimulgus europaeus, Lullula arborea, Rhinolophus hipposideros, Rhinolophus ferrumequinum, Rhinolophus euryale, Myotis blythi, Miniopterus schreibersi, Myotis myotis) ed alcuni habitat di importanza comunitaria (oltre a quelli già citati per la zona A, formazioni di Juniperus communis su lande o prati calcarei, formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo Festuco Brometalia, con stupenda fioritura di orchidee, praterie con Molinia su terreni calcarei torbosi o argilloso- limosi Molinion caeruleae, grotte non ancora sfruttate a livello turistico, foreste di Castanea sativa);

     c) zona C, di protezione e valorizzazione agroambientale: zone prevalentemente calanchive e zone ad uso agricolo. Rappresentano zone immediatamente circostanti l’emergenza gessosa, caratterizzate da agricoltura tradizionale, con colture largamente inframmezzate da residui habitat naturali, quali siepi, macchie boscate, praterie secondarie e rupi gessose, in territori che hanno subito la secolare attività dell’uomo; ospitano alcune delle specie di prioritaria importanza locale (Rhamnus alaternus, Typha minima, Lanius senator) e comunitaria (Triturus carnifex, Circus pygargus, Anthus campestris, Lanius collurio, Emberiza hortulana), oltre ad alcuni degli habitat di importanza comunitaria precedentemente citati (formazioni erbose secche seminaturali e facies coperte da cespugli su substrato calcareo Festuco Brometalia con stupenda fioritura di orchidee, praterie con Molinia su terreni calcarei torbosi o argilloso-limosi Molinion caeruleae);

     d) zona area contigua, di promozione dello sviluppo locale ecosostenibile caratterizzato dalle seguenti tipologie ambientali:

     1) agricola: zone distanti dall’emergenza gessosa, caratterizzate da un’agricoltura maggiormente specializzata, con dominanza delle colture legnose e minore diffusione degli habitat naturali residui;

     2) fluviale: tratti di corsi d’acqua appenninici principali che attraversano in direzione sud-nord la Vena del Gesso Romagnola, caratterizzandone il paesaggio con ampie fratture; ospitano alcune delle specie di prioritaria importanza locale (Padogobius martensi) e comunitaria (Chondrostoma genei, Leuciscus souffia, Rutilus rubilio, Barbus plebejus, Barbus meridionalis, Cobitis taenia, Alcedo atthis), oltre ad un habitat di importanza comunitaria (Foreste alluvionali di Alnus glutinosa e Fraxinus excelsior: Alno-Padion, Alnion incanae, Salicion albae);

     3) urbana: principali centri storici sorti sull’emergenza gessosa o nelle sue vicinanze, ma ad essa strettamente connessi.

 

     Art. 6. Norme di salvaguardia.

     1. Dalla data di entrata in vigore della presente legge e fino all’approvazione del Piano territoriale del Parco, fermi restando eventuali vincoli vigenti maggiormente restrittivi, si applicano, con riferimento alla zonizzazione, le norme di salvaguardia stabilite dal presente articolo.

     2. Nella zona A l’ambiente è integralmente tutelato in ogni suo aspetto. Ogni intervento di modifica dello stato dei luoghi e degli assetti idraulici, geomorfologici, vegetazionali, faunistici è vietato, compresa l’attività venatoria. L’accesso è consentito esclusivamente per scopi scientifici ed educativi con l’ausilio di guide abilitate ed autorizzate dall’Ente di gestione. L’accesso agli ambienti carsici ed ipogei è consentito ai gruppi speleologici affiliati alla Federazione speleologica regionale dell’Emilia-Romagna di cui alla legge regionale 15 aprile 1988, n. 12 (Modifiche alla L.R. 9 aprile 1985, n. 12 “intervento regionale per il potenziamento della organizzazione del soccorso alpino e per la conservazione ed incentivazione del patrimonio alpinistico"), o ad altri gruppi speleologici specificamente autorizzati dall’Ente di gestione.

     3. Nella zona B suolo, sottosuolo, acque, vegetazione e fauna sono rigorosamente protetti e sono vietate le seguenti attività:

     a) la costruzione di nuove opere edilizie;

     b) l’esecuzione di opere di trasformazione del territorio che non siano specificamente rivolte alla tutela dell’ambiente e del paesaggio ed al mantenimento degli assetti colturali esistenti;

     c) la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo;

     d) la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei;

     e) l’eliminazione delle siepi e della vegetazione di ripa di torrenti e fossi;

     f) la conversione dei prati seminaturali e dei pascoli;

     g) la ceduazione dei castagneti da frutto e il taglio per utilizzazione dei cedui invecchiati;

     h) l’accesso non regolamentato alle grotte e alle cavità naturali;

     i) l’apertura di nuove strade ad uso pubblico;

     j) l’apertura di nuove cave o discariche;

     k) accendere fuochi all’aperto;

     l) il campeggio libero;

     m) l’attività venatoria.

     4. Nella zona B sono ammesse le seguenti attività:

     a) sugli edifici esistenti, interventi esclusivamente di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro scientifico e di restauro e risanamento conservativo senza modifiche di destinazione d’uso, tranne nei casi in cui siano strettamente finalizzati alle attività istituzionali del Parco o a servizio delle attività agricole esistenti, nel rispetto delle categorie d’intervento ammesse sui singoli edifici dai vigenti strumenti urbanistici di ciascun Comune;

     b) il taglio selettivo del bosco ceduo finalizzato alla conversione all’alto fusto;

     c) gli interventi di contenimento e controllo della vegetazione ai margini dei coltivi;

     d) l’apertura di piste ad uso forestale;

     e) la realizzazione di infrastrutture esclusivamente di interesse strettamente locale, purché previste dagli strumenti urbanistici vigenti.

     5. Nella zona C di protezione ambientale sono permesse le attività agricole, forestali, zootecniche ed altre attività compatibili con le finalità istitutive del Parco e sono vietate le seguenti attività:

     a) la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo;

     b) la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei;

     c) l’eliminazione delle siepi e della vegetazione di ripa di torrenti e fossi;

     d) la conversione dei prati seminaturali e dei pascoli;

     e) la ceduazione dei castagneti da frutto;

     f) l’accesso non regolamentato alle grotte e alle cavità naturali;

     g) l’apertura di nuove strade ad uso pubblico;

     h) l’apertura di nuove cave o discariche;

     i) l’attività venatoria.

     6. Nella zona C sono ammesse le seguenti attività:

     a) interventi esclusivamente di manutenzione ordinaria e straordinaria, di restauro scientifico, di restauro e risanamento conservativo, di ristrutturazione degli edifici esistenti, nel rispetto delle categorie d’intervento ammesse sui singoli edifici dai vigenti strumenti urbanistici di ciascun Comune;

     b) nuove edificazioni unicamente se finalizzate all’esercizio delle attività agricole, qualora se ne dimostri il reale fabbisogno tramite un Piano di sviluppo aziendale, nel rispetto delle norme vigenti negli strumenti urbanistici di ciascun Comune, ponendo particolare attenzione alla salvaguardia dei crinali, dei versanti, dei sistemi carsici e solo nello stretto rispetto delle valenze ambientali dei luoghi, preferibilmente inserendo le nuove costruzioni nelle corti esistenti e nel rispetto delle tipologie edilizie proprie del luogo;

     c) l’apertura di piste ad uso privato finalizzate alle attività colturali;

     d) l’utilizzo dei boschi cedui e la coltivazione dei castagneti da frutto nelle forme e con i limiti previsti dalle vigenti prescrizioni di massima e di polizia forestale, approvate con deliberazione della Giunta regionale del 31 gennaio 1995, n. 182; in particolare, sono favoriti gli interventi di conversione all’alto fusto dei cedui (mediante invecchiamento del soprassuolo nei cedui a regime o evoluzione naturale controllata nelle formazioni termoxerofile); l’eventuale utilizzazione dei cedui invecchiati potrà essere autorizzata previa nulla osta dell’Ente di gestione;

     e) interventi di indirizzo e controllo dell’evoluzione spontanea della vegetazione;

     f) interventi di contenimento e controllo della vegetazione ai margini dei coltivi;

     g) l’attività ittica, secondo le norme previste dai Piani ittici provinciali;

     h) la realizzazione di infrastrutture esclusivamente di interesse strettamente locale, purché previste dagli strumenti urbanistici vigenti.

     7. Nell’area contigua si applicano le norme degli strumenti urbanistici comunali vigenti fatta eccezione per le seguenti attività che sono vietate:

     a) l’accesso non regolamentato alle grotte e alle cavità naturali;

     b) la modifica o l’alterazione del sistema idraulico sotterraneo;

     c) la modifica o l’alterazione di grotte, doline, risorgenti o altri fenomeni carsici superficiali o sotterranei;

     d) l’eliminazione delle siepi e della vegetazione di ripa di torrenti e fossi;

     e) la conversione dei prati seminaturali e dei pascoli nelle sole aree calanchive.

     8. Nelle zone B e C del Parco e nell’area contigua sono consentiti la ricerca, l’accesso, l’esplorazione di nuovi o conosciuti sistemi carsici, nonché le necessarie disostruzioni sia esterne sia interne, a scopo scientifico o speleologico, sulla base dei programmi dei gruppi speleologici affiliati alla Federazione speleologica regionale dell’Emilia-Romagna di cui alla legge regionale n. 12 del 1988; l’accesso alle grotte è altresì consentito per esercitazioni di soccorso speleologico. L’accesso ad altri gruppi speleologici è consentito previa autorizzazione dell’Ente di gestione.

     9. Nelle aree esondabili, ricomprese nel Parco e nella area contigua e, comunque, per una fascia di 10 metri dal limite degli invasi e degli alvei di piena ordinaria dei bacini e dei corsi d’acqua naturali, sono vietati l’utilizzazione agricola del suolo, i rimboschimenti a scopo produttivo e gli impianti per l’arboricoltura da legno, al fine di favorire il riformarsi della vegetazione spontanea e la costituzione di corridoi ecologici; sono consentiti interventi finalizzati all’uso degli accessi tecnici di vigilanza, manutenzione ed esercizio delle opere di irrigazione e difesa del suolo.

     10. La continuità idrica del corso d’acqua e la morfologia dell’alveo fluviale, nel rispetto delle esigenze di tutela idraulica, sono tutelate, in particolare per quanto riguarda il mantenimento di raschi, buche, ghiaioni, tratti anastomizzati.

     11. Per il periodo compreso tra l’istituzione del Parco e l’approvazione del Piano territoriale del Parco, l’attività venatoria, viene regolata secondo le modalità previste dai Piani faunistico-venatori provinciali e dai relativi calendari venatori.

 

     Art. 7. Sorveglianza territoriale e sanzioni. [4]

     1. L’attività di sorveglianza territoriale e le sanzioni sono disciplinate dagli articoli 55 e 60 della legge regionale n. 6 del 2005.

 

     Art. 8. Norme transitorie e finali.

     1. L’Ente di gestione del parco vigila sulla tutela degli elementi naturali di cui all’articolo 5. A tal fine, fino all’approvazione del Piano territoriale del Parco, i progetti relativi agli interventi ammessi dalle presenti norme di salvaguardia per le diverse zone, vengono trasmessi al Parco da parte degli Enti competenti per l’autorizzazione. Il Parco esprime un nulla-osta motivato entro il termine di sessanta giorni oltre il quale il nulla-osta deve intendersi rilasciato positivamente. Fino a quando l’Ente di gestione non si sarà dotato di idonee strutture tecniche, per l’espressione dei nulla-osta di propria competenza potrà avvalersi del personale tecnico degli Enti consorziati, previa sottoscrizione di apposita convenzione.

     2. [L’individuazione delle misure di incentivazione, di sostegno e di promozione per la conservazione e la valorizzazione delle risorse naturali, storiche, culturali e paesaggistiche del territorio previste all’articolo 17, comma 2, lettera e) della legge regionale n. 6 del 2005 è demandata al primo programma regionale per le Aree protette e i siti della Rete natura 2000 di cui all’articolo 64 della legge sopra citata. Con lo stesso Programma, fermo restando quanto previsto all’articolo 1, comma 1, possono essere modificate la perimetrazione e la zonizzazione del Parco] [5].

     3. [Per le finalità di cui al comma 2 e di cui all’articolo 1, comma 4, la Giunta regionale convoca una Conferenza a cui sono chiamati a partecipare le Province, i Comuni, le Comunità montane e le altre forme associative di cui alla legge regionale del 26 aprile 2001, n. 11 (Disciplina delle forme associative e altre disposizioni in materia di Enti locali) territorialmente interessate nonché le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative in ambito regionale] [6].

     4. Fino all’approvazione del Piano territoriale del Parco, la pesca e la raccolta di funghi epigei, tartufi e altri prodotti spontanei avvengono con le modalità e nei limiti stabiliti dalle leggi vigenti e secondo la regolamentazione predisposta dagli enti delegati.

     5. L’Ente di gestione, d’intesa con le Province territorialmente interessate, attua un costante monitoraggio delle dinamiche qualitative e quantitative delle popolazioni di fauna selvatica nelle zone B e C del Parco e, sulla base dei dati acquisiti, elabora e realizza Piani di gestione faunistici volti al controllo delle specie eventualmente in soprannumero, per mantenere un equilibrato assetto degli habitat naturali e per diminuire l’impatto sui coltivi da parte della fauna selvatica presente, con la collaborazione degli ambiti territoriali di caccia e sentito il parere dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) [7].

     6. Per quanto non previsto dalla presente legge si fa rinvio alle leggi regionali che disciplinano la formazione e la gestione del sistema regionale delle aree naturali protette e dei Siti della Rete natura 2000 [8].

 

TITOLO II

MODIFICAZIONI ALLA LEGGE REGIONALE 17 FEBBRAIO 2005, N. 6 (DISCIPLINA DELLA FORMAZIONE E DELLA GESTIONE DEL SISTEMA REGIONALE DELLE AREE NATURALI PROTETTE E DEI SITI DELLA RETE NATURA 2000)

 

     Art. 9. Modificazioni all’articolo 11 della legge regionale n. 6 del 2005.

     1. Al comma 4 dell’articolo 11 della legge regionale n. 6 del 2005 dopo le parole: «Rete natura 2000,» le parole: «deve essere favorita l’introduzione di specie autoctone» sono sostituite dalle parole: «è vietata l’introduzione di specie alloctone.».


[1] Articolo abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[2] Articolo abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[3] Articolo abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[4] Articolo abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[5] Comma abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[6] Comma abrogato dall'art. 38 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[7] Comma così modificato dall'art. 34 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.

[8] Comma così sostituito dall'art. 34 della L.R. 23 dicembre 2011, n. 24.